UNA PACE DA COSTRUIRE (*)

international_day_of_peace-900x450 Ci siamo scordati la pace?

Il 21 settembre è la data in cui dal 1981, per iniziativa dell’O.N.U., si celebra la Giornata Internazionale della Pace [i]. E’ però evidente che in Italia tale iniziativa ha avuto ancora una volta scarso rilievo, sia mediatico sia in termini di eventi. Basta infatti consultare un qualsiasi motore di ricerca su Internet per accorgersi che, fatta eccezione per l’emittente televisiva di San Marino, Radio Monte Carlo, il tg di Sky24 e qualche rivista specializzata, ben pochi quotidiani, radio e televisioni hanno recepito e ricordato tale data. Oltre alla mostra ‘Colors of Peace’ all’esterno del Colosseo, una mostra di libri sulla pace a Cervia, una biciclettata ambiental-pacifista a Foggia, una sessione di Yoga a Padova ed un incontro pacifista a Palermo, si sono conseguentemente registrate ben poche iniziative riconducibili a questa ricorrenza.

Sarà forse l’infausta (ma significativa…) coincidenza di data dell’International Peace Day  con la Giornata Mondiale dell’Alzheimer, ma la sensazione che se ne ricava è che l’interesse e l’impegno per l’educazione alla pace – come avviene del resto anche con la ricerca sulla pace e con la stessa azione per la pace – stia progressivamente calando.  E’ senz’altro cosa buona e giusta che si ponga in primo piano il fenomeno della preoccupante diffusione a livello mondiale del morbo di Alzheimer  (un tipo di demenza che provoca gravi problemi con la memoria, il pensiero ed il comportamento), aggiornando le nostre conoscenze sui possibili interventi preventivi e terapeutici per fronteggiarlo. Mi sembra invece assai meno positivo che ragionare sulla pace coinvolga sempre meno persone, anche in ambito formativo, alimentando la strana sensazione che riguardo ad una questione così centrale per l’intera umanità si registri una preoccupante tendenza alla perdita della memoria sulla tragedia dei conflitti bellici, alla carenza di riflessioni sulla pace e ad una ridotta attenzione alla promozione di comportamenti di pace.

Il rispetto di ricorrenze, celebrazioni ed anniversari, si sa, non è necessariamente indice di un crescente investimento della società, della cultura e delle istituzioni educative sui quegli specifici temi. Paradossalmente, anzi, potremmo trovarci di fronte all’ipocrita esaltazione una tantum di valori che nei fatti, nella vita quotidiana, non trovano invece un reale apprezzamento né un’effettiva valorizzazione. Ciò premesso, penso che non dobbiamo sottovalutare il peso di questo innegabile calo di tensione nella formazione delle nuove generazioni a pensieri, sentimenti e comportamenti che mettano al centro la pace ed il superamento dei conflitti in chiave nonviolenta. Dopo la stagione della superficialità e del qualunquismo ideologico – che ha fatto registrare nei decenni scorsi la diffusione nelle scuole di progetti di educazione alla pace spesso raffazzonati e contradittorii –  ci troviamo oggi nella fase in cui le problematiche della pace stanno quasi scomparendo dall’orizzonte educativo, dominato da ben altri obiettivi e dallo sviluppo diversi ‘skills. E’ infatti dal 2006 che l’U.E. ha indicato a tutti i paesi membri quali dovrebbero essere le otto “competenze chiave per l’apprendimento permanente” [ii] :   1) comunicazione nella madrelingua;  2) comunicazione nelle lingue straniere;  3) competenza matematica e competenze di base in scienza e tecnologia;  4) competenza digitale;  5) imparare a imparare;  6) competenze sociali e civiche; 7) spirito di iniziativa e imprenditorialità;  8) consapevolezza ed espressione culturale.  Ma che fine hanno fatto le conoscenze e le competenze riguardanti la pace?

Competenze nei conflitti o conflitti di competenze ?

 imagesE’ abbastanza evidente che – fatta eccezione per le ‘competenze sociali e civiche’ , quelle che chiamiamo ‘di cittadinanza’ –  nell’elenco delle priorità formative manca un riferimento esplicito a quelle che abbiano a che fare con la crescita della consapevolezza della natura dei conflitti e con la promozione della pace come alternativa concreta alla violenza personale e strutturale che affligge la nostra realtà. Leggendo con attenzione i documenti del Ministero dell’Istruzione italiano (MIUR), ed in particolare le famose ‘Indicazioni’ del 2012, apprendiamo certamente  che la formazione scolastica dovrebbe sviluppare negli studenti adeguate competenze civico-sociali, ma non si va oltre la genericità di tali affermazioni.

«L’educazione alla cittadinanza viene promossa attraverso esperienze significative che consentano di apprendere il concreto prendersi cura di se stessi, degli altri e dell’ambiente e che favoriscano forme di cooperazione e di solidarietà. Questa fase del processo formativo è il terreno favorevole per lo sviluppo di un’adesione consapevole a valori condivisi e di atteggiamenti cooperativi e collaborativi che costituiscono la condizione per praticare la convivenza civile. Obiettivi irrinunciabili dell’educazione alla cittadinanza sono la costruzione del senso di legalità e lo sviluppo di un’etica della responsabilità, che si realizzano nel dovere di scegliere e agire in modo consapevole e che implicano l’impegno a elaborare idee e a promuovere azioni finalizzate al miglioramento continuo del proprio contesto di vita, a partire dalla vita quotidiana a scuola […] È attraverso la parola e il dialogo tra interlocutori che si rispettano reciprocamente, infatti, che si costruiscono significati condivisi e si opera per sanare le divergenze, per acquisire punti di vista nuovi, per negoziare e dare un senso positivo alle differenze così come per prevenire e regolare i conflitti». [iii]

Si tratta senz’altro di obiettivi importanti e sicuramente positivi per la crescita umana e civica dei nostri ragazzi. Magari non particolarmente congruenti con le altre sette competenze chiave – che invece ribadiscono il primato di una società che esalta la comunicazione in senso mediatico, le tecnologie informatiche e perfino l’imprenditorialità, ma sono pur sempre validi riferimenti per l’educazione della persona e del cittadino. Valori come l’attenzione all’ambiente, la solidarietà, la legalità ed il senso di responsabilità, in effetti, rimangono molto importanti nello sviluppo di quella che viene chiamata educazione alla ‘convivenza civile’. Fatto sta che alla conflict resolution si accenna solo nell’ultima parte del testo citato ed il discorso sembra ristretto ai pur fondamentali aspetti del ‘dialogo’ interpersonale e del ‘rispetto’ reciproco, facendo solo un fugace riferimento alla questione che è invece centrale: come “prevenire e regolare i conflitti”. [iv]

Educazione vs maleducazione alla pace?

