QUEI FAVOLOSI…ANNI SESSANTA

Quando si arriva a spegnere 60 candeline è difficile non fermarsi un attimo a riflettere sulla dozzina di lustri che ci è lasciati alle spalle. Anche a me è toccato nei giorni scorsi di raggiungere questa importante tappa ed i tanti parenti ed amici che mi hanno affettuosamente inviato i loro auguri mi hanno ulteriormente indotto a farne un breve bilancio. Per natura, a dire il vero, non mi sento molto portato ad indulgere ai ricordi e tanto meno alle nostalgie, per cui la mia vita è saldamente ancorata al presente. Ciò non implica, però, una rinuncia a dare una sbirciata alla strada percorsa e ad utilizzare il passato come indispensabile feedback, così da verificare se e quanto ci sia bisogno di modificare la rotta della propria navigazione.

Nel mio post precedente, non a caso, mi ero soffermato sul periodo quaresimale come occasione per pentirsi e per convertirsi, invertendo radicalmente la direzione se ci accorgiamo che stiamo andando a ruota libera e che abbiamo sbagliato strada. Personalmente – pur dovendo constatare che non sono certo mancati errori ed omissioni in questi 60 anni – mi ritrovo soddisfatto di una vita che, citando Neruda, “confesso che ho vissuto” abbastanza serenamente, senza problemi seri e raggiungendo buona parte degli obiettivi che mi ero prefisso. So che questo può apparire frutto di poca modestia e di carente senso autocritico. Eppure, in una realtà in cui pare che tutti si lamentino, rimpiangano occasioni perdute e si dispiacciano per i loro errori di valutazione, non credo che costituisca peccato dichiararsi sostanzialmente soddisfatti della propria esistenza, sempre che non ce se ne attribuisca impropriamente il merito e si sappia ringraziare Chi ci ha offerto occasioni, opportunità e sostegno per renderla non solo degna d’essere vissuta, ma anche di qualche utilità per le persone che abbiamo avuto la ventura d’incontrare sul nostro cammino.

Se guardo retrospettivamente ai miei 60 anni non posso certo trascurare i ‘favolosi anni ’60 ‘ rievocati nostalgicamente da tante trasmissioni televisive e, recentemente, evocati perfino nei temi svolti da alcuni miei alunni, per i quali peraltro si tratta di un’era paleozoica…. Data la mia cronica smemoratezza e la tenera età, infatti, ricordo ben poco degli otto anni che ho attraversato del decennio precedente. Ecco perché, incuriosito in particolare da quel 1952 che mi ha visto nascere, sono andato a consultarne la cronologia dei fatti principali sul web, scoprendo che è stato un anno politicamente assai turbolento (manifestazioni per una Trieste non ancora italiana, assassinio del direttore della Fiat, proposte di leggi più repressive sull’ordine pubblico ed approvazione della famigerata Legge Scelba, repressione di ogni manifestazione contro la visita dell’allora comandante della NATO, espulsione della corrispondente in Italia della “Pravda” sovietica, varo della c.d. “legge truffa” sul sistema maggioritario…). Nel 1952, poi, il mondo della cultura registrava la morte di Benedetto Croce ma anche l’ascesa di scrittori come Gadda, Comisso, Caproni, Pavese, Pratolini, Cassola e Fenoglio e si affermavano anche due scrittrici come Anna Banti e Natalia Ginsburg. Nasceva in quell’anno la Rizzoli cinematografica e nei cinema riscuotevano grandi successi i film di Fellini, Steno, De Sica e Monicelli, In campo sportivo, infine, spiccavano i successi ciclistici di Coppi e quelli calcistici della Juventus, mentre la canzone italiana era segnata dalla vittoria a Sanremo di “Vola colomba” cantata da Nilla Pizzi, che non a caso svolazzava sul campanile della cattedrale triestina di S. Giusto…

