A rotta di…protocollo

Intendere l’Intesa, analizzandone il linguaggio

Fonte: Weekly Magazine

Non è stato facile, ma alla fine ci siamo riusciti. Ho finalmente davanti agli occhi il testo del protocollo d’intesa Comune-Esercito approvato dalla Giunta Comunale di Giugliano in Campania -NA (D.G. n. 183 dell’8/11/2021), sottoscritto in pompa magna, pochi giorni dopo, dal Sindaco dott. Pirozzi e dal gen. Tota, Comandante delle Forze Operative Sud dell’Esercito Italiano. Di questa curiosa intesa tra un’amministrazione comunale e un’istituzione militare per fare educazione ambientale nelle scuole mi ero già occupato in un precedente articolo[i], sottolineando l‘assurdità (e pretestuosità) dell’iniziativa, attivata in una Città già ampiamente militarizzata, in quanto ‘ospita’ da un decennio il Comando NATO di Lago Patria per Sud Europa e Africa.  I media locali avevano riportato ampiamente quella notizia, riferendo inoltre che in un Circolo didattico giuglianese già il 3 dicembre l’Esercito aveva già ‘incontrato’ trionfalmente i bambini nel corso d’un evento ispirato al suddetto protocollo[ii].

Restava però la curiosità di leggere che cosa fosse effettivamente scritto in quel documento, che stranamente non risultava allegato alla delibera che lo approvava. Consultare un documento ufficiale, si sa, non è come leggere un testo narrativo o descrittivo. Nel caso specifico, inoltre, era prevedibile che il burocratese della pubblica amministrazione, unito alla ridondanza retorica dei militari, rendesse quel testo poco scorrevole e non del tutto chiaro. In effetti, sia la delibera di giunta sia il testo del protocollo partivano da premesse generali e difficilmente contestabili (ad esempio, la volontà di “contrastare l’abbandono dei rifiuti  e favorire una corretta e consapevole gestione dei rifiuti” oppure di attivare il “piano d’azione per il contrasto  dei roghi dei rifiuti”), ma per motivare un’anomala intesa tra un’istituzione civica ed una militare su un terreno diverso: “un rapporto di collaborazione per la…formazione sul problema della gestione dei rifiuti”.

In un saggio precedente[iii] ho spiegato perché l’analisi critica del discorso e l’indagine sulle ‘storie’ che linguisticamente modellano la nostra realtà in senso anti-ecologico rendono l’ecolinguistica uno strumento utile per approfondire l’aspetto comunicativo del progetto ecopacifista di cui il Movimento Internazionale della Riconciliazione si è fatto promotore col suo recente libro La colomba e il ramoscello [iv].

Uno dei principali teorici dell’approccio ecolinguistico spiega che le narrazioni della realtà sono spesso viziate da elementi deformanti, come ideologie, inquadramenti, metafore, valutazioni implicite, identità, convinzioni, cancellazioni ed evidenziazioni[v]. Si tratta di espedienti comunicativi che l’analisi critica dei discorsi ci aiuta a demistificare.

Anche in questo caso mi sembra che si tratti di una ‘storia’ che merita un’analisi ecolinguistica, poiché il degrado ambientale di un territorio come la c.d. ‘Terra dei fuochi’ e lo smaltimento errato e/o abusivo dei rifiuti sono diventati il pretesto per un’operazione piuttosto ambigua, che finisce col confermare il ruolo ‘civile’ delle forze armate e la loro funzione di ‘presidio’ a tutela dell’ambiente.

È probabile che i cittadini/ed i dirigenti e docenti degli istituti scolastici di quel territorio (avvelenato per decenni dagli sversamenti illegali delle ecomafie e dalla micidiale pratica dei roghi tossici) non abbiano letto il testo integrale del protocollo. D’altra parte, anche gli articoli prodotti nel merito si saranno attenuti al comunicato che è stato diramato dal COMFOPSUD dell’Esercito[vi], sorvolando disinvoltamente su alcuni aspetti sui quali penso invece che sarebbe stato interessante soffermarsi.

È esattamente ciò che provo a fare con questo mio contributo

Incongruenze e contraddizioni comunicative

Inizio appunto analizzando un brano centrale di quel comunicato stampa.

«Lo scopo del Protocollo è educare i ragazzi, attraverso la formazione degli insegnanti negli Istituti scolastici, sul tema della gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla raccolta e al loro conferimento. Tale progetto si inserisce nelle attività collaterali svolte dall’Esercito nell’ambito dell’Operazione “Terra dei Fuochi”, con l’obiettivo di sensibilizzare le giovani generazioni alla prevenzione dei reati ambientali. La testimonianza diretta del personale dell’Esercito, impegnato quotidianamente nella “Terra dei Fuochi” per garantire un ambiente più sicuro e salubre per la popolazione, fornirà un importante contributo educativo per arginare il fenomeno». 

Salta agli occhi la contraddizione tra il ruolo inizialmente indiretto dei militari nell’educazione degli alunni (attraverso la formazione degli insegnanti) e la successiva previsione di un loro intervento attivo nelle scuole (che affiora dall’uso del verbo “sensibilizzare” e dall’espressione “testimonianza diretta”).

La seconda incongruenza nasce dall’intenzionale sovrapposizione di finalità diverse, in quanto la formazione alla corretta raccolta differenziata ed il conferimento ordinario dei rifiuti non c’entra con la sensibilizzazione dei minori alla prevenzione di veri e propri reati ambientali (sversamenti abusivi e pericolosi, roghi tossici…).  Dal comunicato del COMFOPSUD, quindi, emerge una immagine piuttosto opaca delle finalità di questa insolita ‘intesa’.

Più avanti il gen. Tota dichiarava: «…è fondamentale sviluppare la consapevolezza sulla gestione dei rifiuti nei giovani, del rispetto dell’ambiente in cui vivono, perché […] attraverso corretti comportamenti, potranno contribuire a ridurre e risolvere il problema”». Ma il progetto nato da questa inedita ‘collaborazione’ ha la pretesa di coinvolgere le scuole su un terreno che non dipende solo da “corretti comportamenti”, in quanto accrescere nei giovani la “consapevolezza sulla gestione dei rifiuti” non basta a “ridurre e risolvere il problema”, che ha tutt’altre cause e responsabilità.

Ma veniamo alle affermazioni della controparte ‘civile’ dell’istituzione militare, a partire dalla delibera della Giunta Comunale di Giugliano. Anche in questo caso appare evidente il tentativo di razionalizzare a posteriori una decisione assunta altrove. Nell’atto amministrativo, ad esempio, tre pagine di sovrabbondanti “premesse” e “considerazioni” servono a giustificare poco più di tre righe della parte deliberativa. Nella relazione istruttoria, ricordando che si tratta della famigerata ‘Terra dei fuochi’, si afferma l’intento dell’A.C. di «fronteggiare e contrastare l’abbandono dei rifiuti e favorire una corretta e consapevole gestione dei rifiuti», ma anche quello di svolgere «attività d’informazione e formazione…mirate sia all’educazione ambientale degli allievi, sia alla formazione degli insegnanti».  Citando la fonte militare, si ribadisce che:

«l’Esercito Italiano…concorre al presidio del territorio del Comune di Giugliano in Campania, per prevenire e contrastare i reati ambientali, al fine di garantire un ambiente più sicuro e salubre per la popolazione».  Si dichiara poi che Comune ed Esercito hanno manifestato la «volontà di avviare un rapporto di collaborazione tramite l’attivazione di un tavolo tecnico, finalizzato a promuovere un progetto condiviso di educazione ambientale».

Ma cosa c’entra il ruolo di monitoraggio e repressione dei reati ambientali con l’educazione ambientale dei bambini delle scuole elementari? Se quella formativa è una ‘attività collaterale’ dell’Esercito, perché in questo protocollo diventa così centrale

Sicurezza e salute: un binomio sospetto…

Fonte: Anteprima 24

Le forze armate ci tengono ad accreditarsi come istituzione democratica, ‘civile’ ed attenta alle esigenze del territorio e dei suoi abitanti. Tale narrazione fa parte dell’operazione di trasformismo mimetico dei militari [vii]e cerca di renderne l’immagine più accettabile e rassicurante, dando una spennellata di ‘verde’ alla mission del sistema militare, che viceversa ha una pesante impronta ecologica sull’ambiente.

 La comunicazione che sostituisce la retorica bellicista con quella ambientalista tende ad accostare sicurezza e salute, come se la seconda dipendesse dalla prima e se la ‘sicurezza’ fosse quella che si garantisce con un controllo poliziesco e/o militare del territorio e delle comunità che vi abitano. Il fatto è che in questa parola si sovrappongono due concetti ben distinti nella lingua inglese: security e safety.

«La ‘security’ si riferisce alla protezione di individui, organizzazioni e proprietà contro le minacce esterne che possono causare danni […] generalmente focalizzata sull’assicurare che fattori esterni non causino problemi o situazioni sgradite all’organizzazione, agli individui e alle proprietà […] D’altra parte, la ‘safety’ è la sensazione di essere protetti dai fattori che causano danni» [viii].

Nelle ‘politiche securitarie’ ci si riferisce al primo dei due vocaboli inglesi, che sottolinea l’aspetto del controllo e della repressione anziché quello della prevenzione dei danni alla salute o all’ambiente. Ma nella delibera citata i due piani si confondono, mescolando aspetti preventivi (sensibilizzazione degli adulti e educazione ambientale dei minori) con quelli repressivi (‘presidio’ del territorio e ‘contrasto’ degli ecoreati).  Un terzo aspetto – la ‘gestione’ in sé della raccolta e smaltimento dei RSU – ricade nelle specifiche responsabilità dell’amministrazione comunale e non ha niente a che fare con l’esercito.

Ma anche nel testo dello stesso Protocollo d’intesa [ix] si ha l’impressione che ci si arrampichi sugli specchi per legittimare una collaborazione abbastanza opinabile. Nelle due pagine e mezza di premesse si citano normative europee, nazionali e regionali e perfino il Codice Militare e le relative disposizioni regolamentari. Si afferma di voler «favorire l’assunzione di un ruolo attivo per la salvaguardia del territorio da parte dei cittadini» e di considerare gli insegnanti «canale preferenziale per trasferire la sensibilità ambientale ai ragazzi sul tema dell’educazione alla gestione dei rifiuti». Non manca naturalmente anche l’elogio dell’Esercito «che quotidianamente è alle prese con le problematiche connesse all’abbandono incontrollato dei rifiuti».

Questa pletorica e retorica premessa dovrebbe introdurre all’esplicitazione delle finalità del protocollo e delle azioni concrete che con esso si intende avviare, che viceversa restano assai vaghe (“problema della gestione dei rifiuti”, “necessità sempre più impellenti d’impegnarsi a fondo nelle operazioni di conferimento e nella raccolta differenziata”). Tant’è che all’art. 2 del documento hanno sentito il bisogno di aggiungere questa frase: «L’idea generale è quella di porre l’attenzione su alcuni punti del territorio con rifiuti abbandonati e quindi richiamare l’attenzione su comportamenti dei singoli che troppo spesso vengono fatti ricadere sulla P.A. che non gestisce il territorio».

Dal brusco cambio di registro espressivo – che da burocratico diventa quasi discorsivo – sembra trasparire una excusatio non petita più che un’effettiva precisazione su ambiti e limiti dell’intesa del Comune con l’Esercito. Non prendetevela con l’Amministrazione – si lascia intendere – poiché non si tratta di carenze istituzionali ma di comportamenti incivili ed irresponsabilità di singoli soggetti…

Narrazioni pseudo-ecologiche e ‘greening’ delle forze armate

Fonte: Scisciano Notizie

La frase appena evidenziata esemplifica una narrazione sulla ‘Terra dei Fuochi’ che rischia di cancellare tante inchieste ed analisi sulle responsabilità delle ‘ecomafie’ che pur si afferma di voler combattere. Soprattutto, si finisce col minimizzare l’impatto di un modello di produzione e distribuzione di per sé antiecologico, in quanto energivoro, fondato su un consumismo sfrenato e produttore di un’ingestibile mole di rifiuti, spesso tossici per l’ambiente.  Comportamenti poco responsabili o addirittura illeciti dei singoli hanno sicuramente un peso sulla tragica vicenda dell’inquinamento di quel territorio. Sarebbe però una pericolosa banalizzazione della realtà se si alimentasse solo quella ‘storia’, sorvolando sulle enormi responsabilità di chi, da decenni smaltisce illegalmente rifiuti tossici e di chi non ha saputo rispondere adeguatamente ad un’emergenza ambientale e sanitaria che si è di fatto trasformata in un ‘biocidio’.

«Ne è nata una mappa di rischio nei 38 Comuni di quel circondario dove più alta è stata l’incidenza degli sversamenti illeciti. Nei centri interessati dall’indagine, che insistono su 426 chilometri quadrati e su cui è competente la Procura di Napoli Nord, sono stati individuati 2.767 siti di smaltimento illegale. Più di un cittadino su tre – nel dettaglio il 37% dei 354mila residenti nei 38 Comuni – vive ad almeno 100 metri di distanza da uno di questi siti, esponendosi a una “elevatissima densità di sorgenti di emissioni e rilasci di composti chimici pericolosi per la salute umana”.»[x]

Per quanto riguarda l’impegno delle Parti (art. 3 del Protocollo cit.), i cinque punti a carico del COMFOPSUD sono:

«a)organizzare, presso le istituzioni scolastiche che saranno indicate dal Comune di Giugliano, attività d’informazione attraverso la testimonianza diretta di personale militare impegnato nell’Operazione ‘Terra dei Fuochi’ per sensibilizzare gli studenti sul tema delle buone pratiche ambientali […]illustrare l’azione svolta dall’Esercito per il contrasto e il contenimento del fenomeno dei roghi e dello sversamento illecito dei rifiuti […] b)concorrere, mediante seminari di approfondimento, a formare gli insegnanti sulle attività educative relative alla gestione dei rifiuti…».

I tre punti successivi (c – d – e) si riferiscono ad attività collaterali dell’Esercito (compresa la ‘promozione’ del progetto attraverso i propri canali di comunicazione istituzionale).

Ebbene, leggendo il brano citato emerge ancora una volta l’ambigua sovrapposizione di due ruoli formativi ben diversi – uno diretto e l’altro indiretto – che sarebbero dovuti rimanere distinti. Da un lato, infatti, si prevede un discutibile intervento dei militari dentro le scuole, qualificato come ‘testimonianza’ ma sostanzialmente un’auto-promozione. Dall’altro si parla di ruolo nella formazione degli insegnanti, ma attraverso un soggetto terzo: tre docenti dell’Università di…Padova.

In questa Intesa il ruolo del Comune di Giugliano appare piuttosto scialbo e meramente burocratico. Si tratta d’individuare i plessi scolastici dove svolgere le attività progettuali; di promuovere la partecipazione del personale scolastico coinvolto; di diffondere tali “opportunità educative e didattiche” e le finalità del Protocollo a livello locale e, ovviamente, di partecipare al Tavolo inter-istituzionale. Compiti prevalentemente amministrativi, dai quali traspare che il progetto per il quale si è sottoscritta un’intesa con l’Esercito è calato dall’alto più che rispondente alle reali esigenze manifestate dal mondo della scuola.

Considerazioni e valutazioni ecopacifiste

Fonte: Report Difesa

Come si vede, l’analisi critica di un testo – pur poco appassionante come un protocollo d’intesa… – può comunque servire a chiarire il ‘discorso’ cui tale iniziativa sembrerebbe funzionale. Mentre l’amministrazione comunale prova ad arroccarsi in una posizione difensiva di ‘autotutela’ (come se il suo compito istituzionale fosse il semplice coordinamento dell’intervento altrui), dal documento emerge per contro il ruolo proattivo dell’Esercito, che propone una narrazione accattivante di sé, come soggetto imprescindibile nella tutela della sicurezza ambientale, in entrambi le accezioni del termine.  

L’analisi critica del discorso, finalizzata ad una lettura in chiave ecolinguistica di questo specifico caso in esame, ne mette in evidenza alcuni aspetti che rischiano di essere trascurati se ci si ferma al fatto in sé. Provo quindi a sintetizzare – utilizzando le categorie tipiche dell’analisi ecolinguistica – quanto è emerso finora dall’analisi dei documenti relativi ad un’intesa apparentemente banale tra il Comune di Giugliano ed il Comando Sud dell’Esercito Italiano.

  • IDEOLOGIA: credo che questa operazione faccia parte d’una complessiva strategia (espressione non casuale…) che afferma la centralità dell’intervento degli organi preposti al compito di ristabilire l’ordine di far rispettare le leggi. Ma poiché in una società democratica la prevenzione e l’educazione dovrebbero prevalere sulle azioni di natura repressiva, ecco che ad occuparsi dell’aspetto formativo si propongono quegli stessi organi – giudiziari e militari – votati al presidio in armi e al law enforcement. L’idea di fondo cui s’ispirano è che l’autorevolezza dell’intervento – anche quello preventivo – sarebbe garantita solo da un soggetto in divisa, con una veste ‘ufficiale’, abilitato a passare se necessario anche alla fase due, quella repressiva.
  • INQUADRAMENTI: Stibbe chiama framings le narrazioni che utilizzano un ‘pacchetto di conoscenze’ relative ad un certo ambito della nostra vita per strutturare ed ‘inquadrarne’ un altro. Nel caso in esame, al tradizionale framing delle forze armate come istituzione garante della sicurezza (security) da nemici e pericoli esterno, viene sovrapposta strumentalmente la loro pretesa funzione ‘civile’ di garanti anche della sicurezza (safety) dei cittadini, nonché della salubrità del loro ambiente di vita.
  • METAFORE: nel comunicato stampa, nella delibera e nel protocollo d’intesa non compaiono vere e proprie metafore, trattandosi di documenti scritti con un codice politico-amministrativo e non certo narrativo. Ciò nonostante, si coglie la ricorrente immagine retorica dei militari come ‘testimoni’ diretti, impegnati quotidianamente nell’azione, e perciò stesso considerati formatori credibili e affidabili.
  • VALUTAZIONI: sono quasi sempre presentate in forma implicita, ma pesano molto sul discorso. Nel nostro caso, dai testi affiorano inespressi elementi valutativi riferibili sia alla popolazione locale, sia agli operatori della scuola. I cittadini, infatti, andrebbero ‘sensibilizzati’ alla corretta raccolta e smaltimento dei rifiuti, lasciando intendere che la loro sensibilità in materia sia piuttosto limitata. Nei confronti dei giovani, in particolare, si afferma che bisogna svilupparne la ‘consapevolezza’, dando quindi per scontato che essa non sarebbe ancora sufficiente. Nei riguardi degli insegnanti, infine, si sostiene la necessità della loro ‘formazione’, sottintendendo che il loro impegno nell’educazione ambientale non sarebbe abbastanza rilevante, ragion per cui necessiterebbe di ulteriori stimoli e di un ‘tutoraggio’ esterno.
  •  IDENTITÀ: dalla cooperazione tra Comune ed Esercito ipotizzata dal Protocollo d’intesa, come si è visto, emerge piuttosto sbiadita l’immagine identitaria del primo come garante istituzionale della salute e dell’igiene della comunità amministrata, laddove invece risulta sottolineata l’identità ‘civica’ everdedel secondo, cui si riconosce di fatto un ruolo centrale anche nella difesa della sanità pubblica, peraltro già ampiamente esaltata dall’emergenza pandemica.
  • CONVINZIONI: nell’analisi ecolinguistica si tratta di convincimenti radicati, che strutturano ‘storie’ secondo le quali “una particolare descrizione del mondo è vera, incerta oppure falsa”[xi]. Essi sono generalmente impliciti, come quello secondo il quale chi è impegnato in prima persona in azioni rischiose come quelle militari lo fa solo per spirito di servizio alla collettività, per cui va ascoltato e rispettato. Un secondo convincimento insidioso, ma purtroppo diffuso, è che la responsabilità dei danni ambientali vada ascritta allo scarso civismo di tante persone, in secondo luogo alle intenzioni criminali di alcuni delinquenti e, solo per ultimo, ad un modello economico dato come imprescindibile, che si basa sullo sfruttamento delle risorse ambientali ma di cui si preferisce condannare solo la negatività degli ‘eccessi’.
  • CANCELLAZIONI: le ‘storie’ che ci vengono propinate da chi detiene il potere e condiziona pesantemente la comunicazione pubblica sono viziate anche dalla tendenza ad espungere strumentalmente alcuni aspetti ‘scomodi’. Nel caso del complesso militare-industriale, ad esempio, si sottace che è uno dei maggiori inquinatori a livello globale e che la sua impronta ecologica – in guerra come in pace – è semplicemente disastrosa. Però il fatto che uno dei principali autori della devastazione ambientale si presenti come garante della salute e dell’integrità ambientale sarebbe inaccettabile, per cui si preferisce ‘cancellare’ quelle storie di distruzione ed inquinamento, per contro esaltando retoricamente l’improbabile ruolo ‘ambientalista’ dei militari.
  • EVIDENZIAZIONI: sono l’altra faccia della medaglia. L’insistenza dei documenti citati su verbi come ‘formare’, ‘prevenire’, ‘sensibilizzare’ e ‘testimoniare’ fa da ovvio contraltare al colpevole silenzio su aspetti assai meno edificanti della presenza delle forze armate, come la crescente militarizzazione del territorio, l’elusione dei controlli sul rispetto delle norme ambientali ed il pesante inquinamento dell’aria, del suolo, dei mari e perfino dell’etere. Per non parlare della sottrazione di risorse utilizzabili per finalità collettive e della pretesa di sostituirsi (o comunque sovrapporsi) ad istituzioni civili in funzioni di natura non militare.