Già nel 2008 mi era capitato di approfondire l’approccio nostrano a tali problematiche e le mie riflessioni erano confluite in un saggio, il cui significativo titolo è lo stesso di questo paragrafo. [v] Purtroppo, dopo dieci anni la situazione non mi sembra migliorata, per cui la quasi totalità delle osservazioni che facevo allora possono essere riproposte ancor oggi. Con l’aggravante che se allora bisognava stare attenti alle mistificazioni di quella che definivo ‘maleducazione alla pace’, adesso l’interesse nei confronti di tali problematiche da parte delle istituzioni scolastiche – e ahimè degli stessi docenti… – appare ulteriormente scemato.

imagesNella ‘scuola Pon-Pon’ , tutta presa dalla digitalizzazione dell’insegnamento [vi], dalla diffusione del c.d. ‘pensiero computazionale’ e dal martellante consolidamento a suon di test della priorità di alcune discipline-chiave sulle altre, restano evidentemente sempre meno spazio tempo e risorse da dedicare a percorsi formativi riguardanti la risoluzione dei conflitti in chiave nonviolenta. Viceversa, non ci sono certo mancati in questi anni gli inviti all’esaltazione retorica degli anniversari della ‘Grande Guerra’ e si è manifestata la sempre più invadente presenza dentro le istituzioni scolastiche di realtà che fanno capo al sistema militare e ad una concezione esclusivamente bellica della ‘difesa’.[vii]  E’ chiaro allora che su questo terreno accidentato – anche a causa della progressiva scomparsa di solidi fondamenti ideologici che contrastino col pensiero unico liberista ed ora anche nazionalista –  i progetti che puntano sull’educazione alla pace stentano ad attecchire, seppur non mancano iniziative significative come quella sulle “scuole smilitarizzate” lanciata nel 2013 da Pax Christi [viii], con l’appoggio di altre realtà cattoliche come i Missionari Saveriani [ix] dei movimenti nonviolenti e di altre voci libere.

Il problema di fondo è che in Italia manca una cultura diffusa su queste problematiche; diventano sempre di meno le realtà formative ed accademiche che si occupano di peace research;  troppo spesso la stessa educazione alla pace è stata spesso confusa con una moralistica educazione alla convivenza civile o, peggio, con la formazione dei giovani ad evitare i conflitti, piuttosto che ad affrontarli in modo alternativo e creativo. Nel saggio del 2008, dunque, mi era parso necessario puntualizzare che:

« L’educazione per la pace è orientata soprattutto agli esiti del processo formativo, cioè alla realizzazione di comportamenti individuali e di gruppo che consentano relazioni nonviolente e, in generale, un progressivo superamento della violenza nei rapporti, dal micro al macro livello.

L’educazione alla pace si occupa maggiormente della formazione ad una cultura pacifica alternativa, intesa sia come insieme di conoscenze e tecniche specifiche, sia come repertorio di tematiche e spunti per un lavoro educativo che si proponga il superamento della distruttività dei conflitti.

La pace nella educazione ­ secondo il noto studioso norvegese Magnus Hassvelsrud ­ è un processo di miglioramento delle inter­relazioni in ambito specificamente educativo, all’interno di un profondo cambiamento delle strutture socio­educative, così da poter parlare di “educazione alla pace” senza cadere in contraddizione». [x]

Fermo restando che tutti i tre approcci andrebbero perseguiti, mi rendo conto che nella scuola italiana di oggi sarebbe forse opportuno puntare soprattutto al primo. Educare per la pace, infatti, non richiede un investimento di tempo e risorse particolarmente gravoso né implica la presenza di formatori altamente qualificati. L’attenzione prevalente agli esiti della formazione (relazioni prive di violenza, consapevolezza della violenza indiretta e strutturale oltre che di quella diretta ed immediatamente percepibile) potrebbe infatti coinvolgere docenti di varie materie in progetti collettivi ed interdisciplinari, assecondando anche l’impulso al coordinamento dell’azione educativa e finalizzandola a comportamenti pacifici.

Competenze di pace vs spinta alla competizione

 E’ evidente che una società sempre più competitiva, iniqua e violenta non asseconderà mai davvero un’educazione alla pace che formi le nuove generazioni alla cooperazione, alla solidarietà ed al superamento della violenza. La scuola – dobbiamo esserne consapevoli – è lo specchio dei modelli di sviluppo e di convivenza presenti nella società, ma ciò non ci deve impedire d’inserirci nelle contraddizioni insite in tale rapporto. Ecco perché, per evitare di scadere in un moralismo generico quanto improduttivo, credo sia utile rifarsi anche in questo ambito alle sei ‘competenze per l’E.P.’ proposte nel 1999 dall’UNICEF, citate nel mio saggio e riproposte nel 2012 dalla stessa organizzazione. [xi]:  

  • Identificare ed implementare soluzioni per risolvere i conflitti;

  • identificare ed evitare situazioni a rischio;

  • dare una valutazione critica delle soluzioni violente proposte ordinariamente dai media;

  • opporre resistenza ai condizionamenti da parte di coetanei e adulti a fare ricorso a comportamenti violenti;

  • diventare mediatori nelle situazioni di conflitto;

  • contrastare ogni forma di pregiudizio ed accrescere l’accettazione e l’apprezzamento della diversità». [xii]

Ebbene, se nelle nostre aule riuscissimo a seguire, anche parzialmente, questo percorso educativo credo che si farebbero molti passi avanti nella costruzione di una scuola diversa, capace di mettere in crisi dal basso l’ipocrisia di chi promuove nei fatti una mentalità competitiva e selettiva e, di conseguenza, comportamenti miranti all’individualismo, al successo, all’affermazione dell’io sul noi, alla scissione dell’educazione formale dalle scelte etiche.

Mi sembra quindi che sia arrivato il momento di rimboccarci le maniche, perché nessuna riforma della scuola (si autodefinisca o meno ‘buona’…) potrà impedirci di svolgere il nostro autentico ruolo di educatori, troppo spesso sopravanzato dalle preoccupazioni derivanti da un insegnamento che, alla faccia della sbandierata ‘autonomia’, diventa sempre più standardizzato, tecnologizzato ed eterodiretto. Basta documentarsi opportunamente, collegarsi ad altri docenti che lavorano in tal senso e promuovere nuove occasioni formativi e di confronto delle esperienze, come quella realizzata due anni fa nel piccolo e virtuoso comune di Monteleone di Puglia, [xiii] , in occasione della quale ho dato il mio piccolo contributo, con una presentazione sulla comunicazione nonviolenta [xiv] e successivamente sull’approccio ecopacifista.

nonviolenza Concludo riportando quanto scrivevo dieci anni fa, tuttora valido, a proposito della metodologia più idonea al perseguimento di un’educazione alla pace che non resti sconnessa dal contesto formativo, ma caratterizzi il nostro lavoro di docenti e lasci una traccia effettiva nei nostri studenti.

« 1) L’E.P. dovrebbe sempre essere presentata come educazione alla gestione positiva dei conflitti, proprio per non cadere nell’equivoco che la violenza è il prodotto naturale del conflitto e che per vivere pacificamente dobbiamo far finta che i conflitti non esistano, col rischio di alimentare l’idea un po’ manichea che la colpa sia sempre dei “cattivi” di turno.

2) La prima cosa da fare, per dimostrarsi davvero nonviolenti, credo che sia dichiarare apertamente (i latini usavano il verbo “con­fiteri”) le proprie convinzioni, ideologiche o religiose che siano, da cui scaturisce la nostra proposta educativa. In caso contrario, si cade nell’illuministica concezione che la verità sia auto­evidente, alla luce della ragione, e che basti quindi “spiegare” i diritti dell’uomo, oppure la negatività delle guerre o anche i meccanismi di sfruttamento dell’uomo e della natura, perché ne derivino conseguenze positive. Su un pensiero “debole” o un relativismo etico, ne sono convinto, non si costruisce una credibile educazione per la pace, che ha bisogno di solide convinzioni. Tutt’al più, si promuove una generica ed un po’ superficiale cultura pacifista.