Dopo 60 anni, anche se pochi ormai ricordano la questione di ‘Trieste italiana’ ed il pesante clima da guerra fredda con l’Unione Sovietica, la politica internazionale ci vede comunque ancora saldamente schierati con gli Stati Uniti e subalterni ad una NATO che, nel frattempo, da 20 anni non ha più antagonisti cui opporsi istituzionalmente. Quanto alla politica interna, è di fatto prigioniera della nuova ed assurda legge truffa elettorale (il c.d. “Porcellum”) né è scomparsa la visione poliziesca e militarizzata dell’ordine pubblico, che porta oggi a presidiare in tenuta di guerra non solo piazze e palazzi del potere, ma perfino discariche ed inceneritori. Il mondo della cultura italiana – si tratti di letteratura, teatro o cinema – non appare proprio in ottima salute (i romanzi più venduti del 2011, con tutto il rispetto, sono quelli di Camilleri, Faletti e Fabio Volo ed il film italiano più gettonato dai critici è “Habemus Papam” di Moretti…) ma anche quello dello sport è diventato ormai un gigantesco, drogato e tentacolare business, in cui la quantità degli eventi e la loro risonanza copre troppo spesso la non eccezionale qualità delle prestazioni.

Il fatto è che ogni paragone e parallelo, dopo sei decenni, se evidenzia le ovvie e notevoli differenze nel modo di vivere quotidiano e nella mentalità comune, finisce anche per farci scorgere ferite ancora aperte, questioni irrisolte ed annosi conflitti sociali che parevano sopiti, ma sono stati risvegliati da una pesante ed iniqua crisi economica.

Anche i ‘favolosi anni Sessanta’, del resto, appaiono tali solo in un ricordo sbiadito e nostalgico. Se, ad esempio, si cercano sul web i fatti salienti del 1962 – l’anno in cui io terminavo la scuola elementare… – emergono infatti notizie positive (gratuità dei libri scolastici per il primo e secondo ciclo, lancio del primo satellite per telecomunicazioni Europa-USA, apertura del Concilio Vaticano II, istituzione di una commissione d’inchiesta sulla mafia, grandi successi cinematografici dei film di Visconti, Antonioni e Pasolini…) ma anche preoccupanti segnali sul fronte interno ed internazionale (sale la tensione fra operai metalmeccanici e la Fiat, precipita l’aereo che trasportava il manager Eni Enrico Mattei, sanguinosi scontri di piazza sulla crisi a Cuba, Dario Fo e Franca Rame devono lasciare ‘Canzonissima’, in seguito alle censure della Rai…). Oggi, dopo mezzo secolo, a dire il vero non è che la situazione sia più brillante. Si tagliano i fondi per l’istruzione pubblica; si rinnega l’intuizione che costò la vita a Falcone e Borsellino, cassando il reato di favoreggiamento esterno della mafia; in piazza, a protestare contro i continui interventi militari ‘alleati’, si sono sempre meno persone e, per scandalizzare qualcuno in televisione, c’è bisogno che il profeta Celentano attacchi il Vaticano fra una canzonetta e l’altra di un festival di Sanremo che non vede vincitori Modugno e Villa, ma Emma Arisa e Noemi…

Ma state tranquilli, non ho nessuna intenzione di passare in rassegna anche i decenni successivi né di rievocare i miei anni ’70, ’80 e ’90. Mi è bastato affacciarmi un po’ alle vicende del nostro recente passato per rendermi conto che la vita di ciascuno di noi è stata sicuramente condizionata dagli avvenimenti e dal pensiero di un certo periodo, ma dipende soprattutto dalle scelte che facciamo, giorno dopo giorno, sempre che cerchiamo di non perdere la bussola e di non lasciarci disorientare da mode e modi correnti.

Ecco perché, citando ancora “Confesso che ho vissuto” di Neruda, concludo che se è vero che: “…lo scrittore giovane non può scrivere senza questo sussulto di solitudine, anche se fittizio, così come lo scrittore maturo non farà nulla senza il sapore di umana compagnia, di società…” riconosco che anche per me gli anni giovanili sono stati spesso anni di solitudine. Da essi, però, è maturata la ricerca di socialità e di “umana compagnia” che sta alla base del mio impegno, educativo sociale e politico, degli anni successivi. Quell’impegno a farsi carico di tutto e di tutti che don Milani sintetizzava nel suo “I care” e che continua a farmi da guida in anni in cui la dimensione sociale e collettiva rischia di essere sommersa da quella individualistica ed utilitaristica.