Concludendo, va precisato che la vicenda illustrata in questo mio contributo non è certo un caso isolato né una storia più assurda e paradossale di altre, caratterizzate dalla progressiva invasione militare di terreni una volta solo ‘civili’, col risultato di una strisciante militarizzazione della società e della cultura. L’intervento sempre più frequente di esponenti delle forze armate dentro le istituzioni – come pure la tendenza di molte autorità scolastiche ad autorizzare ‘visite didattiche’ egli allievi/e a basi militari, caserme ed impianti comunque di natura bellica – è uno degli aspetti più riprovevoli di questa pesante impronta militare.

La Campagna Nazionale ‘Scuole Smilitarizzate’[xii] – rilanciata nel 2020 dal Movimento Internazionale della Riconciliazione e da Pax Christi Italia – si propone appunto di denunciare e contrastare l’invadenza delle realtà militari. Ma senza la collaborazione attiva del mondo della scuola ciò sarà molto difficile. Ecco perché partire dall’analisi linguistica e dalla comunicazione può essere un importante stimolo in tal senso.

Ecco perché partire dall’analisi linguistica e dalla comunicazione può essere un importante stimolo in tal senso, contrapponendo al suo interno programmi di educazione alla pace e veri percorsi di educazione ecologica.


NOTE

[i] E. Ferraro, “Giugliano, provincia di NATOLI”, Contropiano, 31.12.2021. https://contropiano.org/news/politica-news/2021/12/31/giugliano-provincia-di-natoli-0145316

[ii] “L’Esercito incontra i bambini a scuola nel napoletano”, Anteprima24.it, s.d. https://www.anteprima24.it/napoli/esercito-scuola-napoletano/?fbclid=IwAR2eWWAxKxKxuzC3C_YxNym8uRdCGwUaMPPxd8V9KQt0twm9pBIY68k-TUc

[iii] E. Ferraro, Ecolinguistica. Un campo inesplorato da coltivare, Academia.edu, 2020. https://www.academia.edu/44801861/Ermete_Ferraro_Ecolinguistica_un_campo_inesplorato_da_coltivare_

[iv] Cfr. Movimento Internazionale della Riconciliazione, La colomba e il ramoscello, Torino, Ediz. Gruppo Abele, 2021

[v] Cfr. A. Stibbe, The Stories We Live By – a free online course in ecolinguistics. https://www.storiesweliveby.org.uk/TheCourse

[vi] COMFOPSUD, Esercito e Comune di Giugliano per un ambiente più sano e sicuro, 11.11.2021. https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/esercito-e-comune-di-giugliano_211112.aspx

[vii] Cfr. E. Ferraro, “Credere, rinverdire e combattere”, Ermetespeacebook, 18.11.2018. https://ermetespeacebook.blog/2018/11/18/credere-rinverdire-e-combattere/

[viii] “Difference Between Safety and Security”, differencebetween.net. http://www.differencebetween.net/language/words-language/difference-between-safety-and-security/

[ix] Il testo del Protocollo d’Intesa sottoscritto dal Sindaco di Giugliano e dal Comandante COMFOPSUD può essere scaricato online dall’indirizzo seguente: https://servizi.comune.giugliano.na.it/openweb/pratiche/dett_registri.php?id=14084&codEstr=P_OP&fbclid=IwAR0DjvMJ-GMt1VTNAw5w4JZo41ji2xyNH2nWufMxNm74MGJLs7PfkwigtMw

[x]  A. Averaimo, “Terra dei fuochi. Di rifiuti si muore. Ecco i dati e la mappa di rischio che lo provano“, Avvenire, 11.02.2021. https://www.avvenire.it/attualita/pagine/numeri-e-tumori-della-terra-dei-fuochi

[xi] Cfr. Stibbe, op. cit.

[xii] Per maggiori informazioni nel merito, cfr. la pagina https://www.facebook.com/scuole.smilitarizzate

© 2022, Ermete Ferraro

Come può cambiar la vita da Trieste in giù…

“E ritornammo a riveder… lo Sole”

Apprendiamo che «nella classifica sulla Qualità della vita nelle province italiane, pubblicata oggi dal ‘Sole 24 Ore’. Roma sale dal 32esimo al 13esimo posto, Firenze dal 27esimo all’11esimo. Dopo anni di progressivo peggioramento Napoli torna a scalare posizioni (una) collocandosi 90esima. Benevento è 86esima, Salerno ottantanovesima, Avellino 93esima e Caserta al centesimo posto. Ai primi tre posti in Italia ci sono in ordine Trieste, Milano, Trento, Aosta, Bolzano, Bologna, Pordenone, Verona, Udine, Treviso. Ultimo posto per Crotone, preceduta da Foggia e Trapani». (Napoli Today13.12.2021). 

La classifica – si spiega – analizza la qualità della vita a livello generale e in tal modo ci presenta una fotografia aggiornata dell’Italia, che ancora una volta evidenzia rilevanti differenze territoriali. Si conferma il ben noto divario sociale tra Nord e Sud, ma dall’indagine statistica emerge come virtuoso e particolarmente ‘vivibile’ soprattutto il Nord-Est e specificamente il Friuli. La rilevazione svolta dal Sole si basava su dati relativi a sei indicatori: ricchezza e consumi, affari e lavoro, demografia, società e salute, ambiente e servizi, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Si precisa inoltre che i 90 indicatori statistici su base provinciale, divisi nei sei ambiti richiamati, prevedevano al loro interno «28 parametri aggiornati al 2021 e una decina di “indici sintetici” (cioè che a loro volta aggregano più parametri)…» (la Repubblica – Napoli, 13.12.2021).

I media locali rilevano che Napoli – “passo dopo passo”… – nel 2021 ha guadagnato due posizioni, piazzandosi comunque al 90° posto in classifica, numero poco felice dalle nostre parti, in quanto ci ricorda “la paura” nella Smorfia. E, oggettivamente, non può non impaurire chi vive a Napoli il fatto che il divario tra la prima classificata, Trieste, e l’ex capitale del Sud ammonta a ben 64,57 punti sul massimo di 581 attribuiti: un gap di quasi il 10%. Per non parlare di Caserta, che si classifica 100a su 107, mentre le altre tre province campane oscillano tra l’86° posto di Benevento (-7), l’89° di Salerno (+4) e il 93° di Avellino (-9).

Ed appunto a una ‘smorfia’ viene spontaneo atteggiare il viso di fronte a questa ennesima, spietata, dimostrazione della sopravvivenza di due Italie che – a distanza da 160 anni dalla cosiddetta ‘unificazione’ – continuano a fronteggiarsi arcignamente, senza una reale integrazione.

Non accomodiamoci sul divario

Commenta Michela Finizio: «La nuova geografia provinciale del benessere, che va da Trieste a Crotone […] si candida a diventare una bussola per orientare investimenti e progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una cartina di tornasole delle disuguaglianze, accentuate dalla pandemia, da cui è necessario partire per attuare in modo efficace le tre missioni trasversali del Piano: ridurre i divari territoriali e di genere e aumentare le opportunità per i giovani […]  Su novanta indicatori le ultime posizioni sono popolate in ben 57 casi da province del Sud o delle Isole…»(Lab24 – Il Sole 24 ore ).

Già il PNRR come occasione storica per “ridurre i divari territoriali”. Obiettivo più che auspicabile ma contraddetto dalla strisciante tendenza a sancire ancor più quei divari, utilizzando quella “autonomia differenziata” che si fa strada subdolamente ed invece andrebbe denunciata in quanto oggettivamente anticostituzionale. Ecco perché c’è chi, come Massimo Villone, nutre legittimi dubbi su un PNRR ‘riequilibratore’: «La necessità di un ripensamento sull’autonomia differenziata non si manifesta solo per la sanità. Per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) le priorità variamente dichiarate – come transizione ecologica, digitalizzazione, giovani, donne, Mezzogiorno – richiedono la definizione di obiettivi strategici nazionali e la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti volte a realizzarli. Su questo va attentamente misurata la compatibilità delle autonomie, in specie se declinate come nel separatismo soft di Lombardia, Veneto e in buona misura anche Emilia-Romagna […] Si sente dire spesso, e autorevolmente, che dalla crisi […] deve uscire un’Italia nuova e diversa. È giusto. Ma dall’autonomia differenziata ex art. 116.3 può rivelarsi difficile, o persino impossibile, tornare indietro, per come è disegnata nella norma costituzionale. Se si attuasse in modo sbagliato nel corso dell’attuazione del PNRR, potrebbe bene essere la pietra tombale sul Piano». (il manifesto – 25.04.2021).

Dalle statistiche lo stato dell’arte

Certo, per chi vive a Napoli – come in qualsiasi città dell’Italia meridionale – leggere questi dati risulta davvero sgradevole. Il guaio è che non possiamo neppure prendercela con i criteri in esame, visto che in questo caso non si tratta di parametri esclusivamente economici (che pure ci sono, quali ricchezza e consumi, affari e lavoro), ma di una gamma abbastanza ampia di fattori, che vanno dalla sicurezza ai servizi, dall’ambiente alla cultura e al tempo libero. Negli scorsi anni si è discusso a lungo dell’affidabilità di queste rivelazioni statistiche e dell’esigenza di andare ben oltre il P.I.L., prendendo in esame diversi indicatori di benessere e puntando alla “sostenibilità” dello sviluppo (v.ricerca). Ovviamente questa ricerca, come ogni altra indagine, può essere ritenuta opinabile e/o parziale. Si possono anche nutrire forti dubbi sul fatto che a chi abita a Trieste sia garantito un livello di vita dieci punti superiore a quello di chi, puta caso, risiede nella città metropolitana di Napoli. Però dobbiamo ammettere che le cifre, soprattutto se scorporate nei sotto-indicatori – restano impietosamente chiare.

Nell’ambito “ambiente e servizi” – dove Oristano Trieste e Milano sono sul podio – Napoli scende di 28 punti e si colloca al 98° posto. Per fortuna nella classifica su “cultura e tempo libero” troviamo Napoli al 23° posto, con un +47 d’incremento.  L’altalena però la riguarda in negativo quando si tratta di “giustizia e sicurezza”, laddove precipita al penultimo posto, scendendo di 29 punti.

A buon intenditor…

Che dire? Sebbene la percezione di un comune cittadino napolitano non gli restituisca una così netta ed evidente sensazione di de-grado (etimologicamente parlando), ritengo che l’ennesima rilevazione statistica non possa e non debba lasciarci indifferenti ed inerti. Solo pochi mesi fa le varie forze politiche, in occasione delle elezioni amministrative – avevano provato a darsi alcune priorità programmatiche, in modo da risultare più credibili e magari vincenti. Eppure, fatta la dovuta tara a questo genere di classifiche, non sarebbe stato male se i nostri amministratori (e aspiranti tali) avessero dato uno sguardo meno superficiale e distratto alle cifre che peraltro emergevano fin troppo chiaramente già dalle precedenti indagini del Sole-24 ore.

Se a Napoli, nella raccolta differenziata, restiamo al 36% rispetto all’88% di Ferrara ci sarà un perché. Se la provincia di Napoli si trova al penultimo posto nel parametro “energia elettrica da fonti differenziate” – sebbene tra le prime classificate ci siano anche città meridionali come Brindisi, Matera e Lecce – qualcosa si sarà pure sbagliato. Se la “spesa sociale dei comuni” a Napoli è identificata con l’indice 34,17 a fronte del 225,34 di Trieste qualcosa evidentemente non ha funzionato…

Morale della favola: non commettiamo l’errore di scambiare le rilevazioni per rivelazioni, ma non facciamo neanche finta di non averne comprese le indicazioni. Le analisi e le diagnosi, si sa, non mancano mai. Ma ora è il momento di passare finalmente alle terapie, senza dimenticare che il primo passo è la prevenzione. E non solo quella sanitaria.

Piano di Ripresa…militar-industriale

Immagine dall’articolo sul ‘Recovery Plan armato’ della Rete Italiana Pace e Disarmo

Dopo l’esaltante euforia interpartitica dei trionfali esordi, sembra che l’entusiasmo per il Governissimo presieduto da Mario Draghi cominci a smorzarsi. A mano a mano che i nodi arrivano al pettine, mettendo in discussione l’adesione acritica che aveva contagiato sindacati movimenti e associazioni, inizia ad appannarsi l’immagine, brillante quanto artificiosa, dell’esecutivo ‘di salvezza nazionale’ o, per riferirsi alla crisi pandemica, di ‘salute pubblica’. I suoi pilastri – unità, competenza, efficienza, determinazione – si sono dimostrati piuttosto fragili, non tanto per i pur prevedibili terremoti all’interno d’una maggioranza eterogenea, quanto per le sue intrinseche contraddizioni. Eppure avevamo assistito ad un vero e proprio plebiscito di consensi, con manifestazioni di fiducia espresse dai vertici di Legambiente ma anche da buona parte della Confindustria, dalla Lega salviniana fino a larga parte di ciò che rimane della sinistra.

Insomma, sembrava che la ‘discontinuità’ fosse un requisito essenziale perché il nuovo governo producesse i frutti attesi, ma le novità registrate finora, quando ci sono, sembrano andare in ben altra direzione. Il piatto forte – sul quale peraltro era stata costruita la crisi del precedente governo – resta naturalmente il ‘Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza’, dalla cui gestione delle risorse finanziarie dipenderebbe l’uscita dal tunnel deprimente della crisi socio-sanitaria ed economica che continua a stringerci nella sua morsa. C’era sul tavolo una programmazione che evidenziava già criticità e contraddizioni, ma l’esecutivo Draghi le ha messe ancor più in luce, ficcando un po’ di tutto in quell’appetitoso calderone da 200 miliardi. Eppure qualcuno ha sostenuto che la positività del Piano Draghi rispetto a quello di Conte consisterebbe nella sua capacità di unire le riforme agli investimenti.

Fare attenzione a che razza di ‘riforme’ stanno preparando è il vero problema visto che da tempo la ‘Neolingua’ della politica ci ha abituato alla deformazione del senso delle parole, e quindi alla mistificazione dei concetti. Già dalla nomina dei ministri, parecchi si erano chiesti ad esempio se la persona più adatta a guidare l’auspicata ‘transizione ecologica’ fosse un vertice della nostra principale azienda che produce ed esporta armamenti. O se la persona più indicata a ricoprire il ruolo di Ministro dello Sviluppo Economico fosse un leghista ultraliberale e filo-atlantista. Lo ‘sviluppo’ perseguito da questo governo, in effetti, non ha molto a che vedere non solo con la sbandierata svolta ambientalista, ma anche con una visione globalmente alternativa del rapporto tra attività produttive, integrità del territorio e riequilibrio socio-economico.

Ecco che, con la pubblicazione del PNRR, ora tutto quanto appare piùchiaro. Da quell’atteso ed accattivante uovo di Pasqua spuntano diverse sgradevoli sorprese, che colpiscono anche i più fiduciosi. Infatti, come già era stato preannunciato da altri soggetti meno inclini ad inchinarsi preventivamente al governissimo Draghi, l’istruttiva lettura del suo ‘Piano’ ha portato a galla preoccupanti elementi che, nel mentre hanno poco a che vedere con la ‘resilienza’, indicano piuttosto che la sedicente ‘ripresa’ perseguita si riferisce in larga misura al meno ecologico e civile dei settori produttivi: quello che fa capo al complesso militar-industriale. Lo scrive chiaramente la Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD), lamentando fra l’altro che le sue proposte alternative sono rimaste del tutto inascoltate. «…una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo …di lavaggio verde dell’industria delle armi […] Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali” […] Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”…». [i]

Sì, rinnovare, incrementare, promuovere, dialogare sarebbero bei verbi se si parlasse di sviluppare un’economia ecosostenibile, decentrata, alimentata da fonti energetiche rinnovabili, capace di mobilitare le risorse giovanili e di arrestare una globalizzazione selvaggia e senza scrupoli. Verbi ambigui ed ipocriti se invece si fa riferimento al turpe mercato delle armi, al progresso tecnologico applicata agli strumenti per uccidere e reprimere, a ‘filiere industriali’ che grondano sangue… Come osservano i commentatori della RIPD, l’ambito militare non viene coinvolto nel PRRR per alcuni aspetti collaterali del sistema di difesa nazionale previsti dal vecchio Piano, come il rafforzamento della sanità o l’efficienza energetica degli immobili. Il referente diretto ed esplicito di una fetta dei fondi europei è proprio l’industria finalizzata allo ‘strumento militare’, peraltro già ‘beneficiaria’ del 18% degli investimenti pluriennali 2017-2034. Ciò significa che il governo Draghi – dichiaratosi da subito europeista ma anche prode sostenitore della Nato – ritiene che la ‘ripresa’ dell’Italia si promuove anche favorendo il riarmo bellico.

A quanto pare – scrivono gli ‘Antimilitaristi Campani’ nel loro recente opuscolo – la pandemia: «…non ha fermato né i conflitti in corso, né la corsa agli armamenti. Anzi, lo stesso Covid-19 … viene utilizzato nella propaganda delle grandi potenze in concorrenza tra loro per il dominio dei mercati e delle aree d’influenza […] Anzi, la morsa di questa crisi sistemica sembra accelerare lo scontro e l’attivismo guerrafondaio…e l’unico settore economico che continua a crescere è quello delle armi […] Questa corsa agli armamenti rischia di portarci verso…un nuovo conflitto mondiale che, considerato l’enorme arsenale nucleare in dotazione a nove paesi (circa 14.465 testate), porterebbe l’umanità e il pianeta verso la catastrofe». [ii]  E proprio di questa visione intimamente guerrafondaia si alimenta la crescente militarizzazione del territorio e delle istituzioni civili, resa ancor più evidente anche dalla nomina a Commissario nazionale per l’emergenza sanitaria del generale Francesco Paolo Figliuolo, esperto di logistica militare ma ««anche ex-comandante delle forze Nato in Bosnia e nel Kosovo. Una presenza inquietante, unita a quella di un Capo della Protezione Civile Nazionale che non ha esitato a dichiarare: “Siamo in guerra, servono norme di guerra”. [iii]

Il Capo della Protezione Civile Nazionale, Curcio, ed il Commissario Emergenza Covid, gen. Figliuolo

Come si può tollerare che – dopo un anno – non solo si continua ad usare infelici metafore belliche per parlare di un virus, con espressioni da bollettini di guerra, ma addirittura la si evochi in modo così esplicito? Una spiegazione ce l’aveva già data Susan Sontag, quando scriveva: «La guerra è una delle poche attività umane a cui la gente non guarda in modo realistico; ovvero valutandone i costi o i risultati. In una guerra senza quartiere, le risorse vengono spese senza alcuna prudenza. La guerra è pura emergenza, in cui nessun sacrificio sarà considerato eccessivo […] Trattare una malattia come fosse una guerra ci rende ubbidienti, docili e, in prospettiva, vittime designate. I malati diventano le inevitabili perdite civili di un conflitto e vengono disumanizzate…» [iv] L’impiego deliberato di ‘strategie sanitarie’ fondate sulla militarizzazione della sanità, quindi, serve a renderci tutti più acritici ed acquiescenti, enfatizzando il ruolo delle forze armate a danno di quella stessa protezione civile di cui Fabrizio Curcio è il massimo esponente nazionale. Come scrivevo in una precedente nota, infatti: «…alla ‘mobilitazione’ delle forze armate in ogni loro versione possibile (poliziotti, necrofori, infermieri, medici, costruttori di strutture emergenziali, ricercatori, etc.), è corrisposta la pressante richiesta rivolta alla popolazione civile di restare sempre più immobili, possibilmente a casa propria, evitando qualsiasi attività e/o manifestazione sociale e collettiva …» [v]

Il solo modo per non farsi abbindolare da tale mistificante visione ‘mimetica’ delle politiche sanitarie, allora, è da un lato informarsi (anzi, contro-informarsi) e dall’altro rivendicare le libertà fondamentali, costituzionalmente garantite ad ogni cittadino, che nessun commissario a quattro stelle può azzerare col pretesto dell’emergenza sanitaria. Il secondo passo da fare è aprire gli occhi sul ‘pacco’ pasquale che il governo Draghi ha preparato agli Italiani. Il PNRR nasconde fra le sue righe una quota assurda d’investimenti nel settore non solo militare, ma anche bellico. «Infatti, le linee d’intervento dirette alla digitalizzazione della P.A., alla transizione verso l’industria 4.0, all’innovazione e digitalizzazione delle P.M.I, alle politiche industriali di filiera, ecc. hanno l’obiettivo di finanziare lo sviluppo e l’espansione di tecnologie in campi strategici (Cloud computing, Cyber-security, Artificial Intelligence, robotica, microelettronica…) per loro stessa natura ‘dual use’ militare-civile…» [vi]

Vediamo quindi che una larga fetta del PNRR, apparentemente rivolta alla ‘modernizzazione’ tecnologica del nostro apparato produttivo e delle telecomunicazioni, ha lasciato ampio spazio di manovra alla ricerca, produzione ed esportazione di strumenti di guerra, che vanno da aerei ed elicotteri ad idrogeno agli strumenti di spionaggio e controspionaggio come quelli per il monitoraggio satellitare o anche agli sviluppi della robotica o la digitalizzazione dei sistemi logistici per la Marina. Per contro, degli oltre 200 miliardi destinati dalla U.E. a finanziare l’ex ‘Recovery Plan’, soltanto 19,72 sono stati effettivamente destinati al comparto sanità, di cui meno di 8 all’assistenza sanitaria territoriale, sempre più depauperata da dissennate politiche privatistiche ed ospedaliere, le cui carenze sono state evidenziate drammaticamente dalla pandemia da Covid-19.

Il solo settore dell’industria bellica, intanto, continua a macinare lauti profitti. Il Rapporto SIPRI pubblicato a dicembre 2020, infatti, riferisce che: «Le vendite di armi e servizi militari, da parte delle 25 società più grandi del settore, hanno totalizzato 361 miliardi di dollari nel 2019, l’8,5% in più rispetto al 2018 […] Tra queste, l’italiana ‘Leonardo’, in dodicesima posizione, che con 11,1 miliardi ha superato il colosso franco-tedesco Airbus […] L’Italia è il nono paese esportatore di armi e copre il 2,1% delle esportazioni globali. Durante i 30 anni di applicazione della legge 185/90, che regola l’export militare […] sono state autorizzate esportazioni di armi dall’Italia per un valore di circa 100 miliardi di euro […] Una riprova…che per l’industria militare italiana, che esporta il 70% della propria produzione, e per i governi che ne difendono gli interessi, ‘pecunia non olet’: se per fare profitti si devono fornire gli strumenti alla repressione interna, in barba ai sempre agitati diritti umani, oppure alimentare guerra, poco male!»[vii]

La voce dei movimenti pacifisti ed antimilitaristi italiani inizia a farsi sentire. Ancora sommessamente, ma cominciando a contrastare le bugie che hanno caratterizzato questa persistente fase di emergenza, caratterizzata da una visione centralista e decisionista del ruolo del governo, ma anche da una strisciante militarizzazione di quasi tutte le funzioni civili istituzionali. Anche la parte più attendista del movimento ambientalista italiano, di fronte alla realtà vera del PNRR, non ha potuto fare a meno di constatare che le scelte operate hanno ben poco a che fare con la sbandierata ‘transizione ecologica’. Infatti, non solo non si mette minimamente in discussione l’attuale modello di sviluppo, ma si insiste assurdamente sulla ripresa di quella ‘crescita’ che è alla base delle devastazioni ambientali e del saccheggio del territorio, con evidenti ripercussioni anche sanitarie oltre che sul clima. Ecco perché si rende necessario un raccordo ‘ecopacifista’ tra i due movimenti, ben sapendo che la principale fonte di consumo energetico, ma anche di disastroso impatto sull’ambiente, è legato al complesso militar-industriale. Quello che, secondo un tragico circolo vizioso, si nutre di risorse per fare le guerre che le potenze proclamano per accaparrarsene il controllo.

Ecco perché c’è bisogno di una mobilitazione ecopacifista per smascherare la visione buonista delle forze armate come garanti della sicurezza e perfino della salute dei cittadini. Bisogna proclamare con forza che il sistema militare è quanto di più estraneo ad una ‘transizione ecologica’, come ha giustamente fatto la Rete Italiana Pace e Disarmo nel suo recente comunicato: «La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico». [viii]   Il futuro dell’umanità e del nostro Pianeta, non può essere affidato nelle mani di chi è stato addestrato a fare la guerra, a considerare il territorio come qualcosa da controllare ‘manu militari’ e a degradare i beni naturali al livello di mere risorse di cui impadronirsi, anche a costo di morti e distruzione. No, non siamo in guerra e dobbiamo invece obiettare a chi vorrebbe imporci un modello militarizzato e centralistico di protezione civile e non ha mai accettato, benché ratificato anche a livello costituzionale, che la difesa può (e deve) essere soprattutto civile, popolare, non-armata e nonviolenta. [ix]

Note


[i]  Rete Italiana Pace e Disarmo, “Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all’industria militare” (01.04. 2021) >  https://retepacedisarmo.org/2021/il-recovery-plan-armato-del-governo-draghi-fondi-ue-allindustria-militare/

[ii]  Antimilitaristi Campani, Fermiamo la guerra, Napoli, 2021, pp. 6-7 (l’opuscolo, autoprodotto, è scaricabile online a questo indirizzo: https://mega.nz/file/iQwEQSBI#j8rOdXF7uJp76vgbrwfT6kXBNCVx2w9JwsF6dey2qLA  )

[iii] “Vaccini, Figliuolo e Curcio a Genova: “Siamo in guerra, servono norme di guerra” (29.03.2021), La Presse > https://www.lapresse.it/coronavirus/2021/03/29/figliuolo-e-curcio-a-genova-siamo-in-guerra-servono-norme-di-guerra/

[iv]  Susan Sontag, Malattia come metafora (1978), cit. in: Daniele Cassandro, “Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore”, Internazionale (22.03.2020) > https://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2020/03/22/coronavirus-metafore-guerra

[v]  Ermete Ferraro, “Strategie sanitarie…” (02.03.2021), Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2021/03/02/strategie-sanitarie/

[vi]  Antimilitaristi Campani, Fermiamo la guerra, cit., p. 33

[vii]  Ibidem, pp. 37…41

[viii]  RIPD, “Il Recovery Plan armato del governo Draghi…”, cit.

[ix]  “Infatti l’articolo 8 della legge 106/2016 ribadisce un concetto importante sull’identità del Servizio civile universale “finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica”. Ossia, nel solco delle precedenti normative (L.230/98 e L. 64/2001) e delle ripetute sentenze della Corte Costituzionale, anche questa riforma ribadisce che la difesa del Paese cammina (dovrebbe camminare) su due gambe: la difesa miliare e la difesa civile, non armata e nonviolenta” (Pasquale Pugliese, “Servizio civile come formazione alla difesa civile, non armata e nonviolenta. Per tutti”, in: Vita, 16.10.2016 > http://www.vita.it/it/blog/disarmato/2016/10/16/il-servizio-civile-come-formazione-alla-difesa-civile-non-armata-e-nonviolenta-per-tutti/3751/

© 2021 Ermete Ferraro


Presidiare l'emergenza?

Che cosa emerge dall’emergenza?

L’emergenza sanitaria economica e sociale innescata dalla tremenda epidemia di coronavirus sta provocando ‘effetti collaterali’ di cui sarebbe grave non tener conto. Tra le conseguenze della progressiva paralisi dell’ordinarietà nel nostro Paese ci sono quelle di cui i media ci parlano incessantemente, che vanno dalle situazioni derivanti dalla forzata inerzia di interi nuclei familiari bloccati in casa, alle difficoltà quotidiane riguardanti le fasce deboli (anziani, bambini, disabili), ma anche ai crescenti problemi economici per famiglie monoreddito o dipendenti da lavori precari.  Si parla molto della pesante crisi economica che l’arresto delle attività produttive sta innescando ma, sia pur timidamente, si sta facendo strada anche qualche riflessione sugli effetti distorcenti che un perdurante clima emergenziale potrebbe avere sulla stessa democrazia.

La stragrande maggioranza dei commentatori, ma anche dei partecipanti alle interminabili chat dilaganti sul web e sul social, sono però concentrati sulle questioni igienico-sanitarie. Si discute particolarmente sui modi per fronteggiare i rischi di contagio, oppure di quelli di alienazione per il troppo repentino cambiamento delle abitudini quotidiane, caratterizzato dalla relazionalità capovolta di una vita improvvisamente concentrata sul dimenticato binomio casa-famiglia. C’è poi chi si preoccupa che il regime emergenziale sta limitando drasticamente i consumi – contraddicendo le abituali esortazioni a rincorrere la ‘crescita’ – e chi invece, più prosaicamente, vede a rischio consumi voluttuari che creano per di più dipendenza, come alcolici, sigarette, stupefacenti e giochi d’azzardo.

C’è un aspetto, però, al quale organi d’informazione e ‘forzati della tastiera’ non sembrano dare peso o, viceversa, sul quale si esprimono in modo insistente. Mi riferisco all’utilizzo delle forze armate in situazioni di emergenza, con funzioni estranee alla loro mission originaria, come quelle di protezione civile e di pubblica sicurezza. Tale subdola ma persistente tendenza a militarizzare la società va dall’ingombrante intervento di esponenti delle forze armate nelle istituzioni scolastiche al loro quasi abituale intervento per sciagure e catastrofi naturali o con funzione di monitoraggio ambientale del territorio. Ben pochi italiani ne sono davvero consapevoli e comunque pochi ne sembrano preoccupati, preferendo considerare i soldati, piazzati con mimetiche e mitra lungo le strade o davanti a monumenti e chiese, una rassicurante presenza protettiva.

Del resto, presidenti di regione e sindaci – con sconcertante spirito bipartisan – da tempo stanno invocando l’utilizzo delle forze armate per far rispettare ordinanze e decreti emanati e per reprimere le violazioni di tali provvedimenti restrittivi. Dal Lombardo-Veneto alla Sicilia, passando per Campania e Puglia, si sono alzate le voci di chi auspicava più soldati per le nostre strade ed il Governo – per nulla “insensibile a questo grido di dolore” – ha effettivamente deciso in tal senso, anche se in modo un po’ pasticciato.

«Cosa dovranno fare i soldati per le strade di Roma è tuttora un rebus. Come anche quali reparti saranno impiegati e se dovranno arrivare rinforzi da altre province per assicurare il controllo del territorio nella Capitale […] rimane tuttora da capire se sarà effettivamente richiesta […] la presenza degli uomini e delle donne dell’Esercito al fianco delle forze dell’ordine anche nelle verifiche quotidiane sugli spostamenti giustificati o meno dei cittadini per l’emergenza coronavirus. […] Prima di tutto perché i soldati non potrebbero denunciare chi esce di casa senza comprovato motivo, ma dovrebbero limitarsi a identificarlo, per poi richiedere l’intervento di una pattuglia di polizia, carabinieri, vigili urbani o Guardia di Finanza per poter completare la procedura.». [i]

Regole d’ingaggio e/o regole democratiche

L’insistenza con la quale amministratori, esponenti politici e semplici cittadini hanno sollecitato l’intervento dei militari per la repressione di chi infrange i divieti imposti dallo stato di emergenza è parzialmente giustificabile con la crescente preoccupazione per le gravi conseguenze di tali inadempienze per la salute pubblica.  Un effetto collaterale del clima ansiogeno scatenato dalla reclusione forzata e dall’angoscia per le troppe vittime del virus, infatti, è stato l’aumento della diffidenza reciproca, con l’affiorare di latenti istinti aggressivi e repressivi. Dalle truculente esternazioni di ‘governatori’ alle pesanti invettive sui social non emerge solo la richiesta di far rispettare le regole, ma spesso anche un’esplosione di violenza, per ora solo verbale, verso chi non si rassegna a sottomettersi alle disposizioni restrittive. Talvolta assistiamo effettivamente a pericolose trasgressioni, comportamenti irresponsabili ed atteggiamenti di sfida delle norme di sicurezza. Però non dovrebbe sfuggire a nessuna persona con normale spirito di osservazione che tali episodi si verificano di solito in aree cittadine popolari, degradate e da sempre abbandonate a se stesse. Non dovrebbe sfuggirci neppure che sta paurosamente crescendo, e non certo da oggi, il numero dei disoccupati, degli occupati in forma precaria, dei senza fissa dimora, dei nuclei familiari costretti a convivere in condizioni del tutto inadeguate e degli immigrati che utilizzano depositi e scantinati come abitazioni Tutti soggetti cui ripetere “restate a casa” sicuramente non basta. Sappiamo poi che spesso i quartieri popolari delle nostre metropoli sono lasciati in preda all’anarchia; che certi rioni sono notoriamente off limits per le forze dell’ordine e che la situazione di alcune periferie urbane era già esplosiva.  Ma è più facile auspicare sprangate, fustigazioni, fucilazioni e stragi con lanciafiamme o col napalm, come mi è capitato di leggere tra i commenti postati su un’insospettabile pagina facebook…

L’impiego dei soldati per garantirci ‘law and order’, oltre a non suscitare reazioni allergiche sul piano democratico, è spesso considerato la vera soluzione per far rispettare la legge. Ma le cose – pur prescindendo da considerazioni di opportunità e di legittimità – stanno diversamente. Come sottolineava l’articolo citato, l’utilizzo delle forze armate con compiti di polizia non è affatto scontato e comunque dipende dalle ‘regole d’ingaggio’ stabilite per tali ‘missioni’. Quella più nota è iniziata quasi dodici anni fa ed è tuttora operativa. Secondo fonti ufficiali:

«Attualmente, risultano impiegati per l’Operazione “Strade Sicure” 7.050 donne e uomini dell’Esercito Italiano, che garantiscono una presenza capillare sul territorio nazionale contribuendo fattivamente alla realizzazione di un ambiente più sicuro. Tra gli obiettivi vigilati nell’ambito dell’Operazione rientrano siti istituzionali, luoghi artistici, siti diplomatici, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e della metropolitana, luoghi di culto e siti di interesse religioso, valichi di frontiera…». [ii] 

Un problema evidenziato nell’articolo è che le regole d’ingaggio per i militari impegnati in questo tipo di operazioni non li equiparano affatto ad agenti di polizia e carabinieri, che infatti spesso li affiancano. Come d’altronde precisava un documento dello stesso Ministero della Difesa:

«Al personale della Forze Armate, non appartenente all’Arma dei Carabinieri, è attribuita la qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza, con esclusione delle funzioni di Polizia giudiziaria». [iii] 

Ciò significa che esso può fermare, identificare e nel caso denunciare, ma non arrestare chi commette un reato. Inoltre, la nostra stessa esperienza c’insegna che i contingenti militari impiegati si limitano spesso ad un presidio armato fisso accanto ai loro mezzi blindati, ma di solito non effettuano un pattugliamento attivo. La loro presenza, insomma, appare un inutile spauracchio, ma non certo un’efficace soluzione per fronteggiare le trasgressioni che tanto ci allarmano.

Se 23.000 ‘sorveglianti’ vi sembran pochi…

Uno dei più esagitati propugnatori della presenza dell’esercito con funzioni di controllo in occasione dell’attuale emergenza sanitaria, è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Egli, infatti, non si è limitato a chiedere un rinforzo dei normali controlli di polizia, ma ha auspicato esplicitamente soluzioni drastiche e straordinarie:

«È arrivato il momento per chiudere tutto e militarizzare l’Italia […] Abbiamo chiesto l’invio di forze armate. Abbiamo avuto un primo risultato, 100 unità. Ancora poche. […] È indispensabile il controllo militare, con poteri eccezionali alle forze dell’ordine…» [iv]

Altri ‘governatori’ e sindaci – da regioni settentrionali alla Sicilia – hanno avanzato richieste simili, evitando almeno d’invocare lo stato di guerra, benché questa parola sia riecheggiata più volte – sia pur come metafora – per caratterizzare l’attuale emergenza sanitaria. Come scrive A. Leiss:

Ci siamo precipitati a definire la pandemia del coronavirus come una guerra, con i vocaboli derivati – la linea del fronte, gli eroi che rischiano la vita, l’esigenza di una disciplina di ferro, di un comando unico e di sanzioni severe per chi sgarra, mobilitando l’esercito. Ma abbiamo evocato un fantasma più che descritto la realtà. Un fantasma balordo. Non una cosa completamente infondata, ma rischiosa, pericolosamente imprecisa “. [v]

Ma, ritornando alla Campania, come stanno veramente le cose? Ho cercato di fare il punto della situazione a regionale, solo sommando i dati numerici disponibili in rete e questi sono i risultati.

In Campania risultavano operativi (dati 2018): ca. 4.600 unità del personale della Guardia di Finanza; ca. 9.500 appartenente all’Arma dei Carabinieri; ca. 8.500 uomini della Polizia di Stato, per un totale di ca. 22.600 operatori di polizia giudiziaria (di cui 14.100 appartenenti ai due corpi militari (GdF e CC). Inoltre, da più di 11 anni sono stati distaccati solo in Campania, per l’operazione ‘Strade Sicure’, 900 unità operative appartenenti all’Esercito Italiano, con compiti di sorveglianza. Ad essi, da pochi giorni, si sono aggiunti altri 100 militari, in risposta alle pressanti istanze di De Luca, con un totale di ben 1.000 appartenenti alle forze armate con funzioni di ‘agenti di pubblica sicurezza’.  Non dimentichiamo poi che, nel solo Comune di Napoli, nel 2019 risultavano in servizio circa 2.000 operatori della Polizia Municipale (1.560 agenti + 450 fra dirigenti, funzionari, istruttori direttivi ecc.) e che anche la Città Metropolitana di Napoli gestisce un proprio Corpo di Polizia, l’entità del cui personale non risulta però verificabile. Ebbene, calcolando grosso modo che le unità di questi contingenti destinati alla città capoluogo oscillino tra un quinto ed un sesto del totale (visto che Napoli ha ca. 1.000.000 di abitanti sui quasi 6 complessivi, ma con molti più obiettivi sensibili e problematiche rispetto ad altre aree urbane), dividendo 23.500 per 5,5 otteniamo 4.272. Se a questo notevole contingente di finanzieri, carabinieri, agenti di P.S. e militari aggiungiamo pure i circa 2.000 agenti di polizia locale, solo per Napoli raggiungiamo la ragguardevole cifra di circa 6.300 persone potenzialmente impiegabili nel controllo e nella repressione delle violazioni alla legge, in larga parte con compiti non solo di ‘pubblica sicurezza’ ma anche di polizia giudiziaria. Proviamo adesso a rapportare questo numero alla popolazione napolitana ed otteniamo una ratio di 0,007 agenti per abitante. Ripetendo la stessa operazione per due metropoli con oltre 8 milioni e mezzo di abitanti e con un personale di forze di polizia che si aggira sulle 35.000 unità, come Londra e New York City, otteniamo invece un rapporto inferiore, cioè 0,004. Ma per qualcuno è sempre troppo poco…

Uniformi per garantire…l’uniformità?

Le misure adottate per l’attuale stato di emergenza – in parte ratificato da un Parlamento ormai quasi uscito di scena, lasciando campo libero e troppe responsabilità all’Esecutivo – hanno suscitato dubbi e preoccupazioni in alcuni giuristi e costituzionalisti. Qualcuno infatti si è chiesto, ad esempio, se le vigenti restrizioni siano conformi alle norme costituzionali e se questo regime straordinario non rischi di far saltare i delicati equilibri fra diritto alla salute ed alla sicurezza e tutti gli altri diritti previsti dalla Carta. Come ha osservato l’avvocato Nicola Canestrini:

«Alcune di queste misure hanno impattato pesantemente su diritti costituzionali […] Parliamo della libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 della Costituzione); di riunione (articolo 17 della Costituzione); di esercizio dei culti religiosi (articolo 19); di insegnamento (articolo 33); su garanzia e obbligo di istruzione (articolo 34). Le misure di contenimento possono incidere poi sulla libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma). Alcuni di questi diritti costituiscono senz’altro principi fondamentali dell’ordinamento, e possono quindi essere limitati ma mai abrogati […] …si ritiene che il bilanciamento dei beni costituzionalmente rilevanti abbia come parametro l’articolo 32 della Costituzione: la norma costituzionale indica la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo”, che tuttavia va in qualche modo contemperata con “l’interesse della collettività”…» [vi]

Data la delicatezza della situazione, allora, è davvero utile e legittimo l’intervento delle forze armate con compiti di tutela della salute e della sicurezza collettiva? A tal proposito, il noto penalista napolitano Domenico Ciruzzi si è espresso piuttosto criticamente:

«Mi chiedo: per quanto tempo dovremo ascoltare la cantilena mistificante che l’esercito serve per evitare che la gente scostumata esca di casa? Tutti convengono che più del 90 per cento degli italiani – e sicuramente dei napoletani – si è chiuso in casa e che i crimini sono di fatto quasi spariti. Polizia, carabinieri, Guardia di finanza sono pressoché disoccupati. Dunque, perché l’esercito? Per fare cosa? La verità è che tra uno-due mesi si temono le sommosse degli affamati […] …il governo ha il dovere istituzionale di anticipare gli eventi e non far finta di chiamare l’esercito per arginare quelli che non rispettano i divieti per poi, invece, usare astutamente i militari per sedare prevedibili rivolte…». [vii]

Non è un caso, inoltre, che un autorevole periodico come l’Espresso recentemente abbia così intitolato un suo articolo: “Coronavirus, esercito e forze dell’ordine in allarme: serve un piano contro caos e disordini[viii]. Non bisogna essere antimilitaristi per temere che una crescente militarizzazione possa preludere ad interventi repressivi, giustificandoli con lo stato di emergenza o, come qualcuno ha già iniziato a dire, di ‘guerra’ all’epidemia. La restrizione delle libertà personali, la sospensione di fatto del confronto democratico e l’adozione di misure eccezionali sono sintomi preoccupanti di una tendenza autoritaria che già da tempo stava affiorando nel nostro Paese. I patriottici richiami ad un’unità nazionale imposta 160 anni fa e mai davvero realizzata – per di più compromessa dalle tendenze centrifughe di chi reclama ‘autonomie differenziate’ per legittimare e rafforzare assurdi privilegi e diseguaglianze – sollecitano retoricamente un unanimismo nazionalista che potrebbe preannunciare l’imposizione di un pensiero unico ed un regime autoritario.

Mi auguro sinceramente che nessuno pensi davvero d’imporre l’uniformità e l’obbedienza passiva ricorrendo alle uniformi militari ed a metodi repressivi eccezionali. In ogni caso – per citare ancora Canestrini – facciamo attenzione a “non abbassare le difese immunitarie della Costituzione”, restando sempre, e nonostante tutto, cittadini vigili ed attivi.


Note:

[i] Rinaldo Frignani, “Coronavirus a Roma, soldati per i controlli ma non possono denunciare”, Corriere della Sera (Roma), 21.3.2020 > https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_21/coronavirus-roma-soldati-controlli-ma-non-possono-denunciare-2de8a292-6aea-11ea-b40a-2e7c2eee59c6.shtml?fbclid=IwAR18ecCDGlZw-tggU2ln8EphoIhXDmqiqNQScjAkgfwYPakHNVw60nFuES4&refresh_ce-cp

[ii]http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_nazionali/Pagine/Operazione-Strade-Sicure.aspx

[iii] Ministero della Difesa, Operazione Strade Sicure (fonte: Forze Armate, La Difesa, UTET) > https://www.difesa.it/Content/Pagine/StradeSicure-ForzeArmate-LaDifesa.aspx

[iv] http://www.napolitoday.it/cronaca/coronavirus-decreto-regione-de-luca.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&fbclid=IwAR0eJAhL9PpkVgARXlEQ3na0DDI1EA4d3yi-V0HzClQQBs1oI63tk8YRpEc

[vi] Alberto Leiss, “Il fantasma balordo della guerra”, il manifesto > 24.03.2020 > https://ilmanifesto.it/il-fantasma-balordo-della-guerra/?utm_source=Iscritti+web&utm_campaign=602e49ba0d-EMAIL_CAMPAIGN_2020_03_24_05_00&utm_medium=email&utm_term=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&goal=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&mc_cid=602e49ba0d&mc_eid=f3a0ad9d2b

[vii] Nicola Canestrini, “Non abbassiamo le difese immunitarie della Costituzione” > https://www.ildolomiti.it/politica/2020/coronavirus-lavvocato-canestrini-quanto-detto-da-fugatti-e-errato-sia-nel-metodo-che-nel-merito-non-abbassiamo-le-difese-immunitarie-della-costituzione  ed anche: “Coronavirus  non indebolisca le difese immunitarie dello stato di diritto”>    https://www.ilfaroonline.it/2020/03/19/coronavirus-non-indebolisca-le-difese-immunitarie-dello-stato-di-diritto/326129/

[vii] Domenico Ciruzzi, “Sostegno ai poveri più che l’esercito”, la Repubblica – Napoli

[vii] Vedi: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/03/13/news/coronavirus-esercito-polizia-1.345574?preview=true

Babbo Natale…a 12 stellette

Santa Claus a cavallo di un missile?

A Natale, si sa, sono tutti più buoni e si scambiano auguri di pace. Il 6 dicembre, poi, si festeggia san Nicola, nato a Patara di Licia (Turchia) 270 anni dopo Cristo e morto nel 343 a Myra (Turchia), di cui era stato proclamato vescovo. Chi è che non conosce questo grande santo di cui tantissimi portano il nome, venerato in particolare a Bari ma caro a milioni di cattolici ed ortodossi? In effetti, quello che si ricorda senz’altro di più è la sua mutazione genetica mercantile, che ha trasformato il barbuto episcopo bizantino, protettore dei bambini, nel nordico, panciuto, rossovestito e ridanciano Santa Claus, il Babbo Natale dispensatore di doni. Eppure nel clima pacioso ed i cori natalizi si è inserita una nota stonata. Proprio il 6 dicembre, infatti, il Parlamento Europeo ha riservato ai Napolitani un dono molto meno piacevole, avendo organizzato presso il simbolo stesso della città, l’angioino Castel Nuovo, una pomposa manifestazione dal titolo: “Stati generali dello Spazio, della Difesa e della Sicurezza: le prossime sfide per l’industria europea”. [i]  Il titolo dell’evento era già un programma. Si trattava infatti di un segnale rivolto non solo al poco pacifico complesso militare-industriale – che distribuisce ovunque morte e devastazioni – ma anche ai titubanti partners europei, spingendo per un’alleanza militare sempre più stretta, ma per nulla alternativa alla NATO, i cui 70 anni d’altronde erano stati retoricamente festeggiati a Londra solo tre giorni prima.

«Politica, industria e forze armate riunite a Napoli […] Un appuntamento che ha permesso di fare il punto sulla strada da percorrere per rafforzare le capacità e il ruolo dell’Italia in questi settori. All’evento […] hanno preso parte, tra gli altri, il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, i Ministri dell’Istruzione, Università e Ricerca, Lorenzo Fioramonti, e delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli. Presenti, inoltre, il Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento UE, Antonio Tajani, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, il Sottosegretario di Stato alla Difesa, Giulio Calvisi, il Vice Sindaco di Napoli, Enrico Panini e il Presidente dell’AIAD, Guido Crosetto». [ii]

Altro che Santa Claus col pesante sacco dei regali sulle spalle! Al Maschio Angioino sono arrivati nientemeno che i vertici del Parlamento Europeo, insieme con tre ministri e due sottosegretari del Governo nazionale, che l’Amministrazione di quella Napoli, dichiarata statutariamente ‘Città di Pace’ (eppure in trepidante attesa di ospitare la Scuola Militare Europea a Pizzofalcone) ha accolto con grande soddisfazione. L’autorevole delegazione politica era in compagnia degli industriali consorziati nell’AIAD (Federazione delle Aziende italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) [iii]  il cui presidente è Guido Crosetto (già sottosegretario alla difesa nel governo Berlusconi IV e cofondatore di Fratelli d’Italia) e godeva della sponsorizzazione dell’Agenzia Spaziale europea e dell’Agenzia Spaziale italiana. Dulcis in fundo, era presente anche il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare dell’U.E., che non ha svolto un intervento ma non ha mancato di rilasciare dichiarazioni ai media, ribadendo che:

«Una difesa unica…è assolutamente vitale per gli interessi della Unione Europea, per gli interessi dell’Europa, anche per gli interessi della NATO […] (esiste una) cooperazione vitale tra la NATO e l’Unione Europea, che su dimensioni diverse garantiscono la sicurezza. E se l’U.E. vuole una strategia autonoma è anche per sostenere la NATO…». [iv]

Un’autonomia (strategica) differenziata?

Enrico Panini, l’emiliano Vicesindaco di Napoli, non si è voluto limitare ad un rituale indirizzo di benvenuto, a nome del Sindaco di una “città felice e orgogliosa di ospitarli”, per cui ha dichiarato:

«…si è trattato di un evento straordinario [perché] l’Europa deve unire le forze per far fronte alle sfide che ha davanti, anche in termini di autonomia strategica. L’Europa deve rafforzare una propria indipendenza in tecnologie strategiche per la difesa e la sicurezza e una capacità autonoma nel settore dello spazio, collocandosi nel più ampio contesto transatlantico e nel futuro partenariato con il Regno Unito». [v]

Nel suo equilibrismo politichese è risultato un po’ ambiguo l’intervento del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini (già portavoce e vicesegretario del PD ed ex presidente del COPASIR, l’organo di controllo sui servizi segreti) per il quale:

«…un “Paese importante …che intende giocare un ruolo…protagonista” non può fare a meno di perseguire “…un continuo adeguamento e ammodernamento dello strumento militare […] Va detto al Paese che non siamo chiamati a immaginare una crescita nel settore della difesa perché costretti da accordi internazionali ma perché muove una esigenza di carattere nazionale. […] Dobbiamo dirlo chiaramente, abbiamo fissato come obiettivo il raggiungimento della media dei paesi europei alleati. Un paese serio si mette in cammino per far sì che ci sia una gradualità di crescita di risorse in questo settore». [vi]

A questo punto un dubbio nasce spontaneo: vogliamo diventare ‘protagonisti’ della difesa, per decidere autonomamente, o dobbiamo adeguarci, anche se gradualmente, all’imposizione di chi pretende un aumento delle spese militari almeno al 2% del PIL? Guerini sposa la linea secondo la quale una difesa unita europea servirebbe a sostenere l’Alleanza Atlantica. Una specie di autonomia differenziata giallo-rosa in salsa grigioverde?

Del resto, il proverbio “Franza o Spagna, purché se magna” – attribuito al fiorentino Francesco Guicciardini – sembrerebbe andare a genio ai nostri top managers del settore cyber-aero-spaziale, preoccupati unicamente di aumentare le commesse grazie a pretese minacce alla ‘sicurezza’ ed al generale clima di guerra che sempre più si respira. Il vero scopo della sceneggiata napolitana promossa dalla U.E., del resto, era proprio quello di rassicurarli che tutto sta andando proprio come essi auspicano, e che quindi il loro micidiale core business è garantito.

«Le industrie hanno mostrato di essere già pronte ad una comune politica europea nella difesa e nella sicurezza – ha proclamato Franco Benigni, a.d. di Elettronica[…] da realizzarsi nel pieno rispetto del sistema di alleanze multilaterali transatlantiche e mirato al raggiungimento di una leadership europea nel complesso delle tecnologie digitali. Perché questo avvenga la collaborazione industriale dovrà agganciare l’evoluzione politica della Difesa europea». [vii]   Sulla stessa lunghezza d’onda anche Alessandro Profumo, già banchiere ed ora a.d. di Leonardo Aerospace, Defence and Security:

«I fondi della Difesa saranno dedicati alla ricerca e allo sviluppo di capacità. Laddove dovesse esserci un taglio, si taglierà la capacità del nostro Paese a stare al passo col mondo. Non si intacca il profilo nazionale ma la capacità nel nostro insieme di mantenere il passo dei grandi competitori nel mondo […] La domanda che come Europa dobbiamo porci è se vogliamo o no avere un’indipendenza strategica. L’ Europa deve essere inserita nel quadro del sistema Nato. Non siamo competitivi ma cooperativi rispetto alla Nato, ma avere capacità’ autonome rimane estremamente importante». [viii]

‘Star Wars’…a dodici stelle?

Al coro dell’ambiguo doppiogiochismo militare-industriale si è aggiunto Giulio Saccoccia, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, il quale ha sottolineato che va potenziato il ruolo “fondamentale di indipendenza strategica” assunto dell’Europa:

«Oggi parliamo di UE, di quello che in maniera complementare e sinergica può fare nel settore spazio e sono decisioni che prendiamo come un continente forte, un insieme di nazioni che vogliono avere una strategia indipendente da altri, ma anche di supporto alla strategia globale spaziale […] Nell’ambito dello spazio l’Italia ha un ruolo importantissimo in Europa, è uno dei pochi Paesi al mondo che opera in tutta la filiera, dall’accesso allo spazio al trasporto spaziale, con tutte le sue applicazioni, come l’osservazione della Terra, le telecomunicazioni, la navigazione e l’esplorazione». [ix]

Ancora una volta si parla di una strategia che mirerebbe al raggiungimento della indipendenza, senza però svincolarsi dal ruolo di ‘supporto’ a quella ‘globale’ ed inoltre prefigurando implicitamente scenari che – vista la sede in cui sono fatte certe affermazioni – non riguardano solo innocue esplorazioni dello spazio, bensì evocano inquietanti scenari da guerre stellari reaganiane.

In questo quadro generale così poco rassicurante c’è da chiedersi anche quale fosse il senso della presenza agli Stati Generali di Difesa Sicurezza e Spazio di due ministri apparentemente fuori contesto, come il titolare del MIUR, Lorenzo Fioramonti, e quella delle Infrastrutture e Trasporti, la democrat Paola De Micheli.  Quest’ultima, nel suo intervento, ha elegantemente glissato sulla parola-chiave ‘difesa’, soffermandosi sull’importanza della ricerca spaziale per motivi ambientali, la cyber-sicurezza e perfino al…turismo spaziale.

«Su questo tema il Mit trasmette un forte impulso, anche in termini di designazione delle priorità, così come per l’accesso allo spazio, da perseguire in forma più autonoma ancorché nel contesto della collaborazione europea e quindi in modo da realizzare i piani governativi relativamente agli spazioporti e ai voli suborbitali”. Non servirà solo al turismo spaziale (settore comunque di interesse), ma anche per rilevantissime attività di ricerca e di formazione. «L’accesso autonomo allo Spazio da parte dell’Italia […] sarà una delle priorità del dicastero, in collaborazione con la Difesa e l’ASI”.[x]

Del ministro Lorenzo Fioramonti non sono rintracciabili dichiarazioni ufficiali, ma la sua presenza – ufficialmente ascrivibile alla ‘R’ di ‘ricerca ‘ nell’acronimo del suo dicastero – sembra alludere al sempre più invadente ruolo che la ‘difesa’ sta giocando in Italia nell’ambito della pubblica istruzione. La crescente ed ingombrante presenza dei militari nelle scuole e di intere classi scolastiche in visita a basi, poligoni ed altre amene strutture del genere, infatti, è un preoccupante segnale della diffusione della propaganda e della retorica guerrafondaia fra i giovani italiani, ma anche di un’insinuante quanto opportunistica promozione, specie al Sud, di attività occupazionali legate alla c.d. ‘difesa’ e alla ricerca per scopi militari.

Insomma, la nostra Napoli – Città di Pace – avrebbe fatto volentieri a meno di questa trionfalistica kermesse, che ha testimoniato il sempre maggiore legame fra politica, industria e forze armate. E la sua Amministrazione, bifronte come Giano, avrebbe fatto bene a non dare un’altra prova di ambiguità politica, strizzando l’occhio ora al movimento pacifista, ora alla ‘bastardata’ della Scuola Militare Europea a Pizzofalcone.[xi]


[i] V. articolo su Napoli Today >https://www.napolitoday.it/eventi/stati-generali-spazio-sicurezza-difesa-napoli-6-dicembre-2019.html

[ii] V. réportage su Analisi Difesa > https://www.analisidifesa.it/2019/12/riuniti-a-napoli-gli-stati-generali-di-difesa-sicurezza-e-spazio/?fbclid=IwAR1meAycr54n18qGUw4AW02vr0CnRIY-Qt5QOx1BtAmH8eyi00igl43V7Go

[iii] Cfr. sito web AIAD > http://www.aiad.it/it/aiad_vertice.wp

[iv] Intervista a cura di Vista > https://youtu.be/SuPfyX51JsY

[v] https://www.facebook.com/search/top/?q=enrico%20panini%20vicesindaco&epa=SEARCH_BOX

[vi] V. art. cit. su Analisi Difesa

[vii] Ibidem

[viii] Ibidem

[ix]  Ibidem

[x] L. Romano, “Così l’Italia punta in alto…”, (6.12.19) Formiche > https://formiche.net/2019/12/infrastrutture-spazio-italia-paola-de-micheli/

[xi] Cfr. A. Di Costanzo, “Napoli, scuola militare nella caserma Bixio: i pacifisti attaccano de Magistris” (23.1.19), la Repubblica –Napoli > https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/01/23/news/napoli_scuola_militare_nella_caserma_bixio_i_pacifisti_attaccano_de_magistris-217228391/

“Napule è mille paure…”

C’è qualcosa di sconcertante, e al tempo stesso profondamente irritante, in ciò che sta succedendo a Napoli. Ė senza dubbio una città sempre più culturalmente vivace, straordinariamente attrattiva per tanti turisti italiani e stranieri, sorprendente in tutte le sue manifestazioni e piena anche d’iniziative originali. Eppure, allo stesso tempo, Napoli risulta assai fragile, perennemente afflitta da emergenze che durano da decenni, amministrata più con la fantasia che con la concretezza di scelte meditate e coerenti.  Ė una storica capitale che però stenta ancora a leggere la propria lunga storia ma anche a disegnare il profilo del proprio futuro, si tratti di pianificazione urbanistica oppure di attività produttive, di progettazione della mobilità urbana o di contrasto alla criminalità. Intrappolata com’è nella morsa di una crisi finanziaria che ne paralizza in larga parte risorse ordinarie ed investimenti, Napoli continua ad inseguire una modalità che la rende unica rispetto alle altre amministrazioni civiche: uno strano mix di populismo e dirigismo, di apertura comunitaria alla partecipazione e di chiusura burocratica nei palazzi dove, talvolta, si ha l’impressione che gli stessi componenti della giunta, più che dialogare tra loro, si parlino attraverso una sorta di ‘centralino’ unico.

Essere portatori di contraddizioni, diversità e particolarità, d’altronde, non è sempre un male. In tempi di pensiero unico e di omologazione socio-culturale, anzi, un po’ di originalità ed autonomia risulta un pregio. Eppure c’è qualcosa che a Napoli continua a mancare ed è la normalità, intesa sia come condotta amministrativa che segua una linea condivisa ed ordinaria, sia come stabilità e certezza di ciò che fa la vita meno precaria, sia anche nel senso di rispetto delle regole, scritte e non scritte, che rendono una comunità civile degna di questo nome. 

Manifestazione “DisarmiAmo Napoli” – Piazza Nazionale – Domenica 5 maggio 2019

L’episodio più grave che ha sconvolto i Napolitani, purtroppo già abituati a questi atti si follia urbana, è stata l’ennesima sparatoria in mezzo alla folla di una popolare piazza, nella quale è rimasta tragicamente coinvolta un’innocente bambina che passeggiava con sua nonna ed ora versa in gravi condizioni in ospedale pediatrico. La reazione della gente è stata più immediata ed energica del solito, segno che il peso di una camorra senza limiti e scrupoli è diventato ormai intollerabile. Ma, oltre alla ripresa dei regolamenti di conti fra criminali ed alle ‘stese’ delle bande di giovani delinquenti, ci sono stati anche altri episodi che hanno lasciato sconcertato chi vive a Napoli e deve già fare i conti con l’ordinaria follia del traffico, con trasporti pubblici carenti, coll’inquinamento dell’aria e col caos dell’abusivismo, a vari livelli e in vari ambiti.

Ad esempio, è partito in pompa magna il Maggio dei Monumenti, con file chilometriche di visitatori davanti a musei ed altri beni culturali ma, allo stesso tempo, si continuano a registrare disastri che coinvolgono monumenti unici come il complesso dell’Ospedale e Chiesa degli Incurabili, gravi danni a facciate di chiese e palazzi, chiusure perenni di gioielli architettonici, episodi di assurdo vandalismo nei confronti di opere d’arte.  E poi: si sbandierano slogan ecologisti come ‘Ossigeno Bene Comune’ eppure il tasso d’inquinamento da polveri sottili in città è sempre più grave, costringendo da anni l’amministrazione a ricorrere provvedimenti ‘urgenti’ e non si sa quanto ‘temporanei’. Ci si riempie la bocca di proclami che dichiarano Napoli ‘Città di Pace’ ma, al tempo stesso, non si sono mai visti tanti militari nelle piazze, per strada e perfino nelle scuole, per non parlare della brillante idea di ospitare addirittura una scuola militare europea in una storica struttura che avrebbe invece dovuto essere riconvertita a scopi civili e sociali.

Si esalta giustamente la natura accogliente e multiculturale della nostra città, ma poi si continua a dare risposte del tutto insufficienti alle pressanti esigenze di migliaia di persone – locali, apolidi o straniere – che non hanno il necessario per vivere e campano alla giornata, mendicando, rovistando tra i rifiuti o lavando vetri ai semafori. Si delegano sempre più i servizi socio-assistenziali al c.d. ‘privato sociale’, eppure manca un vero piano che coordini le pur necessarie azioni del ‘terzo settore’, garantendo finanziamenti certi e regolari ma anche controlli effettivi sull’ efficienza ed efficacia di tali interventi.

Napoli è una città eccezionale, è vero. Questo non significa però che debba costituire un’eccezione a tutte le regole, come ad esempio quella che vede tutte le metropoli delegare gran parte delle competenze amministrative ad un livello decentrato. Da noi il decentramento alle municipalità cittadine è sempre più simbolico ed asfittico e la gente dei quartieri continua a guardare a Palazzo S. Giacomo come una volta i popolani guardavano verso il balcone centrale della storica residenza dei Borbone.  Insomma, è necessaria una salutare spinta dal basso da parte di chi non accetta di vivere in una condizione di continua emergenza, ma al tempo stesso non intenda restare alla finestra a criticare chi decide a nome di tutti. Ci vuole una riscossa civile, una svolta autenticamente ecologica, un’alternativa nonviolenta non solo nei confronti chi semina morte e terrore con metodi criminali, ma anche di chi continua a fare affari sull’assenza di quella ‘normalità’ che consente ed alimenta abusi, imbrogli e corruzione.

I Napolitani dovrebbero quindi sentirsi sempre più cittadini attivi e responsabili e sempre meno  spettatori passivi di questa sconcertante alternanza di affermazioni positive e degrado quotidiano. Ciò significa che bisogna ricostituire la rete dell’associazionismo, della militanza politica, del volontariato promozionale e non di supplenza alle carenze istituzionali. Ciò significa difendere con i denti tutte le sedi e le occasioni di partecipazione diretta (dagli organi collegiali della scuola ai consigli municipali, dagli organismi di controllo alle realtà a difesa dei consumatori), smettendo di considerarli meri adempimenti formali e burocratici e restituendogli  il loro valore di esercizio della cittadinanza attiva e del capitiniano ‘potere dal basso’.

Soprattutto, bisogna smetterla di apprendere che cosa ci succede intorno di seconda mano, dalle chiacchiere da bar dagli onnipresenti smartphone e schermi televisivi, ricavandone generalmente sconcerto e crescita del senso d’impotenza. Proviamo piuttosto a vivere intensamente e direttamente le relazioni umane, comunitarie e civiche. C’è un mondo intorno a noi a cui troppo spesso non prestiamo più attenzione e verso il quale, invece, potremmo intervenire in prima persona, aiutando, denunciando, ribellandoci, facendoci promotori d’iniziative che aggreghino altri.

Ecco, proviamo ad essere più protagonisti e meno spettatori. Sono le dittature che hanno bisogno di un pubblico da arringare e convincere. La democrazia, quella vera, non è ‘star sopra un albero e neppure avere un’opinione’ per parafrasare la nota canzone del grande Giorgio Gaber – perché la libertà si manifesta davvero solo con la partecipazione. Non quella formale e parolaia che qualcuno ci ha benevolmente concesso finora, ma quella autentica – sicuramente più impegnativa – che nasce dalla riflessione, dall’impegno e dalla responsabilità.


© 2019 Ermete Ferraro

Il buio oltre la siepe…

buio oltre sietepL’estate sta finendo – ci ripeteva una vecchia canzone – e la maggioranza degli italiani è già tornata alle proprie attività ordinarie, siano esse di studio, di lavoro, domestiche o di altro genere. L’estate sta finendo, certo, ma per molte persone da settembre non è cambiato nulla, visto che la loro esistenza continua (e continuerà…) a trascinarsi nella miseria, nella precarietà e nella continua, talvolta disperata, ricerca di come andare avanti. Si tratta ovviamente dei tanti poveri che vivono nelle nostre città – quegli ‘invisibili’ [i] che in troppi si ostinano a non vedere o ad evitare –  ma anche delle sempre più numerose schiere di migranti che incontriamo per strada, sulle quali si è esercitata per mesi la retorica becera di un populismo intollerante e sempre più esplicitamente razzista.

Ma non è di questa preoccupante deriva culturale e politica che voglio parlare, bensì di un più  preciso e specifico fenomeno, cui con un po’ di buona volontà si potrebbe offrire una risposta concreta e positiva. Mi riferisco ad un aspetto della difficile vita quotidiana dei migranti, in particolare di colore, che li ha visti spesso vittime di gravi incidenti stradali, talvolta mortali. Quelli cui capita di passare in auto per la Domiziana, d’estate e non solo, infatti, hanno sicuramente già notato quanto sia maledettamente pericoloso per i tanti neri che si trovano a vivere in zona percorrere quotidianamente, in bicicletta oppure a piedi, questa superstrada a scorrimento veloce, soprattutto dopo il tramonto. Si tratta di giovani braccianti, venditori di varia mercanzia sulle spiagge, ragazzini e perfino intere famigliole che si spostano da e verso i maggiori centri abitati che ospitano comunità straniere, principalmente africane, come Castel Volturno.

bici 3Basti pensare che qui vivono migliaia d’immigrati in prevalenza irregolari, le cui condizioni di vita sono ai limiti del sopportabile e la cui presenza è vissuta con crescente diffidenza dai cittadini. Le statistiche parlano ottimisticamente di circa 4.000 persone straniere (il 15% dei residenti), con una stragrande prevalenza di immigrati provenienti dai Paesi dall’Africa sub-sahariana, in primo luogo Nigeria e Ghana, ma anche Liberia, Costa d’Avorio, Togo, Sierra Leone, Sudan e Niger. Si tratta di circa il 60% degli ‘ospiti’ di questa città, che vi abitano in modo spesso precario e che da essa quotidianamente si spostano nei dintorni, per continuare a sopravvivere in qualche modo. Un quadro di tale preoccupante situazione – cui il precedente governo aveva deciso di guardare con più attenzione, attivando un piano d’interventi coordinati da un commissario straordinario, ce l’offriva un articolo di alcuni mesi fa:

«Edifici abusivi terreno di spaccio e prostituzione, indebitamente occupati dalla potente mafia nigeriana: gli extracomunitari arrivano dall’Africa in alcuni casi con l’intento di delinquere, in altri, invece, sono vittime degli accadimenti. Problemi noti a chi da anni opera sul territorio, col proposito di migliorarne la vivibilità: “Povertà estrema, mancanza di reddito, un degrado ambientale frutto dell’abusivismo dilagante e di anni di abbandono da parte delle istituzioni – spiega Mimma D’Amico del Centro Sociale di Caserta – Per rilanciare il territorio, occorre mettere in pratica un piano sistemico, che punti sulla formazione delle persone; il degrado c’è e va combattuto, a partire da un rifacimento delle fogne, dalla regolarizzazione delle persone e dal potenziamento dei servizi socio-sanitari.» [ii]

Ovviamente Castel Volturno è solo la punta di un iceberg molto più ampio e profondo. Sono centinaia, in Campania come in altre regioni italiane, le città che ospitano comunità di immigrati africani, i quali ogni giorno sono costretti a spostarsi, a piedi, in bus o in bici, dai luoghi della loro provvisoria residenza a quelli dove si svolge la loro attività di sussistenza. Basta sfogliare i quotidiani o leggere le notizie su Internet per rendersi conto che questo andirivieni è talvolta costato addirittura la vita a chi lo pratica. Parecchi ciclisti di colore, in particolare, sono stati vittime di gravi incidenti stradali, travolti da auto, moto o mezzi pesanti che talora non li hanno nemmeno visti, complice il buio ed il mancato impiego di fanalini, gilet catarifrangenti ed altri semplici presìdi di sicurezza stradale.

bici 6E’ questo il “buio oltre la siepe” cui metaforicamente mi riferisco nel titolo, citando il capolavoro della scrittrice statunitense Nelle Harper Lee.[iii]  Si tratta senza dubbio del buio della paura del diverso e del pregiudizio razziale che ottenebra la mente di troppi sovranisti xenofobi e pian piano rischia di oscurare anche le nostre coscienze. Ma, fuor di metafora, sto parlando più realisticamente del buio assoluto che avvolge di notte le superstrade, lungo le quali soprattutto bambini e lavoratori africani rischiano continuamente di essere investiti, con esiti generalmente gravi o letali. Uno degli episodi più recenti, conclusisi purtroppo tragicamente, si è verificato ad aprile in Puglia, a Melendugno, dove un 46enne locale in moto ha travolto un giovane immigrato della Guinea.

«Considerando una prima ipotesi, sembrerebbe che il salentino sia andato a finire sul ciclista, che – secondo una prima ricostruzione – pedalava senza alcun elemento che potesse fornirgli un minimo di visibilità nel buio di quella strada. L’impatto è stato così devastante che i due corpi sono finiti sulla corsia opposta, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro. Non si esclude il coinvolgimento di un terzo mezzo nell’incidente, probabilmente l’auto. I soccorsi sono scattati quando un automobilista di passaggio ha notato lungo la carreggiata la presenza di quei due corpi, con accanto le lamiere dei due mezzi coinvolti. Sul posto sono intervenute due ambulanze, ma purtroppo i sanitari del 118 non hanno potuto far altro che constatare il decesso dei due uomini: ogni tentativo di salvarli è risultato vano.». [iv]

Lo scorso maggio, poi, un giovane immigrato africano è stato travolto da un’auto in una zona centrale di Catania e successivamente non solo lasciato a terra pesto e sanguinante da chi l’aveva investito, ma perfino derubato della bicicletta da alcuni pseudo-soccorritori. [v]  Era già successo tante altre volte, come nel caso dei due immigrati investiti a Villa Literno nel 2016 [vi], oppure del marocchino 47enne in bici, travolto giusto un anno fa a Marcianise da un giovane motociclista drogato.[vii] 

Sono purtroppo tanti gli episodi del genere – di cui non si ha sempre notizia sui media – che si sono succeduti nel corso degli anni nelle regioni meridionali, in particolare in Sicilia e Campania. [viii]

Che cosa fare allora? E’ ammissibile che alle dure condizioni di vita degli immigrati debba anche aggiungersi il continuo rischio di perdere la vita sol perché, di notte, essi diventano ancora più invisibili?bici con gilet 1

A questa domanda qualcuno ha cercato di dare una risposta, spontanea ed efficace. Sono i coniugi Antonio e Antonietta Tartaglia, come di ha riferito un recente articolo da Foggia di Tatiana Bellizzi per la Repubblica:

«Un dono salva vita – Pettorine catarifrangenti gratis per tutti i migranti che la sera percorrono le strade buie di campagna in sella alle biciclette rischiando la vita. Il regalo arriva dai titolari di un negozio di articoli sportivi ad Orta Nova, nel Foggiano, un paese di poco più di 17mila abitanti, a forte vocazione agricola. Un piccolo centro che in questo periodo raddoppia la propria popolazione per la raccolta dei pomodori.[…] Un’iniziativa quella di Antonio, Antonietta e del figlio Gianpaolo, che pone nuovamente al centro dell’attenzione il tema della sicurezza stradale nel Foggiano. «Sappiamo che nel corso degli anni sono stati tantissimi i casi di investimenti mortali di africani avvenuti in particolar modo proprio lungo le strade che attraversano quelle campagne» raccontano Antonio ed il figlio Gianpaolo. ”Per questo abbiamo messo a loro disposizione le pettorine salva vita”.». [ix]

Questa esemplare ed originale iniziativa, ripresa dall’articolo, ha ispirato un nota esponente dell’associazionismo animalista, Mirella De Simone, che ha deciso di mettere a disposizione una discreta somma per darle seguito anche in Campania, appoggiandosi sul piano organizzativo all’associazione “Verdi Ambiente e Società” [x] di cui è sostenitrice da anni. Ovviamente noi del Coordinamento regionale per la Campania di V.A.S.- coordinato da Nicola Lamonica – ed del Circolo V.A.S. Napoli [xi] , di cui sono responsabile, abbiamo volentieri accettato questa offerta, continuando in tal modo ad operare nella tradizione di un’associazione che non limita mai il proprio intervento alla sola protezione dell’ambiente, ma è da sempre attenta alle problematiche sociali, ai diritti umani ed alla legalità.

L’iniziativa concordata, dunque, consiste nell’acquisto e donazione di almeno un centinaio di giubbetti catarifrangenti ‘salvavita’ ad un’associazione che si occupa della tutela dei migranti nell’area di Castel Volturno, proprio per cominciare a fronteggiare il triste fenomeno sul quale mi sono soffermato. Questi gilet ad alta bici gilet 2visibilità saranno del tipo omologato alla normativa in vigore (UNI EN 471) e saranno distribuiti quanto prima ad altrettanti immigrati probabilmente attraverso una storica realtà locale impegnata nel sostegno materiale e morale agli immigrati, il Centro Fernandes di Castel Volturno [xii], col cui direttore, il dott. Antonio Casale, abbiamo già preso contatto.

Che dire? Si sa che il bene è contagioso e, anche in questo caso, una ‘buona pratica’ di accoglienza ed attenzione ai più deboli può dar vita ad altre simili, nello spirito di solidarietà sociale ed umana che dovrebbe ricordare a tutti di “restare umani” e non cedere alla tentazione di parlare sempre di ‘noi’ in strumentale contrapposizione a ‘loro’. Di recente il Papa ha espresso sostengo per un’iniziativa della Caritas internazionale a sostegno dei rifugiati e dei migranti dal titolo “Condividiamo il cammino”.[xiii]  Ebbene, in tal modo anche noi di V.A.S., nel nostro piccolo, intendiamo dare il nostro contributo affinché il ‘cammino’ di questi nostri fratelli possa diventare più sicuro ed essi smettano finalmente di restare ‘invisibili’ o, peggio, di essere usati come semplici numeri, su cui agitare la propaganda politica.

© 2018 Ermete Ferraro (www.ermeteferraro.org )


N O T E

[i] Era questo l’efficace titolo di un programma televisivo sui c.d. ‘senza fissa dimora’,  curato da Marco Berry e trasmesso da Italia1 in sette puntate, dal 2003 al 2004 > https://it.wikipedia.org/wiki/Invisibili . V. anche > http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9ac9cfd7-1ebf-46f6-9406-184a0f83bb5f.html

[ii] Roberto Alpino, “Viaggio a Castel Volturno dove vivono 15000 immigrati irregolari”  (20.02.2018) , Euronews > http://it.euronews.com/2018/02/20/castel-volturno-citta-dei-migranti

[iii] Vedi la voce “Il buio oltre la siepe” in Wikipedia.it > https://it.wikipedia.org/wiki/Il_buio_oltre_la_siepe_(romanzo)  e “To Kill a Mockingbird” in en.wikipedia > https://en.wikipedia.org/wiki/To_Kill_a_Mockingbird

[iv] Federica Sabato, “Tragedia nella serata: travolti in moto e in bici, due morti” (04.04.2018), Il quotidiano di Puglia > https://www.quotidianodipuglia.it/lecce/sulla_melendugno_lecce-3648139.html

[v] Redazione, “Sono nero, non ho diritto anch’io di essere aiutato?” (27.5.2018), Newsicilia.it > https://newsicilia.it/cronaca/sono-nero-non-ho-diritto-anche-io-di-essere-aiutato-giovane-investito-e-lasciato-a-terra-sanguinante-a-catania/326293

[vi] Fabio Mencocco, Investe e uccide due immigrati  in bici, poi scappa…” (30.05.2016),  ilmattino.it > https://ilmattino.it/caserta/travolge_due_immigrati_in_bici_e_scappa_villa_literno-1764113.html

[vii] “Caserta, positivo a 4 droghe, investe e uccide immigrato in bici”, sky-tg 24 > https://tg24.sky.it/cronaca/2017/09/11/caserta-incidente-moto-droga-immigrato-morto.html

[viii] Vedi, ad es., gli articoli seguenti: https://napoli.repubblica.it/dettaglio/immigrato-muore-travolto-in-bici-il-pirata-identificato-grazie-a-un-video/1698681 , http://trapani.gds.it/2017/02/16/migrante-in-bici-travolto-da-auto-a-marsala-il-sindaco-accusa-i-centri-daccoglienza_629612/ , https://castelvetranonews.it/notizie/attualita/selinunte/il-buio-sulla-strada-verso-selinunte-e-immigrati-in-bici-quanto-vale-una-vita-durante-la-notte/ , https://www.tp24.it/2018/02/02/cronaca/marsala-giovane-bicicletta-investito-trapani-unauto/117441

[ix] Tatiana Bellizzi, “I coniugi che danno le casacche salvavita in dono ai braccianti” (05.09.2018) , la Repubblica > http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/09/05/i-coniugi-che-danno-le-casacche-salva-vita-in-dono-ai-braccianti16.html

[x] “Verdi Ambiente e Società” Onlus-APS (acronimo: V.A.S.) è un’associazione nazionale di protezione ambientale operante dal 1991 e riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente. Il suo ambito di azione va ben oltre l’ambientalismo puro e semplice, in quanto i suoi circoli si occupano di tante altre tematiche di ordine sociale e culturale, dall’ecopacifismo alla protezione civile, dall’ecoturismo all’alimentazione naturale e libera da veleni, dall’impegno antimafia alla prevenzione degli incendi boschivi. Per approfondimenti visita il sito nazionale di V.A.S. >  http://www.vasonlus.it/

[xi] Su VAS-Campania e sul Circolo Metropolitano di Napoli visita il sito territoriale > http://www.vascampania.net/

[xii] Visita il sito web del Centro Fernandes > http://www.centrofernandes.it/storia.htm

[xiii] Cfr.: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/caritas-papa-sui-migranti-non-sono-minaccia-1542733.html  – http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-07-06/l-appello-papa-migranti-dio-vuole-nostre-mani-soccorrerli-113558.shtml?uuid=AE5Ux4HF  – http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-papa-i-poveri-che-si-muovono-fanno-paura-chi-vive-1572761.html

La ‘Cattiva Scuola’ di Guerra

“Preparo alla vita e alle armi”

LACATTIVASCUOLAlogoE’ appena terminato l’anno scolastico e docenti e studenti, un po’ preoccupati, si chiedono già cos’altro li aspetti dopo le vacanze estive. Il nuovo governo lega-stellato confermerà la linea della c.d. Buona Scuola’ renziana o si cambierà musica? In attesa di risposte a questo dilemma, comunque, c’è chi da almeno tre anni è in attesa di altro e sgomita per assicurare all’Italia la sede per la ‘scuola militare europea’. Il colmo dell’onore, per lorsignori, sarebbe se questa scelta ricadesse su Napoli, che già da due secoli ospita la storica ‘Reale Accademia Militare’ della Nunziatella, fondata da Ferdinando IV di Borbone nel 1787,  il cui motto è appunto: “Preparo alla vita e alle armi”. In effetti nessuno dei media ne sta parlando, sia perché su tali argomenti è sempre difficile avere notizie, sia anche perché è un bel po’ che dall’Europa non giungono notizie nel merito. Le ultime dichiarazioni ufficiali del governo italiano risalgono a marzo dello scorso anno, quando l’allora Ministra della Difesa Pinotti, al termine della riunione di Bruxelles del Consiglio difesa ed esteri della U.E., dichiarò fra l’altro:

«Sul tema della formazione pensiamo che per andare avanti nella Difesa europea bisogna immaginare una scuola, noi pensiamo alla Nunziatella”, che diventi centro di formazione “non solo per i giovani e le giovani italiane, ma che possa diventare di ambito europeo». [i]

Si tratterebbe, per la precisione, di istituire una scuola di alta formazione per gli ufficiali delle forze armate della U.E., ha precisato a Napoli la Pinotti, affiancata dal Presidente della Repubblica, proprio in occasione del giuramento dei cadetti in Piazza del Plebiscito.

«Stiamo pensando per la grande Nunziatella un futuro che parla d’Europa: 23 Paesi hanno deciso di dare vita a una collaborazione rafforzata, e nei progetti per una difesa comune, tra le proposte dall’Italia, c’è un polo per la formazione per gli ufficiali provenienti dalle forze armate dei Paesi europei che abbia sede presso la scuola militare della Nunziatella». [ii]

Al citato vertice europeo dei ministri della difesa si era raggiunto l’accordo che prevedeva interventi per una comune difesa militare, individuando Napoli – già sede dei Comandi NATO e della U.S. Navy per il Sud Europa e l’Africa –  anche come ‘hub’ dei Comandi integrati per controllare il bacino del Mediterraneo.  Un mese dopo, l’11 dicembre 2017, al Consiglio europeo era stato siglato dai 25 paesi membri l’atto che istituiva la ‘cooperazione  strutturata permanente’  in materia di sicurezza e di difesa (PESCO).

« Art. 1 – E’ qui stabilita una Cooperazione Strutturata Permanente (PESCO), nell’ambito dell’Unione, tra quegli Stati membri le cui capacità militari adempiano i più elevati criteri dell’Art. 1 del Protocollo n. 10, e che si sono impegnati reciprocamente in questo settore, come riferito all’Art. 2 di tale Protocollo, in vista delle missioni più impegnative, e che contribuiscano al raggiungimento del livello di ambizione dell’Unione. […] Art. 4 punto 2 – Agendo in accordo con l’art. 46(6) del T.E.U., il Consiglio adotterà decisioni e raccomandazioni per: (a) fornire direzioni strategiche e guida per la PESCO; (f)  stabilire un insieme comune di regole di governance per i progetti, cui gli aderenti Stati membri, che partecipano ad un progetto individuale, potrebbero adattarsi in quanto necessario a tale progetto…». [iii]

Da allora, in apparenza, nulla si è mosso. Ma è davvero così ?

Una scuola di guerra in una Città di Pace?

 Foto_Ufficiale_Capo_di_SMD_10x15_GenNotizie vere e proprie non ci sono (o quanto meno non sono state diffuse), ma alla storica Scuola Militare napoletana che da 230 anni domina l’altura di Pizzofalcone si continua strenuamente a sperare in un futuro europeo. Qualche segnale positivo per i vertici militari italiani c’era comunque  stato, sia pure indirettamente, visto che il 7 novembre 2017 il generale Claudio Graziano, il nostro attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa, era stato nominato Presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea (E.U.M.C.).

«Il Chairman of the European Union Military Committee, incarico che il generale Graziano assumerà dal mese di novembre del 2018, è la più alta autorità militare della UE e, come tale, è il consulente militare dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Unione, ma ha anche il compito di presentare i pareri e le decisioni di natura militare, assunte dal Comitato militare, presso il Comitato politico e di sicurezza (PSC), nonché di fornire direttive e linee guida al Direttore generale dello European Union Military Staff (EUMS)». [iv]

In effetti il gen. Graziano ricoprirà la massima carica militare dell’U.E. solo a partire dal novembre 2018, cioè fra quattro mesi, ma non è difficile immaginare che questa ‘novità’ contribuirà non poco a sciogliere le immaginabili resistenze degli altri Paesi dell’Unione ad un progetto ‘formativo’ partito proprio dall’Italia e con destinazione finale Napoli.

Ma come – potrebbe prevedibilmente chiedersi qualcuno – vogliono piazzare una scuola di alti studi militari proprio nella città guidata da un Sindaco palesemente pacifista come Luigi de Magistris?  Quella Napoli nel cui Statuto, per sua iniziativa, è stata inserita la denominazione di “città di Pace e Giustizia” in quanto “convinta che il disarmo, lo sviluppo umano e la cooperazione internazionale sono indispensabili per il rispetto dei principi della giustizia sociale  e dell’interdipendenza e indivisibilità di tutti i diritti umani: economici, sociali, civili, politici, culturali” ? [v]   Una scuola di guerra proprio nella Città la cui Giunta nel 2015  ha dichiarato il suo porto “Area denuclearizzata” ? [vi]  Un’accademia per formare alti ufficiali europei giusto nel Comune sulla cui sede istituzionale di piazza Municipio spicca un vistoso drappo arcobaleno della pace?

Ebbene sì. A dispetto di tutte queste lodevoli iniziative, va detto che la decisione di far di Napoli la sede della scuola militare europea prossima ventura non si è affatto abbattuta a tradimento sul capo di Luigi de Magistris e della sua Amministrazione, a causa di oscuri maneggi dei vertici di governo, ma è stata piuttosto accettata – e perfino caldeggiata – dal multiforme  Sindaco della rivoluzione arancione.  Risale infatti a tre anni fa la delibera di Giunta n. 461 del 13 luglio 2015, con la quale si proponeva al Consiglio Comunale di approvare un atto il cui oggetto era apparentemente un altro, molto più insignificante. Si trattava infatti di autorizzare quella che era banalmente definita una ‘permuta’ tra un immobile di proprietà comunale (la Caserma ‘Nino Bixio’ in via Monte di Dio 31, sede del IV reparto mobile della Polizia di Stato, un bene storico tutelato dal punto di vista ambientale e monumentale)  con un immobile di proprietà statale, sito nella non lontana via Egiziaca a Pizzofalcone n. 35. In buona sostanza, uno ‘scambio alla pari’ tra Comune e Stato, dichiaratamente “finalizzato all’ampliamento e potenziamento infrastrutturale della Scuola Militare ‘Nunziatella’ “, in riferimento al protocollo d’intesa già sottoscritto il 15 novembre 2014 dallo stesso Sindaco de Magistris e dai responsabili di Agenzia del Demanio, Ministero dell’Interno e Ministero della Difesa. Ma si trattava davvero di uno scambio ‘alla pari’ come più volte ribadito nell’atto deliberativo?

Uno scambio alla pari? Ma ci faccia il piacere !…

 cd3cde9dNella parte narrativa della delibera di Giunta 461/2015 si precisava a tal proposito:

«In esito ai lavori del tavolo tecnico di cui al Protocollo di Intesa, la competente commissione per la verifica di congruità delle valutazioni tecniche-economiche-estimative […] ha effettuato la congruità del valore dei due immobili sopra individuati […] per un importo pari ad euro 22.900.000,00 (in cifra tonda); la permuta immobiliare tra gli immobili suddetti si chiude pertanto alla pari, senza esborso da parte del Comune, ovvero dello Stato di ulteriori corrispettivi in denaro a pareggiare le eventuali differenze di valore dei due beni e, pertanto, si configura come una ‘permuta pura’ ossia una diversa allocazione delle poste patrimoniali afferenti i beni immobili e perciò come operazioneneutra’ in termini economici». [vii]

Al di là del solito burocratese, si percepisce l’insistenza dell’A.C. nel dichiarare  che trattasi di mero scambio, supportato peraltro da una verifica di ‘congruità’ del valore dei due immobili, e quindi che si era di fronte ad una pura e semplice ‘permuta’, chiusa ‘alla pari’ ed in modo del tutto ‘neutro’.  Giaà allora, però, non era dello stesso parere il Segretario Generale del Comune di Napoli che – inascoltato – aveva allora espresso abbastanza chiaramente le sue perplessità nel merito.

«Le motivazioni che supportano la permuta alla pari, da una parte la cessione dall’altra l’acquisizione, appaiono non completamente simmetriche. Invero, riguardo all’acquisizione dell’immobile di via Egiziaca a Pizzofalcone – inserito al punto 4 della deliberato nel piano delle dismissioni immobiliari, senza esplicitare se in compensazione con il bene in cessione – gli elementi motivazionali appaiono desumibili solo di riflesso[…] La permuta, vale qui ricordarlo, è definita dall’art. 1552 del codice civile quale ‘ contratto che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di cose, o di altri diritti, da un contraente all’altro’. […] Si tratta quindi di un contratto a titolo oneroso che, laddove vi sia un’equivalenza qualitativa e quantitativa dei beni scambiati, può essere strutturato in modo da non comportare movimentazioni finanziarie, se non limitatamente agli oneri accessori. Tuttavia si sottolinea che tra i principi o postulati di cui all’art. 162 c. 1 del TUEL c’è quello di integrità, per il quale nel bilancio di previsione e nel conto del bilancio non devono esserci compensazioni di partite, anche in riferimento ai valori economici ed alle grandezze patrimoniali». [viii]

Le osservazioni, sebbene un po’ criptiche per i non addetti ai lavori, fanno presente  che un’attenta valutazione avrebbe dovuto tener conto di vari elementi utili alla valorizzazione dei bene, fra cui “la loro piena disponibilità, la loro condizione di fatto, la loro redditività, l’assenza di abusi edilizi, ovvero la loro condonabilità, ecc.)” [ix]  Certo, non si dubita esplicitamente della valutazione addotta dall’A.C., ma si avverte la preoccupazione per un’operazione che, sia pur degradata a semplice permuta immobiliare, presentava comunque molte insidie di natura giuridica e finanziaria. Nel suo “parere di regolarità contabile” della delibera di Giunta, anche il Direttore dei Servizi Finanziari, pur dando in conclusione parere favorevole, esprimeva perplessità sull’atto deliberativo. Al di là della congruità della  valutazione dei due immobili (circa 23 milioni di euro), si faceva presente che dalla proprietà della caserma Bixio il Comune aveva finora introitato un canone annuo di circa 450 mila euro,  “mentre alcun importo viene riportato in merito alla locazione delle 80 unità immobiliari costituenti l’edificio in via Egiziaca a Pizzofalcone di proprietà del Ministero”. [x] Bell’affare davvero,  visto che lo stabile deve essere ancora ristrutturato e, a quanto pare, è già stato occupato abusivamente da alcune famiglie!

Operazione “Bastardi di Pizzofalcone”

Nel mese di marzo 2017 il quotidiano napoletano IL MATTINO diede in modo trionfalistico la notizia del progetto ‘grande Nunziatella’ e della Scuola militare che si ipotizzava di ospitare al suo interno.

«Ancora da definire i dettagli del centro di formazione militare europeo. Molto probabilmente di tratterà di una scuola interforze […] e potrebbe formare in un’ottica comune giovani ufficiali che solitamente frequentano quelle che un tempo si chiamavano ‘scuole di guerra’ nei singoli stati. Oppure potrebbe aprire alla formazione di ufficiali di grado intermedio o elevato con attività simili a quelle, già aperte agli stranieri, che si tengono al Centro Alti Sudi della Difesa a Roma nell’ambito dei corsi ISMI e IADD. Le opzioni da valutare certo non mancano e trasformerebbero Napoli, già punto di riferimento nevralgico in ambito NATO, nella capitale della formazione militare di un’Europa che appare sempre più orientata a darsi finalmente concretezza in termini di difesa e sicurezza». [xi]

nunzia-veduta-aereaOra, pur considerando che l’autore del pezzo, Gianandrea Gaiani, dirige il periodico ‘Analisi difesa’ e collabora con vari istituti di formazione militare, queste considerazioni lasciano trapelare una soddisfazione che va ben oltre la semplice cronaca. Ma bisogna ammettere che su questa subdola operazione (non a caso da me intitolata ‘Bastardi di Pizzofalcone’…) non si è ancora sentita una voce critica o, comunque, un commento che manifestasse dubbi sia sulla sua discutibile legittimità, sia sulla sua preoccupante valenza politica. Unica eccezione è stato un articolo apparso il 20 novembre 2017 su ‘Contropiano’ , nel quale si stigmatizzava il comportamento ambiguo dell’Amministrazione Comunale, manifestando anche una legittima ansietà per le prevedibili conseguenze dell’escalation militarista della città di Napoli.

«Preoccupante è…l’atteggiamento dell’amministrazione comunale di Napoli. Non solo non si è opposta a questa operazione di natura bellica ma addirittura nei mesi scorsi presentava questa come una vittoria. Rivendicava insomma di avere contribuito con la sua mediazione a questo ”importante risultato”. Provincialismo d’accatto che mal si sposa con la reale natura di una accademia militare e che fa a pugni con il concetto di Napoli città di pace tanto cara al sindaco e alla sua giunta. Dalle notizie che trapelano dall’accordo di Bruxelles sembra che nello specifico l’hub formativo di Napoli si specializzerà sugli attacchi a distanza ovvero la guerra coi droni. Wargames . E’ evidente che ciò esporrà la città di Napoli a pericoli finora sconosciuti. Se la base Nato è ubicata presso il lago Patria e lontana da centri abitati, l’accademia della Nunziatella ha sede invece a Pizzofalcone ovvero nel cuore di Napoli». [xii]

Fatto sta, però, che non soltanto i fedelissimi dei Sindaco, ma anche le forze della sedicente sinistra presente nell’Assise Comunale,  non hanno fatto una piega di fronte all’ipotesi che Napoli, Città di Pace, si ritrovi così ad ospitare una vera e propria scuola di guerra. Basti pensare che la delibera di giunta fu adottata su proposta dell’allora Assessore al Patrimonio Alessandro Fucito (già consigliere di Rifondazione Comunista, rieletto poi con la lista ‘Napoli in Comune a Sinistra’ ed attuale Presidente del Consiglio Comunale) e che la successiva delibera consiliare n. 46 del 6 agosto 2015, di cui era relatore lo stesso Fucito, è stata plebiscitariamente approvata all’unanimità.

Tutto bene dunque? Non direi proprio. Non sappiamo se e quando questo progetto troverà attuazione, ma non è giusto tacere di fronte all’enormità di un’operazione che, oltre che economicamente svantaggiosa per un Comune in pre-dissesto, ha manifestato un cinismo politico che nessun drappo arcobaleno su Palazzo S. Giacomo può tacitare. Non bastano certo i toni rivoluzionari ed anticonformisti per rendere davvero alternativa un’amministrazione comunale. La triste verità è che Napoli – intesa anche come Città Metropolitana, di cui lo stesso de Magistris è Presidente – è da decenni una delle città più militarizzate del mondo, grazie al degradante rapporto di vassallaggio che dal dopoguerra ha reso l’Italia una colonia assoggettata a servitù militare da parte dei nostri  c.d.‘Alleati’, sottraendo sovranità sia allo Stato centrale sia agli Enti locali e mettendo a serio rischio la pace, la sicurezza e la salute dei cittadini della Campania.

  1. A Napoli per imparare le ‘arti oscure’ della guerra

CoA_mil_ITA_nunziatella.svg  Appare evidente che  ‘ospitare’ già il Comando euro-africano della NATO e quello della VI Flotta statunitense non è sembrato sufficiente a chi ci (s)governa. Già in un mio articolo del 2013 mi ero soffermato sulla pesante coltre grigioverde calata su tutta la Campania, ed in particolare sull’area compresa fra Napoli e Caserta.

«La“Campania Felix” dei Romani ha subito una mostruosa mutazione genetica, trasformandosi in un vero e proprio “pentagono della guerra”,  una delle succursali ‘globali’ del Pentagono di Washington[…] Se disegniamo una rudimentale figura, che abbia come lati: (i) Bagnoli – Licola (20 km); (ii) Licola – Gricignano  (35 km); (iii) Gricignano – Lago Patria (35 km); (iv) Lago Patria – Capodichino (30 km); (v) Capodichino – Bagnoli  (15 km), il  perimetro del nostro “Pentagono” campano misura 135 chilometri. Trattandosi d’un pentagono irregolare, la misura della relativa superficie andrebbe ricavata diversamente, ma ipotizzando un lato medio di 27 km (135:5) ed applicando la formula relativa, scopriamo che l’area circoscritta dal perimetro di questa occupazione militare è di circa 1.254 kmq, ossia la decima parte dell’intero territorio regionale». [xiii]

Cionondimeno – o forse proprio per questo… – qualcuno ha pensato che Napoli sarebbe stata la sede ideale per ospitare anche il quartier-generale dei ‘wargames’  di una difesa integrata europea e perfino un prestigiosa accademia tipo Hogwarts, dove gli ufficiali europei imparino a padroneggiare le ‘arti oscure’ della guerra. Immagino che i nostri vertici militari avranno gonfiato il petto per l’orgoglio di poter contare quanto prima sulla creazione d’una struttura ‘formativa’ del genere. Forse qualcuno di loro vede già sventolare sul “Rosso Maniero” di Pizzofalcone  [xiv] lo stendardo della nuova “Nunziatelworts School of Warmongery”, dove s’impartiscano insegnamenti e si promuovano ‘competenze’ che non sono esattamente quelle della già discutibile ‘Buona Scuola’, ma attengono piuttosto alle tecniche belliche più avanzate. Basti pensare alla guerra psicologica [xv], al cyber-controllo, all’antiterrorismo, alle operazioni con uso di armi nucleari ed a tante altre istruttive ‘materie’, come quelle studiate nei corsi intensivi alla NATO School che ha sede nella cittadina tedesca di Oberammergau [xvi] oppure, in modo più sistematico, nelle 10 più prestigiose accademie militari del mondo [xvii].  Il generale Claudio Graziano – dal prossimo novembre nuovo Presidente del Comitato Militare dell’Unione Europea [xviii]– si è già espresso entusiasticamente nei confronti del progetto e, con la sua autorità, non mancherà di adoperarsi perché esso diventi realtà.s-l300

« E’ un’iniziativa – ha spiegato il generale Graziano – che la Difesa sta perseguendo con forte determinazione e che porrebbe le Forze Armate all’avanguardia nel campo della formazione necessaria all’Europa per consolidare il suo crescente ruolo di global provider di difesa e sicurezza sugli scenari euro-atlantici […] La cooperazione internazionale è sempre più necessaria per affrontare in modo unitario e sinergico le sfide alla sicurezza. Ma per poter cooperare un Paese deve essere credibile a livello internazionale e deve essere competitivo in tutti i settori e non ultimo in quello della formazione». [xix]

Che dire? Non ci resta che attendere per vedere come andrà a finire questa inquietante (ma assai poco conosciuta) vicenda, che trasformerebbe di fatto la Napoli delle Quattro Giornate, la Città della Pace che guarda con apertura costruttiva ed interculturale al bacino del Mediterraneo, nella capitale del Warfare, gestito a mezzadria dai vertici della NATO e da quelli della EU. Davvero una bella prospettiva!

© 2018 Ermete Ferraro

N O T E ———————————————————————————————–

[i] Alfonso Bianchi, “L’Italia vuole a Napoli la scuola militare europea”,  Eunews , 06.03.2017 > http://www.eunews.it/2017/03/06/litalia-vuole-napoli-la-scuola-militare-europea/79458

[ii] “Nunziatella, c’è il giuramento degli allievi: a Napoli Mattarella e Pinotti”,  ildenaro.it , 17.11.2017 > https://www.ildenaro.it/nunziatella-ce-giuramento-degli-allievi-napoli-mattarella-pinotti/

[iii] Council of European Union, COUNCIL DECISION (CFSP) 2017/of establishing Permanent Structured Cooperation (PESCO) and determining the list of Participating Member States  (08.12.2017) > http://www.consilium.europa.eu/media/32000/st14866en17.pdf

[iv] “Il generale Graziano nominato presidente Comitato militare dell’Unione europea”, Il Sole24ore (07.11.2017) > http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2017-11-07/il-gen-graziano-nominato-presidente-comitato-militare-dell-unione-europea-175017.shtml?uuid=AEkIQ35C&refresh_ce=1

[v] Statuto del Comune di Napoli, art. 3, comma 4 > www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeAttachment.php/L/IT/D/…/P/…/pdf

[vi] Comune di Napoli, Deliberazione della Giunta Comunale n. 609 del 15.09.2015 ad oggetto: “Dichiarazione di Area Denuclearizzata del Porto di Napoli” > http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/docs/143.pdf

[vii] Comune di Napoli, Deliberazione della Giunta Comunale n. 461 del 13.07.2015 ad oggetto: “Approvazione ed autorizzazione della permuta dell’immobile di proprietà statale sito in via Egiziaca a Pizzofalcone con l’immobile….”  ( il documento non è disponibile su Internet).

[viii] “Osservazioni del Segretario Generali” alla D.G.C. 461/2015, ibidem

[ix] Ibidem

[x]  Ibidem

[xi] Gianandrea Gaiani, “Nasce il primo comando, la Nunziatella formerà gli ufficiali europei”, Il Mattino (07.03.2017) , pp. 1-3

[xii]  Redazione Napoli, “Dalla Nunziatella spirano venti di guerra su Napoli” (20.11.2017) , Contropiano > http://contropiano.org/news/politica-news/2017/11/20/dalla-nunziatella-spirano-venti-guerra-napoli-097908

[xiii] Ermete Ferraro, “Campania Bellatrix” (24.03.2013), Contropiano > http://contropiano.org/interventi/2013/03/24/campania-bellatrix-015404

[xiv]  “Rosso Maniero” , oltre ad essere il ‘soprannome’ dell’accademia militare sorta nel XVIII secolo sull’area conventuale di Pizzofalcone per volontà di Ferdinando IV di Borbone, è anche il titolo dell’organo ufficiale della Associazione Nazionale Ex Allievi della Nunziatella > http://www.nunziatella.it/rosso-maniero/

[xv] Su tale aspetto mi sono già soffermato sei anni fa in un articolo per il mio blog:  Ermete Ferraro, “SPY…OPS! Quando la guerra si fa con le parole” (04.02.2012), Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.com/2012/02/04/psy-ops-quando-la-guerra-si-fa-con-le-parole/

[xvi] Visita il sito: https://www.natoschool.nato.int/Academics/Resident-Courses/Course-Catalogue

[xvii] Cfr. A. Abuwala, “10 Best Military Academies From Around the World” (25.04.2017),  WorldAtlas >  https://www.worldatlas.com/articles/10-best-military-academies-from-around-the-world.html  e: Lee Standberry,  “Top 10 International Military Schools” (08.10.2012), Toptenz.net > https://www.toptenz.net/top-10-international-military-schools.php

[xviii] Visita il sito dell’ E.U.M.C. > https://eeas.europa.eu/headquarters/headquarters-homepage/5428/european-union-military-committee-eumc_en

[xix] “Il generale Graziano: ‘La Nunziatella diventerà polo formativo europeo” (18.11.2017), la Repubblica , ed. Napoli > http://napoli.repubblica.it/cronaca/2017/11/18/news/il_generale_graziano_la_nunziatella_diventera_polo_formativo_europeo_-181428074/

Hanno fatto Trenta, non facciano 31

2-giugno-2017Oggi, 2 giugno 2018, uno dei primi atti ufficiali e pubblici degli esponenti del nuovo governo giallo-nero all’indomani del suo insediamento è certamente la partecipazione alla tradizionale parata militare per la Festa della Repubblica. E’ vero: sono decenni che i pacifisti protestano contro questa retorica e costosa esibizione militarista, ricordando che oggi si festeggia, appunto, la nascita della nostra Repubblica (democratica, fondata sul lavoro e che ripudia la guerra) e non di certo le Forze Armate che ne rappresenterebbero semmai solo l’aspetto ‘difensivo’ e che, fra l’altro, la loro ‘festa’ già l’hanno celebrata sette mesi fa.  Niente. Nessuno ha mai ascoltato questo accorato appello del movimento per la Pace, un po’ perché la retorica da parata evidentemente un po’ ci aggrada (il ventennio fascista qualche traccia, anche simbolica, l’ha lasciata…), un po’ perché la voce della frammentata realtà antimilitarista e nonviolenta del nostro Paese è talmente flebile che, forse, noi stessi ci meraviglieremmo se qualcuno ci stesse davvero a sentire…

Quest’anno, poi, la solita ‘parata’ romana del 2 giugno sembra assumere un significato particolare, sia in considerazione del fatto che la figura del Presidente della Repubblica, dopo il travagliato parto governativo, è emersa con maggiore rilievo e peso, sia perché l’immagine del nuovo Esecutivo a trazione pentastellato-leghista appare oggettivamente caratterizzata dal ritorno del nazionalismo e delle sue parole d‘ordine. Non dimentichiamo, poi, che tra le Autorità nella tribuna d’onore della Parata ci sarà anche la nuova ministra della Difesa, la prof.ssa Elisabetta Trenta, esperta di sicurezza e di ‘intelligence’. Come si fa a non notare che il c.d. ‘governo del cambiamento’ – che alla componente femminile ha finora riservato solo cinque posti – ha  sostituito l’ex ministra Pinotti (laureata in lettere ed ex educatrice dell’AGESCI) sì con un’altra donna, però molto più ‘qualificata’ in campo militare?

« Nel suo cv si segnala l’incarico di vicedirettore del master in Intelligence e sicurezza dell’Università Link Campus di Roma. L’esponente 5 Stelle è stata “ricercatrice in materia di sicurezza e difesa presso il Centro Militare di Studi Strategici”. E per nove mesi, su incarico del Ministero degli Affari Esteri, “è stata Political Advisor dei Comandanti della Itjtf in Iraq. Ha rivestito anche il ruolo di esperta in governance nell’Unità di assistenza alla Ricostruzione di Thi Qar”. Dal 1998 – si legge sempre nella sua scheda – Trenta “è stata responsabile di molti progetti di sviluppo e assistenza alla governance sia in Italia che all’estero, dove ha coordinato interventi come quello per l’assistenza ai City Council della provincia di Thi Qar (Iraq) o quello per il rafforzamento delle competenze del Ministero dell’Interno in Libano”. E’ stata inoltre “Country Advisor per la Missione Leonte in ambito Unifil in Libano nel 2009 e ha partecipato ad attività militari e civili, in Italia e all’estero, su incarico del Ministero della Difesa”. [i]

trentaNon c’è che dire: un eccellente curriculum. Peccato che abbia a che fare più con le competenze militari che con quelle di natura sociale, civile ed ambientale che dovrebbero caratterizzare un’organizzazione politica di base, fondata nel 2009 sulle cinque priorità: “acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia[ii].  Ebbene, confesso che la metamorfosi da Movimento 5 Stelle a Movimento 5 Stellette mi preoccupa non poco. Piazzare alla Difesa una docente specializzata in “intelligence and security” non mi sembra una svolta nel ministero chiave per una riconversione civile della spesa militare. Mandare al Palazzo Baracchini di via XX Settembre una ricercatrice del Centro Militare di Studi Strategici, impegnata peraltro in varie  ‘missioni’ in Libano ed in Iraq, non appare per niente un segnale di discontinuità con la nostra tradizionale politica di subalternità ai ‘comandi supremi’ USA e NATO, bensì la conferma dei finanziamenti alle nostre spedizioni militari in giro per mondo, fra le quali alcune risalgono addirittura al 1948 (Palestina), al 1978 (Libano), 1979 (Egitto-Sinai), al 1999 (Kosovo) ed al 2005 (Cipro). Queste sono solo le ‘neverending missions’ per conto dell’ONU, ma non bisogna dimenticare quelle tuttora in corso di natura diversa, , come: Libano (dal 2006) ed Afghanistan (dal 2015). [iii]  Ebbene sì: siamo un paese di santi, poeti e navigatori ma sicuramente anche di ‘missionari’, non più con l’abito bianco e la croce ma con la mimetica e l’elmetto. Basta leggere un esauriente articolo di qualche mese fa – con relative infografiche – per comprendere che il nostro impegno militare all’estero era (e a quanto pare è) destinato a crescere, con gli annessi oneri finanziari e con conseguenze politiche facilmente immaginabili.

«Come confermato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista a Repubblica l’obiettivo per il 2018 è di rafforzare l’impegno nel continente. Il 15 gennaio il ministro, parlando alle commissioni riunite Difesa ed Esteri di Senato e Camera ha presentato il progetto del governo spiegando che si è deciso di “rimodulare l’impegno nelle aree di crisi geograficamente più vicine e che hanno impatti più immediati rispetto ai nostri interessi strategici” e in questo senso il Sahel, ha aggiunto, rappresenta “una regione di preminente valore strategico per l’Italia”. E infatti a ben vedere nel futuro dell’Italia non c’è solo il Niger. Ma ben altri sette Paesi, alcuni dei quali sono partner di lunga data come Libia, Egitto, Gibuti e Somalia, mentre altri sono vere e proprie new entry:  Sahara occidentale, Tunisia, Repubblica centrafricana e Niger appunto.» [iv]  

Solo per le prossime spedizioni è prevista una spesa aggiuntiva di quasi 83 milioni di euro, ma non c’è da dubitare che la nuova ministra – forse per onorare il suo cognome – ritenga anche lei che si debba proseguire su tale strada, visto che “Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”, come si suol dire, citando senza saperlo un’arguta espressione di Pio X, riferita alla sua nomina di nuovi cardinali. [v] Eppure è proprio questo il nodo: se ormai i cinquestelle hanno “fatto Trenta” non sembra proprio il caso di insistere in questa direzione, soprattutto se, sull’altra faccia della medaglia della militarizzazione della società e del territorio, ci ritroviamo la faccia barbuta di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, come Ministro degli Interni.

Niente da eccepire, per carità. Che un leader politico che si è sempre riempito la bocca di parole come ‘sicurezza’, strizzando l’occhio alle ‘forze dell’ordine’ ed auspicando che abbiano finalmente mano libera, approdasse al Viminale era ovvio, perfino scontato. Ciò che preoccupa chi non segue gli stessi parametri securitari, militaristi ed autoritari della destra, modello ‘law and order’ , è però che le priorità del nuovo responsabile degli Interni sono fin troppo chiare: chiusura dei campi rom, espulsione degli immigrati irregolari e blocco dei flussi, rimpatrio degli occupanti di case abusivi e, naturalmente, aumento per le forze di Polizia. [vi]  Non dimentichiamo poi che nel Contratto di Governo, sottoscritto dalla strana coppia giallo-nera e che adesso il premier Conte dovrà attuare – oltre alle previsioni di nuove dotazioni per le forze dell’ordine, (fra cui quelle pistole ‘taser’ denunciate da Amnesty come a rischio di violazione dei diritti umani [vii]) –  c’è anche un paragrafo nel quale si conferma il principio della legittimità comunque dell’autodifesa del proprio domicilio, da sempre invocata dalle destre, sullo spicciativo modello ‘fai-da-te’ dei soliti pistoleri americani:

«In considerazione del principio dell’inviolabilità della proprietà privata, si prevede la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi di incertezza interpretativa (con riferimento in particolare alla valutazione della proporzionalità tra difesa e offesa) che pregiudicano la piena tutela della persona che ha subito un’intrusione nella propria abitazione e nel proprio luogo di lavoro.» [viii]

salvini-ministro-dellInternoCon poche parole, a quanto pare, si stanno per cancellare secoli di garanzie di rispetto dei diritti umani civili e sociali, avviando rapidamente la nostra Italia verso un’ulteriore militarizzazione della società ed una visione poliziesca della sicurezza. Ma tutto questo, ci ha assicurato il capo politico M5S, “non è né di destra né di sinistra”, e noi non possiamo fare a meno di credergli, mutuando la celebre espressione dell’Antonio scespiriano: “…perché Di Maio è uomo d’onore”.  [ix]  Abbiamo, del resto, un Parlamento pieno di questi nuovi “onorevoli” – pentastellati e leghisti – e non possiamo non credere a priori alla loro voglia di ‘cambiamento’, anche se ci deve concedere di nutrire qualche dubbio sul senso in cui esso sta dirigendosi…

Certo, qualcuno potrebbe chiedersi anche come mai un governo definito “giallo-verde” ed il cui co-leader Di Maio è capo d’un movimento che ispirava a materie ‘ecologiche’ ben 4 delle sue 5 stelle, abbia invece speso poco più di tre paginette sulle cinquantotto del famoso ‘Contratto per il governo del cambiamento’. Il suo capitolo 4, infatti, ha un titolo molto promettente (“Ambiente, green economy e rifluti zero”), ma – a parte le premesse iniziali di sapore ecologista e qualche precisazione un po’ didascalica sul concetto di ‘risorsa rinnovabile’ e di ‘economia circolare’ – gli impegni veri e propri sono abbastanza circoscritti. Riguardano in particolare; a) la riduzione e raccolta differenziata dei rifiuti, con una loro gestione ‘a filiera corta’; b) un programma di mappatura e bonifica dei siti a rischio amianto; c) la manutenzione ordinaria e straordinaria del suolo, come prevenzione dei disastri idro-geologici e riduzione dei rischi sismici; d) la lotta allo spreco di suolo e l’impegno per la ‘rigenerazione urbana’; e) il contrasto al cambiamento climatico mediante interventi che spingano sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili; f) provvedimenti specifici, infine, sono individuati per zone a rischio ambientale come la pianura Padana (?!), le aree metropolitane e l’ILVA di Taranto, in quest’ultimo caso senza indicare quali provvedimenti s’intenda effettivamente adottare né sciogliere il dilemma che contrappone la salvaguardia ambientale e della salute alla salvaguardia dell’occupazione ed al ventilato “sviluppo industriale del Sud”. [x]

costaBeh, non ci resta allora che stare a vedere cosa ci aspetta nei prossimi mesi o anni, sperando che almeno in questo settore l’inserimento nella squadra di governo di Sergio Costa – stimabile ed esperto comandante napoletano della Forestale poi promosso a generale dei Carabinieri per l’Ambiente della Campania  – costituisca almeno una garanzia di serietà nella lotta alle ecomafie ed agli sporchi affari di chi gioca con la salute della collettività e l’integrità del territorio. Espresso questo apprezzamento da ambientalista,  come ecopacifista consentitemi però di sottolineare la scellerata follia di chi nel 2016 decretò l’assorbimento d’un Corpo – autonomo e civile – di polizia ambientale all’interno dell’Arma dei Carabinieri, di fatto militarizzandone e burocratizzandone in modo irresponsabile le insostituibili funzioni operative di presidio del territorio. Basterà un integerrimo ufficiale come Costa promosso a Ministro per dare credibilità al piuttosto vago programma ambientale del governo Conte? Dobbiamo augurarcelo, ma non dimentichiamo che da oggi – festa della Repubblica nata dalla Resistenza – comincia un periodo in cui siamo tutti/e chiamati a vigilare sugli esiti democratici e sociali di questo ambiguo ‘ cambiamento’. Se non altro per evitare che, fatto Trenta, cerchino di fare anche trentuno…

© 2018 Ermete Ferraro

——– N O T E —————————————————————————-

[i] “Chi è Trenta, il nuovo Ministro della Difesa”  > http://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/06/01/chi-elisabetta-trenta-nuovo-ministro-della-difesa_MdtADDTcG0y7yRv5E7KBIK.html?refresh_ce

[ii] “Movimento 5 Stelle”, Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_5_Stelle#cite_note-21

[iii] “Missioni militari italiane all’estero”, Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Missioni_militari_italiane_all%27estero

[iv] Alberto Bellotto, “Missioni militari italiane all’estero: le novità del 2018”, 11.01.2018,  Gli occhi della guerra >http://www.occhidellaguerra.it/missioni-militari-italiane-allestero-le-novita-del-2018/

[v] “Perché si dice abbiamo fatto 30, facciamo 31” > http://www.lettera43.it/it/comefare/curiosita/2017/01/27/perche-si-dice-abbiamo-fatto-30-facciamo-31/6779/  In effetti la frase originaria del Papa era: “Tanto è trenta che trentuno”

[vi] Cfr.: https://www.tpi.it/2018/06/01/salvini-ministro-interno/

 

[vii] “Sperimentazione delle pistole taser: la posizione di Amnesty International Italia” (23.03.2018) > https://www.amnesty.it/sperimentazione-delle-pistole-taser-la-posizione-amnesty-international-italia/

[viii] “La legittima difesa nel contratto di governo», Armi e tiro  (18.05.2018) > http://www.armietiro.it/la-legittima-difesa-nel-contratto-di-governo-9728

[ix] W. Shakespeare, Julius Caesar, atto III scena III – Cfr.: http://shakespeare.mit.edu/julius_caesar/julius_caesar.3.2.html

[x] Movimento 5 Stelle – Lega, Contratto per il governo del Cambiamento – Cap. 4 “Ambiente, green economy e rifiuti zero” (pp. 10-13) > https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/18/governo-m5s-lega-il-contratto-di-governo-versione-definitiva-del-testo/4364587/

“RIARMISTI ESIGENTI” ?

  1. Dal Nobel per la Pace al primato delle armi ?

imagesE’ dagli anni ’70 del secolo scorso che mi occupo di antimilitarismo, resistenza alla guerra, azione nonviolenta per la pace e difesa alternativa, ma devo confessare che sono più che mai preoccupato per la nuova escalation nella corsa agli armamenti e per l’atmosfera guerrafondaia nella quale ci troviamo sempre più immersi. Quarant’anni dopo, infatti, mi trovo ancora a scendere in piazza contro la guerra prossima ventura ed a lanciare iniziative contro il disarmo nucleare, come se le lancette dell’orologio della storia fossero state assurdamente riportate indietro, ai tempi  dell’equilibrio del terrore. Eppure c’è qualcuno che storce il naso di fronte a tali mobilitazioni, la cui validità e urgenza hanno peraltro ricevuto l’onore di un riconoscimento ufficiale e prestigioso col conferimento del Premio Nobel per la Pace 2017 all’I.C.A.N. [i] (International Campaign to Abolish Nuclear Weapons). C’è chi sostiene, infatti, che un vero movimento contro la guerra non dovrebbe lasciarsi ingenuamente irretire dall’inganno del pretestuoso conflitto U.S.A.-Corea del Nord sugli armamenti nucleari, perdendo così di vista le quotidiane e sanguinose guerre combattute convenzionalmente – e sanguinosamente – in tutto il resto del mondo.

Certo, lo stesso Papa Francesco ci ha ripetutamente richiamato alla tragica realtà di una ‘guerra mondiale combattuta a pezzi’, cui tristemente rischiamo di assuefarci, come se fossimo i passivi spettatori di un orribile, ma in qualche modo virtuale, wargame. E’ evidente che sull’esasperazione della crisi coreana si sia molto puntato, per distogliere l’attenzione da altri scenari geopolitici e per criminalizzare ‘regimi’ dalla cui minaccia i soliti ‘liberatori’ dovrebbero ancora una volta salvarci. E non meno vero, però, che l’impennata nuclearista e militarista che stiamo registrando in questi anni desta una legittima preoccupazione in chi, pur convinto da sempre che “la guerra è follia” [ii] per citare ancora il Papa – si augurava almeno che alla pazzia distruttiva ed al delirio di onnipotenza fosse stato posto quanto meno un limite. Anche i ragazzi della scuola media, del resto, sanno che una guerra nucleare non potrebbe mai avere vincitori (come peraltro hanno ricordato alcuni giorni fa i vescovi della conferenza episcopale coreana in un loro accorato appello) [iii] .  Nondimeno ci tocca assistere ogni giorno ad allucinanti dichiarazioni ed a grottesche esibizioni muscolari proprio in materia di armamenti nucleari, in un incredibile gioco al massacro che sfida il buon senso e lascia perplessi gli stessi professionisti della guerra, quella casta militare che si trova scavalcata in rodomondate dall’ignorante arroganza dei propri leader politici.

Intendiamoci, dietro ogni conflitto armato c’è sempre e comunque lo zampino dell’onnipotente complesso militare-industriale. Da un po’ di tempo, tuttavia, si direbbe che qualcuno abbia preso troppo sul serio la sarcastica frase di Georges Clemenceau, secondo il quale “la guerra è una cosa troppo seria per lasciarla in mano ai militari” [iv]  al punto da ipotizzare che essa possa essere affidata, non meno incoscientemente, in quelle assai meno esperte dei sedicenti ‘grandi della Terra’ ed alla loro mania – maschilista prima ancora che bellicista – di esibire … ordigni più potenti degli altri.  Ci troviamo quindi spettatori d’un incredibile teatrino mediatico, che rinforza esalta e diffonde le allucinanti dichiarazioni dei protagonisti di questa assurda sfida all’ultimo missile ed alla testata nucleare più distruttiva. Il rischio, ancora una volta, è quello di assuefarci lentamente a questa logica perversa, sentendoci ancor più impotenti di fronte ad una catastrofe atomica prossima ventura. Si tratta di una guerra psicologica, che rischia però di aprire la strada a quella vera, agitando continuamente lo spauracchio di un pericolo da cui dovremmo difenderci, come se il vero pericolo non fosse proprio questo modo di difendersi.

  1. Disarmisti esigenti, per contrastare i venti di guerra nucleare

Negli ultimi anni si sono sviluppati, all’interno della galassia pacifista, diversi movimenti specificamente antinuclearisti e, un po’ ovunque, si sono svolte numerose manifestazioni al fine di richiamare l’opinione pubblica dei vari Paesi ad un atteggiamento più responsabile e proattivo nei confronti dei rispettivi governi, anche ricordando loro che esiste un’autorità sovranazionale che dovrebbe disciplinare questioni così centrali per la stessa sopravvivenza del Pianeta. In Italia, ad esempio, è nato nel 2014 il movimento dei Disarmisti Esigenti [v], formato da attivisti nonviolenti che si adoperano per la pace ed il disarmo,  in risposta all’appello di Stéphane Hessel ed Albert Jacquard ad “esigere un disarmo nucleare totale”. Anche a Napoli, in occasione dell’assemblea nazionale d’uno storico movimento nonviolento di matrice spirituale come il M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione)[vi], branca italiana dell’ I.F.O.R. [vii], si è svolto recentemente un incontro pubblico sul tema “Bandire le armi nucleari” [viii], da me coordinato, cui hanno partecipato autorevoli esponenti di tali organizzazioni ed al quale è intervenuto anche il vice-sindaco della Città, al quale è stata consegnata una proposta di deliberazione proprio sul disarmo nucleare.FOTO MODIFICATA

Ebbene, anche se l’attribuzione del Nobel per la pace alla già citata I.C.A.N. costituisce un evidente riconoscimento a questo movimento internazionale rigorosamente disarmista ed alla sua campagna per l’abolizione degli armamenti nucleari, temo che nel mondo si stia sviluppando a ritmo ancor più incalzante il movimento che mi viene da chiamare dei “riarmisti esigenti”. Si tratta in primo luogo dell’allarmante e diffusa tendenza dei governi ad investire sempre più risorse del proprio bilancio nella cosiddetta ‘difesa’, ma anche della molto più comune e popolare tendenza ad armarsi per tutelare se stessi ed i propri beni, secondo una logica che negli USA ha radici popolari, molto antiche e profonde. A nulla serve dimostrare razionalmente che i massacri bellici hanno provocato indicibili stragi ed enormi danni, assolutamente non commisurabili a qualsiasi vantaggio ricavabile dagli stessi ‘vincitori’. Altrettanto inutile, a quanto pare, è anche dare dimostrazione tangibile che nei Paesi dove circolano liberamente le c.d. ‘armi da difesa’  per uso personale il tasso d’insicurezza e di mortalità è nei fatti assai più elevato di quelli in cui la loro detenzione è rigorosamente regolamentata.

Questi ‘riarmisti esigenti’ – dopo decenni in cui credevamo di aver definitivamente messo da parte l’orrore del militarismo e le deliranti ideologie che inneggiavano alla guerra come ‘sola igiene del mondo’ – sembrano aver ritrovato la loro arrogante vitalità, che li porta a chiedere sempre più uomini, mezzi e risorse finanziarie per nuove e pesanti azioni belliche. La stessa ‘arms race’ o ‘corsa agli armamenti’ – espressione che speravamo cancellata – sta conseguentemente ritornando una sorta di disciplina olimpionica, nella quale un numero crescente di stati intendono esercitarsi, sottraendo al proprio benessere interno i miliardi da destinare all’acquisto e gestione di ordigni bellici con effetti sempre più devastanti per la vita degli esseri umani e per gli stessi equilibri ecologici del Pianeta. L’antropologo culturale Franz Boas ebbe a studiare alcuni fenomeni apparentemente inspiegabili, come il rito del ‘potlatch’ [ix], praticato in passato da aborigeni della costa nord-occidentale del Pacifico degli Stati Uniti e del Canada, in base al quale: “individui dello stesso status sociale distribuiscono o fanno a gara a distruggere beni considerevoli per affermare pubblicamente il proprio rango o per riacquistarlo nel caso lo abbiano perso”. Molte interpretazioni sono state date a questo sorprendente cerimoniale:  alcune positive, come la teoria del dono gratuito e del riequilibrio dei rapporti economici e di potere; altre radicalmente opposte, come quella che viceversa ne mostrava il carattere di assurda ed esasperata competizione,  finalizzata solo ad affermare il proprio peso ed autorità a danno degli altri. Un arguto interprete di questo apparentemente ‘selvaggio’ rito è stato il grande linguista e saggista Umberto Eco che, in un articolo del suo “Secondo diario minimo” [x], parlò argutamente dell’istituzione del “potlatch bellico” : un ‘gioco della guerra’ che consentirebbe ai generali di autosostenere le proprie forze armate  “secondo la luminosa teoria del ‘giro a vuoto istituzionalizzato”. Il guaio è che questo genere di ‘war-game’ rischia di costarci molto caro, mettendo a repentaglio la sopravvivenza stessa dell’umanità su quella che Dante chiamava “l’aiuola che ci fa tanto feroci” (Paradiso, XXII, 151).

Sventare l’uragano bellicista con la forza della nonviolenza attiva

images (1)Abbiamo appreso recentemente da un articolo di Manlio Dinucci [xi]  che il Senato U.S.A. ha approvato – con voto bipartisan e perfino con emendamenti peggiorativi dell’opposizione democraticaun ulteriore aumento del bilancio del Pentagono, portandolo nei fatti a circa 1.000 miliardi di dollari: un quarto dell’intero bilancio federale. I circa 37 miliardi spesi dalla fin troppo militarizzata Corea del Nord nel 2016 [xii]  rappresentano in effetti solo il 3,7 % dell’incredibile montagna di denaro sperperata per le spese militari statunitensi, eppure costituiscono quasi il 16% del P.I.L. di quello stato e lo portano in cima della classifica dei guerrafondai. Tornando agli U.S.A., non è certo privo di significato il fatto che nel solo numero del 23 ottobre di TIME Magazine troviamo ben due articoli in cui si sottolinea la tendenza di Donald Trump a trattare lo stesso stato maggiore della Difesa come dei subordinati cui dare ordini sempre più azzardati e bellicosi. Nel primo si riferisce che il potente senatore repubblicano Bob Corker, presidente della Commissione relazioni estere, ha dichiarato in un’intervista che il presidente Trump sta portando gli U.S.A. “…sulla strada della III guerra mondiale e trattando il suo ufficio come un reality show” [xiii]. Nel secondo articolo, il cui autore è James Stavridis (ex ammiraglio della U.S. Navy, già Comandante Supremo N.A.T.O. per l’Europa) si chiarisce il contenuto fin dal titolo: “Quando il Comandante in Capo non rispetta i suoi Comandanti”. Da una parte, argomenta Stavridis, Trump ha selezionato alti ufficiali per nominarli ai più alti livelli della Casa Bianca. “Sembra però che egli abbia bisogno di dominarli pubblicamente e che stia cercando di spingerli dentro dibattiti politici pubblici con modi che saranno sempre più spiacevoli per loro. Egli continua a tuittare in modo nazionalista e militarista, sbruffoneggiando effettivamente sulla scena globale e  nazionale col randello del valore militare degli Stati Uniti – infiammando situazioni già tese e mettendosi in conflitto coi costanti consigli dei suoi generali, la cui competenza operativa, lealtà alla nazione ed approccio apolitico sono fuori discussione. […] Trump è una sorta di uragano: imprevedibile, potenzialmente distruttivo e dotato di un’enorme potenza…” [xiv] .

Altro che “War is over” ! [xv] L’augurale canzone di John lennon e Yoko Ono continuerà ad accompagnare simbolicamente le nostre battaglie antimilitariste, disarmiste e nonviolente, ma è innegabile che il clima politico che respiriamo quotidianamente non alimenta la speranza. Se è vero che il warmongering è stata una costante che ha tristemente accompagnato l’umanità da oltre un secolo, attizzando il fuoco dei conflitti armati e provocando immani tragedie, non si può certo affermare che lo spirito guerrafondaio ormai sia  ‘over’, cioè alle nostre spalle. Quello tradizionale della casta militare, anzi, rischia addirittura di essere scavalcato dai furori interventisti dei capi politici e dal perfido cinismo dei mercanti di morte, convinti da sempre che – per citare un significativo film di Alberto Sordi: “finché c’è guerra c’è speranza[xvi].  I “riarmisti esigenti” della N.A.T.O. , ad esempio, sono diventati sempre più aggressivi e pretendono l’aumento delle spese militari da quegli stati che non si sono ancora allineati alle loro pressanti richieste. L’intero scenario globale è infestato da questi pericolosi esemplari del genere umano, capaci solo di seminare veleno nei rapporti internazionali, alimentando vecchi e nuovi conflitti e sognando un mondo ‘igienizzato’ dalla guerra. “Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant” [xvii], scriveva 19 secoli fa il grande storico P. Cornelio Tacito, riferendo la terribile accusa del capo calèdone Calgaco nei confronti dell’imperialismo militarista dei Romani. Ebbene, se vogliamo evitare che i moderni imperialismi trasformino definitivamente la nostra terra in un deserto, chiamandolo sacrilegamente ‘pace’, tocca a noi tutti diventare ‘disarmisti esigenti’, affrontando con determinazione e contrastando la deriva militarista che sta travolgendo il dibattito politico e sconvolgendo la stessa razionalità delle relazioni umane, in nome di un assurdo ‘potlatch bellico’.

NOTE ——————————————————————————————

[i]   http://www.icanw.org/

[ii] http://www.sanfrancescopatronoditalia.it/notizie/religione/papa-francesco-la-guerra-%C3%A8-follia-31759#.WeyMgo-0MnR

[iii] http://www.difesapopolo.it/Mondo/Ritorna-l-incubo-dell-atomica.-I-vescovi-coreani-Fermiamoci.-Sarebbe-una-guerra-senza-vincitori

[iv] https://it.wikiquote.org/wiki/Georges_Clemenceau

[v]  http://www.disarmistiesigenti.org/

[vi] http://www.miritalia.org/

[vii]  http://www.ifor.org/#mission

[viii] https://www.miritalia.org/2017/09/25/bandire-le-armi-nucleari-incontro-pubblico-a-napoli-organizzato-dal-mir/

[ix]  F. Boas, L’organizzazione sociale e le società segrete degli indiani Kwakiutl (1897) > https://it.wikipedia.org/wiki/Franz_Boas

[x]   U. Eco, Secondo Diario Minimo, (1992)  > https://books.google.it/books?id=OqCgDQAAQBAJ&pg=PT16&lpg=PT16&dq=Umberto+Eco+%2B+potlatch&source=bl&ots=dk8fLqvP_q&sig=esTvZREDIyEFcg2qJun8yiVCnyg&hl=it&sa=X&ved=0ahUKEwjSgvGGmITXAhWCUhQKHc8eDRMQ6AEIJzAA#v=onepage&q=Umberto%20Eco%20%2B%20potlatch&f=false

[xi] https://ilmanifesto.it/bipartisan-il-riarmo-usa-anti-russia/

[xii] V.  rapporto del SIPRI 2016 : “Trends in World Military Expenditure” >  https://www.sipri.org/sites/default/files/Trends-world-military-expenditure-2016.pdf . Vedi anche l’articolo italiano: http://www.lastampa.it/2017/07/07/vaticaninsider/ita/inchieste-e-interviste/un-mondo-di-armi-chi-le-fa-chi-le-vende-chi-le-compra-C98kr6EFYxm4q39gsfMahK/pagina.html

[xiii] “A war of words with Senator Bob Corker endangers the President’s agenda” by Ph. Elliott, TIME (Oct. 23, 2017), p.8 (trad. mia)

[xiv]  “When the Commander in Chief disrespects his Commanders” by J. Stavridis, TIME (Oct. 23, 2017), p. 13 (trad. mia)

[xv]  J. Lennon, War is Over > https://www.youtube.com/watch?v=z8Vfp48laS8

[xvi]  http://www.filmtv.it/film/2756/finche-c-e-guerra-c-e-speranza/

[xvii]  P. C. Tacitus, De vita et morbus Iulii Agricolae, XXX