3) Si dovrebbe evitare di presentare l’E.P. solamente come una questione di relazioni pacifiche, poiché un rapporto più rispettoso, armonico ed equilibrato tra individui è sicuramente il fondamento di una modalità pacifica di convivenza civile, ma non esaurisce certo le potenzialità di un’alternativa nonviolenta, che investe anche il livello intermedio (gruppi, comunità, relazioni fra individui e istituzioni) ed il macro­livello (relazioni internazionali,modelli di sviluppo, sistemi di difesa.  4) Un altro errore da non compiere è quello di scindere le questioni riguardanti la pace da quelle concernenti l’ambiente, dimenticandosi che i disastri ambientali sotto gli occhi di tutti sono frutto della stessa logica predatoria e di dominio che scatena i conflitti bellici, e che questi ultimi trovano spesso un movente nella pretesa di accaparrarsi fondamentali risorse naturali, dal petrolio alla stessa acqua…».

Le risorse per documentarsi non mancano, a partire dall’esaustiva biblio-sitografia (sia pur in inglese) cui rinvia la rubrica ‘Get involved’ del sito ufficiale della Giornata Internazionale della Pace.[xv]  Possiamo poi utilizzare manuali come il testo di Gabriella Falcicchio sui ‘profeti scomodi’ della Nonviolenza [xvi],  raccolte di esperienze come il libro ‘Percorsi di Pace…dal Sud’ [xvii],  la sezione bibliografica specifica curata dal Centro Sereno Regis di Torino [xviii] oppure testi come quelli di Daniele Novara sulla trasformazione nonviolenta dei conflitti. [xix]

Beh, se per il 21 settembre non siete riusciti ad organizzare qualcosa anche nella vostra classe, non preoccupatevene. Vuol dire che la Giornata Internazionale della Pace è comunque servita a ricordarci che abbiamo altri 364 giorni all’anno per fare qualcosa che serva ad educare i nostri ragazzi/e a costruire, insieme, alternative pacifiche, dal micro al macro livello.[xx]


N O T E

[i] Info su: https://internationaldayofpeace.org/

[ii] Vedi: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/?uri=LEGISSUM%3Ac11090

[iii] Cfr. https://dida.orizzontescuola.it/news/competenze-chiave-l%E2%80%99apprendimento-permanente-e-di-cittadinanza

[iv]  Cfr. Ermete Ferraro, Quali competenze di chiede l’Europa? (2015) > https://ermetespeacebook.com/2015/03/15/quali-competenze-ci-chiede-leuropa/

[v]  Ermete Ferraro, “Educazione vs maleducazione alla pace?” (2008), Peacelink >https://www.peacelink.it/pace/docs/2873.pdf

[vi]  Ermete Ferraro, Un’impronta digitale sulla scuola (2016) > https://ermetespeacebook.com/2016/11/13/unimpronta-digitale-sulla-scuola/

[vii] Sulla questione della ‘militarizzazione della scuola’ vedi, tra gli altri, i seguenti articoli:  https://www.articolo21.org/2018/04/loccupazione-militare-delle-scuole/https://www.agoravox.it/Scuole-e-militarizzazione-La-lunga.html  – https://ilmanifesto.it/diciamo-no-alla-militarizzazione-della-scuola-pubblica/

[viii] Vedi il progetto “Scuole militarizzate” > http://www.paxchristi.it/?p=6983

[ix]  Franco Ferrario, “Smilitarizziamo le scuole!” (2014), Missione Oggi > https://saveriani.it/missioneoggi/archivio-m-o/item/smilitarizziamo-le-scuole

[x]  E. Ferraro, Educazione vs maleducazione… cit., p. 2

[xi] UNICEF, Violence prevention and peace building (2012) > https://www.unicef.org/lifeskills/index_violence_peace.html

[xii]  Ferraro, op. cit. p. 3

[xiii]  Vedi il volume: Raffaelo Saffioti, Piccoli Comuni fanno grandi cose! Il Centro internazionale per la la Nonviolenza ‘Mahatma Gandhi’ di Monteleone di Puglia, Pisa, Gandhi Edizioni, 2018 > https://www.peacelink.it/pace/a/45595.html

[xiv] Ermete Ferraro e Anna De Pasquale, Una grammatica della pace per comunicare senza violenza (2018) > https://ermetespeacebook.com/2018/02/17/una-grammatica-della-pace-per-comunicare-senza-violenza/

[xv] Vai alla pagina > https://internationaldayofpeace.org/get-involved/

[xvi]  Gabriella Falcicchio, Profeti scomodi, cattivi maestri – Imparare a educare con e per la nonviolenza, Bari, La meridiana, 2018

[xvii]  Rosaria Ammaturo, Gianpaolo Petrucci, Eugenio Scardaccione, Percorsi di Pace… dal Sud, Bari, Edizioni dal Sud, 2014

[xviii] http://serenoregis.org/archivio/educazione-alla-pace/

[xix] Daniela Novara, La grammatica dei conflitti. L’arte maieutica di trasformare la contrarietà in risorse, Sonda, 2011

[xx] A tal proposito, vedi anche il Manuale: La pace – S’insegna e s’impara – Linee guida per l’educazione alla pace ed alla cittadinanza glocale,  a cura di: Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, MIUR, Coordinamento Enti Locali per la Pace, Scuole per la Pace, Tavola per la Pace > https://www.usr.sicilia.it/attachments/article/955/Linee%20Guida%20Pace%20Cittadinanza.pdf


 (*) ERMETE FERRARO (Napoli 1952) è stato operatore sociale di gruppo e di comunità e dal 1984 insegna lettere nelle scuole medie, dove è stato anche referente per la legalità, l’educazione alla pace ed il disagio.  Primo obiettore di coscienza nonviolento a Napoli, ha svolto (1975-77) il servizio civile alternativo presso la ‘Casa dello Scugnizzo’, di cui è stato successivamente anche amministratore. Da allora è impegnato nella ricerca per la pace, l’educazione alla pace e l’azione per la pace, come attivista di varie organizzazioni nonviolente (L.O.C. , M.N., ),  membro e ricercatore dell’I.P.R.I. e referente nazionale per l’ecopacifismo di V.A.S. Onlus-APS.  Attualmente è referente per Napoli e consigliere nazionale del M.I.R. (Movimento Internazionale della Riconciliazione).  E’ autore di un libro sull’educazione linguistica per la pace , di vari saggi sulla difesa popolare nonviolenta e di molti altri articoli su: disarmo, smilitarizzazione e nonviolenza attiva. > www.ermeteferraro.org

Il buio oltre la siepe…

buio oltre sietepL’estate sta finendo – ci ripeteva una vecchia canzone – e la maggioranza degli italiani è già tornata alle proprie attività ordinarie, siano esse di studio, di lavoro, domestiche o di altro genere. L’estate sta finendo, certo, ma per molte persone da settembre non è cambiato nulla, visto che la loro esistenza continua (e continuerà…) a trascinarsi nella miseria, nella precarietà e nella continua, talvolta disperata, ricerca di come andare avanti. Si tratta ovviamente dei tanti poveri che vivono nelle nostre città – quegli ‘invisibili’ [i] che in troppi si ostinano a non vedere o ad evitare –  ma anche delle sempre più numerose schiere di migranti che incontriamo per strada, sulle quali si è esercitata per mesi la retorica becera di un populismo intollerante e sempre più esplicitamente razzista.