Auguri, quindi, a tutti quelli che credono ancora nell’ottimismo della volontà, l’unica cosa che può rendere davvero favolosi i nostri anni, presenti e futuri.

© 2012 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )

NACHAM / SHUV : Quaresima di conversione

 μετανοεῖτε καὶ πιστεύετε ἐν τῷ εὐαγγελίῳ  (Mc 1,15)

E’ iniziato nuovamente il tempo quaresimale e, per chi è credente, è tornato il tempo di riflettere, di valutare e, soprattutto, di convertirsi. Quest’ultimo termine traduce, con un po’ di approssimazione, il verbo greco μετανοεῖτε, il cui significato, alla lettera, è, ‘cambiate mentalità’, ‘cambiate idea’ e, quindi, ‘ravvedetevi’

Scorrendo l’Antico Testamento, il verbo ebraico che corrisponde maggiormente a quello greco, e quindi all’idea di ‘convertirsi’, è  שׁוּב (shuv). Come tutti i verbi ebraici, anche questo cambia di significato a seconda della forma in cui è coniugato (attiva, passiva, riflessiva; base, oppure intensiva, causativa), oscillando tra l’accezione di ‘ritornare’, ‘tornare indietro’, ‘cambiar strada’, e quella di ‘riparare’, ‘respingere’, ‘rivoltarsi’, ‘rifiutare’, ‘revocare’ etc.

Se consultiamo un sussidio informatico estremamente utile per rafforzare ed approfondire la nostra conoscenza biblica (www.blueletterbible.org ), troviamo ben 39 pagine di citazioni dall’A.T. in cui il verbo “shuv” è utilizzato, dal libro della Genesi al profeta Malachia, passando per i Proverbi ed i Salmi. Proprio nel salmo 19, 8, ad esempio si parla di “conversione dello spirito” , mentre Isaia invita imperiosamente “Ritorna a me, perché ti ho redento!” (Is 44,22).

Convertirsi significa principalmente abbandonare la strada che si sta percorrendo per tornare indietro, rettificando così un errore di cui abbiamo preso coscienza. Il vero problema, allora, è proprio raggiungere la consapevolezza dell’errore compiuto, laddove con questo termine indichiamo, etimologicamente, l’andare fuori strada, il perdere la direzione. E’ ciò che gli ebrei chiamavano “hatta’ “, uno dei vocaboli che designano il ‘peccato’ e che, nel caso specifico, evoca l’idea di ‘mancare il bersaglio’, ossia un’azione che non va nella direzione verso cui era diretta.

Ebbene, mi sembra evidente che, dopo duemila anni di evangelizzazione, il vero peccato di chi continua a dichiararsi cristiano rischia di essere proprio la persistenza in un “errore” che falsa troppo spesso la nostra testimonianza, adattandola a “bersagli” che non sono quelli che ci ha indicato Gesù ed a logiche che non sono evangeliche. La Quaresima appena iniziata ci offre ancora una volta l’opportunità di riflettere, per renderci conto di dove abbiamo sbagliato e di quale sia la direzione da riprendere, eseguendo una “conversione ad U” e tornando sulla strada giusta.

Purtroppo non esistono navigatori satellitari che ci guidino passo passo e che ci correggano quando sbagliamo ed imbocchiamo una via non giusta. La sola e vera bussola restano il Vangelo di Cristo e la nostra coscienza, della quale però facciamo spesso finta di non accorgerci, per non interrompere la nostra incosciente marcia verso un sedicente progresso, che però nulla ha a che vedere col traguardo che dovrebbe perseguire chi crede nella Buona Notizia.