Ma non è di questa preoccupante deriva culturale e politica che voglio parlare, bensì di un più  preciso e specifico fenomeno, cui con un po’ di buona volontà si potrebbe offrire una risposta concreta e positiva. Mi riferisco ad un aspetto della difficile vita quotidiana dei migranti, in particolare di colore, che li ha visti spesso vittime di gravi incidenti stradali, talvolta mortali. Quelli cui capita di passare in auto per la Domiziana, d’estate e non solo, infatti, hanno sicuramente già notato quanto sia maledettamente pericoloso per i tanti neri che si trovano a vivere in zona percorrere quotidianamente, in bicicletta oppure a piedi, questa superstrada a scorrimento veloce, soprattutto dopo il tramonto. Si tratta di giovani braccianti, venditori di varia mercanzia sulle spiagge, ragazzini e perfino intere famigliole che si spostano da e verso i maggiori centri abitati che ospitano comunità straniere, principalmente africane, come Castel Volturno.

bici 3Basti pensare che qui vivono migliaia d’immigrati in prevalenza irregolari, le cui condizioni di vita sono ai limiti del sopportabile e la cui presenza è vissuta con crescente diffidenza dai cittadini. Le statistiche parlano ottimisticamente di circa 4.000 persone straniere (il 15% dei residenti), con una stragrande prevalenza di immigrati provenienti dai Paesi dall’Africa sub-sahariana, in primo luogo Nigeria e Ghana, ma anche Liberia, Costa d’Avorio, Togo, Sierra Leone, Sudan e Niger. Si tratta di circa il 60% degli ‘ospiti’ di questa città, che vi abitano in modo spesso precario e che da essa quotidianamente si spostano nei dintorni, per continuare a sopravvivere in qualche modo. Un quadro di tale preoccupante situazione – cui il precedente governo aveva deciso di guardare con più attenzione, attivando un piano d’interventi coordinati da un commissario straordinario, ce l’offriva un articolo di alcuni mesi fa:

«Edifici abusivi terreno di spaccio e prostituzione, indebitamente occupati dalla potente mafia nigeriana: gli extracomunitari arrivano dall’Africa in alcuni casi con l’intento di delinquere, in altri, invece, sono vittime degli accadimenti. Problemi noti a chi da anni opera sul territorio, col proposito di migliorarne la vivibilità: “Povertà estrema, mancanza di reddito, un degrado ambientale frutto dell’abusivismo dilagante e di anni di abbandono da parte delle istituzioni – spiega Mimma D’Amico del Centro Sociale di Caserta – Per rilanciare il territorio, occorre mettere in pratica un piano sistemico, che punti sulla formazione delle persone; il degrado c’è e va combattuto, a partire da un rifacimento delle fogne, dalla regolarizzazione delle persone e dal potenziamento dei servizi socio-sanitari.» [ii]

Ovviamente Castel Volturno è solo la punta di un iceberg molto più ampio e profondo. Sono centinaia, in Campania come in altre regioni italiane, le città che ospitano comunità di immigrati africani, i quali ogni giorno sono costretti a spostarsi, a piedi, in bus o in bici, dai luoghi della loro provvisoria residenza a quelli dove si svolge la loro attività di sussistenza. Basta sfogliare i quotidiani o leggere le notizie su Internet per rendersi conto che questo andirivieni è talvolta costato addirittura la vita a chi lo pratica. Parecchi ciclisti di colore, in particolare, sono stati vittime di gravi incidenti stradali, travolti da auto, moto o mezzi pesanti che talora non li hanno nemmeno visti, complice il buio ed il mancato impiego di fanalini, gilet catarifrangenti ed altri semplici presìdi di sicurezza stradale.

bici 6E’ questo il “buio oltre la siepe” cui metaforicamente mi riferisco nel titolo, citando il capolavoro della scrittrice statunitense Nelle Harper Lee.[iii]  Si tratta senza dubbio del buio della paura del diverso e del pregiudizio razziale che ottenebra la mente di troppi sovranisti xenofobi e pian piano rischia di oscurare anche le nostre coscienze. Ma, fuor di metafora, sto parlando più realisticamente del buio assoluto che avvolge di notte le superstrade, lungo le quali soprattutto bambini e lavoratori africani rischiano continuamente di essere investiti, con esiti generalmente gravi o letali. Uno degli episodi più recenti, conclusisi purtroppo tragicamente, si è verificato ad aprile in Puglia, a Melendugno, dove un 46enne locale in moto ha travolto un giovane immigrato della Guinea.

«Considerando una prima ipotesi, sembrerebbe che il salentino sia andato a finire sul ciclista, che – secondo una prima ricostruzione – pedalava senza alcun elemento che potesse fornirgli un minimo di visibilità nel buio di quella strada. L’impatto è stato così devastante che i due corpi sono finiti sulla corsia opposta, a pochi metri di distanza l’uno dall’altro. Non si esclude il coinvolgimento di un terzo mezzo nell’incidente, probabilmente l’auto. I soccorsi sono scattati quando un automobilista di passaggio ha notato lungo la carreggiata la presenza di quei due corpi, con accanto le lamiere dei due mezzi coinvolti. Sul posto sono intervenute due ambulanze, ma purtroppo i sanitari del 118 non hanno potuto far altro che constatare il decesso dei due uomini: ogni tentativo di salvarli è risultato vano.». [iv]

Lo scorso maggio, poi, un giovane immigrato africano è stato travolto da un’auto in una zona centrale di Catania e successivamente non solo lasciato a terra pesto e sanguinante da chi l’aveva investito, ma perfino derubato della bicicletta da alcuni pseudo-soccorritori. [v]  Era già successo tante altre volte, come nel caso dei due immigrati investiti a Villa Literno nel 2016 [vi], oppure del marocchino 47enne in bici, travolto giusto un anno fa a Marcianise da un giovane motociclista drogato.[vii] 

Sono purtroppo tanti gli episodi del genere – di cui non si ha sempre notizia sui media – che si sono succeduti nel corso degli anni nelle regioni meridionali, in particolare in Sicilia e Campania. [viii]

Che cosa fare allora? E’ ammissibile che alle dure condizioni di vita degli immigrati debba anche aggiungersi il continuo rischio di perdere la vita sol perché, di notte, essi diventano ancora più invisibili?bici con gilet 1

A questa domanda qualcuno ha cercato di dare una risposta, spontanea ed efficace. Sono i coniugi Antonio e Antonietta Tartaglia, come di ha riferito un recente articolo da Foggia di Tatiana Bellizzi per la Repubblica:

«Un dono salva vita – Pettorine catarifrangenti gratis per tutti i migranti che la sera percorrono le strade buie di campagna in sella alle biciclette rischiando la vita. Il regalo arriva dai titolari di un negozio di articoli sportivi ad Orta Nova, nel Foggiano, un paese di poco più di 17mila abitanti, a forte vocazione agricola. Un piccolo centro che in questo periodo raddoppia la propria popolazione per la raccolta dei pomodori.[…] Un’iniziativa quella di Antonio, Antonietta e del figlio Gianpaolo, che pone nuovamente al centro dell’attenzione il tema della sicurezza stradale nel Foggiano. «Sappiamo che nel corso degli anni sono stati tantissimi i casi di investimenti mortali di africani avvenuti in particolar modo proprio lungo le strade che attraversano quelle campagne» raccontano Antonio ed il figlio Gianpaolo. ”Per questo abbiamo messo a loro disposizione le pettorine salva vita”.». [ix]

Questa esemplare ed originale iniziativa, ripresa dall’articolo, ha ispirato un nota esponente dell’associazionismo animalista, Mirella De Simone, che ha deciso di mettere a disposizione una discreta somma per darle seguito anche in Campania, appoggiandosi sul piano organizzativo all’associazione “Verdi Ambiente e Società” [x] di cui è sostenitrice da anni. Ovviamente noi del Coordinamento regionale per la Campania di V.A.S.- coordinato da Nicola Lamonica – ed del Circolo V.A.S. Napoli [xi] , di cui sono responsabile, abbiamo volentieri accettato questa offerta, continuando in tal modo ad operare nella tradizione di un’associazione che non limita mai il proprio intervento alla sola protezione dell’ambiente, ma è da sempre attenta alle problematiche sociali, ai diritti umani ed alla legalità.

L’iniziativa concordata, dunque, consiste nell’acquisto e donazione di almeno un centinaio di giubbetti catarifrangenti ‘salvavita’ ad un’associazione che si occupa della tutela dei migranti nell’area di Castel Volturno, proprio per cominciare a fronteggiare il triste fenomeno sul quale mi sono soffermato. Questi gilet ad alta bici gilet 2visibilità saranno del tipo omologato alla normativa in vigore (UNI EN 471) e saranno distribuiti quanto prima ad altrettanti immigrati probabilmente attraverso una storica realtà locale impegnata nel sostegno materiale e morale agli immigrati, il Centro Fernandes di Castel Volturno [xii], col cui direttore, il dott. Antonio Casale, abbiamo già preso contatto.

Che dire? Si sa che il bene è contagioso e, anche in questo caso, una ‘buona pratica’ di accoglienza ed attenzione ai più deboli può dar vita ad altre simili, nello spirito di solidarietà sociale ed umana che dovrebbe ricordare a tutti di “restare umani” e non cedere alla tentazione di parlare sempre di ‘noi’ in strumentale contrapposizione a ‘loro’. Di recente il Papa ha espresso sostengo per un’iniziativa della Caritas internazionale a sostegno dei rifugiati e dei migranti dal titolo “Condividiamo il cammino”.[xiii]  Ebbene, in tal modo anche noi di V.A.S., nel nostro piccolo, intendiamo dare il nostro contributo affinché il ‘cammino’ di questi nostri fratelli possa diventare più sicuro ed essi smettano finalmente di restare ‘invisibili’ o, peggio, di essere usati come semplici numeri, su cui agitare la propaganda politica.

© 2018 Ermete Ferraro (www.ermeteferraro.org )


N O T E

[i] Era questo l’efficace titolo di un programma televisivo sui c.d. ‘senza fissa dimora’,  curato da Marco Berry e trasmesso da Italia1 in sette puntate, dal 2003 al 2004 > https://it.wikipedia.org/wiki/Invisibili . V. anche > http://www.rai.it/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-9ac9cfd7-1ebf-46f6-9406-184a0f83bb5f.html

[ii] Roberto Alpino, “Viaggio a Castel Volturno dove vivono 15000 immigrati irregolari”  (20.02.2018) , Euronews > http://it.euronews.com/2018/02/20/castel-volturno-citta-dei-migranti

[iii] Vedi la voce “Il buio oltre la siepe” in Wikipedia.it > https://it.wikipedia.org/wiki/Il_buio_oltre_la_siepe_(romanzo)  e “To Kill a Mockingbird” in en.wikipedia > https://en.wikipedia.org/wiki/To_Kill_a_Mockingbird

[iv] Federica Sabato, “Tragedia nella serata: travolti in moto e in bici, due morti” (04.04.2018), Il quotidiano di Puglia > https://www.quotidianodipuglia.it/lecce/sulla_melendugno_lecce-3648139.html

[v] Redazione, “Sono nero, non ho diritto anch’io di essere aiutato?” (27.5.2018), Newsicilia.it > https://newsicilia.it/cronaca/sono-nero-non-ho-diritto-anche-io-di-essere-aiutato-giovane-investito-e-lasciato-a-terra-sanguinante-a-catania/326293

[vi] Fabio Mencocco, Investe e uccide due immigrati  in bici, poi scappa…” (30.05.2016),  ilmattino.it > https://ilmattino.it/caserta/travolge_due_immigrati_in_bici_e_scappa_villa_literno-1764113.html

[vii] “Caserta, positivo a 4 droghe, investe e uccide immigrato in bici”, sky-tg 24 > https://tg24.sky.it/cronaca/2017/09/11/caserta-incidente-moto-droga-immigrato-morto.html

[viii] Vedi, ad es., gli articoli seguenti: https://napoli.repubblica.it/dettaglio/immigrato-muore-travolto-in-bici-il-pirata-identificato-grazie-a-un-video/1698681 , http://trapani.gds.it/2017/02/16/migrante-in-bici-travolto-da-auto-a-marsala-il-sindaco-accusa-i-centri-daccoglienza_629612/ , https://castelvetranonews.it/notizie/attualita/selinunte/il-buio-sulla-strada-verso-selinunte-e-immigrati-in-bici-quanto-vale-una-vita-durante-la-notte/ , https://www.tp24.it/2018/02/02/cronaca/marsala-giovane-bicicletta-investito-trapani-unauto/117441

[ix] Tatiana Bellizzi, “I coniugi che danno le casacche salvavita in dono ai braccianti” (05.09.2018) , la Repubblica > http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2018/09/05/i-coniugi-che-danno-le-casacche-salva-vita-in-dono-ai-braccianti16.html

[x] “Verdi Ambiente e Società” Onlus-APS (acronimo: V.A.S.) è un’associazione nazionale di protezione ambientale operante dal 1991 e riconosciuta dal Ministero dell’Ambiente. Il suo ambito di azione va ben oltre l’ambientalismo puro e semplice, in quanto i suoi circoli si occupano di tante altre tematiche di ordine sociale e culturale, dall’ecopacifismo alla protezione civile, dall’ecoturismo all’alimentazione naturale e libera da veleni, dall’impegno antimafia alla prevenzione degli incendi boschivi. Per approfondimenti visita il sito nazionale di V.A.S. >  http://www.vasonlus.it/

[xi] Su VAS-Campania e sul Circolo Metropolitano di Napoli visita il sito territoriale > http://www.vascampania.net/

[xii] Visita il sito web del Centro Fernandes > http://www.centrofernandes.it/storia.htm

[xiii] Cfr.: http://www.ilgiornale.it/news/cronache/caritas-papa-sui-migranti-non-sono-minaccia-1542733.html  – http://www.ilsole24ore.com/art/notizie/2018-07-06/l-appello-papa-migranti-dio-vuole-nostre-mani-soccorrerli-113558.shtml?uuid=AE5Ux4HF  – http://www.ilgiornale.it/news/politica/migranti-papa-i-poveri-che-si-muovono-fanno-paura-chi-vive-1572761.html

Che si dice in Dacia?

Diario minimo di un viaggio in Romania

Una settimana affacciati ai Balcani…

40487972_269986853826162_137723499350327296_nQuesto scritto è il seguito ideale del precedente post, in quanto sintesi della settimana che ho trascorso in Romania con mia moglie Anna e la minore delle tre figlie, Chiara. Infatti la mia scherzosa esplorazione delle affinità elettive – quanto meno sul piano linguistico – tra Napolitani e Romeni si chiudeva così: “Comunque, quando tornerò dal mio viaggetto in Romania, vi farò sapere se questa somiglianza ha funzionato anche per me e per la mia famiglia.” [i] Non intendo venir meno a tale impegno e cerco quindi di tratteggiare la nostra scoperta della Dacia degli antichi Romani, sottolineando gli aspetti che più mi hanno colpito di questo paese, caratterizzato dall’originale compresenza di elementi culturali ed espressivi che rinviano alla tradizione latina, ma anche greco-bizantina, ottomana e germanica. [ii] A proposito di lingua romena, devo ammettere che la mia ricerca, oltre che per la brevità del soggiorno, è stata in gran parte vanificata dalla generale tendenza degli abitanti di questo paese a rivolgersi ai turisti direttamente in inglese, in spagnolo e talvolta anche in italiano. La mia più significativa fonte di conoscenza del Romeno, pertanto, è stato l’ascolto in albergo d’interminabili notiziari televisivi, intervallati da lunghi dibattiti e da estenuanti pause pubblicitarie, in massima parte dedicate a propagandare articoli farmaceutici di ogni tipo. Ne ho ricavato la conferma che la comprensione di questa originale lingua neolatina è abbastanza agevole, anche se la sua sonorità ha più a che fare con il ligure o il veneto che col mio Napolitano. [iii]  E’ innegabile, inoltre, che il Romeno ricordi molto l’Esperanto. La commistione di elementi linguistici eterogenei tipica della limba română [iv], infatti, richiama alla mente la voluta mescolanza di matrici glottologiche che caratterizza la lingua artificiale e transnazionale ideata, come auspicio di unità dei popoli, dal polacco Zamenhof alla fine del XIX secolo, da tempo accantonata e surclassata dall’onnipresente Inglese, ma ora rilanciata con varie iniziative. [v]

Lasciando da parte le considerazioni di natura linguistica, vorrei sottolineare alcune somiglianze e differenze che ho riscontrato nel corso di questa săptămâna română di metà agosto, che ci ha visti atterrare all’enorme aeroporto di Otopeni e percorrere per la prima volta la periferia e l’intera città  su un taxi guidato da un esuberante e chiassoso autista ispano-parlante. A parte la sensazione d’incredibile vastità e dilatazione urbanistica che la pianeggiante București lascia nel visitatore – ben diversa dalla forzosa concentrazione territoriale di Napoli – la prima sensazione è stata quella di muoverci in una vera capitale europea con ambizioni metropolitane, caratterizzata da lunghi e larghi boulevard alberati in stile parigino, enormi piazze, numerosi monumenti ed imponenti palazzi dallo stile ibrido ma sempre magniloquente. Come scriveva recentemente in un commento una giornalista de la Repubblica:

«Tra chiese mozzafiato simbolo di resilienza ed edifici maestosi di triste memoria, tra scorci eleganti e terme spettacolari, la capitale romena è uno scrigno zeppo di sorprese […] Di storia e di storie, passeggiando per Bucarest, ne incontrerete tante, e verrete letteralmente conquistati dalla sua atmosfera elegante – non a caso la città è stata ribattezzata “la piccola Parigi” – e dal suo fascino decadente, un po’ dark e un po’ tamarro, un po’ est e un po’ ovest, un po’ fuga dal passato e un po’ nostalgia del futuro.» [vi]

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Bucarest – Piazza della Rivoluzione

Questa ambiziosa megalopoli, che fa distretto a sé ed è divisa in affollati ‘sestieri’, ospita quotidianamente fino a 3 milioni di persone, con un numero di effettivi abitanti comunque pari al 10% dell’intera Romania. Eppure – complice probabilmente la festività ferragostana della Madonna Assunta, molto onorata anche dagli Ortodossi – noi abbiamo trascorso tre giorni e mezzo girando a piedi ed in metropolitana per Bucarest in un silenzio innaturale, circondati da ben pochi residenti e da non molti turisti, che erano prevalentemente intruppati su bus bipiani tipo city sightseeing.

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Camminare per i lunghissimi viali e per le strade interne – stanchezza e sudate a parte… – è un ottimo modo per conoscere più intimamente una città come Bucarest. Il toponimo risalirebbe al suo leggendario fondatore, il pastore Bucur, ma in ogni caso l’etimologia rinvia alla radice lessicale romena bucurie, traducibile con ‘gioia’, ‘felicità’.[vii] Eppure il clima che abbiamo respirato in quei giorni non ci è sembrato particolarmente gioioso, sicuramente a causa dello spopolamento ferragostano, ma anche per i fermenti di rivolta che covavano sotto la cenere a tre giorni dai gravi scontri scoppiati nella centrale e grandiosa piaţa Victoriei, che hanno visto contrapposte decine di migliaia di manifestanti contro la corruzione e le complicità governative che la proteggono e nugoli di spicciative e violente forze dell’ordine, in seguito ai quali si sono registrati moltissimi arresti, centinaia di feriti ed interminabili polemiche politiche. [viii] La devastante piaga della corruzione, infatti, sembra particolarmente avvertita dai Romeni ma, nonostante gli attacchi dell’opposizione e la riprovazione espressa dallo stesso presidente della repubblica, il governo si direbbe intenzionato a continuare sulla sua discutibile strada, incurante delle mobilitazioni dal basso, ma anche delle critiche che gli stanno piovendo addosso perfino dall’amministrazione statunitense. [ix]

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Bucarest – L’Ateneo romeno

Tafferugli e rivolte a parte, comunque, a Bucarest si avvertiva una netta separazione tra i non moltissimi giovani che abbiamo incontrato – concentrati prevalentemente nel quartiere universitario e nella limitata area dello shopping e degli esercizi pubblici più attrattivi – ed una popolazione composta da persone mediamente anziane e d’impronta economicamente più modesta, frammista ad una diffusa ma discreta comunità di Rom romeni (ma guai a chiamarli con questo ambiguo nome anziché col termine di țigan, cioè ‘zigani’…!).

Qui si comincia ad intravedere alcune affinità con una città assai diversa come Napoli, dove fino a non molti anni fa i palazzoni umbertini del ‘risanamento’ post-unitario e gli edifici moderni e le alte ‘torri’ direzionali convivevano con i ruderi prodotti dai disastrosi bombardamenti della guerra e dove sopravvivevano miserabili rioni popolari con i loro ‘bassi’. Anche Bucarest, coi suoi modernissimi grattacieli ed i tronfi palazzoni edificati dal dispotico regime di Ceauşescu, non è riuscita a nascondere del tutto le rovine causate dal disastroso terremoto di 40 anni fa, il terribile Cutremurul din 1977, a causa del quale vennero giù più di trenta vecchi edifici. Questi ruderi convivono tuttora con la pomposa nuova Bucarest pianificata dalla megalomania del dittatore ed al loro interno sono state realizzate spesso abitazioni di fortuna, dove vivono i ceti più marginali come, appunto, gli zigani. L’aspetto generale della capitale romena resta comunque molto dignitoso, pulito, ordinato e caratterizzato da molti parchi urbani, ben curati ed attrezzati, dove però si vedono giocare ben pochi bambini, forse anche loro in vacanza…Non vi starò certo a raccontare nei dettagli il nostro vorticoso tour bucarestiano, agevolato provvidenzialmente dalla moderna ed efficiente rete metropolitana. I tre giorni trascorsi ci hanno consentito di visitare gran parte delle attrazioni turistiche offerte da questa metropoli, dall’affascinante ‘Museo di storia naturale G. Antipa’ al ricco ‘Museo nazionale di arte romena’, sito nel vecchio Palazzo Reale; dal neoclassico ‘Ateneo’, simbolo dell’attuale Università, alle originali architetture delle cattedrali ortodosse; dal tronfio Palazzo del Parlamento fortemente voluto da Ceauşescu  (il più vasto dopo il Pentagono) al mussoliniano Palazzo dei governo, avvolto in un enorme bandiera tricolore romena proprio di fronte al quale si sono svolti gli scontri tra dimostranti e polizia; dallo splendido Parco Tineretului (ben 200 ettari con laghetti e spazi attrezzati per i più piccoli) al chilometrico percorso verde, con laghetti e fontane danzanti, del boulevardul Uniri, che collega Piazza Alba Julia con quella della Costituzione.

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Bucarest – Piazza della Vittoria

Sono stati tre giorni in cui abbiamo scoperto le bellezze di questa capitale ma anche le sue stridenti contraddizioni, la sua vocazione internazionale ma anche la sua evidente impreparazione a far fronte ad un  turismo di massa, a cominciare dalla scarsità di ristoranti degni di questo nome, di bar e di altri locali e perfino di esercizi commerciali, che non fossero concentrati in alcune specifiche aree, sotto forma di enormi shopping centres multipiano o delle solite catene di fast food di massa alla Mc Donald, KFC, Pizza Hut e compagnia bella.

La strana coppia: istituti bancari e strutture di sanità privata

Ciò che ci ha lasciati sorpresi, però, è stata la scarsità di normalissimi e quotidiani negozi, come tabaccai, giornalai, salumieri etc., soprattutto in contrasto con la pervasiva presenza nel centro di Bucarest di centinaia di filiali bancarie di ogni provenienza (tedesche, greche, italiane, spagnole, oltre che, naturalmente, romene) e di altrettante mega-strutture appartenenti allo spropositato settore della sanità privata, come megafarmacie, cliniche per tutte le specializzazioni e sofisticati ambulatori dentistici. Si direbbe che gran parte del flusso di stranieri in Romania sia richiamato da questo strano ‘turismo sanitario low cost’ , mentre l’anomalo proliferare d’istituti di credito lascerebbe pensare piuttosto ad un’intensa attività finanziaria, alimentata dal boom delle agevolate delocalizzazioni industriali e da un giro di affari più o meno legittimi. Il primo fenomeno era peraltro confermato dall’innaturale tasso di spot pubblicitari dedicati – in radio e televisione – ai più svariati prodotti farmaceutici. Il secondo aspetto è ribadito invece dal fatto che, per mutuare il commento di un articolo apparso su osservatoriodiritti.it, in Romania:povertà2-2

«…l’economia cresce tra baracche e bambini di strada […] Nel 2016 il Pil è cresciuto del 4,8% superando le aspettative della Commissione europea, che per il 2017 stima una crescita del 4,4% e del 3,7% nel 2018 (il governo romeno ha stimato un incremento pari al 5,2%).» [x]

L’analisi di questo preoccupante paradosso socio-economico è confermata da un articolo del quotidiano cattolico Avvenire, in cui leggiamo che:

«Di certo la Romania ha ancora da fare molta strada[…] : sviluppare le infrastrutture, modernizzare scuole e ospedali, dotare la sanità di strumenti e farmaci adeguati, sviluppare le zone rurali in cui mancano persino le fognature. Bucarest dovrebbe inoltre investire di più sull’infanzia, in un Paese dove – secondo i dati Eurostat – quasi la metà dei minori sono a rischio povertà. Dati confermati di recente dal Collegio nazionale degli Assistenti sociali, secondo i quali ogni sera in Romania 200mila bambini vanno a dormire senza aver mangiato. In base statistiche europee aggiornate a ottobre 2017, il 38,8% dalla popolazione è a rischio povertà ed esclusione sociale, con particolare disagio tra i pensionati. È così che si presenta la Romania: assieme al primato di crescita economica, in Europa ha paradossalmente anche quello, negativo, di diseguaglianze sociali.» [xi]

Ovviamente queste acute disparità colpiscono soprattutto le fasce deboli della società romena (comunità rom, anziani, minori, piccola borghesia urbana, contadini…), proprio mentre si assiste ad un vistoso quanto artificioso ‘miracolo economico’, sostenuto da transazioni commerciali, nuovi insediamenti industriali, rilancio dell’edilizia ed intensa attività finanziaria, il cui biglietto da visita più evidente sono appunto le tante banche che costellano il centro della capitale.

Quando si lascia Bucarest per raggiungere la sassone Transilvania in treno – come abbiamo fatto noi tre ‘turisti per caso’ – il contrasto risulta ancor più stridente. Agli enormi insediamenti industriali ed agli impianti petroliferi della periferia della capitale si avvicendano ampie aree pianeggianti agricole (in prevalenza coltivazioni cerealicole), larghi spazi incolti e, infine, territori affascinanti sul piano paesaggistico, ricchi di fiumi e boschi, ma apparentemente improduttivi e scarsamente abitati, fatta eccezione per le grandi città come Sibiu, Cluj e Brașov, dove abbiamo trascorso due intense giornate. In realtà la situazione sarebbe migliore, in quanto:

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Veduta della Transilvania.

«La Transilvania è ricca di risorse minerarie come ferro, piombo, lignite, manganese, oro, rame, sale, gas naturale e zolfo. Esistono poi grandi stabilimenti industriali chimici, acciaierie e industrie tessili. Altre risorse economiche sono nell’ambito dell’agricoltura, con frutteti e vigne, e nella trasformazione del legname[xii]

Prìncipi sassoni, feroci impalatori e tenebrosi castelli

Eppure lo spettacolo che si è presentato ai nostri occhi, attraverso i finestrini del treno che ci ha condotti in due ore alla bellissima Brașov, sembrava piuttosto testimoniare una certa povertà e marginalità, caratterizzata dalla presenza sporadica fra i boschi di mini-villaggi di catapecchie – abitate probabilmente da zigani – a ridosso della ferrovia o di scoscesi terreni in prossimità dei corsi d’acqua. Tutt’altra storia, invece, quando siamo giunti in quell’antica e nobile città di origine sassone, estremamente bella, perfettamente curata e letteralmente invasa da turisti, locali e stranieri. Uno splendido borgo mercantile rinascimentale, con la sua originale piazza circondata da edifici civili, basiliche ortodosse, chiese gotiche e palazzi nobiliari di stile teutonico. Oltre alla sua originale architettura austro-ungarica, la cosa che più ci ha colpito di Brașov – la latina Corona e la germanica Kronstadt – sono stati i meravigliosi giardini che l’attraversano tutta, con molte aiuole fiorite ed ampi spazi per i giochi dei bambini.  La sua visita ci ha condotto dall’antica cittadella fortificata di Brassovia, che le ha dato nome, al suo incantevole ed animato centro antico, dove abbiamo potuto ammirare la luterana cattedrale denominata Biserica Neagră (con l’originale contrasto tra le severe e svettanti linee gotiche e le centinaia di colorati tappeti ottomani esposti) ed il Palazzo del Consiglio civico, che ospita un interessante e moderno museo storico-etnografico. Diversamente dalla capitale, questa città è dotata di ogni negozio e piena di ristoranti, birrerie ed ogni tipo di locale pubblico ed anche la gente che si incontra per strada ha un aspetto decisamente benestante.

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Brașov – Piazza del Consiglio

Stazioni termali, sciovie ed altri impianti di turismo invernale esercitano infatti un indubbio richiamo sia per i locali sia per i forestieri, attirati specialmente dallo scontato e farlocco mito del vicino castello di Dracula.[xiii]  In effetti la fortezza medievale di Bran, di origine angioina, non ha mai ospitato né l’immaginario ‘principe delle tenebre’ (frutto della fervida fantasia dello scrittore irlandese Bram Stoker), né l’autentico Vlad III, principe di Valacchia ed eroe nazionale rumeno, soprannominato Dracul (il diavolo) in quanto figlio di un appartenente al germanico ordine del drago. Costui è però passato alla storia col poco lusinghiero titolo di Țepeș (cioè ‘l’impalatore’) per la sua poco simpatica tendenza a trattare i nemici nel corso della sua feroce lotta contro gli Ottomani, dai quali però aveva preso in prestito tale feroce modalità di tortura dei prigionieri. Non dimentichiamo poi, a proposito di affinità, che la fervida fantasia dei Napolitani ha localizzato il sepolcro del principe Vlad III addirittura nel chiostro della celebre chiesa rinascimentale di S. Maria la  Nova. [xiv]

Ma se il fantastico conte Dracula serve a vendere la paccotiglia di ricordini per i turisti che visitano la Transilvania, nel nostro caso ha rappresentato solo un insignificante particolare nella scoperta di un paese affascinante e pieno di contraddizioni, che abbiamo cercato di scoprire senza pregiudizi e con apertura mentale verso questo unicum storico-culturale dell’area balcanica. Basti pensare che solo a Brașov nello stesso parco si affacciano cattedrali gotiche, basiliche ortodosse, fortezze angioine e perfino un monumento alla lupa capitolina…

Insomma, forse non abbiamo trovato le attese somiglianze tra la lingua romena e quella napolitana, ma certamente questo viaggio ci ha fatto avvertire una profonda affinità tra le vicende romene e l’intricata storia di Napoli, con le sue molteplici dominazioni straniere, sulle quali però ha sempre prevalso lo spirito beffardo e sfottente della nostra gente, capace di saggia resilienza ma anche di autentica e determinata resistenza.

© 2018 Ermete Ferraro (www.ermeteferraro.org )

N O T E ———————————————————————

[i] Ermete Ferraro, “Ci stava un romeno, un napoletano e un italiano”, ermetespeacebook.com (13.08.2018) > https://ermetespeacebook.com/2018/08/13/ci-stavano-un-romeno-un-napoletano-e-un-italiano/

[ii] Vedi: “Romanìa” in Sapere.it > http://www.sapere.it/enciclopedia/Roman%C3%ACa.html

[iii] Se ne avete voglia e siete un po’ curiosi, potete collegarvi in live streaming con una delle principali televisioni romene, Romania.tv, seguendo questo link > http://www.romaniatv.net/live

[iv] Vedi la voce sulla lingua romena in wikipedia.it >: https://ro.wikipedia.org/wiki/Limba_rom%C3%A2n%C4%83

[v] Vedi la voce “Lingua esperanto” in wikipedia.it > https://it.wikipedia.org/wiki/Lingua_esperanto . Interessante anche l’articolo di Viviana Pellegatta, “L’esperanto, lingua dell’umanità”, blastingews.com > https://it.blastingnews.com/cronaca/2017/11/lesperanto-la-lingua-dellumanita-002182271.html

[vi] Sara Ficocelli, “Bucarest: la ‘piccola Parigi’ tutta da scoprire”, la Repubblica (26.02.2018) > http://www.repubblica.it/viaggi/2018/02/21/news/bucarest_la_piccola_parigi_tutta_da_scoprire-189410529/?refresh_ce

[vii] Nel nostro viaggio ci è stata molto utile l’accurata ‘guida verde’ della Romania, curata dal Touring editore > https://www.amazon.it/Romania-0/dp/8836553451/ref=sr_1_5?ie=UTF8&qid=1535793209&sr=8-5&keywords=guida+touring+romania . Vedi anche la voce “Bucarest” in wikipedia.it > https://it.wikipedia.org/wiki/Bucarest

[viii] Cfr.: “Bucarest, romeni all’estero in piazza contro corruzione: oltre 440 feriti”, Affari italiani (11.08.2018) > http://www.affaritaliani.it/esteri/bucarest-migliaia-di-romeni-estero-in-piazza-contro-corruzione-555354.html?refresh_ce  e: Marco Ansaldo,  “A migliaia in piazza a Bucarest, la diaspora romena contro la corruzione”, la Repubblica (10.08.2018) > http://www.repubblica.it/esteri/2018/08/10/news/a_migliaia_in_piazza_a_bucarest_la_diaspora_romena_contro_la_corruzione-203850273/

[ix] s.a., “Stati Uniti-Romania: Casa Bianca prende le distanze da lettera di Giuliani a governo romeno”, Agenzia Nova (28.08.2018) > https://www.agenzianova.com/a/5b85c77929c615.73320608/2046131/2018-08-28/stati-uniti-romania-casa-bianca-prende-le-distanze-da-lettera-di-giuliani-a-governo-romeno

[x] Felicia Buonomo, “Romania, dove l’economia cresce tra baracche e bambini di strada”, Osservatorio Diritti.it (01.03.2018) > https://www.osservatoriodiritti.it/2018/03/01/romania-economia-cresce-baracche-bambini-di-strada/

[xi] Mihaela Iordache, “Povertà e corruzione. I due volti della Romania che richiama i suoi emigrati”, Avvenire.it (04.01.2018) > https://www.avvenire.it/opinioni/pagine/romania-pil-disparita-economiche

[xii] Vedi la voce “Transilvania” in Wikipedia.it > https://it.wikipedia.org/wiki/Transilvania#Economia

[xiii] Vedi: https://www.romaniaturismo.it/transilvania/il-castello-di-dracula/

[xiv]  Cfr.: “Vlad Tsepes di Valacchia: l’impalatore, il demonio, il vampiro Dracula”, Latelanera.com > http://www.latelanera.com/vite-estreme/personaggio.asp?id=261  ed anche:  “Da Vlad Tepes a Conte Dracula”, Ciaoromania.com > http://www.ciaoromania.com/vladtepes_ital.html