La Quaresima, quindi, dovrebbe diventare sempre più un momento di presa di coscienza – individuale e collettiva – dei troppi errori che ci hanno portato fuori strada ed un’occasione per cambiare rotta, prima che sia troppo tardi. La società nella quale viviamo –  ispirata com’è al perseguimento dell’affermazione personale a tutti i costi, alla rincorsa ad un progresso senza limiti e senza regole e ad uno sviluppo che lascia dietro di sé devastazione ambientale e piaghe sociali – è la negazione del progetto salvifico di Dio e della missio evangelica. Solo se ne prendiamo coscienza potremo davvero convertirci. Se invece continueremo a compiacerci d’un modello di società ispirato alla sopraffazione, alla violenza ed alla rottura dell’integrità del Creato, dubito che la nostra religiosità sia da considerarsi molto migliore di quella dei pagani o, al massimo, degli scribi e dei farisei.

Per diventare consapevoli del nostro hatta’ , d’altra parte, dovremmo avvertire dentro di noi un autentico pentimento, quello che gli ebrei indicavano con נָחַם (nacham). Si tratta di un verbo che, a seconda delle sue varie forme, assume vari significati, a partire da quello base di ‘pentirsi’, ‘provare rincrescimento’, per giungere ad ‘avere compassione’, ‘soffrire’ e perfino ‘consolare’.

Il guaio è che i seguaci di Cristo, ai quali Egli aveva raccomandato di essere “nel mondo ma non del mondo”, non sembrano affatto a disagio in questo mondo e, al contrario, troppo spesso ne appaiono del tutto partecipi. Un mondo uscito “buono” dalle mani di Chi lo ha creato, ma ridotto ad un inferno per milioni di esseri umani che soffrono ingiustizie, persecuzioni, guerre, fame e malattie evitabili, non può –  non deve – essere quello abitato da un terzo di seguaci di Gesù Cristo (oltre 2 miliardi nel 2001). Nella sua lettera ai Romani, san Paolo scriveva: E non vi conformate a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente, affinché conosciate per esperienza qual sia la buona, accettevole e perfetta volontà di Dio.” (Rm 12,2).

Il verbo che egli utilizzò, in questo caso, è συσχηματίζω che indica, alla lettera, l’assumere la forma del proprio ambiente di vita, adattandosi e conformandosi alla sua logica e, quindi, restandone del tutto condizionati. L’unico modo per non lasciarci schiacciare da un contesto che non solo non siamo stati capaci di far ‘lievitare’ evangelicamente, ma che sembra averci pienamente assoggettato alle sue regole, è “trasformarsi” ( μεταμορφοῦσθε ), realizzando quella “metanoia” che è frutto, appunto, del “rinnovamento” (ἀνακαίνωσις ) della nostra mentalità.

Senza un autentico pentimento e senza la forza di cambiar strada non c’è vera conversione, ma solo una rituale e superficiale pausa in un cammino che non siamo davvero disposti ad interrompere. A tal proposito, le sagge ed acute parole di un grande vescovo, don Tonino Bello ci esortavano ad intraprendere la strada del rinnovamento vero, quello che egli efficacemente chiamava: “il viaggio quaresimale sospeso tra cenere ed acqua”.  Sì, perché tra il Mercoledì delle Ceneri e la ‘lavanda dei piedi’ ricordata dalle letture del Giovedì Santo c’è di mezzo un impegnativo un cammino da percorrere, che ha origine nel pentimento ma ha il suo logico sbocco nel servizio al prossimo, mediante la nostra apertura a quella carità fraterna che il nostro mondo troppo spesso nega o distorce.

 “…Intraprendiamo, allora, il viaggio quaresimale, sospeso tra cenere e acqua. La cenere ci bruci sul capo, come fosse appena uscita dal cratere di un vulcano. Per spegnerne l’ardore, mettiamoci alla ricerca dell’acqua da versare… sui piedi degli altri. Pentimento e servizio. Binari obbligati su cui deve scivolare il cammino del nostro ritorno a casa. Cenere e acqua. Ingredienti primordiali del bucato di un tempo. Ma, soprattutto, simboli di una conversione completa, che vuole afferrarci finalmente dalla testa ai piedi…” (don Tonino Bello, vescovo – 1992).

(c) 2012 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )