Una battaglia ecopacifista…a propulsione antinucleare

Oltre 25 anni di mobilitazioni nonviolente per difendere la sicurezza dei cittadini e per denuclearizzare il mare di Napoli

di Ermete Ferraro

1. Un po’ di storia (1996-2010)

La battaglia dei VAS (Verdi Ambiente e Società) per liberare il golfo e la città di Napoli dal pericolo nucleare iniziò addirittura quando il circolo napoletano dell’Associazione non era ancora nato. Infatti, nel maggio del 1996, infatti, i responsabili regionale e cittadino dell’associazione Verdarcobaleno (D’Acunto e Ferraro, che in seguito costituirono VAS Napoli ed il Coordinamento campano) avevano già lanciato l’allarme sul grave rischio per la sicurezza e la salute della popolazione civile derivante dalla presenza di sottomarini nucleari nella base NATO (COMSUBSOUTH) collocata nell’isolotto di Nisida, di fronte a Bagnoli. [1]

In realtà la battaglia per la smilitarizzazione e denuclearizzazione del territorio e del mare di Napoli era cominciata molto prima, agli inizi degli anni ’70, con la mobilitazione del movimento pacifista napoletano, riunito intorno ad Antonino Drago [2], allora docente di storia della fisica alla “Federico II” e leader delle lotte degli obiettori di coscienza antimilitaristi per una difesa civile, sociale e nonviolenta.[3]  È da lì che in buona parte deriva, confluendo nell’azione di VAS in Campania, lo spirito ecopacifista che l’ha contraddistinta, arricchendo l’ecologia sociale, da sempre suo elemento costitutivo, con l’impegno per la difesa del territorio e dei suoi abitanti dalla minaccia nucleare.

Risale al 2001 la prima presa di posizione ufficiale dei VAS napoletani contro l’ingombrante e pericolosa presenza della portaerei nucleare USA Enterprise nel porto di Napoli, ripresa dai media locali [4]. Le proteste pubbliche contro l’indifferenza del Presidente della Regione Campania e del Sindaco di Napoli – responsabili della protezione del territorio e della salute dei cittadini – si sono susseguite negli anni successivi, ma tutti gli appelli dei VAS alle autorità competenti sono stati regolarmente disattesi e anche i media non hanno sempre pubblicizzato la loro denuncia. Solo tre anni dopo, nel 2004, fu ancora una volta un quotidiano di destra a riportare le motivate proteste degli ecopacifisti napoletani contro la minacciosa presenza di fronte al Maschio Angioino di ben due portaerei americane (la Enterprise a febbraio e la Truman a luglio). [5].

Già dal 2001, del resto, il Coordinamento dei circoli campani di VAS aveva promosso l’originale iniziativa denominata “Festa della Biodiversità” (che si è svolta a Napoli per quattro anni), ribadendo anche in quella sede che la cultura della biodiversità, naturale o culturale che sia, passa comunque per un modello di sviluppo alternativo, rispettoso della natura ma anche equo, solidale e pacifico. Ed è proprio in tale ambito che il supplemento speciale alla rivista Verde Ambiente nel 2004 pubblicò l’articolo di Ferraro “Quale ecopacifismo?” [6] In questo saggio, infatti, si chiariva perché questo termine non può essere ridotto ad una semplice somma di due grandi idealità, ma deve piuttosto proporsi come una sintesi organica, da cui scaturisca un modello di sviluppo alternativo, che rifiuti la violenza ed il dominio come propri elementi costitutivi.

Negli anni successivi l’intervento di VAS Campania ha affiancato quello di altre organizzazioni – come la sezione napoletana di Pax Christi [7] e soprattutto il Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio – Campania [8] – nella lotta contro la militarizzazione del territorio regionale e cittadino e per fare del Mediterraneo un mare di pace.[9] Dal 2007 ad oggi si sono susseguite le prese di posizione degli ecopacifisti di VAS contro l’ampliamento del Quartier Generale delle forze aeronavali della US Navy a Napoli-Capodichino (https://www.facebook.com/USNavalForcesEuropeAfrica/), con la collocazione, ancora una volta a Napoli, del nuovo comando militare USA relativo all’intero continente africano (AFRICOM).  Nel febbraio del 2009, infine, VAS ha lanciato ancora una volta un allarme sul rischio nucleare, in relazione allo scontro di due sommergibili nell’Atlantico, riproponendo pubblicamente la denuclearizzazione del porto di Napoli. [10]

Nell’aderire all’allora Coordinamento Campano per il No al Nucleare (C.C.N.N.), infine, VAS ha chiarito ulteriormente lo stretto legame che intercorre tra il c.d. “nucleare civile” e quello militare, facendo esplicito riferimento anche all’emergenza nucleare relativa alla presenza di natanti a propulsione atomica nel golfo di Napoli. [11]

Altra importante azione di VAS su questo terreno è stata, nel dicembre 2010, una richiesta ufficiale al Prefetto di Napoli, finalizzata ad avere accesso al Piano Provinciale di emergenza esterna dell’Area Portuale, relativo all’eventualità d’incidenti a natanti a propulsione nucleare, transitanti o alla fonda nella baia di Napoli. L’istanza, a firma di Guido Pollice, allora Presidente Nazionale di VAS – faceva seguito ad analoga richiesta del suddetto Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione – Campania, cui VAS aderiva a livello regionale, e ne ribadiva la legittimità, trattandosi di atti concernenti la sicurezza dei cittadini e la tutela dell’ambiente. Ancora una volta, infatti, VAS insisteva sulla necessità di trasparenza sui piani di emergenza elaborati e sulla verifica della loro effettiva incidenza ed efficacia.[12]

Prevedibilmente, la risposta della Prefettura di Napoli, dopo 15 giorni, fu evasiva e scontata: il richiedente avrebbe dovuto indicare di quali parti del piano provinciale vorrebbe copia, tenendo conto che parte del documento era stato “classificato” come soggetto al segreto militare. Ma la replica di VAS fu netta, affinché fosse chiaro che l’associazione e le altre organizzazioni della rete pacifista campana non si sarebbero fermate fino a quando la popolazione napoletana non avrà ricevuto – come le spetta per legge – un’informazione reale, completa ed esplicita sui rischi previsti e sulle misure di protezione civile previste per fronteggiarle.

2. Il pericolo nucleare sopra e sotto il ‘mare nostrum’

Apr. 2011- Manifestazione del CPDC al Porto di Napoli

Negli ultimi anni la presenza dei natanti a propulsione nucleare nel golfo di Napoli è diventata più discreta. Chi non è giovanissimo ricorda però che l’arrivo di una gigantesca portaerei statunitense nel porto è stata spesso accolta come un grande evento, quasi come un’esibizione. Migliaia di persone, fra cui studenti, facevano allora pazientemente la coda per visitare, stupiti, quelle centrali atomiche galleggianti, con i loro bei bombardieri allineati sopra… Eppure si tratta di una formidabile fabbrica di morte e, soprattutto, di una fonte di gravissimo rischio per la sicurezza e la salute di chi abita in quella città, che dal dopoguerra non si è mai liberata dall’ingombrante “protezione” dei cosiddetti Alleati, che continuano ad “occuparne” da allora il territorio ed il mare. Fra l’altro, come ricorda Alessandro Marescotti, responsabile di Peacelink:

I propulsori nucleari sono sottoposti al decreto legislativo 230/95 [13] relativo ai reattori nucleari in genere; tale normativa (che comporta un obbligo di informazione alle popolazioni e la definizione di un piano di emergenza nucleare) si applica quindi ad esempio a tutti i sottomarini statunitensi i quali sono tutti a propulsione nucleare; per le armi nucleari invece non vi è alcuna normativa che salvaguardi la popolazione e anzi le autorità militari Usa hanno l’ordine di non confermare e non smentire la presenza a bordo di tali armi… [14]

Il paradosso di un Paese che, con ben due referendum democratici, ha bandito il “nucleare civile” ma è costretto, suo malgrado, a convivere con armamenti e natanti nucleari è un evidente prova della follia militarista, di fronte alla quale ogni garanzia di trasparenza democratica risulta inesorabilmente cancellata. Ancor più paradossale è che:

… negli Stati Uniti, per ragioni di sicurezza, le unità militari a propulsione nucleare non sostano e non attraccano nei porti commerciali. E sempre per ragioni di sicurezza le navi commerciali non hanno propulsori nucleari a bordo. Un incidente nucleare può provocare la fuoriuscita di plutonio la cui radioattività perdura per millenni (si dimezza solo dopo 24 mila anni) provocando il cancro (il chimico Enzo Tiezzi ha scritto: “Un chilo di plutonio disperso nell’ambiente rappresenta il potenziale per 18 miliardi di cancro al polmone”). [15]

Eppure a noi italiani, e in particolare agli abitanti delle città di una dozzina di porti (Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia) tocca da decenni l’onere di ospitare questi scomodi visitatori, col rischio di trasformare quello che una volta veniva chiamato Mare Nostrum in un potenziale Mare Monstrum. Esagerazioni? Allarmismi dei soliti antimilitaristi? Purtroppo la realtà è più grave di quanto la si possa dipingere, visto che sappiamo bene cosa possiamo aspettarci dalla Protezione Civile in Italia, soprattutto se a mettere i bastoni fra le ruote della sua già discutibile organizzazione territoriale ci sono le forze armate e le secretazioni militari. Ma di che cosa stiamo parlando, quando lamentiamo l’insicurezza dei porti italiani?

Per sicurezza intendiamo l’applicazione di tutti quei sistemi tecnologici in grado di prevenire o rimediare ai possibili problemi che possono insorgere durante il funzionamento del reattore nucleare e che possono provocare gravi ripercussioni sulle persone e sull’ambiente. In campo civile esistono numerosi sistemi di sicurezza e di emergenza obbligatori, però su un sottomarino tutto questo non è fisicamente possibile, per ragioni di spazio e di funzionalità. Di conseguenza ci ritroviamo col paradosso che reattori nucleari che non otterrebbero la licenza in nessuno dei paesi che utilizzano l’energia atomica, circolano invece liberamente nei mari. Inoltre questi sottomarini affrontano condizioni operative pericolose per via del loro impiego militare anche in tempo di pace (esercitazioni, pattugliamento ecc.) che possono comportare altri incidenti (esplosione di siluri, collisioni, urti col fondale) dalle conseguenze catastrofiche per l’impianto nucleare a bordo. [16]

Fantascienza da esaltati antinuclearisti? No di certo, visto che correva l’anno 1968 quando si verificò il primo incidente del genere e, guarda caso, proprio nel porto di Napoli! Si trattava del sottomarino americano Scorpion, coinvolto il 15 aprile di quel fatidico anno in una tempesta, andando ad urtare la poppa contro una chiatta, che affondò. Fu ispezionato nello stesso porto. Esplose poche settimane dopo – il 22 maggio 1968 – nell’Atlantico al largo delle Azzorre, inabissandosi con il propulsore nucleare, due bombe atomiche e 99 uomini di equipaggio. Solo un mese prima lo stesso sottomarino era transitato per il porto di Taranto…  Le poche fonti informative disponibili, visto l’assordante silenzio che avvolge da sempre questi gravissimi eventi, riportano che qualcosa di simile si verificò nel mar Jonio anche sette anni dopo:

La notte del 22 settembre 1975, nello Jonio meridionale, la portaerei americana Kennedy si scontrò con l’incrociatore (sempre americano) Belknap. Scoppiò un incendio che giunse a pochi metri dalle testate nucleari dei missili Terrier e partì uno dei più alti livelli di SOS nucleare, denominato “broken arrow”. Ha commentato l’esperto di questioni militari William Arkin: “Se le fiamme avessero raggiunto i missili le possibilità sarebbero state due: o le testate atomiche sarebbero esplose con effetti facilmente immaginabili, oppure la nave sarebbe affondata a poche miglia dalle coste di Augusta, zona frequentata dai pescherecci italiani, con conseguenze ambientali molto gravi”.  […] Dell’SOS nucleare non si è saputo nulla fino al 1989 quando l’ammiraglio Eugene Carrol diffuse quelle che il Corriere del Giorno ha definito “agghiaccianti rivelazioni”: “Una catastrofe nucleare nello Ionio l’abbiamo sfiorata quattordici anni fa” (prima pagina del 26 maggio 1989) [17].

Uno degli altri casi di cui si abbia notizia risale al luglio del 2000, quando un sottomarino a propulsione nucleare della US Navy subì un’avaria nel porto di La Spezia. L’episodio fu subito coperto dal silenzio stampa, ad eccezione del quotidiano “Il Secolo XIX”.

Nel 2003 la Prefettura di Latina, Protezione Civile, diffuse, a richiesta, estratti del Piano di emergenza esterna relativo alla sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nella rada di Gaeta. (Revisione 2001). Questa città, infatti, è stata per decenni base operativa della 6^ Flotta della US Navy e nella sua rada attraccavano anche i sottomarini nucleari, ragion per cui le preoccupazioni dei cittadini e delle associazioni risultavano più che fondate. Secondo il documento (o meglio, le parti che ne sono state diffuse) le misure di sicurezza previste sarebbero in grado di “assicurare la protezione delle popolazioni“. Non era però dello stesso avviso Antonino Drago, docente di storia della fisica all’università di Napoli, che sottolineava invece la scarsa plausibilità scientifica del Piano.

Di fatto, il rapporto si ritaglia una ipotesi tecnologica di tutto di comodo: la fusione del nocciolo del reattore nucleare, senza che ci sia fuoriuscita di sostanze radioattive, se non per la incontinenza parziale della terza protezione (oltre quelle del rivestimento delle barre di combustibile e del pentolone o vessel), in questo caso lo scafo intero del sommergibile nucleare: il rivestimento esterno può avere qualche crepa e allora un po’ di gas potrebbe sfuggire all’esterno. Ma questo può avvenire solo in una primissima fase della fusione del nocciolo e non rappresenta affatto lo “incidente massimo ipotizzabile”, casomai quello quasi minimo. […] Come gli altri piani per le centrali civili, questi piani di emergenza dovevano essere revisionati dopo Chernobyl. Ma si è aspettato a lungo. Alla fine del 2001 il gioco di parole (“ipotesi credibile”) è stato ripetuto senza modifiche. D’altronde le autorità non avevano vie d’uscita: o rifiutare questi reattori nucleari su tutto il territorio nazionale dicendo “No” anche agli USA, o subire le conseguenze di un eventuale incidente con uno straccio di piano di emergenza scritto per nascondere la realtà [18].

Indipendentemente dalla validità scientifica delle ipotesi d’incidente in uno dei porti italiani che ospitano natanti a propulsione nucleare, il vero problema è quello della totale assenza di trasparenza in materia, che fa a pugni con l’esigenza di garantire alle popolazioni locali una corretta informazione sui rischi che corre e su come le autorità a ciò preposte pensano di fronteggiarli.  Eppure su questo il citato decreto legislativo 230/95 era stato esplicito, poiché agli articoli 129 e 130 parlava di “obbligo di informazione” nei confronti della popolazione, che avrebbe pertanto il diritto di essere informata senza neanche farne richiesta, visto che dovrebbe trattarsi di “informazioni…accessibili al pubblico, sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza radiologica“.

1. La popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radiologica viene informata e regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in caso di emergenza radiologica. 2. L’informazione comprende almeno i seguenti elementi: a) natura e caratteristiche della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull’ambiente; b) casi di emergenza radiologica presi in considerazione e relative conseguenze per la popolazione e l’ambiente; c) comportamento da adottare in tali eventualità; d) autorità ed enti responsabili degli interventi e misure urgenti previste per informare, avvertire, proteggere e soccorrere la popolazione in caso di emergenza radiologica. 3. Informazioni dettagliate sono rivolte a particolari gruppi di popolazione in relazione alla loro attività, funzione e responsabilità nei riguardi della collettività nonché al ruolo che eventualmente debbano assumere in caso di emergenza [19].

Un ulteriore episodio, denunciato anche da VAS, fu lo scontro di due sommergibili nell’Atlantico, avvenuto nel febbraio 2009, che riproponeva il problema della sicurezza delle popolazioni residenti nelle città sedi di porti in cui è consentito l’accesso di natanti nucleari. Appare dunque più che legittimo chiedersi che cosa succederebbe se dovesse verificarsi qualcosa di simile in un territorio densamente abitato come l’area metropolitana di Napoli. E infatti che cosa accadrebbe in caso d’incidente nucleare se lo è chiesto Angelica Romano, che si è soffermata proprio sulle conseguenze per la popolazione napoletana:

Napoli è una metropoli di oltre 3 milioni di persone, con una densità di 8.567,79 abitanti per kmq, altissima rispetto ad altre città. Come si potrebbe salvare da un pericolo nucleare? […] Per i reattori a basati sul plutonio…vi può essere una dispersione nell’ambiente di questo elemento, caratterizzato da potere cancerogeno e persistenza nell’organismo molto elevati. Naturalmente le conseguenze sull’ecosistema marino e su tutta la catena ecologico- alimentare a esso legata sono incalcolabili [20].

Ma allora che cosa bisognerebbe fare per garantire ai cittadini quanto meno la conoscenza preventiva del rischio che corrono e dei provvedimenti da adottare in caso di malaugurata emergenza nucleare? In ultima analisi, poi, è questo il vero problema oppure bisognerebbe, in modo assai più radicale, impedire l’accesso di qualunque natante a propulsione nucleare nei porti italiani, come peraltro già avviene in paesi come il Giappone, la Nuova Zelanda e perfino nelle principali porti civili degli stessi Stati Uniti d’America?

3. Emergenza nucleare: un Piano che va troppo piano

Dalla normativa vigente in Italia fin dal 1995, con successive modificazioni ed aggiornamenti, scaturisce per le amministrazioni locali l’obbligo di provvedere comunque ad una “informazione preventiva“. Da chi altri, del resto, i cittadini potrebbero avere notizia del rischio di una potenziale “emergenza radiologica” e delle misure predisposte per fronteggiarla? Eppure finora ben poco è trapelato di ciò che tutti pur avrebbero diritto di conoscere, stando alla legge italiana. Per molti anni gruppi e comitati aderenti alla rete associativa Peacelink si erano battuti perché fosse osservata questa prescrizione, ma solo all’inizio del 2000, finalmente, essa riuscì nel proprio intento di controinformazione.

La lunga lotta di PeaceLink per conoscere i piani di emergenza cominciò a febbraio dell’anno 2000 […] A settembre del 2000 la Prefettura di Taranto – dopo l’affondamento di un sottomarino nucleare russo, dopo l’intimazione di PeaceLink ai sensi di legge e alla vigilia di un incandescente consiglio comunale monotematico sul rischio nucleare – ci dette importanti informazioni ufficiali da cui emergeva che la città sarebbe stata evacuata in caso di grave incidente nucleare e di forte dispersione di radioattività. Fu una crepa aperta nel muro del silenzio. Poco dopo il prefetto di Taranto fu trasferito. [21]

Estratti del Piano di emergenza nucleare per il porto di Taranto, infatti, erano ormai consultabili sul sito di Peacelink. In particolare, nella premessa di quel documento era scritto che:

Scopo del presente piano è quello di salvaguardare, mediante l’adozione di idonee misure di sicurezza, l’incolumità delle popolazioni interessate dai pericoli delle radiazioni derivanti da eventuali incidenti ad unità militari a propulsione nucleare.  [22]

Il secondo caso di “disvelamento”, sia pur parziale, dei Piani di emergenza predisposti per i porti soggetti a transito e sosta di natanti nucleari fu quello, già citato, di Gaeta. Anche allora, però, il documento era stato ottenuto solo grazie alla mobilitazione dal basso. In entrambi i casi, comunque, non si capiva come le autorità responsabili pensassero di salvaguardare l’incolumità degli abitanti tacendo proprio su tali possibili emergenze e soprattutto sulla condotta da seguire nel caso di un incidente nucleare.

Nel documento reso noto dalla Prefettura di Taranto si affermava che il piano “verrà posto in atto automaticamente, a cura delle Autorità/Enti” a ciò preposti. Ma di quale improbabile “automatismo” si parlava? La verità è che le autorità in questione sapevano (e tuttora sanno) che non è possibile allertare un’intera popolazione civile senza averle fornito in anticipo uno straccio di “informazione preventiva” di cui, viceversa, ha pieno diritto.

Però, si ribatte, c’è il problema della segretezza da rispettare, quando si tratta di questioni che hanno una valenza militare… Ebbene, è un pretesto inaccettabile, visto che in altri paesi, europei e non, questo genere di piani sono già da anni di pubblico dominio. Eppure chi ci ha governato finora ha continuato ottusamente a trincerarsi dietro i soliti omissis e a classificare dei piani di protezione civile come se fossero documenti top secret, alla faccia dei principi elementari di trasparenza democratica e vanificando ogni tentativo di organizzare efficienti misure di difesa civile. Come osservava Vittorio Moccia a proposito a questa cappa assurda di segretezza, nemica dell’efficienza:

Le procedure d’emergenza del piano prevedono l’allontanamento dell’imbarcazione, su cui si è verificato l’incidente, entro un’ora, per evitare che le radiazioni investano le persone. Ma la ‘contaminazione del suolo’ (mare e fondali) resta comunque inevitabile. Per i cittadini è prevista l’evacuazione dell’area interessata e la loro sistemazione nelle scuole. Inoltre, il questore dovrebbe requisire, per l’assistenza sanitaria, gli alberghi e, per ‘esigenze di trasporto’, gli autobus. […] in pochi minuti dovrebbe essere somministrato a migliaia di bambini e di donne in gravidanza un prodotto per difendere la tiroide dalla nube nucleare…Tale prodotto non è in dotazione a nessuna scuola e la protezione civile ne sarebbe di fatto priva in caso di emergenza. Un’esplosione del reattore nucleare comporterebbe inoltre la dispersione di plutonio, la cui radioattività si dimezza in 24 mila anni. È infine previsto che tutte le informazioni da diramare agli organi d’informazione siano filtrate dall’ufficio stampa della Prefettura [23].

Chiunque viva a Napoli e ne conosca le drammatiche problematiche di vivibilità e di mobilità si rende che un piano d’emergenza, senza un’adeguata pubblicizzazione e preparazione preventiva dei diretti interessati, in una situazione di grave allarme come quella ipotizzata sarebbe destinato a sicuro fallimento. Basti pensare al quotidiano caos dei trasporti ed alla consueta disorganizzazione e scarsa comunicazione reciproca delle varie amministrazioni pubbliche per capire come un’emergenza improvvisa – peraltro del tutto sconosciuta nella sua natura e nelle sue caratteristiche dagli stessi cittadini – avrebbe scarse possibilità di essere gestita adeguatamente e rischierebbe di trasformarsi in una tragedia nella tragedia.

Ma come andavano già allora le cose fuori del nostro Paese?  Sicuramente meglio, anche se dove di queste cose si parlava già da anni non erano comunque state trovate soluzioni che andassero oltre una più efficiente gestione dell’emergenza nelle città che ospitavano nei loro porti natanti a propulsione nucleare. La risposta in termini di misure di protezione, infatti, restava affidata sostanzialmente alle autorità civili e militari, mentre le misure sanitarie – allora come ora – ricordano la vecchia canzone napoletana: “Pìgliate na pastiglia“…

4. Uno sguardo alla situazione di alcuni stati esteri

SPAGNA > Nel 2010 l’organismo competente in materia di protezione civile della Comunità Autonoma Valenciana approvò il “Piano di Emergenza Esterna del Porto di Valencia”, in ottemperanza dell’art. 16 del Real Decreto 1259/1999, relativo al “controllo dei rischi inerenti agli incidenti gravi nei quali siano presenti sostanze pericolose” ed in base al decreto n. 19 del 3.11.2009 del Presidente di quella “Generalitat”. [24] Anche in Spagna si notava reticenza e lentezza burocratica nel passaggio dalla norma nazionale all’attuazione a livello locale, tenuto anche conto dell’autonomia che era stata accordata ad alcuni territori come la regione valenciana o la Catalogna. [25]

FRANCIA > Nel 2010 si svolsero nella città di Toulon le esercitazioni nazionali di sicurezza civile. Il porto militare di Tolone è particolarmente ampio (250 ettari) ed ospita sottomarini nucleari, oltre alla portaerei nucleare francese Charles de Gaulle. Dal 2003 era stata istituita una commissione per l’informazione su questo sito militare, per “rispondere a tutte le domande relative all’impatto delle attività nucleari sulla salute e l’ambiente“. Essa era “composta da rappresentanti dell’amministrazione civile dello Stato, da quelli degli interessi economici e sociali, delle associazioni riconosciute di protezione dell’ambiente e delle collettività locali“. Ad ogni cittadino, in ogni caso, era possibile accedere alle informazioni del sito dedicato al “Piano Particolare d’Intervento (PPI Toulon)”, per cercarvi risposte alle più comuni domande in materia. [26]

REGNO UNITO > Era stato regolarmente aggiornato, dal 2001 al 2010, il “Portland Port Off-Site Reactor Emergency Plan”, il cui testo, completo di allegati e planimetrie, era già consultabile con facilità sul sito dedicato [27], a cura del Consiglio della Contea del Dorset. Il documento era molto chiaro sui rischi ipotizzabili di contaminazione diretta o indiretta del territorio e della sua popolazione, nonché d’inquinamento radioattivo delle acque marine. Seguivano le contromisure applicabili, tenuto conto che il raggio di rischio va da una zona rossa centrale (meno di 1 km) fino ad un anello esterno, compreso tra 1,5 e 10 km. da essa. Ad ogni ipotesi di rischio corrispondeva un intervento, suddiviso in base a 3 livelli, da quello strategico (gold) al tattico (silver) e all’operativo (bronze). Il piano era corredato da alcuni opuscoli divulgativi per i cittadini di Portland, uno dei quali (realizzato nel marzo 2010) affrontava l’emergenza radiologica in caso d’incidente nucleare che si fosse verificata in quel porto. Le indicazioni e raccomandazioni – sintetizzate nel motto: “Go in – Stay in – Tune in” – a dire il vero non sembrano particolarmente tranquillizzanti. Ai cittadini si riservava infatti un ruolo del tutto passivo, invitandoli a restare al chiuso e ad informarsi via radio, mentre la mobilitazione riguardava solo le organizzazioni a ciò preposte.

U.S.A. > La normativa statunitense in materia rinviava all’azione svolta dall’ U.S. National Nuclear Security Administration (NNSA). Secondo questo Ente federale, “la sicurezza ambientale nel funzionamento delle navi a propulsione nucleare degli USA costituirebbe la chiave per la loro accettazione in patria e all’estero“. Grazie a questo rigoroso controllo della radioattività, sempre secondo la NNSA, il programma avrebbe “registrato l’assenza di ogni effetto ambientale negativo derivante dalle operazioni delle navi da guerra statunitensi a propulsione nucleare“. Esse, pertanto, sarebbero state quindi “le benvenute in oltre 150 porti di più di 50 stati e dipendenze, così come nei porti degli Stati Uniti d’America” [28]. Ovviamente queste trionfalistiche dichiarazioni suonavano poco credibili, date le premesse. Per quanto riguardava i piani di emergenza nelle aree portuali interessate dal transito e/o dalla sosta delle U.S.naval nuclear-powered ships, invece, non si avevano notizie. Ciò che si sapeva era che il programma di monitoraggio svolto dal NNS. – in collaborazione con l’EP., l’Agenzia federale di protezione ambientale – consisteva nell’analizzare l’acqua, il sedimento, l’aria ed esemplari marini, allo scopo di verificare che non vi fossero effetti negativi per l’ambiente. Verifiche, inoltre, erano stati previste per il personale militare e civile impegnato nei natanti nucleari americani, cui erano stati garantiti controlli sanitari in base alle normative nazionali sull’esposizione alle radiazioni. Il resto, secondo le amministrazioni USA, appariva solo una questione di possibile allerta contro eventuali minacce terroristiche, la cui competenza era ovviamente dei “servizi di sicurezza”, e pertanto soggetta a segreto militare [29].

CANADA > La situazione del Canada era sottoposta alla normativa federale in materia, di cui si è avuta notizia visitando il sito del ministero canadese della Sanità, in particolare nelle pagine riguardanti il Federal Nuclear Emergency Plan [30]. In particolare, al punto 2.3.2 di questo documento, si affrontava il caso di “un evento che coinvolga navi che visitino il Canada o che transitino lungo le acque canadesi“. Un serio incidente ad un natante a propulsione nucleare era considerato equivalente a quello che potrebbe coinvolgere un impianto nucleare civile, sia pure con effetti meno estesi. In questo piano di emergenza, la Difesa Nazionale del Canada faceva riferimento ad una zona compresa tra 1 e 5 chilometri, ai fini di un’urgente azione protettiva nel territorio che circonda i porti interessati al passaggio di natanti nucleari. Ciò comportava immediate analisi di campioni di sostanze alimentari e di suolo, per procedere alle analisi necessarie ad assicurare la sicurezza della popolazione residente nelle vicinanze. Secondo la normativa canadese, i natanti nucleari avrebbero potuto visitare solo tre porti: uno della Nova Scotia e due della Columbia Britannica. In ogni caso, nessun natante era autorizzato a trasportare quantità significative di sostanze radioattive nei corsi d’acqua canadesi, sebbene non se ne escludesse la possibilità in futuro.

NUOVA ZELANDA > La legislazione neo-zelandese aveva previsto, con legge apposita, la creazione di una Nuclear Free Zone, al fine di “promuovere ed incoraggiare un contributo effettivo da parte della Nuova Zelanda all’essenziale processo di disarmo ed al controllo internazionale degli armamenti“, per citare il preambolo della stessa Legge. Da essa derivava che l’ingresso di natanti nucleari nelle acque neozelandesi era stato sottoposto ad una rigida e restrittiva autorizzazione del governo (art. 9), mentre quello nelle acque interne del Paese era stato del tutto vietato (art. 11) [31].

5. Che cosa si sarebbe dovuto fare?

Maggio 2022 – Blitz di protesta del CPDC davanti al Municipio di Napoli

Un efficace slogan che circolava un po’ di tempo fa tra gli antinuclearisti era: “Meglio attivi che radioattivi!”. Forse dovremmo tornare a questo semplice concetto di naturale e spontanea autodifesa, che nasce dalla consapevolezza che ognuno di noi ha da giocare una parte anche in questioni che sembrerebbero troppo grandi e complicate perché vi si possa svolgere un ruolo effettivo.

Di fronte alla degenerazione verticista ed autoritaria di stati in cui la democrazia sembra ormai ridotta quasi al solo esercizio del diritto di voto (fra l’altro in base a sistemi elettorali a dir poco discutibili, lasciando di fatto chi governa o amministra libero di fare qualsiasi scelta sulla nostra testa) dobbiamo dunque riprenderci quel pezzo di potere che spetta a tutti, cominciando dal diritto sacrosanto di protestare.

“Protestare per sopravvivere” (Protest and Survive), era infatti il titolo di un libro di Edward P. Thompson, che era circolato negli anni ’80. [32]. È questa la prima cosa da fare, se vogliamo cambiare le cose senza aspettare che siano gli altri a risolverci i problemi.  Già negli anni ’60 il più grande teorico italiano della nonviolenza, Aldo Capitini, aveva sottolineato la centralità per un’alternativa politica della diffusione di quel “potere di tutti” (omnicrazia), che fa di ogni cittadino un soggetto attivo e responsabile, realizzando il principio fondamentale di autogestione che Gandhi aveva definito a sua volta col termine indiano swaraj.

Il concetto chiave, purtroppo contraddetto dall’esperienza del nostro Paese, è allora che la “protezione civile” debba diventare sempre più parte di una più complessiva “difesa civile”. E quindi decentrata, autogestita in larga parte dalle comunità locali e capace di mobilitare efficacemente i soggetti direttamente interessati alle possibili emergenze, siano esse climatiche, sismiche, vulcaniche, meteorologiche o nucleari. Già dagli anni ’80, subito dopo il disastroso terremoto in Campania, il movimento pacifista regionale si era organizzato per richiedere dal basso una legge che istituisse una “protezione civile popolare”, coinvolgendo i giovani campani in un servizio civile alternativo a quello militare [33].

L’assurdo fu che quella proposta, avanzata dalla società civile e caldeggiata da alcune forze politiche, fu effettivamente approvata come legge, ma fu subito dopo vanificata. Pur di non attuarne le previsioni, infatti, il governo varò un provvedimento che esonerava dalla prestazione della naja – e quindi anche del servizio civile sostitutivo – tutti i giovani delle aree colpite dal sisma… Ciò che è successo dopo, con l’organizzazione sempre più centralizzata del servizio di protezione civile nazionale, è fin troppo evidente. Questo “corpo” è stato impiegato in emergenze reali e fittizie – come quella dei rifiuti in Campania, dopo ben 15 anni di commissariamento degli enti locali… – espropriando i cittadini ed abituandoli all’idea che la protezione civile fosse un ambito in cui impiegare anche le forze armate, militarizzando e verticalizzando in tal modo una fondamentale risorsa di autogestione del territorio e di difesa civile.

Ebbene, contro il pericolo nucleare – si tratti di centrali elettriche, di natanti a propulsione nucleare oppure di armi atomiche – i cittadini singoli, come le intere comunità locali interessate – hanno quindi il diritto ed il dovere di mobilitarsi per denunciare i rischi cui sono sottoposti e per opporsi a queste scelte perniciose.

Il primo passo, ovviamente, è ottenere il rispetto di quel diritto all’informazione che, almeno sulla carta, dovrebbe essere garantito anche in tali materie. Il secondo è quello di leggere con attenzione i documenti ottenuti dalle autorità competenti, condividendone il testo con tutti gli interessati e cercando di andare oltre il burocratese ed il gergo scientifico che avvolge questo genere di messaggi, forse proprio per impedirne la comprensione ai “non addetti ai lavori”.

Il terzo passo di questo percorso – nel quale sarebbe opportuno coinvolgere persone qualificate ed accedere anche a documentazioni alternative – è quello di demistificare asserzioni date per indiscutibili, in base alle quali si costruiscono le teorie e normative con le quali sono giustificate certe scelte.

Solo così è possibile costruire un credibile movimento di opposizione, che sappia mobilitare sempre più persone, una volta che la controinformazione sia circolata e che a tutti siano chiare le possibili alternative.

La presenza militare nel territorio campano non è inevitabile. Gli esempi d’ iniziative di vario tipo in altre città italiane e in altri paesi del mondo…dimostrano la possibilità di condizionare quella presenza, riuscendo, nei casi più fortunati, a far sloggiare l’inquilino militare. […] Non esistono dunque più alibi che impediscano ai napoletani di essere informati in merito al dettaglio di tali piani. A causa delle continue inadempienze sul tema nucleare… la Commissione Europea ha recentemente deferito l’Italia alla Corte di Giustizia… in quanto non ritiene che il paese abbia applicato efficacemente le norme Euratom in merito alla protezione della popolazione in caso di emergenza radiologica.  [34]

Già nel 2004, nel suo “decalogo per i porti a rischio nucleare, Alessandro Marescotti aveva opportunamente elencato alcune forme di mobilitazione diretta dei cittadini, che converrebbe adottare in questi casi e che riportiamo di seguito.

1) Digiuno cittadino… preparato in precedenza in modo da avere una durata adeguata alla “visita” dell’unità navale nucleare;

2) Comunicati stampa locali: presentazione delle ragioni del digiuno e richiesta di conoscenza del piano di emergenza nucleare; se esso fosse stato diffuso, diffusione della conoscenza del piano con comunicati stampa che evidenzino i rischi e le incongruenze.

3) …Richiesta alle autorità – Prefetto e Sindaco – di esercitazioni cittadine di evacuazione della città (ogni piano prevede l’evacuazione).

4) Diniego per ragioni di sicurezza, […] di attracco …. a unità navali con propulsione nucleare facendo esplicito riferimento alla non conoscenza o all’inadeguatezza del piano di emergenza e alla non effettuazione in precedenza di prove di evacuazione.

5) Trasparenza nucleare: richiesta alle autorità – ai fini della tutela della sicurezza della popolazione – di conoscere se siano presenti a bordo armi nucleari…

6) Comunicati stampa nazionali….

7) Richiesta e studio del piano di emergenza… in virtù del Decreto Legislativo 230/95…

8) Centro di documentazione: accedere agli archivi di www.peacelink.it sezione disarmo per prelevare l’elenco dei porti a rischio nucleare e delle unità navali che comportano questo rischio, inserirvi i piani di emergenza, sviluppare un dossier per ogni porto a rischio nucleare…

9) Conferenza stampa e archivio giornalisti: costruire una propria banca dati dei giornalisti più sensibili da contattare….

10) Costruire eventi nonviolenti che abbiano un impatto visivo e documentarli con le macchine fotografiche digitali; realizzare cartelloni colorati in giallo con il simbolo nero della radioattività e fotografarsi di fronte alle basi navali… [35]

Questi suggerimenti restano tuttora utili e noi di VAS, insieme con le altre realtà confluite nel Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio, abbiamo quindi continuato ad organizzarci, per rendere effettiva la lotta dal basso contro la piovra militarista e nuclearista, in difesa della salute e della sicurezza dei cittadini di Napoli e della Campania. Ma che cosa è successo dopo il 2011, l’anno in cui fu pubblicato il mio documento, finora riportato con qualche piccolo ritocco? [36].

6. Gli anni ’20, tra incidenti e rischi smentiti

Nel secondo decennio del XXI secolo non si sono registrate significative evoluzioni in materia di protezione delle popolazioni civili, per renderle consapevoli del rischio nucleare derivante dall’assurda presenza nelle acque di 12 porti italiani di svariati natanti militari a propulsione nucleare. Sebbene il 2011 – grazie al risultato del secondo referendum abrogativo di provvedimenti che cercavano di consentire nuovamente il nucleare civile – abbia costituito uno spartiacque in materia, non è però aumentata la sensibilità degli italiani in materia di nucleare militare.

Infatti, complice un’informazione inesistente sul rischio ambientale e sanitario derivante dall’esposizione di popolazioni civili al grave inquinamento nucleare nell’eventualità d’incidenti a portaerei e sottomarini militari, anche negli anni ’20 la situazione non ha registrato significativi cambiamenti.

Eppure alla fine del 2010 il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva già pubblicato su internet un documento che sintetizzava il “Piano Nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche”, in cui fra l’altro si ribadiva la necessità di “assicurare l’informazione pubblica sull’evoluzione dell’evento e sui comportamenti da adottare” [37].

Eppure in questo secondo decennio del 2000 – anche se con difficoltà – si era venuti a conoscenza di diversi incidenti a natanti a propulsione nucleare, l’ultimo dei quali (almeno di quelli conosciuti…) ha interessato nel 2021 il sottomarino statunitense USS Connecticut SS 20 che, impattato in una montagna subacquea non segnalata della regione indo-pacifica, si è arenato senza però subire danni al sistema di propulsione nucleare [38].

Già nel 2000 si era avuta notizia dell’incidente occorso al K-141 Kursk, un sottomarino russo a propulsione nucleare della Flotta del Nord. “Secondo l’inchiesta ufficiale, alle 11:28 locali (circa le 09:28 in Italia) qualcosa andò storto: uno dei siluri esplose dando il via a una serie di deflagrazioni a catena che aprirono uno squarcio nella prua. Il sottomarino si adagiò sul fondo del mare a 108 metri di profondità a ca. 135 km dalla base di Severomorsk” [39].

Ma appena tre anni fa, nel 2019, nel mare di Barents si è verificato un nuovo incidente con l’incendio del sottomarino nucleare russo Losharik, a causa del quale sono morti 14 marinai [40]. Dieci anni prima, nel 2009, si erano invece scontrati nell’Atlantico due sottomarini nucleari – l’inglese Vanguard e il francese Le Triomphant – col serio rischio di una fuga radioattiva e di considerevoli perdite umane, oltre che delle testate atomiche dei rispettivi missili [41]. Ancora un anno prima, nel 2008, sul Manifesto si era letto un altro caso.

Navigava da tre mesi nelle acque dell’Oceano pacifico, tra il Giappone, l’isola di Guam e le Hawaii, ma solo ieri si è saputo che lo «Uss Huston», sottomarino americano a propulsione nucleare, lasciava dietro di sé ‘piccole scie’ di materiale radioattivo. Perdite di entità ‘irrilevante’, ha subito minimizzato la marina statunitense, che tuttavia ammette di non essere in grado di quantificarle [42].

Già nel 2000 era toccato al governo italiano smentire l’assenza di reali situazioni di emergenza, in risposta all’interrogazione parlamentare relativa all’incidente al sottomarino nucleare britannico Tireless, che aveva subito un’avaria al largo della Sicilia, con conseguente fuoruscita del liquido di raffreddamento del reattore, ed era stato quindi dirottato a Gibilterra [43].

Si potrebbero citare parecchi altri casi simili, da quello del sottomarino statunitense scontratosi nel 2007 con una petroliera giapponese nel Golfo persico [44] e dell’omologo San Francisco USS 711, incagliatosi due anni prima a circa 420 km a sud dell’isola di Guam, nell’Oceano Pacifico [45], risalendo poi all’episodio dell’Uss Hartford, sottomarino nucleare americano gravemente danneggiato nel 2003 sui fondali dell’isola di Caprera [46] o allo strano caso del sommergibile Usa “catturato” nel 2001 dalle reti d’un peschereccio pugliese a 11 miglia dalla costa di Brindisi [47].

Rappresenterebbero comunque solo parte del problema, dal momento che le autorità militari, italiane e straniere, hanno molto probabilmente taciuto su altri episodi del genere oppure hanno minimizzato le gravità di quelli svelati. Il vero problema, d’altra parte, resta in ogni caso quello dell’informazione preventiva cui hanno diritto i cittadini potenzialmente interessati a tali emergenze, in modo da renderli coscienti dei pericoli derivanti dalla minacciosa presenza nei nostri mari di natanti a propulsione nucleare, soprattutto in periodi di crisi internazionali come quello che stiamo vivendo in Europa da circa un anno.

Non potrà verificarsi infatti un’efficace e diffusa mobilitazione popolare per smilitarizzare e denuclearizzare territori e mari del nostro Paese senza che sia stata fornita alla gente un’adeguata controinformazione per accrescerne la consapevolezza, abilitandola così a lottare per far valere il proprio diritto costituzionale alla sicurezza, alla salute e alla pace.

7. Piani di emergenza in Italia: il caso della Campania

Proprio in tale ottica l’associazione VAS – insieme colle altre realtà coordinate in Campania dal citato Comitato Pace e Disarmo – nel 2011 aveva puntato sull’acquisizione di documentazioni ufficiali, sia per informare i cittadini e renderli consapevoli sia del rischio nucleare che incombe da decenni sui porti civili di Napoli e Castellammare di Stabia, sia per pungolare le autorità che avrebbero dovuto attuare un piano di emergenza obbligatorio per legge, ma paradossalmente secretato e disatteso. Infatti – come già accennato – tra dicembre 2010 e gennaio 2011 VAS – in qualità di associazione nazionale di protezione ambientale – aveva formalmente richiesto alla Prefettura di Napoli copia del “Piano di Emergenza Esterna del Porto di Napoli” (P.E.E.P. Na.), approvato già nel 2006 [48]. Ne aveva però ottenuto solo una parziale documentazione, cioè l’allegato G9 (il “Piano particolareggiato per l’informazione della popolazione”, indicato con l’acronimo P.P.I.P.) [49].

Tale documento, rinviando all’art. 129 del D. Lgs. 230/95 che “prevede l’obbligo d’informazione alle popolazioni che possono essere interessate da emergenza radiologica”, specificava che “detta informazione deve essere fornita senza che ne venga fatta richiesta”, precisando inoltre che:

nelle more […] si è ritenuto che la competenza nella divulgazione dell’informazione sarà curata dai Sindaci interessati che, d’intesa con l’Unità di Crisi regionale Sanitaria, nonché delle autorità competenti, provvederanno a predisporre un progetto finalizzato per la popolazione, sulla base delle seguenti linee guida [50].

Non essendo stato fino ad allora attuato nessuno dei provvedimenti d’informazione preventiva previsti da quel Piano, sebbene i vertici dei due comuni fossero stati esplicitamente investiti di tale compito, nell’aprile del 2011 il Circolo locale dell’associazione VAS diffidò formalmente l’allora Sindaco di Napoli ad adempiere quanto previsto dall’all.to G9 al P.E.E.P., provvedendo quindi entro 90 giorni, d’intesa con l’Unità di Crisi regionale Sanitaria e altre autorità competenti, a predisporre un progetto per l’informazione della popolazione.

A distanza di oltre sei mesi da quella diffida, non essendoci stato alcun riscontro positivo (anche dopo che il Comitato Pace e Disarmo Campania (CPDC) aveva organizzato a luglio un’apposita assemblea cui era intervenuto un referente del nuovo Sindaco), VAS ha quindi presentato un esposto alla Procura della Repubblica, ipotizzando che il comportamento omissivo dell’A.C. di Napoli configurasse il reiterarsi di un vero e proprio reato.

Nell’aprile 2011, inoltre, lo stesso CPDC aveva svolto una significativa manifestazione di protesta per denunciare pubblicamente il rischio nucleare, inscenando un blitz ecopacifista alla Stazione Marittima di Napoli, esibendo allarmanti tute bianche e distribuendo volantini, in coincidenza con una cerimonia inaugurale cui erano intervenuti il cardinale arcivescovo, il presidente dell’autorità portuale napoletana, il presidente dell’Unione Industriali, quello della Camera di Commercio di Maddaloni ed il presidente di Terminal di Napoli [51]

Nell’ottobre 2012 – come si sottolineava in un comunicato ripreso dal quotidiano Il Mattino – VAS Napoli è tornato a denunciare l’inerzia colpevole delle autorità preposte, poiché – ancora una volta e in un breve lasso di tempo – si erano di nuovo materializzate nel Porto di Napoli ben due portaerei nucleari.

Dopo la ‘visita’ della portaerei nucleare francese “Charles De Gaulle” – si legge nel comunicato diffuso da Ermete Ferraro – è giunta a Napoli quella statunitense “Enterprise”, nota come immagine-simbolo dei “Top gun”. In entrambi i casi si tratta di enormi centrali nucleari galleggianti, che portano minaccia di morte e spiriti guerrafondai dove sono dirette, ma che provocano anche un giustificato allarme per il rischio atomico connesso alla loro presenza nel mare di città densamente popolate come Napoli, rinforzato purtroppo da episodi di recenti incidenti che hanno riguardato natanti a propulsione nucleare [52].

Ad ulteriore riprova della totale assenza di risposte istituzionali alle legittime proteste antinucleariste, appena un anno dopo, nel novembre del 2013, era ricomparsa nel porto di Napoli la portaerei USS Nimitz, una delle più grandi e micidiali al mondo, suscitando le reazioni indignate di VAS Napoli e del Comitato Pace e Disarmo Campania.  Quest’ultimo, il mese successivo, ha organizzato in Municipio una nuova assemblea pubblica contro la militarizzazione del territorio e la vendita di armi, con interventi di P. Alex Zanotelli, Angelica Romano, Ermete Ferraro, Flavia Lepre, Antonio Lombardi e Giovanni Sarubbi [53].

8. Porto di Napoli denuclearizzato? Ma anche no…

Ottobre 2015 – Conferenza stampa a Palazzo S. Giacomo sulla delibera che ‘denuclearizza’ il porto di Napoli

A questo punto è legittimo chiedersi a quale risultati abbiano portato quelle mobilitazioni ecopacifiste in Campania. Purtroppo dobbiamo ammettere che l’occupazione manu militari del territorio e del mare della nostra regione – della quale mi sono occupato in vari articoli e saggi [54] – è comunque proseguita pressocché indisturbata, senza che dal mondo della politica, della scienza e da parte degli stessi movimenti pacifisti si registrassero significative reazioni.

Viceversa, le pressioni esercitate sull’Amministrazione Comunale di Napoli – nell’assordante silenzio della Prefettura, della Regione e di altre autorità – hanno allora sortito un primo risultato, significativo sebbene insufficiente. Mi riferisco alla clamorosa decisione della Giunta de Magistris di approvare una delibera che, almeno simbolicamente, si opponeva al permanere del grave pericolo derivante dalla presenza nelle acque cittadine di natanti a propulsione nucleare.

Con la D.G. n. 609 del 25.09.2015, infatti, si era dichiarato esplicitamente che portaerei e sottomarini nucleari “costituiscono di per sé un potenziale pericolo anche per le popolazioni che risiedono nella Città Metropolitana di Napoli” e che essa “per l’alta densità demografica non può minimamente essere sottoposta al rischio di una possibile emergenza radiologica”, proclamando ufficialmente il Porto di Napoli “Area Denuclearizzata”, anche in nome della natura statutaria di “Città della Pace” del capoluogo campano [55].

“Questa delibera – ha spiegato il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris in conferenza stampa – ha un valore altamente simbolico e politico. L’abbiamo approvata in questi giorni, proprio perché è in programma una grande esercitazione militare nel Golfo di Napoli. La nostra è una città che promuove la pace. Non si tratta solo di una battaglia simbolica e politica, ma anche di difesa del nostro territorio e della salute dei cittadini. Per questo vogliamo dare un segnale forte e chiediamo che anche l’Autorità Portuale si esprima nella stessa direzione. Napoli sarà sempre in prima linea nella costruzione di un’alternativa alle politiche di guerra, nonostante l’Italia sia il primo produttore in Europa di armi. Noi armamenti nucleari nel nostro Porto non ne vogliamo”. [56]

Il fatto che sette anni fa l’amministrazione della terza Città d’Italia si sia pronunciata nettamente su una questione politicamente spinosa è da considerare senz’altro un passo positivo, se non altro perché i media non poterono ignorare quella delibera e quindi ne divulgarono il contenuto innovativo [56]. Il problema è che si trattava sì d’un atto amministrativo d’importante valenza simbolica, però  senza rilevanti effetti pratici in assenza di un’interlocuzione istituzionale successiva con Prefettura, Autorità Portuale e con le stesse autorità militari, sia italiane sia ‘alleate’. Ancor più grave della mancata pressione sui suddetti interlocutori è apparsa poi l’assenza di un reale intervento comunale sul piano della controinformazione circa il rischio nucleare nei riguardi degli abitanti della Città metropolitana di Napoli, che sarebbe stato – e resta tuttora – d’indubbia competenza del Sindaco pro tempore.

In quanta considerazione fosse stata presa la delibera della Giunta de Magistris, del resto, è apparso a tutti con chiarezza solo un anno dopo. Nel giugno 2016, infatti, nelle acque territoriali di Napoli si è nuovamente materializzata un’enorme portaerei nucleare, la USS D. Eisenhower, provocando ancora una volta le reazioni indignate – ma solitarie – degli ecopacifisti [58].

Da allora – sebbene con maggiore discrezione e meno frequentemente – è proseguita indisturbata l’esibizione bellicosa di natanti a propulsione nucleare (e con armamenti atomici a bordo) nelle acque della nostra cosiddetta ‘Città di Pace’, soprattutto in coincidenza con esercitazioni navali congiunte della NATO.

Un caso eclatante è scoppiato quando, nell’aprile 2018, un sottomarino nucleare USA si è posizionato in rada, sollevando la reazione non solo degli antimilitaristi, ma anche del Sindaco de Magistris, che si è rivolto all’allora Comandante della Capitaneria di Porto, contrammiraglio Faraone.

“Ho appreso – scrive il primo cittadino – che lo scorso 20 marzo il sottomarino nucleare statunitense Uss John Warner è approdato nella rada della nostra città. Ho letto anche l’ordinanza n.17/2018 che lei ha emesso per le necessarie e correlate disposizioni di sicurezza e di navigazione. Desidero, a tal proposito, ribadire che il 23 settembre 2015 è stata approvata, su mia iniziativa, la delibera n.609 con la quale è stata dichiarata ‘area denuclearizzata’ il Porto di Napoli […] il primo cittadino chiude la nota a Faraone richiedendo di considerare, “per analoghe situazioni future”, che “la determinazione e la volontà menzionate” nell’atto comunale sono dirette “al non gradimento che navi di tale caratteristiche sostino o transitino nelle acque della nostra città” [59].

Altro episodio clamoroso si è verificato quattro anni dopo, nel maggio 2022, quando è ricomparsa nelle acque di Napoli la gigantesca portaerei USS Harry S. Truman, “attualmente in dispiegamento programmato nell’area di operazioni della sesta flotta in supporto alla sicurezza e alla stabilità marittima, anche allo scopo di rassicurare alleati e partner in Europa e Africa”, secondo la spiegazione entusiastica fornita dal quotidiano Il Mattino [60]. Benché il giornale riferisse infatti che sul lungomare molti napolitani avevano fotografato quella specie di… ‘Truman Show’, in effetti l’ennesimo mostro nucleare galleggiante non rassicurava nessuno, come opportunamente ribadito da Luigi de Magistris, commentando negativamente quella nuova esibizione muscolare della US Navy.

Le portaerei con armi di distruzione di massa non sono gradite, devono rappresentare il passato non il futuro del nostro pianeta. Il nostro mare è di pace, non di guerra” [61].

Un altro giornale riferiva poi che l’ex sindaco ha precisato che la sua era stata una: “Delibera sicuramente simbolica, ma che evidenzia come la sovranità del nostro Paese sia limitata e che siamo subalterni alla NATO” [62].

9. “Meglio attivi che radioattivi…”: ecopacifismo e mobilitazioni popolari

Mag. 2022 – Delegazione in Municipio, guidata da p. Alex Zanotelli

Il mondo dell’informazione, come quelli della scienza e della politica, continuano a mostrare una sorta di reazione allergica verso qualsiasi argomentazione che abbia a che fare con le crescenti contestazioni nei confronti dell’invadenza militarista e dello strisciante bellicismo che negli ultimi anni sta ulteriormente contaminando – e condizionando pesantemente – l’opinione pubblica.

Come ho sottolineato di recente in alcuni articoli su questa risorgente cultura di guerra [63], il pericoloso connubio tra l’arrogante pretesa d’indiscutibili certezze scientifiche e l’autoritarismo di scelte politiche dettate dal complesso militare-industriale sta generando mostri. Ancor più insidiosa è l’ipocrisia di chi pretenderebbe di accreditare le forze armate quasi come un’organizzazione di protezione dell’ambiente, mentre in realtà il sistema militare, in pace prima ancora che in guerra, è uno dei principali fattori di devastazione ambientale, come sottolineavamo in un opuscolo curato nel 2021 dagli Antimilitaristi Campani.

Sono di per sé evidenti gli effetti distruttivi della guerra per gli esseri umani […] Meno conosciuti sono gli effetti devastanti della guerra e degli apparati militari sull’ambiente naturale  e sull’integrità degli ecosistemi […] La devastazione ambientale provocata dalle attività militari interessa anche molti paesi non coinvolti direttamente in attività belliche [tra cui] …la minaccia alla sicurezza e alla salute degli abitanti di città nelle quali si consentono impunemente il transito e l’ormeggio di natanti a propulsione nucleare […] L’ambiente è la vittima dimenticata della guerra e la natura è diventata essa stessa ‘un campo di battaglia’  [64]

La rete degli antimilitaristi campani con quella pubblicazione – nella quale si evidenziava anche la militarizzazione della sanità pubblica e l’irreggimentazione dell’informazione in occasione della pandemia – ha costituito un importante elemento dell’azione di denuncia delle complicità tra complesso militare-industriale e classe politica e della vergognosa subalternità del nostro Paese agli interessi degli Stati Uniti e alle bellicose strategie della NATO. Le stesse che consentono tuttora ai natanti a propulsione nucleare di approdare trionfalmente nel mare antistante popolose città italiane come Napoli, ma anche Cagliari, La Spezia, Taranto o Trieste, minacciandone la sicurezza, la salute e la pace.

Il 2021 è stato un anno importante anche perché il Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR Italia) ha pubblicato un testo fondamentale per il rilancio di queste battaglie. Infatti il libro “La colomba e il ramoscello ha come sottotitolo “un progetto ecopacifista” proprio per sottolineare che l’approccio che lo caratterizza è una visione più ampia, in cui pacifismo ed ecologismo finalmente si integrino in una proposta unitaria. Partendo dalla premessa che la crisi ambientale non può essere letta separatamente dall’accresciuta conflittualità internazionale, in quanto l’origine di entrambi va ricercata in quel modello di sviluppo energivoro iniquo e violento che consuma risorse per le guerre e scatena guerre per le risorse, il contributo del MIR è dunque uno stimolo a costruire, insieme, un’alternativa nonviolenta, antimilitarista ed ecopacifista.

Il sistema militare…per le sue gigantesche dimensioni, è fonte di pesanti conseguenze ambientali, connesse all’incredibile voracità di risorse e beni comuni […] La più grave impronta ambientale del sistema militare è comunque imputabile al devastante impatto delle operazioni belliche sul deterioramento climatico globale […] Ne deriva, sottolinea Elena Camino, che: “La ‘riservatezza’ sulle questioni militari…ha contribuito a tenere il pubblico all’oscuro dei grandissimi problemi che il moderno ‘approccio militare’ ai conflitti pone non solo alle comunità umane, ma agli equilibri (sempre più instabili) dell’ecosistema Terra [65]

Il quarto capitolo del libro, nel quale erano confluiti alcuni miei contributi precedenti [66], è dedicato appunto alla “prospettiva ecopacifista”, della quale si individuano sia le premesse teoriche (nonviolenza attiva, ecologia sociale, antimilitarismo, difesa civile…), sia le possibili strategie e le proposte prioritarie sul piano operativo, tra cui le vertenze contro il nucleare civile e militare assumono un’indubbia priorità ed evidenza.

Esistono questioni sulle quali si potrebbe da subito cercare la convergenza operativa delle organizzazioni ecologiste e di quelle pacifiste […] Tra le battaglie da menzionare c’è anche quella contro la presenza di natanti a propulsione nucleare in alcuni porti del nostro paese. Un altro terreno potrebbe essere il rischio ambientale [e sanitario] connesso all’inquinamento elettromagnetico generato da mostruosi apparati radar e per le telecomunicazioni, massicciamente presenti in basi e aeroporti militari e collocati in aree densamente urbanizzate [67].

Si tratta spesso di lotte nate sul territorio, all’interno delle comunità interessate ad operazioni di notevole impatto ambientale che suscitano un ovvio e prevedibile allarme, come appunto nel caso dell’installazione di formidabili impianti per telecomunicazioni militari a Niscemi, in Sicilia, contro cui si sono mobilitati a lungo i comitati NO MUOS’ [68]. Ma, come sempre, contro di esse si frappone non solo la consueta barriera della segretezza militare, ma anche la complicità di fonti ‘scientifiche’ abituate ad assecondare il potere con la loro pretesa autorevolezza.

La parola d’ordine, in questi casi, è negare tutto, banalizzando o ridicolizzando le lotte popolari come sollevazioni frutto solo d’ignoranza scientifica o di malafede politica. Si tratti di OGM, inquinamento elettromagnetico o rischio nucleare, insomma, le risposte istituzionali sono sempre state improntate alla pervicace negazione di qualsiasi pericolo, pretendendo che siano i contestatori a provare le loro accuse, quando viceversa essi invocano proprio l’applicazione del ‘principio di precauzione’, non a caso sempre più osteggiato o diluito nei suoi effetti da molti legislatori, anche a livello comunitario.  

 Il p. di p. è stato originariamente proposto per difendere l’ambiente, ma oggi sta diventando sempre più usato ogni qualvolta la pubblica opinione è preoccupata a causa dell’uso di nuove tecnologie. Le novità introdotte dal p. di p. sono, in primo luogo, il passaggio dell’onere della prova dalle autorità pubbliche ai proponenti le nuove attività; in secondo luogo, l’azione cautelativa che deve essere intrapresa prima di conseguire la certezza scientifica sulla correlazione tra causa ed effetto [69].

Ecco perché sulle battaglie ecopacifiste – come quella sulla denuncia del rischio per la popolazione civile derivante dai ‘porti nuclearizzati’ – cala spesso il silenzio, alimentato dalla connivenza dell’informazione ‘ufficiale’ e dall’atteggiamento sprezzante di una ‘Scienza’ troppo spesso asservita alle compatibilità politico-economiche dei decisori, da cui dipende per i finanziamenti.

10. Scienziati per la pace e comitati ecopacifisti

Presentazione del libro del MIR “La colomba e il ramoscello”, con Anna Savarese, Ermete Ferraro, Pio Russo Krauss e p. Alex Zanotelli (2022)

Per fortuna non sono mancati, anche nel caso del rischio nucleare nei nostri porti, alcuni autorevoli interventi scientifici che avvalorano le denunce degli attivisti ambientalisti e pacifisti. Ho precedentemente citato le osservazioni critiche di Antonino Drago, già docente di fisica alla Federico II di Napoli, [70], cui vanno ad aggiungersi quelle di Massimo Zucchetti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Torino e di Gianni Mattioli, già ordinario di Fisica alla Sapienza di Roma, sintetizzate in un articolo del 2013, in conclusione del quale leggiamo:

Per tutti gli approdi nucleari devono essere predisposti gli opportuni piani di emergenza esterna che obbligatoriamente devono essere comunicati alla popolazione. Al momento invece in Italia non è possibile per i cittadini essere informati (in violazione dell’articolo 129 del Decreto legislativo 230/1995) perché questi piani vengono classificati come “segreti”. Laddove i piani sono stati predisposti (con grande ritardo) come nel caso di Trieste, si scopre con stupore (sono occorsi anni per realizzarli) l’inconsistenza degli stessi: in caso di emergenza reale è davvero angosciante pensare che la vita di decine di migliaia di persone dipenderebbe da questi pezzi di carta contenenti disposizioni inattuabili. E proprio per la continuità di questi atteggiamenti antidemocratici posti in essere a danno della collettività e in aperta violazione della legislazione comunitaria, l’Italia è stata deferita nel giugno del 2006 alla Corte di Giustizia Europea [71].

Ed è stato proprio il professor Massimo Zucchetti che, in una dettagliata relazione, ha ribadito le cause ostative ad un’efficace prevenzione del rischio nucleare in relazione a natanti di natura militare, consistenti nel regime di segretezza che di per sé si oppone alla necessaria trasparenza dei controlli, così come la loro presenza in aree marine prospicienti città e metropoli, difficilmente proteggibili dalle perniciose conseguenze di seri incidenti nucleari

Nel caso di reattori nucleari a bordo di unità navali militari, molte di queste informazioni mancano o sono insufficienti. Quanto sarebbe necessario acquisire, conoscere, ispezionare ed accertare si scontra molto spesso con il segreto militare. Molte delle informazioni che sarebbe necessario ottenere da parte dell’autorità di controllo o di sicurezza mancano, sono inottenibili, oppure vengono trasmesse mediante comunicazioni da parte della Marina Militare o addirittura della US Navy, con una modalità di autocertificazione […] inaccettabile nel caso dell’analisi di sicurezza di un impianto nucleare […] La presenza…sul territorio di reattori nucleari necessita di una zona intorno ad essi nella quale non vi sia presenza di popolazione civile […] mentre è anche richiesta, in una fascia esteriore più ampia, una scarsa densità di popolazione. Ciò è necessario per ridurre le dosi collettive in caso di rilasci radioattivi, sia di routine che incidentali […] Normalmente, la fascia di rispetto ha raggio di 1000 metri e vi sono requisiti di scarsa densità di popolazione per un raggio di 10 km almeno intorno all’impianto. Nel caso di reattori nucleari a bordo di unità navali militari, questi requisiti non possono venire rispettati, dato che molti dei porti si trovano in aree metropolitane densamente popolate. I punti di attracco e di fonda delle imbarcazioni militari sono, in alcuni casi, posti a distanze minime dall’abitato. Anche qui, in ogni caso, l’effettiva ubicazione di questi reattori non è determinabile, in quanto i punti suddetti sono coperti ancora una volta da segreto militare. [72]

A questo punto, l’unica conclusione possibile – come ribadiva Zucchetti – è che dovrebbero essere interdetti sempre e comunque transito e sosta di portaerei e sottomarini nucleari nelle acque prospicienti i porti delle città italiane. Evidenza scientifica che va al di là di ogni pur legittima posizione di principio, fondata sul ripudio delle attività militari e di guerra e/o sulla protezione dell’ambiente naturale e urbano da ulteriori e gravi fonti di inquinamento.

Purtroppo la realtà fattuale sembra andare in ben altra direzione, soprattutto a causa della ribadita subalternità politica ed economica del nostro Paese nei confronti degli Stati Uniti e delle strategie di quella ‘Alleanza Atlantica’ che da decenni grava come un giogo insopprimibile sulla nostra indipendenza. Bisogna osservare comunque che l’auspicata “Difesa Europea”, lungi dall’infrangere quella dipendenza, andrebbe semmai a sovrapporsi ad essa, in quanto obbedisce alle stesse logiche perverse del complesso militare-industriale, come si rilevava in un documentato opuscolo pubblicato dall’ENAAT nel 2021.

L’industria degli armamenti e della sicurezza ha svolto un ruolo chiave nella creazione, nello sviluppo e nell’importanza delle politiche militari e di sicurezza dell’UE. La militarizzazione dell’UE è stata aiutata dall’uso estensivo da parte dell’industria di think tank, lobbisti e cosiddetti “esperti” legati al settore della sicurezza, mentre è stata accolta favorevolmente dalle politiche dei funzionari delle istituzioni europee e degli Stati membri. Questo processo dimostra che l’UE è impegnata nei preparativi bellici a livello politico, industriale e materiale, preparandosi a qualsiasi forma di conflitto futuro. L’UE sta contribuendo ad aumentare sostanzialmente la spesa militare e ad intensificare la corsa agli armamenti globale, uno sviluppo che minaccia di sospendere l’apparente sostegno dell’UE alla costruzione di una pace alternativa e alla lotta contro cause profonde dei conflitti. [73]

Per comprendere quanto poco sia cambiato il quadro relativo a questa problematica, basti pensare che nell’ultimo anno – il 2022 appena concluso – a Napoli si sono verificati, a distanza di soli sei mesi, altri due episodi di minacciosa presenza di natanti nucleari nelle acque interne del golfo di Napoli, per di più in un preoccupante clima di guerra. Il 10 maggio, infatti, i quotidiani hanno dato notizia della presenza e sosta della prima gigantesca portaerei statunitense.

La portaerei americana Uss Harry S. Truman è arrivata nel Golfo di Napoli e l’opinione pubblica si divide: mentre centinaia di napoletani si accalcano sul lungomare per fotografare il gigante dei mari, fortezza armata fiore all’occhiello della Marina a stelle e strisce, altrettanti utenti su Twitter criticano le manovre nei mari italiani. Poche settimane fa, per l’esattezza il 23 aprile, la stessa Truman, gioiello classe Nimitz aveva fatto una tappa nel porto di Trieste. “Sosta tecnica operativa”, era stata la motivazione ufficiale dopo un periodo di due mesi di esercitazioni nel Basso Adriatico e nello Jonio con l’aviazione militare greca. Il tutto però avveniva mentre l’escalation della guerra in Ucraina stava iniziando a mostrare la vera entità del conflitto. Non più locale, ma potenzialmente mondiale. Con l’Italia, dunque, di nuovo a ricoprire un ruolo-chiave al confine tra Europa occidentale ed orientale, e nel cuore del Mediterraneo. [74]

Ovviamente è scattata la reazione del Comitato Pace e Disarmo Campania, che lo stesso giorno haimprovvisato un blitz in di protesta davanti al Municipio di Napoli, diramando un comunicato stampa dopo il mancato accoglimento della richiesta di incontro con Sindaco Manfredi:

…per protestare contro la presenza da stamane nel porto di Napoli della portaerei statunitense a propulsione nucleare U.S.S.Truman che – come si evince dall’Ordinanza n. 40/2022 della Capitaneria – vi stazionerà fino al prossimo 16 maggio, determinando fra l’altro il divieto di transito e sosta da parte di qualsiasi altra nave, nel raggio di 1300 metri […] Padre Alex Zanotelli, a nome dei manifestanti, ha chiesto un incontro col sindaco Manfredi, per ricordargli che quella delibera è tuttora in vigore e che – come responsabile della salute e sicurezza della cittadinanza – è tenuto a informarla ed a sollecitare l’attuazione del relativo Piano di Emergenza, assurdamente ancora secretato. […] il portavoce del Sindaco è poi sceso ad incontrare la delegazione del Comitato, che gli ha esposto i motivi per i quali l’A.C. dovrebbe intervenire, per far rispettare la delibera citata, ma soprattutto per informare i Napoletani del grave rischio sanitario e ambientale derivante dall’impropria presenza in rada di natanti nucleari, soprattutto in un periodo così delicato e drammatico [75].

Non si è fatto attendere poi il commento dell’ex Sindaco, che – nel silenzio dell’attuale primo cittadino sulla vicenda – ha dichiarato a sua volta:

Non ci piegammo al razzismo di Stato di guerra e aprimmo i porti, per ubbidire alla Costituzione di fronte alle illegalità del potere – prosegue l’ex sindaco di Napoli – La nostra città è oggi aperta alle sorelle e ai fratelli ucraini, come a tutte le persone che hanno bisogno di aiuto e pace. Nello statuto della città di Napoli inserimmo in maniera indelebile: ‘città di pace’. Le portaerei con armi di distruzione di massa non sono gradite, devono rappresentare il passato non il futuro del nostro pianeta. Il nostro mare è di pace, non di guerra”, ha concluso de Magistris [76].

Anche un articolo dell’Huffington Post ha sottolineato che, in questa circostanza, “De Luca e Manfredi si tengono a distanza” [77], frase interpretabile in vario modo sia in riferimento alla loro assenza al ricevimento ufficiale della US Navy, sia in relazione al loro imbarazzato silenzio su una situazione che, dopo 25 anni di battaglie politiche e perfino legali, sembra tuttora che non interessi ai vertici della Città Metropolitana e della Regione più densamente popolate.

11. Il panorama internazionale dell’informazione

Maggio 2021 – Attivisti protestano a Tromsø contro sottomarino nucleare

In questi ultimi due anni l’opposizione ecopacifista all’ingombrante e pericolosa presenza nei porti civili di natanti nucleari sembra però aver contagiato anche altre realtà di movimento, a livello internazionale ma anche in Italia.

In Australia, ad esempio, nel 2021 l’autorevole organizzazione Friends of the Earth – Amici della Terra ha fatto appello alle comunità ed ai sindacati “nelle città portuali e nei cantieri navali australiani ad auto-dichiararsi ‘zone libere dal nucleare’ e a porre ‘divieti verdi’ alla manutenzione, alla costruzione e a qualsiasi industria marittima relativa alle navi a propulsione nucleare” [78].

Negli stessi USA, diverse metropoli costiere hanno continuato ad opporsi alla presenza nei loro porti di natanti a propulsione nucleare ed appena un anno fa (il 9 dicembre 2021) “Il Consiglio Comunale di New York City ha adottato un provvedimento legislativo che invita a disinvestire dalle armi nucleari, istituisce un comitato responsabile della programmazione e delle politiche relative allo status di New York come zona priva di armi nucleari e invita il governo degli Stati Uniti aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW)” [79].

Nel Regno Unito non si registrano particolari mobilitazioni, ma è stato pubblicizzato il “piano di emergenza radiologica per il porto di Southampton” [80], un aggiornamento per il triennio 2020-2023 che però non va oltre i soliti banali consigli da seguire in caso di pericolo di esposizione alle radiazioni ionizzanti in seguito ad un incidente nucleare.

In Norvegia, a maggio 2021 si è registrata la vivace protesta di attivisti della città di Tromsø, nel cui porto aveva attraccato il sottomarino nucleare USS New Mexico, visita giudicata “non benvenuta” per cui “diversi politici locali e numerosi cittadini hanno protestato contro il sottomarino e la decisione del governo norvegese di consentire l’attracco di natanti a propulsione nucleare” [81].

La Spagna, già da parecchi anni interessata da proteste di comitati civici e ambientalisti contro i natanti nucleari, ha recentemente registrato un nuovo episodio riguardante la sicurezza di Gibilterra, dove nel settembre 2022 è attraccato il sottomarino statunitense USS Florida, appena cinque mesi dopo un analogo episodio che riguardava l’omologo USS Georgia.

Verdemar-Ecologistas en Acción ha chiesto che il sottomarino attualmente attraccato a Gibilterra, l’USS Florida, “se ne vada e smetta di mettere a rischio nucleare lo Stretto di Gibilterra”. Inoltre, ha ricordato che non è la prima volta che questa nave approda sullo Scoglio […] In una nota, gli ecologisti hanno invitato le navi da crociera attraccate davanti a questa “bomba galleggiante”, a lasciare il porto di Gibilterra “per il rischio che si comporta trovarsi accanto a un manufatto di queste caratteristiche” […] Verdemar calcola che, dal 2001, sono transitati per Gibilterra più di cento sottomarini a propulsione nucleare [82].

Per quanto riguarda la Grecia, è del 2019 l’interessante dossier “Navi nucleari e ambiente”, curato da Konstantinos I. Delimbasis, che si concludeva con un allarme sul poco noto rischio ambientale relativo ai relitti di sottomarini nucleari.

Ma al di là delle armi nucleari, l’eredità della Guerra Fredda si annida, in una forma ben più insidiosa, negli scafi dei sottomarini in decomposizione sui moli della Russia nordoccidentale, nei cimiteri dei reattori di Hanford, Washington, e nel Golfo di Sheda, nel Mare di Kara, nelle tombe liquide dei sottomarini nucleari andati perduti e in tutti i mari del mondo dove un tempo operavano o operano sottomarini e navi a propulsione nucleare. [83]

In Brasile, più che l’opposizione antinuclearista, a frapporsi alla costruzione di sottomarini nucleari sembra che siano il clima bellico di questo periodo e i dubbi sul necessario avanzamento tecnologico in materia, per cui quel progetto… rischierebbe di naufragare.

Nel caso del Brasile, lo strumento deterrente più desiderato è il sottomarino a propulsione nucleare. Il problema è che questo progetto affronta dei rischi e potrebbe fallire. Gli ostacoli esistevano prima. Con la guerra, sono diventati più grandi […] Il sottomarino a propulsione nucleare convenzionale Álvaro Alberto (SCPN) è il fiore all’occhiello di Prosub, un programma multimiliardario ad alto impatto lanciato nel 2008 […] Ma nel caso del sottomarino nucleare, l’instabilità delle risorse si unisce alla sfida tecnologica di sviluppare un reattore che si adatti perfettamente – e in sicurezza – all’interno della nave, sottoposta ad alta pressione e turbolenze di ogni tipo. E l’industria brasiliana, come rivelò all’epoca l’ammiraglio Olsen, non è in grado di fornire queste tecnologie critiche [84].

In Giappone, anche recentemente si sono registrate proteste ecologiste contro il rischio derivante dalla presenza nel porto di Yokosuka di altre portaerei nucleari USA, come riferito da una fonte locale:

Fermare l’homeport di Yokosuka per le portaerei a propulsione nucleare – Estensione dell’ormeggio della base n. 12 di Yokosuka della Marina degli Stati Uniti, interruzione del piano di manutenzione. Per raggiungere questo obiettivo, tutti noi conosceremo i fatti, pensiamo ai problemi causati dall’homeport di Yokosuka della portaerei a propulsione nucleare, al piano di estensione e manutenzione dell’attracco n. 12, nonché ai problemi causati dal portaerei come l’inquinamento acustico.・Discutere attivamente e mirare a diffondere tra i cittadini. Le navi nucleari sono centrali nucleari galleggianti e, poiché si muovono sul mare, sono ancora più pericolose delle centrali nucleari ! ( https://cvn.jpn.org/ )

Come si vede, pur tenendo conto che ciò che è riscontrabile sui media è ovviamente solo la punta dell’iceberg rispetto all’effettiva consistenza del problema, si registra un po’ dovunque l’opposizione non solo al riarmo atomico, ma anche alla presenza di navi militari a propulsione nucleare nei porti civili. Purtroppo al coro delle proteste ecopacifiste mancano alcune voci autorevoli, fra cui quelle delle principali organizzazioni ambientaliste italiane e della stessa Greenpeace, sul cui sito internazionale non compare nessuna iniziativa specificamente diretta alla denuncia del rischio nei porti nuclearizzati [85].

Eppure si tratta di una questione destinata a sempre nuovi sviluppi e che quindi dovrebbe preoccupare molto di più l’opinione pubblica, sia pur poco informata. Viceversa, a parte la documentazione fornita da PeaceLink sulle pagine del suo sito dedicate specificamente al disarmo [86], sul rischio ambientale da ‘nucleare militare’ si discute troppo poco. Una lodevole eccezione sono gli articoli di Antonio Mazzeo, che è più volte tornato sull’argomento, sottolineando l’assurdità di una minaccia alla pace e alla sicurezza di cui tuttora pochi sono informati.

I dati statistici sugli incidenti a reattori nucleari navali sono inquietanti: negli ultimi quarant’anni si sono avute ben oltre un centinaio di emergenze radiologiche a unità di Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna e Francia. “Ricerche in corso dimostrano la correlazione fra la presenza di sommergibili a propulsione nucleare e la concentrazione di elementi radioattivi alfa-emettitori in matrici biologiche marine […] Ancora oggi però alcuni dei porti “nuclearizzati” sono sprovvisti di specifici piani di emergenza oppure essi risultano secretati. Quando si è avuto accesso ai piani, sono state segnalate numerose e poco rassicuranti disparità nelle soluzioni adottate [87].

12. Rilanciare le vertenze ecopacifiste, con la controinformazione e l’opposizione popolare

Il rilancio delle mobilitazioni ecopacifiste, in Italia, è diventato un obiettivo perseguito in particolare dall’associazione nazionale di protezione ambientale Verdi Ambiente e Società (VAS) e dal Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR Italia), che recentemente hanno aperto il dibattito sul tema con contributi propri, ma anche stimolando altre realtà ecologiste e pacifiste ad unirsi e collaborare anche su questo terreno.

Ho già citato l’articolo del 2004, il saggio del 2011 ed il “Manuale” del 2014 che VAS ha pubblicizzato proprio per confrontarsi con altri soggetti dell’arcipelago ecopacifista italiano, fra cui Green Cross Italia e Legambiente. Va sottolineato poi che il circolo metropolitano VAS di Napoli è sempre stato in prima linea su queste problematiche e che la rivista bimestrale dell’Associazione, grazie al suo impegno, ha riconosciuto recentemente uno spazio particolare alle vertenze ecopacifiste, ospitandovi una rubrica specifica [88].

Per quanto riguarda il MIR Italia, lo spirito di nonviolenza attiva che anima dal 1952 la sezione italiana dell’International Fellowship of Reconciliation – IFOR ha ispirato da sempre le battaglie pacifiste contro il nucleare civile e militare, grazie soprattutto ai fondamentali ed autorevoli contributi di Antonino Drago e di Giuliana Martirani. Oltre alla pubblicazione da parte del Gruppo Abele di Torino nel 2021 del citato libro del MIR La colomba e il ramoscello- Un progetto ecopacifista [89], l’anno seguente, il Centro Gandhi di Pisa è stato l’editore del ‘manuale’ di Ermete Ferraro, intitolato Grammatica ecopacifista – Ecolinguistica e linguaggi di pace [90].

In questo libro… confluiscono riflessioni e proposte già presentate negli anni passati, ma anche approfondimenti e ricerche più recenti, come quella sul ruolo della ricerca ecolinguistica nel processo di coscientizzazione sul rapporto fra ecologismo e pacifismo, ma anche nella diffusione di un modo di comunicare non più antropocentrico ed attento alla tutela della diversità culturale [91].

Un positivo elemento di novità, in quest’ultimo anno, è stato l’accresciuto interesse di un’organizzazione come Pax Christi Italia nei confronti della paradossale situazione politica che vorrebbe i porti italiani sempre più chiusi alle operazioni umanitarie per soccorrere i migranti (che fuggono spesso proprio da devastazioni ambientali e micidiali conflitti armati), nel mentre restano del tutto aperti ai traffici marittimi finalizzati all’esportazione di armamenti anche in teatri di guerra ed al transito ed alla sosta di pericolosi natanti a propulsione nucleare, peraltro spesso con armamenti atomici a bordo. Lo scorso novembre 2022, infatti, nell’ambito dell’iniziativa “Fari di Pace”, Pax Christi ha organizzato a Napoli una manifestazione al Porto, che aveva tra gli obiettivi proprio quella della sicurezza dei cittadini nei riguardi della presenza di natanti nucleari.

Si deve all’impegno di Pax Christi Napoli l’evento dello scorso 19 novembre con la marcia dal porto verso il centro storico della città, con arrivo nella cattedrale dove il vescovo Battaglia ha espresso una forte condivisione dell’istanza dell’iniziativa racchiudibile nello slogan “porti aperti ai migranti e chiusi alle armi” […] Di solito… le marce della pace scontano il pregiudizio di essere retoriche e generiche. Quella di Napoli come quella di Genova del 2 aprile sono state, invece, molto precise nel chiedere il mancato transito di carichi di armi a Genova e il divieto di attracco nel porto di Napoli di navi e sommergibili nucleari o che trasportano armi nucleari [92].

Tocca adesso ai vari soggetti coordinati dal Comitato Pace e Disarmo Campania – cui, fra gli altri, aderiscono le sedi napolitane di VAS, del MIR e della stessa Pax Christi – rilanciare con forza la vertenza ecopacifista per la denuclearizzazione del porto, da subito, per la pubblicizzazione del Piano di Emergenza nucleare di cui finora la cittadinanza della terza metropoli italiana è stata colpevolmente tenuta all’oscuro.

Un’insopportabile reticenza e resistenza istituzionale di cui è stata fornita un’ulteriore prova – a pochi giorni dalla manifestazione pubblica promossa da Pax Christi e dagli autorevoli appelli per il disarmo lanciati dall’arcivescovo Battaglia, da don Renato Sacco e da P. Alex Zanotelli [93] – con l’approdo a Napoli di un secondo natante nucleare, salutato quasi festosamente da certa stampa.

La portaerei statunitense George H.W. Bush, con a bordo l’equipaggio del Carrier Strike Group 10, è arrivata nel Golfo di Napoli per una sosta programmata in porto ieri, lunedì 28 novembre. «La visita rappresenta un’importante opportunità per le relazioni tra Italia e Stati Uniti d’America, con una centralità per la città di Napoli», dichiara il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. «L’esperienza del soggiorno dei marinai, in questo periodo in cui Napoli ha molto da offrire in termini culturali a quanti la visitano per la prima volta – aggiunge Manfredi – sarà certamente di grande interesse e particolarmente attrattiva per il numeroso equipaggio del Csg George H.W. Bush [94].

Il principale interlocutore delle proteste e proposte degli attivisti ecopacifisti, quindi, sarà nel 2023 proprio il primo cittadino del capoluogo partenopeo, che incredibilmente si era detto particolarmente soddisfatto dell’arrivo della portaerei americana, visto come occasione per cementare le relazioni tra Stati Uniti e Italia, e addirittura “per rafforzare ulteriormente i rapporti tra i due paesi e lavorare insieme in nome dei valori condivisi di pace e sicurezza” [95].  Nel nuovo anno, dunque, continua la battaglia antimilitarista e nonviolenta “a propulsione antinucleare” che gli attivisti locali stanno portando avanti ormai da 25 anni, senza ‘se’ e senza ‘ma’.

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 NOTE

[1] “Pericolo nucleare a Nisida – Sottomarini nucleari nelle acque dell’isola” – ROMA/Giornale di Napoli, 20.05.’96 e “Sottomarini a Nisida” (com. stampa di E. Ferraro) – ROMA/Giornale di Napoli, 22.05.’96

[2]  http://it.wikipedia.org/wiki/Antonino_Drago_%28pacifista%29   

[3] Antonino Drago, Difesa popolare nonviolenta, Torino, E.G.A., 2006. Vedi anche: Ermete Ferraro, “La resistenza napoletana e le Quattro Giornate: un caso storico di difesa civile e popolare”, in: AA.VV., Una strategia di pace: la difesa civile nonviolenta (pp.89-95), Bologna: FuoriTHEMA, 1993

[4] “I VAS: rischio nucleare. Via la portaerei ‘Enterprise’!”, Il Mattino, 06.06.’01; “Rischio nucleare nel porto di Napoli”, La Verità, 06.06.’01; “Emergenza nucleare nel golfo. L’Enterprise adesso fa paura”, Cronache di Napoli, 06.06.’01; “Via le portaerei nucleari”, Roma/Giornale di Napoli, 28.06.’01

[5] “Rischio nucleare: la portaerei lascia oggi il golfo di Napoli. Gli ambientalisti contro l’Enterprise “, Roma/Giornale di Napoli, 12.02.’04; “I VAS chiedono che venga allontanata la portaerei ‘Truman’ dal porto di Napoli”, Roma/Giornale di Napoli, 06.07.’04

[6] Ermete Ferraro, “Quale ecopacifismo? Ecologia, conservazionismo, ecologismo e ambientalismo” in: “Biodiversità a Napoli”, supplemento a Verde Ambiente, Roma, E.V.A. (XX, 2, marzo-aprile 2004), pp. 21-27

[7] Cfr. http://www.paxchristinapoli.it  

[8] Cfr. http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2073.html   Nel 2008 il Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio – Campania ha pubblicato un testo fondamentale su queste tematiche: Napoli chiama Vicenza – Disarmare i territori, costruire la pace (a cura di Angelica Romano), quaderno Satyagraha n. 14,  Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2008,  http://www.peacelink.it/libri/index.php?id=12 )

[9] Ermete Ferraro, “Il signornò degli ecopacifisti, www.vasonline.it  (marzo 2007); idem, “Una scomoda verità”, www.vasonline.it  (ago.2007); idem, “Una mobilitazione ecopacifista per togliere le basi alla guerra”,  http://napoli.indymedia.org  (marzo 2009)

[10] Ermete Ferraro, “La protesta dei VAS Napoli: porto, via le navi nucleari”, Il Napoli (26 nov. 2007); Idem, “AFRICOM: un altro migliaio di militari USA…”, www.proletaria.it  (dic. 2008); Idem,”No Africom!” commento postato da E.F, www.napoli.indymedia.com  (dic. 2008); Idem, “AFRICOM: la posizione dei VAS” www.retecivicanapoli.org  (mar. 2008); Idem e A. D’Acunto,”Oscuro scontro di 2 sommergibili nucleari, francese ed inglese, nell’Atlantico: un drammatico allarme per Napoli ed il suo Golfo”, http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2449.html (feb. 2009); Idem, “Porti nuclearizzati? No grazie!”, http://napoli.indymedia.org:8383/node/7447  (feb. 2009); mag. 2010 > “Base US Navy di Napoli: chiuderà?”, www.vasonlus.it  (mag. 2009).

[11] Visita: http://www.laciviltadelsole.org  e http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=62693432041  – Su nucleare e pace visita anche il sito web di Antonio D’Acunto (http://www.terraacquaariafuoco.it ).

[12] Ermete Ferraro, “Sicurezza nucleare nel porto di Napoli”, http://napoli.indymedia.org/node/14391  (7 dic.2010)

[13] http://www.salute.gov.it/ipocm/resources/documenti/D_lgs_230-95.pdf

[14] Alessandro Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare, 5.5.2004, https://www.peacelink.it/disarmo/a/4769.html

[15] ibidem

[16] http://www.progettohumus.it/nucleare.php?name=porti

[17] “Il rischio nucleare nei porti italiani…” cit.  http://www.peacelink.it/tematiche/disarmo/porti.shtml

[18] 9 Agosto 2003 > Rita Bittarelli > Gaeta. Piano di emergenza nucleare. Antonino Drago: «Documento senza alcuna validità scientifica, pieno di “credenze” e di strafalcioni» http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf

[19] D. Lgs. 230/95 cit. – art. 130

[20] Angelica Romano, “Rischio nucleare”, in Napoli chiama Vicenza, cit., p. 29

[21] ANSA 2005-06-10  http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/11592.html

[22] http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf  (in particolare pp. 14-17)

[23] Vittorio Moccia, “Che si può fare?”, in Napoli chiama Vicenza cit., pp.120-121

[24] http://www.iustel.com/v2/diario_del_derecho/noticia.asp?ref_iustel=1046576

[25] http://www.bcn.es/bombers/es/quisom_funcions.html

[26]  http://www.ppitoulon.net/index.html – Il piano attuale, pubblicato sul sito della Prefécture du Var, è invece consultabile all’indirizzo https://www.var.gouv.fr/IMG/pdf/PPI_20FEV_version_portail_internet_cle58e482.pdf

[27] http://www.dorsetforyou.com/media.jsp?mediaid=146764&filetype=pdf

[28] http://nnsa.energy.gov/ourmission/poweringnavy#hq

[29] Jonathan Medalia, Terrorist Nuclear Attacks on Seaports: Threat and Response, CRS reports for Congress, Jan. 2005, http://www.fas.org/irp/crs/RS21293.pdf

[30] http://www.hc-sc.gc.ca/hc-ps/pubs/ed-ud/fnep-pfun-1/plan-planification-eng.php#waters

[31] Cfr. Andreas Reitzig, New Zealand’s Ban on Nuclear Propelled Ships Revisited, Auckland Univ., 2005  http://www.kuratrading.com/PDF/NuclearBan.pdf

[32] Edward P. Thompson, Protestare per sopravvivere, Napoli, Pironti, 1982

[33] Cfr. Ermete Ferraro e Luigi Bucci, “Servizio civile e protezione popolare”, in: Il Tetto, XVIII, N. 103 – Napoli, gen.-feb. 1981 (pp. 39-48)

[34] V. Moccia, “Che si può fare?”, cit., p. 119-123

[35] A. Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare, cit.

[36] Ermete Ferraro, A propulsione antinucleare – 15 anni di lotte ecopacifiste di VAS per la sicurezza dei cittadini e la denuclearizzazione del Golfo di Napoli, Napoli, VAS, 2011, https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_7655.html

[37] Dip. Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Piano Nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche, a c. dott. Sergio Mancioppi e ing. Valeria Palmieri, 01.12.2010, https://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00007500/7554-piano-nazionale-dr.-mancioppi.pdf

[38] “Incidente del sottomarino nucleare USA, ecco con cosa si era scontrato”, Notizie Scientifiche.it,02.11.21, https://notiziescientifiche.it/incidente-del-sottomarino-nucleare-usa-ecco-con-cosa-si-era-scontrato/. Cfr. anche: https://www.panorama.it/Tecnologia/difesa-aerospazio/collisione-pacifico-sommergibile-nucleare-usa-coinnecticut

[39] http://www.rainews.it/archivio-rainews/media/15-anni-fa-la-tragedia-del-sottomarino-Kursk-2f3b2dee-664a-4c83-be58-7ab7943db14b.html

[40] https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/sommergibile-russia-incendio-marinai-morti-a69d6c0b-ebac-43f7-86b8-ca9bcf4b85ac.html – Cfr. anche F. Iannuzzelli, “Fuoco a bordo del sottomarino nucleare segreto Losharik” (04.7.2019), https://www.peacelink.it/disarmo/a/46654.html

[41] “Collisione fra sottomarini nucleari” (16.02.2009), La Repubblica, http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/esteri/collisione-sottomarini/collisione-sottomarini/collisione-sottomarini.html

[42] Junko Terao, “Sottomarino Usa accende la battaglia antinucleare” (03.08.2008), fonte: il Manifesto, https://www.peacelink.it/disarmo/a/26988.html

[43] “L’incidente al sottomarino a propulsione nucleare Tireless. La risposta del ministro Martino” (30.11.2004), https://www.peacelink.it/disarmo/a/15091.html

[44] https://www.peacelink.it/disarmo/a/19940.html

[45] https://www.peacelink.it/disarmo/a/8510.html

[46] Corriere della Sera 17/11/03, https://www.peacelink.it/disarmo/a/2342.html

[47] il Manifesto (20.07.2001), https://www.peacelink.it/disarmo/a/1314.html

[48] Prefettura di Napoli – Prot. Civile, Piano di Emergenza Esterna per la sosta di unità navali a propulsione nucleare nei Porti di Napoli e C.mare di Stabia porto  (2006),  http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1221/PEE_NAVI_NUCLEARI_2006.pdf

[49] Piano Particolareggiato per l’Informazione della Popolazione (Linee guida) – All. G9 al PEEPNa,  https://www.peacelink.it/disarmo/docs/3724.pdf

[50] ivi, p. 2

[51] In data 06.04.2011 sono apparsi articoli su: la Repubblica, ROMA- Giornale di Napoli e Napoli Village. Cfr. anchela galleria fotografica sulla manifestazione in https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/indices/index_95.html  Cfr. anche https://contropiano.org/news/ambiente-news/2011/06/12/napoli-arriva-la-portaerei-nucleare-usa-g-bush-e-non-dovrebbe-01894

[52] Il Mattino, 21.10.2012.  Cfr. http://www.vascampania.net/archivio-notizie-2.html

[53] Leggi resoconto su I fatti di Napoli (12.12.2013), http://www.ifattidinapoli.it/articolo.php?id=56ebc9d04cdf6959208b6884

[54] Cfr. in proposito i seguenti articoli, pubblicati nel tempo sul mio blog: (2012) https://ermetespeacebook.blog/2012/07/17/prove-tecniche-di-buon-vici-nato/https://ermetespeacebook.blog/2012/09/03/far-waste-ovvero-anche-la-nato-produce-munnezza/ ; https://ermetespeacebook.blog/2012/09/03/far-waste-ovvero-anche-la-nato-produce-munnezza/ ; (2015) https://ermetespeacebook.blog/2015/07/28/nato-per-combattere/ ; (2021) https://ermetespeacebook.blog/2021/12/31/giugliano-provincia-di-natoli /  ; (2022) https://ermetespeacebook.blog/2022/02/18/born-to-kill-nato-per-uccidere/

[55] Cfr. testo della D.G. n. 609/2015 con oggetto “Dichiarazione di ‘Area Denuclearizzata’ del Porto di Napoli”, https://www.comune.napoli.it/flex/FixedPages/IT/Delibere.php/L/IT

[56] “Il Porto di Napoli dichiarato area denuclearizzata: ‘Noi città di pace’ ”, https://www.napolitoday.it/politica/porto-napoli-area-denuclearizzata.html

[57]  Cfr. gli articoli apparsi allora sui quotidiani locali: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2015/10/01/foto/napoli_il_sindaco_dichiara_il_porto_area_denuclearizzata_tweet_contro_il_governo-124081266/1/ ; https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/15_settembre_30/porto-diventa-zona-denuclearizzata-giunta-comune-approva-delibera-51a44c68-6761-11e5-88dc-bbf708990735.shtml?refresh_ce-cp ; https://www.teleischia.com/20036/denuclearizzato-il-porto-di-napoli-vittoria-degli-ecopacifisti/

[58] “Basta nucleare nel Porto di Napoli”, Contropiano (20.06.2016), https://contropiano.org/regionali/campania/2016/06/20/basta-nucleare-nel-porto-napoli-080632

[59] “Sottomarino nucleare Usa in rada. De Magistris: ‘Il porto di Napoli è un’area denuclearizzata’.”, Ag. St. DIRE (16.04.2018), https://www.dire.it/16-04-2018/193111-sottomarino-nucleare-usa-in-rada-de-magistris-il-porto-di-napoli-e-unarea-denuclearizzata/  Cfr. anche https://www.stylo24.it/de-magistris-contrario-sommergibile-porto-napoli/

[60] “Napoli, la portaerei Truman arriva nel Golfo: folla sul lungomare per fotografarla”, IL MATTINO (10.05.2022), https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/portaerei_truman_golfo_di_napoli_oggi_le_ultime-6680261.html?refresh_ce

[61] ibidem

[62] “Portaerei nel porto di Napoli, de Magistris: “La nostra è una città di pace”, Napoli Today (10.05.2022), https://www.napolitoday.it/cronaca/portaerei-truman-proteste.html

[63] Cfr., tra gli altri, alcuni miei saggi pubblicati sul sito di academia.ed : https://www.academia.edu/37811619/Credere_rinverdire_e_combatterehttps://www.academia.edu/42327562/Presidiare_lemergenza_Ermete_Ferrarohttps://www.academia.edu/43188396/FENOMENOLOGIA_DELLO_STRUMENTO_MILITARE_Esercito_italianohttps://www.academia.edu/44126545/IL_MILITARISMO_ETERNO_Ermete_Ferrarohttps://www.academia.edu/71001713/CAMALEONTI_CON_LE_STELLETTE_Le_forze_armate_tra_conformismo_atlantico_e_trasformismo_ambientalista 

[64] Antimilitaristi Campani (a cura di), Fermiamo la guerra, Napoli 2021, scaricabile da: https://coordinamenta.noblogs.org/files/2021/03/Opuscolo-Antimilitaristi-Campani.pdf  Cfr. anche l’articolo che ne sintetizza il contenuto: “Fermiamo la guerra, una ricerca del Comitato antimilitaristi campani”, Mosaico di Pace (27.08.2021), https://www.mosaicodipace.it/index.php/rubriche-e-iniziative/rubriche/approfondimenti/documenti/2517-fermiamo-la-guerra-una-ricerca-del-comitato-antimilitaristi-campani e quello apparso (14.03.2021) sul sito di PeaceLink https://www.peacelink.it/pace/a/48361.html

[65] Movimento Internazionale della Riconciliazione, La colomba e il ramoscello – Un progetto ecopacifista, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2021, pp.58-61.

[66] Cfr. Ermete Ferraro, L’ulivo e il Girasole – Manuale per un progetto di coordinamento delle iniziative ecopacifiste di VAS, Napoli, VAS aps, 2014, https://issuu.com/ermeteferraro/docs/manuale_ecopacifismo_vas_2_83d43f9735930d

[67] MIR, La colomba e il ramoscello, cit., p. 88

[68] Cfr. il sito ufficiale del Coordinamento dei comitati NO MUOS, che da anni lotta contro l’installazione e la messa in funzione delle antenne USA a Niscemi (Sicilia) ed in particolare la pagina https://www.nomuos.info/cose-il-muos/. V. anche il libro che ne ripercorre la battaglia: T. Adam, Un anno di lotte, Villaggio Maori, 2014, anche in versione e-book: https://www.lafeltrinelli.it/no-muos-anno-di-lotte-ebook-adam-t/e/9788898119240

[69] “Precauzione, principio di”, di Maurizio Iaccarino, Enciclopedia Italiana – VII Appendice (2007), Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/principio-di-precauzione_%28Enciclopedia-Italiana%29/

[70] Antonino Drago. “Documento senza alcuna validità scientifica, pieno di “credenze” e di strafalcioni”, in Rita Bittarelli, “Gaeta. Piano di emergenza nucleare” (29.08.2003), Latina, Parvapolis, http://www.parvapolis.it/a-16534/cronaca/gaeta-piano-di-emergenza-nucleare-antonino-drago-documento-senza-alcuna-validitscientifica-pieno-di-credenze-e-di-strafalcioni/

[71] Cfr. Gianni Lannes, “Italia: mari e porti a stelle e strisce” (18/08/2013), Arianna Editrice, https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45930

[72] Massimo Zucchetti, Sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nei porti italiani: dall’esame dei Piani di emergenza esterna una semplice conclusione (s.d.), https://www.peacelink.it/disarmo/docs/877.pdf

[73] ENAAT – Rosa Luxemburg Stiftung, A Militarised Union – Understanding and confronting the militarization of rhe European Union, Brussels, 2021, p.79 (La versione online, anche in italiano, è scaricabile da: https://www.rosalux.eu/en/article/1981.a-militarised-union.html 

[74] “Truman, la portaerei nucleare Usa è a Napoli. Sospetti e accuse: “Colonia Italia, cosa significa” (10.05.2022), Libero quotidiano, https://www.liberoquotidiano.it/video/italia/31534229/truman-portaerei-nucleare-americana-napoli-sospetti-italia-colonia-nato.html Vedi anche il servizio di Rai News: https://www.rainews.it/video/2022/05/le-immagini-della-portaerei-americana-truman-nel-golfo-di-napoli-74314cec-fa58-4771-a317-f075000e111d.htm e l’articolo https://napoli.repubblica.it/cronaca/2022/05/10/news/la_portaerei_truman_giunta_nel_golfo_di_napoli-348919874/

[75] Cfr. comunicato stampa CPDC del 10.05.2022, https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_12961.html – Un video della manifestazione, cui ha partecipato anche Ferraro a nome di VAS e MIR Napoli, è su: https://www.larena.it//media/video/la-portaerei-usa-truman-a-napoli-sit-in-del-apos-comitato-pace-e-disarmo-apos-1.9402170 . Dell’iniziativa del CPDC ha riferito anche Sky Tg24: https://tg24.sky.it/napoli/2022/05/10/portaerei-uss-truman-napoli           

[76] “Al porto di Napoli la Truman, portaerei militare degli Stati Uniti”, nell’art. cit. di Sky Tg24

[77] F. Olivo, “La portaerei Truman nel golfo di Napoli, con tanto di cerimonia. De Luca e Manfredi si tengono a distanza” (12.05.2022), Huffington Post, https://www.huffingtonpost.it/politica/2022/05/12/news/diventa_un_caso_la_portaerei_truman_nel_golfo_di_napoli_de_luca_e_manfredi_assenti_al_ricevimento-9379374/

[78] “Nuclear subs: bad for people, planet & peace” (16.09.2021), https://www.foe.org.au/nuclearsubs_bad_for_people_planet_peace . Sulla programmazione della presenza di natanti nucleari in Australia cfr. l’opuscolo Nuclear powered warships visit planning: https://www.arpansa.gov.au/research/radiation-emergency-preparedness-and-response/visits-by-nuclear-powered-warships

[79] “New York City joins ICAN Cities Appeal” (10.12.2021), ICAN, https://www.icanw.org/new_york_city_joins_ican_cities_appeal

[80] Radiation emergency in the Port of Southampton – Information for people living in the 5km Outline Planning Zone (Nov. 2020- Nov. 2023), https://www.southampton.gov.uk/media/jprpcfrw/130-1-emergency-planning-resident-finalx_tcm63-434545.pdf

[81] Stefan Leimer, “Update: US nuclear submarine docks near Tromsø” (06.05.2021), Polar Journal, https://polarjournal.ch/en/2021/05/06/nuclear-submarines-near-tromsoe-in-the-future/ Cfr. anche: https://worldbeyondwar-org.translate.goog/sv/activists-in-norway-protest-proposed-docking-of-nuclear-submarines-in-tromso/? _x_tr_sl=sv&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

[82] Alonso Palacios, “El submarino nuclear USS Florida, una fortaleza con misiles Tomahawk, atraca en Gibraltar” (30.09.2022), El Debate, https://www.eldebate.com/espana/defensa/20220930/submarino-uss-florida-fortaleza-nuclear-misiles-crucero-atraca-gibraltar_63192.html

[83] Konstantinos I. Delimbasis, Ο πόλεμος της σιωπήςΠυρηνοκίνητα σκάφη & περιβάλλον (La guerra del silenzio – “Navi nucleari e ambiente” – 22.06.2019), AMBIENTE ED ENERGIA, https://www.e-telescope.gr/science/environment/nuclear-submarines-environment

[84] Roberto Maltchik – O Globo ,“Construção de submarino nuclear da Marinha Brasileira corre risco de naufragar” (12.03.2022), https://www.naval.com.br/blog/2022/03/12/construcao-de-submarino-nuclear-da-marinha-brasileira-corre-risco-de-naufragar/

[85] Cfr. il sito web di Greenpeace Int’l: https://www.greenpeace.org/international/

[86] L’ultimo articolo in proposito sul sito di PeaceLink è stato: Gianmarco Catalano, “Due sottomarini nucleari presenti all’esercitazione Dynamic Manta. Rischio atomico e mancata informazione dei cittadini” (25.02.2022), https://www.peacelink.it/disarmo/a/49007.html

[87] Antonio Mazzeo, “Porti ed aeroporti italiani ad alto rischio nucleare”, in: La contaminazione cancerogena dell’apparato militare in Italia (2018), Academia.edu, https://www.academia.edu/41543128/La_contaminazione_cancerogena_dellapparato_militare_in_Italia  

[88] Oltre agli articoli apparsi su fino al 2021 Verde Ambiente” negli scorsi anni (a cura di Giorgio Nebbia, Guido Pollice, Antonio D’Acunto ed Ermete Ferraro) sulla nuova edizione della rivista Ermete Ferraro cura la rubrica: “Cara…pace – Riflessioni ecopacifiste” > https://www.verdiambientesocieta.it/la-nostra-rivista/?fbclid=IwAR2r_YgAtp-naNAEgidB7hbeK4NmzdqfQllj9DRkAKmj0K06iH2A5ljkOBE

[89] Cfr. anche l’articolo di G. Mancuso: https://www.pressenza.com/it/2021/11/un-progetto-ecopacifista-presentazione-del-libro-la-colomba-e-il-ramoscello/

[90] Ermete Ferraro, Grammatica ecopacifista – Ecolinguistica e linguaggi di Pace, Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2022

[91] Ivi, p. 23-24

[92] Carlo Cefaloni, “Napoli, un faro di pace che non si spegne” (22.11.2022), Roma, Città Nuova, https://www.cittanuova.it/napoli-un-faro-pace-non-si-spegne/?ms=003&se=005

[93] Cfr. https://www.vitawebtv.it/fari-di-pace-a-napoli-le-guerre-scoppiano-perche-ci-sono-strutture-mezzi-e-strumenti-che-le-rendono-possibili/ ,  https://www.vitawebtv.it/fari-di-pace-a-napoli-le-guerre-scoppiano-perche-ci-sono-strutture-mezzi-e-strumenti-che-le-rendono-possibili/   e https://www.ilmattino.it/cultura/periferie/fari_di_pace_la_marcia_di_pax_christi_da_savona_ad_altamura_fa_tappa_napoli-7060750.html

[94] “La portaerei George Bush è arrivata nel Golfo di Napoli: «Importante opportunità per la relazione tra Italia ed America»” (29.11.2022), Il Mattino, https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/portaerei_bush_statiunitid_america_napoli_golfo-7082713.html?refresh_ce [95] Federico Garau,” A Napoli arriva la portaerei nucleare H.W. Bush, ecco perché (29.11.2022), Il Giornale, https://www.ilgiornale.it/news/cronaca-locale/napoli-arriva-portaerei-nucleare-hw-bush-ecco-perch-2090324.html Anche in questa circostanza VAS e MIR Napoli hanno protestato con un comunicato stampa: https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_12965.html

© 2023 Ermete Ferraro

A rotta di…protocollo

Intendere l’Intesa, analizzandone il linguaggio

Fonte: Weekly Magazine

Non è stato facile, ma alla fine ci siamo riusciti. Ho finalmente davanti agli occhi il testo del protocollo d’intesa Comune-Esercito approvato dalla Giunta Comunale di Giugliano in Campania -NA (D.G. n. 183 dell’8/11/2021), sottoscritto in pompa magna, pochi giorni dopo, dal Sindaco dott. Pirozzi e dal gen. Tota, Comandante delle Forze Operative Sud dell’Esercito Italiano. Di questa curiosa intesa tra un’amministrazione comunale e un’istituzione militare per fare educazione ambientale nelle scuole mi ero già occupato in un precedente articolo[i], sottolineando l‘assurdità (e pretestuosità) dell’iniziativa, attivata in una Città già ampiamente militarizzata, in quanto ‘ospita’ da un decennio il Comando NATO di Lago Patria per Sud Europa e Africa.  I media locali avevano riportato ampiamente quella notizia, riferendo inoltre che in un Circolo didattico giuglianese già il 3 dicembre l’Esercito aveva già ‘incontrato’ trionfalmente i bambini nel corso d’un evento ispirato al suddetto protocollo[ii].

Restava però la curiosità di leggere che cosa fosse effettivamente scritto in quel documento, che stranamente non risultava allegato alla delibera che lo approvava. Consultare un documento ufficiale, si sa, non è come leggere un testo narrativo o descrittivo. Nel caso specifico, inoltre, era prevedibile che il burocratese della pubblica amministrazione, unito alla ridondanza retorica dei militari, rendesse quel testo poco scorrevole e non del tutto chiaro. In effetti, sia la delibera di giunta sia il testo del protocollo partivano da premesse generali e difficilmente contestabili (ad esempio, la volontà di “contrastare l’abbandono dei rifiuti  e favorire una corretta e consapevole gestione dei rifiuti” oppure di attivare il “piano d’azione per il contrasto  dei roghi dei rifiuti”), ma per motivare un’anomala intesa tra un’istituzione civica ed una militare su un terreno diverso: “un rapporto di collaborazione per la…formazione sul problema della gestione dei rifiuti”.

In un saggio precedente[iii] ho spiegato perché l’analisi critica del discorso e l’indagine sulle ‘storie’ che linguisticamente modellano la nostra realtà in senso anti-ecologico rendono l’ecolinguistica uno strumento utile per approfondire l’aspetto comunicativo del progetto ecopacifista di cui il Movimento Internazionale della Riconciliazione si è fatto promotore col suo recente libro La colomba e il ramoscello [iv].

Uno dei principali teorici dell’approccio ecolinguistico spiega che le narrazioni della realtà sono spesso viziate da elementi deformanti, come ideologie, inquadramenti, metafore, valutazioni implicite, identità, convinzioni, cancellazioni ed evidenziazioni[v]. Si tratta di espedienti comunicativi che l’analisi critica dei discorsi ci aiuta a demistificare.

Anche in questo caso mi sembra che si tratti di una ‘storia’ che merita un’analisi ecolinguistica, poiché il degrado ambientale di un territorio come la c.d. ‘Terra dei fuochi’ e lo smaltimento errato e/o abusivo dei rifiuti sono diventati il pretesto per un’operazione piuttosto ambigua, che finisce col confermare il ruolo ‘civile’ delle forze armate e la loro funzione di ‘presidio’ a tutela dell’ambiente.

È probabile che i cittadini/ed i dirigenti e docenti degli istituti scolastici di quel territorio (avvelenato per decenni dagli sversamenti illegali delle ecomafie e dalla micidiale pratica dei roghi tossici) non abbiano letto il testo integrale del protocollo. D’altra parte, anche gli articoli prodotti nel merito si saranno attenuti al comunicato che è stato diramato dal COMFOPSUD dell’Esercito[vi], sorvolando disinvoltamente su alcuni aspetti sui quali penso invece che sarebbe stato interessante soffermarsi.

È esattamente ciò che provo a fare con questo mio contributo

Incongruenze e contraddizioni comunicative

Inizio appunto analizzando un brano centrale di quel comunicato stampa.

«Lo scopo del Protocollo è educare i ragazzi, attraverso la formazione degli insegnanti negli Istituti scolastici, sul tema della gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla raccolta e al loro conferimento. Tale progetto si inserisce nelle attività collaterali svolte dall’Esercito nell’ambito dell’Operazione “Terra dei Fuochi”, con l’obiettivo di sensibilizzare le giovani generazioni alla prevenzione dei reati ambientali. La testimonianza diretta del personale dell’Esercito, impegnato quotidianamente nella “Terra dei Fuochi” per garantire un ambiente più sicuro e salubre per la popolazione, fornirà un importante contributo educativo per arginare il fenomeno». 

Salta agli occhi la contraddizione tra il ruolo inizialmente indiretto dei militari nell’educazione degli alunni (attraverso la formazione degli insegnanti) e la successiva previsione di un loro intervento attivo nelle scuole (che affiora dall’uso del verbo “sensibilizzare” e dall’espressione “testimonianza diretta”).

La seconda incongruenza nasce dall’intenzionale sovrapposizione di finalità diverse, in quanto la formazione alla corretta raccolta differenziata ed il conferimento ordinario dei rifiuti non c’entra con la sensibilizzazione dei minori alla prevenzione di veri e propri reati ambientali (sversamenti abusivi e pericolosi, roghi tossici…).  Dal comunicato del COMFOPSUD, quindi, emerge una immagine piuttosto opaca delle finalità di questa insolita ‘intesa’.

Più avanti il gen. Tota dichiarava: «…è fondamentale sviluppare la consapevolezza sulla gestione dei rifiuti nei giovani, del rispetto dell’ambiente in cui vivono, perché […] attraverso corretti comportamenti, potranno contribuire a ridurre e risolvere il problema”». Ma il progetto nato da questa inedita ‘collaborazione’ ha la pretesa di coinvolgere le scuole su un terreno che non dipende solo da “corretti comportamenti”, in quanto accrescere nei giovani la “consapevolezza sulla gestione dei rifiuti” non basta a “ridurre e risolvere il problema”, che ha tutt’altre cause e responsabilità.

Ma veniamo alle affermazioni della controparte ‘civile’ dell’istituzione militare, a partire dalla delibera della Giunta Comunale di Giugliano. Anche in questo caso appare evidente il tentativo di razionalizzare a posteriori una decisione assunta altrove. Nell’atto amministrativo, ad esempio, tre pagine di sovrabbondanti “premesse” e “considerazioni” servono a giustificare poco più di tre righe della parte deliberativa. Nella relazione istruttoria, ricordando che si tratta della famigerata ‘Terra dei fuochi’, si afferma l’intento dell’A.C. di «fronteggiare e contrastare l’abbandono dei rifiuti e favorire una corretta e consapevole gestione dei rifiuti», ma anche quello di svolgere «attività d’informazione e formazione…mirate sia all’educazione ambientale degli allievi, sia alla formazione degli insegnanti».  Citando la fonte militare, si ribadisce che:

«l’Esercito Italiano…concorre al presidio del territorio del Comune di Giugliano in Campania, per prevenire e contrastare i reati ambientali, al fine di garantire un ambiente più sicuro e salubre per la popolazione».  Si dichiara poi che Comune ed Esercito hanno manifestato la «volontà di avviare un rapporto di collaborazione tramite l’attivazione di un tavolo tecnico, finalizzato a promuovere un progetto condiviso di educazione ambientale».

Ma cosa c’entra il ruolo di monitoraggio e repressione dei reati ambientali con l’educazione ambientale dei bambini delle scuole elementari? Se quella formativa è una ‘attività collaterale’ dell’Esercito, perché in questo protocollo diventa così centrale

Sicurezza e salute: un binomio sospetto…

Fonte: Anteprima 24

Le forze armate ci tengono ad accreditarsi come istituzione democratica, ‘civile’ ed attenta alle esigenze del territorio e dei suoi abitanti. Tale narrazione fa parte dell’operazione di trasformismo mimetico dei militari [vii]e cerca di renderne l’immagine più accettabile e rassicurante, dando una spennellata di ‘verde’ alla mission del sistema militare, che viceversa ha una pesante impronta ecologica sull’ambiente.

 La comunicazione che sostituisce la retorica bellicista con quella ambientalista tende ad accostare sicurezza e salute, come se la seconda dipendesse dalla prima e se la ‘sicurezza’ fosse quella che si garantisce con un controllo poliziesco e/o militare del territorio e delle comunità che vi abitano. Il fatto è che in questa parola si sovrappongono due concetti ben distinti nella lingua inglese: security e safety.

«La ‘security’ si riferisce alla protezione di individui, organizzazioni e proprietà contro le minacce esterne che possono causare danni […] generalmente focalizzata sull’assicurare che fattori esterni non causino problemi o situazioni sgradite all’organizzazione, agli individui e alle proprietà […] D’altra parte, la ‘safety’ è la sensazione di essere protetti dai fattori che causano danni» [viii].

Nelle ‘politiche securitarie’ ci si riferisce al primo dei due vocaboli inglesi, che sottolinea l’aspetto del controllo e della repressione anziché quello della prevenzione dei danni alla salute o all’ambiente. Ma nella delibera citata i due piani si confondono, mescolando aspetti preventivi (sensibilizzazione degli adulti e educazione ambientale dei minori) con quelli repressivi (‘presidio’ del territorio e ‘contrasto’ degli ecoreati).  Un terzo aspetto – la ‘gestione’ in sé della raccolta e smaltimento dei RSU – ricade nelle specifiche responsabilità dell’amministrazione comunale e non ha niente a che fare con l’esercito.

Ma anche nel testo dello stesso Protocollo d’intesa [ix] si ha l’impressione che ci si arrampichi sugli specchi per legittimare una collaborazione abbastanza opinabile. Nelle due pagine e mezza di premesse si citano normative europee, nazionali e regionali e perfino il Codice Militare e le relative disposizioni regolamentari. Si afferma di voler «favorire l’assunzione di un ruolo attivo per la salvaguardia del territorio da parte dei cittadini» e di considerare gli insegnanti «canale preferenziale per trasferire la sensibilità ambientale ai ragazzi sul tema dell’educazione alla gestione dei rifiuti». Non manca naturalmente anche l’elogio dell’Esercito «che quotidianamente è alle prese con le problematiche connesse all’abbandono incontrollato dei rifiuti».

Questa pletorica e retorica premessa dovrebbe introdurre all’esplicitazione delle finalità del protocollo e delle azioni concrete che con esso si intende avviare, che viceversa restano assai vaghe (“problema della gestione dei rifiuti”, “necessità sempre più impellenti d’impegnarsi a fondo nelle operazioni di conferimento e nella raccolta differenziata”). Tant’è che all’art. 2 del documento hanno sentito il bisogno di aggiungere questa frase: «L’idea generale è quella di porre l’attenzione su alcuni punti del territorio con rifiuti abbandonati e quindi richiamare l’attenzione su comportamenti dei singoli che troppo spesso vengono fatti ricadere sulla P.A. che non gestisce il territorio».

Dal brusco cambio di registro espressivo – che da burocratico diventa quasi discorsivo – sembra trasparire una excusatio non petita più che un’effettiva precisazione su ambiti e limiti dell’intesa del Comune con l’Esercito. Non prendetevela con l’Amministrazione – si lascia intendere – poiché non si tratta di carenze istituzionali ma di comportamenti incivili ed irresponsabilità di singoli soggetti…

Narrazioni pseudo-ecologiche e ‘greening’ delle forze armate

Fonte: Scisciano Notizie

La frase appena evidenziata esemplifica una narrazione sulla ‘Terra dei Fuochi’ che rischia di cancellare tante inchieste ed analisi sulle responsabilità delle ‘ecomafie’ che pur si afferma di voler combattere. Soprattutto, si finisce col minimizzare l’impatto di un modello di produzione e distribuzione di per sé antiecologico, in quanto energivoro, fondato su un consumismo sfrenato e produttore di un’ingestibile mole di rifiuti, spesso tossici per l’ambiente.  Comportamenti poco responsabili o addirittura illeciti dei singoli hanno sicuramente un peso sulla tragica vicenda dell’inquinamento di quel territorio. Sarebbe però una pericolosa banalizzazione della realtà se si alimentasse solo quella ‘storia’, sorvolando sulle enormi responsabilità di chi, da decenni smaltisce illegalmente rifiuti tossici e di chi non ha saputo rispondere adeguatamente ad un’emergenza ambientale e sanitaria che si è di fatto trasformata in un ‘biocidio’.

«Ne è nata una mappa di rischio nei 38 Comuni di quel circondario dove più alta è stata l’incidenza degli sversamenti illeciti. Nei centri interessati dall’indagine, che insistono su 426 chilometri quadrati e su cui è competente la Procura di Napoli Nord, sono stati individuati 2.767 siti di smaltimento illegale. Più di un cittadino su tre – nel dettaglio il 37% dei 354mila residenti nei 38 Comuni – vive ad almeno 100 metri di distanza da uno di questi siti, esponendosi a una “elevatissima densità di sorgenti di emissioni e rilasci di composti chimici pericolosi per la salute umana”.»[x]

Per quanto riguarda l’impegno delle Parti (art. 3 del Protocollo cit.), i cinque punti a carico del COMFOPSUD sono:

«a)organizzare, presso le istituzioni scolastiche che saranno indicate dal Comune di Giugliano, attività d’informazione attraverso la testimonianza diretta di personale militare impegnato nell’Operazione ‘Terra dei Fuochi’ per sensibilizzare gli studenti sul tema delle buone pratiche ambientali […]illustrare l’azione svolta dall’Esercito per il contrasto e il contenimento del fenomeno dei roghi e dello sversamento illecito dei rifiuti […] b)concorrere, mediante seminari di approfondimento, a formare gli insegnanti sulle attività educative relative alla gestione dei rifiuti…».

I tre punti successivi (c – d – e) si riferiscono ad attività collaterali dell’Esercito (compresa la ‘promozione’ del progetto attraverso i propri canali di comunicazione istituzionale).

Ebbene, leggendo il brano citato emerge ancora una volta l’ambigua sovrapposizione di due ruoli formativi ben diversi – uno diretto e l’altro indiretto – che sarebbero dovuti rimanere distinti. Da un lato, infatti, si prevede un discutibile intervento dei militari dentro le scuole, qualificato come ‘testimonianza’ ma sostanzialmente un’auto-promozione. Dall’altro si parla di ruolo nella formazione degli insegnanti, ma attraverso un soggetto terzo: tre docenti dell’Università di…Padova.

In questa Intesa il ruolo del Comune di Giugliano appare piuttosto scialbo e meramente burocratico. Si tratta d’individuare i plessi scolastici dove svolgere le attività progettuali; di promuovere la partecipazione del personale scolastico coinvolto; di diffondere tali “opportunità educative e didattiche” e le finalità del Protocollo a livello locale e, ovviamente, di partecipare al Tavolo inter-istituzionale. Compiti prevalentemente amministrativi, dai quali traspare che il progetto per il quale si è sottoscritta un’intesa con l’Esercito è calato dall’alto più che rispondente alle reali esigenze manifestate dal mondo della scuola.

Considerazioni e valutazioni ecopacifiste

Fonte: Report Difesa

Come si vede, l’analisi critica di un testo – pur poco appassionante come un protocollo d’intesa… – può comunque servire a chiarire il ‘discorso’ cui tale iniziativa sembrerebbe funzionale. Mentre l’amministrazione comunale prova ad arroccarsi in una posizione difensiva di ‘autotutela’ (come se il suo compito istituzionale fosse il semplice coordinamento dell’intervento altrui), dal documento emerge per contro il ruolo proattivo dell’Esercito, che propone una narrazione accattivante di sé, come soggetto imprescindibile nella tutela della sicurezza ambientale, in entrambi le accezioni del termine.  

L’analisi critica del discorso, finalizzata ad una lettura in chiave ecolinguistica di questo specifico caso in esame, ne mette in evidenza alcuni aspetti che rischiano di essere trascurati se ci si ferma al fatto in sé. Provo quindi a sintetizzare – utilizzando le categorie tipiche dell’analisi ecolinguistica – quanto è emerso finora dall’analisi dei documenti relativi ad un’intesa apparentemente banale tra il Comune di Giugliano ed il Comando Sud dell’Esercito Italiano.

  • IDEOLOGIA: credo che questa operazione faccia parte d’una complessiva strategia (espressione non casuale…) che afferma la centralità dell’intervento degli organi preposti al compito di ristabilire l’ordine di far rispettare le leggi. Ma poiché in una società democratica la prevenzione e l’educazione dovrebbero prevalere sulle azioni di natura repressiva, ecco che ad occuparsi dell’aspetto formativo si propongono quegli stessi organi – giudiziari e militari – votati al presidio in armi e al law enforcement. L’idea di fondo cui s’ispirano è che l’autorevolezza dell’intervento – anche quello preventivo – sarebbe garantita solo da un soggetto in divisa, con una veste ‘ufficiale’, abilitato a passare se necessario anche alla fase due, quella repressiva.
  • INQUADRAMENTI: Stibbe chiama framings le narrazioni che utilizzano un ‘pacchetto di conoscenze’ relative ad un certo ambito della nostra vita per strutturare ed ‘inquadrarne’ un altro. Nel caso in esame, al tradizionale framing delle forze armate come istituzione garante della sicurezza (security) da nemici e pericoli esterno, viene sovrapposta strumentalmente la loro pretesa funzione ‘civile’ di garanti anche della sicurezza (safety) dei cittadini, nonché della salubrità del loro ambiente di vita.
  • METAFORE: nel comunicato stampa, nella delibera e nel protocollo d’intesa non compaiono vere e proprie metafore, trattandosi di documenti scritti con un codice politico-amministrativo e non certo narrativo. Ciò nonostante, si coglie la ricorrente immagine retorica dei militari come ‘testimoni’ diretti, impegnati quotidianamente nell’azione, e perciò stesso considerati formatori credibili e affidabili.
  • VALUTAZIONI: sono quasi sempre presentate in forma implicita, ma pesano molto sul discorso. Nel nostro caso, dai testi affiorano inespressi elementi valutativi riferibili sia alla popolazione locale, sia agli operatori della scuola. I cittadini, infatti, andrebbero ‘sensibilizzati’ alla corretta raccolta e smaltimento dei rifiuti, lasciando intendere che la loro sensibilità in materia sia piuttosto limitata. Nei confronti dei giovani, in particolare, si afferma che bisogna svilupparne la ‘consapevolezza’, dando quindi per scontato che essa non sarebbe ancora sufficiente. Nei riguardi degli insegnanti, infine, si sostiene la necessità della loro ‘formazione’, sottintendendo che il loro impegno nell’educazione ambientale non sarebbe abbastanza rilevante, ragion per cui necessiterebbe di ulteriori stimoli e di un ‘tutoraggio’ esterno.
  •  IDENTITÀ: dalla cooperazione tra Comune ed Esercito ipotizzata dal Protocollo d’intesa, come si è visto, emerge piuttosto sbiadita l’immagine identitaria del primo come garante istituzionale della salute e dell’igiene della comunità amministrata, laddove invece risulta sottolineata l’identità ‘civica’ everdedel secondo, cui si riconosce di fatto un ruolo centrale anche nella difesa della sanità pubblica, peraltro già ampiamente esaltata dall’emergenza pandemica.
  • CONVINZIONI: nell’analisi ecolinguistica si tratta di convincimenti radicati, che strutturano ‘storie’ secondo le quali “una particolare descrizione del mondo è vera, incerta oppure falsa”[xi]. Essi sono generalmente impliciti, come quello secondo il quale chi è impegnato in prima persona in azioni rischiose come quelle militari lo fa solo per spirito di servizio alla collettività, per cui va ascoltato e rispettato. Un secondo convincimento insidioso, ma purtroppo diffuso, è che la responsabilità dei danni ambientali vada ascritta allo scarso civismo di tante persone, in secondo luogo alle intenzioni criminali di alcuni delinquenti e, solo per ultimo, ad un modello economico dato come imprescindibile, che si basa sullo sfruttamento delle risorse ambientali ma di cui si preferisce condannare solo la negatività degli ‘eccessi’.
  • CANCELLAZIONI: le ‘storie’ che ci vengono propinate da chi detiene il potere e condiziona pesantemente la comunicazione pubblica sono viziate anche dalla tendenza ad espungere strumentalmente alcuni aspetti ‘scomodi’. Nel caso del complesso militare-industriale, ad esempio, si sottace che è uno dei maggiori inquinatori a livello globale e che la sua impronta ecologica – in guerra come in pace – è semplicemente disastrosa. Però il fatto che uno dei principali autori della devastazione ambientale si presenti come garante della salute e dell’integrità ambientale sarebbe inaccettabile, per cui si preferisce ‘cancellare’ quelle storie di distruzione ed inquinamento, per contro esaltando retoricamente l’improbabile ruolo ‘ambientalista’ dei militari.
  • EVIDENZIAZIONI: sono l’altra faccia della medaglia. L’insistenza dei documenti citati su verbi come ‘formare’, ‘prevenire’, ‘sensibilizzare’ e ‘testimoniare’ fa da ovvio contraltare al colpevole silenzio su aspetti assai meno edificanti della presenza delle forze armate, come la crescente militarizzazione del territorio, l’elusione dei controlli sul rispetto delle norme ambientali ed il pesante inquinamento dell’aria, del suolo, dei mari e perfino dell’etere. Per non parlare della sottrazione di risorse utilizzabili per finalità collettive e della pretesa di sostituirsi (o comunque sovrapporsi) ad istituzioni civili in funzioni di natura non militare.

Concludendo, va precisato che la vicenda illustrata in questo mio contributo non è certo un caso isolato né una storia più assurda e paradossale di altre, caratterizzate dalla progressiva invasione militare di terreni una volta solo ‘civili’, col risultato di una strisciante militarizzazione della società e della cultura. L’intervento sempre più frequente di esponenti delle forze armate dentro le istituzioni – come pure la tendenza di molte autorità scolastiche ad autorizzare ‘visite didattiche’ egli allievi/e a basi militari, caserme ed impianti comunque di natura bellica – è uno degli aspetti più riprovevoli di questa pesante impronta militare.

La Campagna Nazionale ‘Scuole Smilitarizzate’[xii] – rilanciata nel 2020 dal Movimento Internazionale della Riconciliazione e da Pax Christi Italia – si propone appunto di denunciare e contrastare l’invadenza delle realtà militari. Ma senza la collaborazione attiva del mondo della scuola ciò sarà molto difficile. Ecco perché partire dall’analisi linguistica e dalla comunicazione può essere un importante stimolo in tal senso.

Ecco perché partire dall’analisi linguistica e dalla comunicazione può essere un importante stimolo in tal senso, contrapponendo al suo interno programmi di educazione alla pace e veri percorsi di educazione ecologica.


NOTE

[i] E. Ferraro, “Giugliano, provincia di NATOLI”, Contropiano, 31.12.2021. https://contropiano.org/news/politica-news/2021/12/31/giugliano-provincia-di-natoli-0145316

[ii] “L’Esercito incontra i bambini a scuola nel napoletano”, Anteprima24.it, s.d. https://www.anteprima24.it/napoli/esercito-scuola-napoletano/?fbclid=IwAR2eWWAxKxKxuzC3C_YxNym8uRdCGwUaMPPxd8V9KQt0twm9pBIY68k-TUc

[iii] E. Ferraro, Ecolinguistica. Un campo inesplorato da coltivare, Academia.edu, 2020. https://www.academia.edu/44801861/Ermete_Ferraro_Ecolinguistica_un_campo_inesplorato_da_coltivare_

[iv] Cfr. Movimento Internazionale della Riconciliazione, La colomba e il ramoscello, Torino, Ediz. Gruppo Abele, 2021

[v] Cfr. A. Stibbe, The Stories We Live By – a free online course in ecolinguistics. https://www.storiesweliveby.org.uk/TheCourse

[vi] COMFOPSUD, Esercito e Comune di Giugliano per un ambiente più sano e sicuro, 11.11.2021. https://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/esercito-e-comune-di-giugliano_211112.aspx

[vii] Cfr. E. Ferraro, “Credere, rinverdire e combattere”, Ermetespeacebook, 18.11.2018. https://ermetespeacebook.blog/2018/11/18/credere-rinverdire-e-combattere/

[viii] “Difference Between Safety and Security”, differencebetween.net. http://www.differencebetween.net/language/words-language/difference-between-safety-and-security/

[ix] Il testo del Protocollo d’Intesa sottoscritto dal Sindaco di Giugliano e dal Comandante COMFOPSUD può essere scaricato online dall’indirizzo seguente: https://servizi.comune.giugliano.na.it/openweb/pratiche/dett_registri.php?id=14084&codEstr=P_OP&fbclid=IwAR0DjvMJ-GMt1VTNAw5w4JZo41ji2xyNH2nWufMxNm74MGJLs7PfkwigtMw

[x]  A. Averaimo, “Terra dei fuochi. Di rifiuti si muore. Ecco i dati e la mappa di rischio che lo provano“, Avvenire, 11.02.2021. https://www.avvenire.it/attualita/pagine/numeri-e-tumori-della-terra-dei-fuochi

[xi] Cfr. Stibbe, op. cit.

[xii] Per maggiori informazioni nel merito, cfr. la pagina https://www.facebook.com/scuole.smilitarizzate

© 2022, Ermete Ferraro

Giugliano, provincia di NATOLI…

Giugliano in Campania – dopo Napoli il comune più popoloso dell’omonima Città Metropolitana – è l’erede dell’osca e poi romana Liternum, che abbracciava un vasto territorio dell’allora fertile Campania Felix, affacciato sul litorale domizio e caratterizzato dallo storico Lago Patria. Ma già dal tempo della occupazione di quel territorio da parte dei veterani della II guerra punica e del loro stratega, Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, quella località sembra essere stata condannata ad essere una colonia militare. Infatti, quando nel 2012 il Comando per il Sud Europa e l’Africa della NATO (JFC – Joint Forces Command) si è trasferito “armi e bagagli” da Bagnoli sulle sponde dello scipionico Lago Patria, la città di Giugliano in Campania sembra essere definitivamente diventata ciò che gli americani definiscono come una military town [i]. Con tutte le conseguenze sociosanitarie e socio-ambientali del caso, che vanno dall’inquinamento elettromagnetico all’incremento della circolazione veicolare, dalla iperproduzione di rifiuti da smaltire all’impossibilità di monitorare i parametri ambientali in una cittadella extraterritoriale e per di più coperta dal segreto militare.

È NATO nu criaturo ô Laco Patria” – ironizzavo allora in un articolo [ii] – sottolineando come quel mega-comando ‘alleato’ invadesse 330.000 m2 di terreno giuglianese già infiltrato dalla camorra, cementificandoli con 282.000 m3 di edifici su 6 piani, di cui 2 prudenzialmente interrati. Insomma, una sede ‘strategica’ in ogni senso, popolata da circa 3.000 addetti militari e civili, corredata da un minaccioso complesso di radar e protetta da bunker ed avveniristici sistemi di cyber-sicurezza. Il costo dell’occupazione militare da parte di quel “fastidioso NeoNato[iii] si aggirò allora sui 200 milioni di euro, integrati da 14 milioni di stanziamenti statali e regionali, destinati al Comune ospitante per finanziarvi opere infrastrutturali. Evidentemente grata per tali sostanziose ‘compensazioni’ economiche – ma purtroppo molto meno preoccupata dell’impatto della maxi-base sul suo già complicato equilibrio ambientale – Giugliano ha ribadito la sua natura di military town con ripetute dimostrazioni di servilismo verso i nuovi e potenti padroni. In questo decennio, infatti, si sono moltiplicate ‘spontanee’ visite d’intere scolaresche giuglianesi e qualianesi al quartiergenerale di Lago Patria [iv], come pure gli incontri nelle classi con generali ed ammiragli ed altre visite di “buon viciNATO” da parte di ufficiali del JFC al Municipio ed alla locale struttura ospedaliera [v].

Inoltre, le amministrazioni comunali da allora succedutesi ‘patriotticamente’ si sono date da fare a ribadire la loro devozione anche alle nostre forze armate, stipulando specifici accordi e favorendo apertamente l’infiltrazione dei militari negli istituti scolastici giuglianesi. L’ultimo esempio, in data11.11.2021, si è avuto quando Pirozzi, l’attuale Sindaco, ha sottoscritto col generale Tota, numero 1 del Comando Forze Operative Sud, un protocollo d’intesa con lo scopo di: «…educare i ragazzi, attraverso la formazione degli insegnanti negli Istituti scolastici, sul tema della gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla raccolta e al loro conferimento […] con l’obiettivo di sensibilizzare le giovani generazioni alla prevenzione dei reati ambientali» [vi].

Ebbene, che i militari – da sempre responsabili della pesante impronta ecologica su territori sottratti ai controlli ambientali e, anche in tempo di ‘pace’, fonte d’inquinamento di aria, acqua e suolo – si presentino come esperti nel campo dell’educazione ambientale è di per sé grottesco e paradossale. Ma che sia stato un ente locale, a nome d’una comunità civile, ad affidare loro questo compito, autorizzandoli ad entrare nelle proprie scuole con la patente di formatori a ‘buone pratiche’ ambientali, appare ancor più grave e deplorevole. Il sindaco di Giugliano ha dichiarato che: «…la collaborazione con i militari dell’Esercito in materia di controllo e di tutela ambientale è stata finora molto proficua […] si procede in questa direzione coinvolgendo anche le famiglie attraverso i ragazzi, col sostegno importantissimo delle scuole, a sostegno anche delle tante attività che il Comune sta mettendo in campo per migliorare la qualità della vita in città» [vii]. Francamente non so quanti Giuglianesi se ne siano accorti, ma è lecito dubitarne…

Perfino Scipione l’Africano non avrebbe condiviso affermazioni così azzardate, con cui si cerca di razionalizzare un’operazione di dubbia legittimità (quali specifiche competenze didattiche ha un’amministrazione comunale, fatta salva quella istituzionale sugli immobili scolastici?) e che appare comunque molto discutibile, trattandosi d’un atto autonomo della Giunta e non del risultato di una discussione consiliare. Del resto proprio Scipione, lo stratega delle guerre puniche, secondo Tito Livio [viii] avrebbe affermato: “Nullum scelus rationem habet”, traducibile con: “nessun misfatto ha una scusante”.  Come docente ecopacifista e come responsabile nazionale e locale dell’associazione ambientalista VAS e del Movimento Internazionale della Riconciliazione, ho richiesto ufficialmente al Sindaco copia del suddetto protocollo d’intesa con l’Esercito Già in un precedente comunicato stampa avevo espresso la netta contrarietà di chi si oppone alla militarizzazione della scuola, contrapponendovi progetti di educazione alla pace, alla difesa civile ed alla trasformazione nonviolenta dei conflitti.

Ed infatti non ci sono scusanti per un’azione d’indottrinamento militare rivolto a bambini delle elementari e ragazzini delle medie, col pretesto d’insegnargli come si fa la raccolta differenziata oppure di fargli sapere quanto sono belle e moderne le tecnologie informatiche dei registi delle guerre a distanza. Come promotori della Campagna nazionale “Scuole Smilitarizzate[ix] ci siamo adoperati già dallo scorso anno per denunciare ed arginare la pervasiva azione propagandistica delle forze armate nelle scuole italiane. Ma mentre a causa delle restrizioni sanitarie è stato quasi impossibile svolgere iniziative antimilitariste, recentemente in Campania gli artificieri dell’Esercito sono andati nelle scuole “a sensibilizzare i più piccoli all’uso sicuro dei fuochi d’artificio[x] o a “raccontare ai piccoli alunni le particolarità dell’Esercito Italiano” [xi]. In Sicilia, addirittura, la direzione scolastica regionale ha stipulato “un protocollo d’intesa di durata triennale con l’Esercito italiano per consentire lo svolgimento delle attività di alternanza scuola-lavoro in alcuni dei reparti militari presenti nell’Isola[xii]…!

Come possiamo chiudere gli occhi, poi, sulla subdola strategia dell’emergenza, grazie alla quale i militari stanno infiltrando tutti i settori della società, dalla sanità alla protezione civile, dai trasporti alla pubblica sicurezza, abituandoci ad un’assurda ‘normalità’ fatta di mimetiche, stellette e mitra spianati? Come possiamo digerire trasmissioni come “La Caserma” e altre subdole evocazioni d’una società improntata alla disciplina militare? Come giustificare che, di fronte a disservizi nei trasporti o ai cumuli di rifiuti, ci sia sempre qualcuno che giunge a invocare l’intervento dell’esercito?  Bisogna dunque resistere a queste pericolose tentazioni autoritarie e militariste, contrapponendovi la controinformazione ed opportune campagne di educazione alla pace, al disarmo ed alla smilitarizzazione del territorio. Facciamolo per noi, ma soprattutto per i nostri ragazzi/e, se non vogliamo ritrovarci ai tempi cupi del “libro e moschetto”.


N O T E

[i] https://en.wikipedia.org/wiki/Military_town

[ii] https://ermetespeacebook.blog/2012/05/26/e-nato-nu-criaturo-o-laco-e-patria/

[iii] https://contropiano.org/news/politica-news/2011/07/09/napolilago-patria-un-fastidioso-neo-nato-02369

[iv]  V. ad es.: https://www.ilcarrettinonews.it/in-gita-alla-base-nato-che-arricchi-la-camorra/ , https://www.istitutodonvitale.edu.it/pagine/scuola-civili-e-militari-alla-base-nato-di-lago-patria , https://www.ilcarrettinonews.it/in-gita-alla-base-nato-che-arricchi-la-camorra/ 

[v] https://ermetespeacebook.blog/2012/07/17/prove-tecniche-di-buon-vici-nato/

[vi] https://www.reportdifesa.it/esercito-italiano-firmato-un-protocollo-dintesa-per-sensibilizzare-i-ragazzi-sul-tema-delleducazione-e-sulla-gestione-dei-rifiuti-con-laiuto-degli-insegnanti/

[vii] Ibidem

[viii] Tito Livio, Ab Urbe condita, XXVIII, 28

[ix]  https://www.facebook.com/scuole.smilitarizzate/

[x] http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/seminario-feste-sicure_211220.aspx?fbclid=IwAR0t-SrzU3P84mjRJB5VzskIqhNCOKbhjgNg_TjfJL0UJUt_hG-xIxvF9og

[xi] https://www.anteprima24.it/napoli/esercito-scuola-napoletano/?fbclid=IwAR3dm5-nZakBwRxvKJ0H5y4Ek-5NsZl_C8m4wf_WLWQWtKvnSjTMjE_O41A

[xii] https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/12/lalternanza-scuola-lavoro-in-sicilia-si.html?fbclid=IwAR2OoJ96dWsWiLT9MshAV91IHx6LgaVX6VCdZUJ6EWM1vldvH2rP3HNpTEc

http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/esercito-e-comune-di-giugliano_211112.aspx

Come può cambiar la vita da Trieste in giù…

“E ritornammo a riveder… lo Sole”

Apprendiamo che «nella classifica sulla Qualità della vita nelle province italiane, pubblicata oggi dal ‘Sole 24 Ore’. Roma sale dal 32esimo al 13esimo posto, Firenze dal 27esimo all’11esimo. Dopo anni di progressivo peggioramento Napoli torna a scalare posizioni (una) collocandosi 90esima. Benevento è 86esima, Salerno ottantanovesima, Avellino 93esima e Caserta al centesimo posto. Ai primi tre posti in Italia ci sono in ordine Trieste, Milano, Trento, Aosta, Bolzano, Bologna, Pordenone, Verona, Udine, Treviso. Ultimo posto per Crotone, preceduta da Foggia e Trapani». (Napoli Today13.12.2021). 

La classifica – si spiega – analizza la qualità della vita a livello generale e in tal modo ci presenta una fotografia aggiornata dell’Italia, che ancora una volta evidenzia rilevanti differenze territoriali. Si conferma il ben noto divario sociale tra Nord e Sud, ma dall’indagine statistica emerge come virtuoso e particolarmente ‘vivibile’ soprattutto il Nord-Est e specificamente il Friuli. La rilevazione svolta dal Sole si basava su dati relativi a sei indicatori: ricchezza e consumi, affari e lavoro, demografia, società e salute, ambiente e servizi, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Si precisa inoltre che i 90 indicatori statistici su base provinciale, divisi nei sei ambiti richiamati, prevedevano al loro interno «28 parametri aggiornati al 2021 e una decina di “indici sintetici” (cioè che a loro volta aggregano più parametri)…» (la Repubblica – Napoli, 13.12.2021).

I media locali rilevano che Napoli – “passo dopo passo”… – nel 2021 ha guadagnato due posizioni, piazzandosi comunque al 90° posto in classifica, numero poco felice dalle nostre parti, in quanto ci ricorda “la paura” nella Smorfia. E, oggettivamente, non può non impaurire chi vive a Napoli il fatto che il divario tra la prima classificata, Trieste, e l’ex capitale del Sud ammonta a ben 64,57 punti sul massimo di 581 attribuiti: un gap di quasi il 10%. Per non parlare di Caserta, che si classifica 100a su 107, mentre le altre tre province campane oscillano tra l’86° posto di Benevento (-7), l’89° di Salerno (+4) e il 93° di Avellino (-9).

Ed appunto a una ‘smorfia’ viene spontaneo atteggiare il viso di fronte a questa ennesima, spietata, dimostrazione della sopravvivenza di due Italie che – a distanza da 160 anni dalla cosiddetta ‘unificazione’ – continuano a fronteggiarsi arcignamente, senza una reale integrazione.

Non accomodiamoci sul divario

Commenta Michela Finizio: «La nuova geografia provinciale del benessere, che va da Trieste a Crotone […] si candida a diventare una bussola per orientare investimenti e progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una cartina di tornasole delle disuguaglianze, accentuate dalla pandemia, da cui è necessario partire per attuare in modo efficace le tre missioni trasversali del Piano: ridurre i divari territoriali e di genere e aumentare le opportunità per i giovani […]  Su novanta indicatori le ultime posizioni sono popolate in ben 57 casi da province del Sud o delle Isole…»(Lab24 – Il Sole 24 ore ).

Già il PNRR come occasione storica per “ridurre i divari territoriali”. Obiettivo più che auspicabile ma contraddetto dalla strisciante tendenza a sancire ancor più quei divari, utilizzando quella “autonomia differenziata” che si fa strada subdolamente ed invece andrebbe denunciata in quanto oggettivamente anticostituzionale. Ecco perché c’è chi, come Massimo Villone, nutre legittimi dubbi su un PNRR ‘riequilibratore’: «La necessità di un ripensamento sull’autonomia differenziata non si manifesta solo per la sanità. Per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) le priorità variamente dichiarate – come transizione ecologica, digitalizzazione, giovani, donne, Mezzogiorno – richiedono la definizione di obiettivi strategici nazionali e la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti volte a realizzarli. Su questo va attentamente misurata la compatibilità delle autonomie, in specie se declinate come nel separatismo soft di Lombardia, Veneto e in buona misura anche Emilia-Romagna […] Si sente dire spesso, e autorevolmente, che dalla crisi […] deve uscire un’Italia nuova e diversa. È giusto. Ma dall’autonomia differenziata ex art. 116.3 può rivelarsi difficile, o persino impossibile, tornare indietro, per come è disegnata nella norma costituzionale. Se si attuasse in modo sbagliato nel corso dell’attuazione del PNRR, potrebbe bene essere la pietra tombale sul Piano». (il manifesto – 25.04.2021).

Dalle statistiche lo stato dell’arte

Certo, per chi vive a Napoli – come in qualsiasi città dell’Italia meridionale – leggere questi dati risulta davvero sgradevole. Il guaio è che non possiamo neppure prendercela con i criteri in esame, visto che in questo caso non si tratta di parametri esclusivamente economici (che pure ci sono, quali ricchezza e consumi, affari e lavoro), ma di una gamma abbastanza ampia di fattori, che vanno dalla sicurezza ai servizi, dall’ambiente alla cultura e al tempo libero. Negli scorsi anni si è discusso a lungo dell’affidabilità di queste rivelazioni statistiche e dell’esigenza di andare ben oltre il P.I.L., prendendo in esame diversi indicatori di benessere e puntando alla “sostenibilità” dello sviluppo (v.ricerca). Ovviamente questa ricerca, come ogni altra indagine, può essere ritenuta opinabile e/o parziale. Si possono anche nutrire forti dubbi sul fatto che a chi abita a Trieste sia garantito un livello di vita dieci punti superiore a quello di chi, puta caso, risiede nella città metropolitana di Napoli. Però dobbiamo ammettere che le cifre, soprattutto se scorporate nei sotto-indicatori – restano impietosamente chiare.

Nell’ambito “ambiente e servizi” – dove Oristano Trieste e Milano sono sul podio – Napoli scende di 28 punti e si colloca al 98° posto. Per fortuna nella classifica su “cultura e tempo libero” troviamo Napoli al 23° posto, con un +47 d’incremento.  L’altalena però la riguarda in negativo quando si tratta di “giustizia e sicurezza”, laddove precipita al penultimo posto, scendendo di 29 punti.

A buon intenditor…

Che dire? Sebbene la percezione di un comune cittadino napolitano non gli restituisca una così netta ed evidente sensazione di de-grado (etimologicamente parlando), ritengo che l’ennesima rilevazione statistica non possa e non debba lasciarci indifferenti ed inerti. Solo pochi mesi fa le varie forze politiche, in occasione delle elezioni amministrative – avevano provato a darsi alcune priorità programmatiche, in modo da risultare più credibili e magari vincenti. Eppure, fatta la dovuta tara a questo genere di classifiche, non sarebbe stato male se i nostri amministratori (e aspiranti tali) avessero dato uno sguardo meno superficiale e distratto alle cifre che peraltro emergevano fin troppo chiaramente già dalle precedenti indagini del Sole-24 ore.

Se a Napoli, nella raccolta differenziata, restiamo al 36% rispetto all’88% di Ferrara ci sarà un perché. Se la provincia di Napoli si trova al penultimo posto nel parametro “energia elettrica da fonti differenziate” – sebbene tra le prime classificate ci siano anche città meridionali come Brindisi, Matera e Lecce – qualcosa si sarà pure sbagliato. Se la “spesa sociale dei comuni” a Napoli è identificata con l’indice 34,17 a fronte del 225,34 di Trieste qualcosa evidentemente non ha funzionato…

Morale della favola: non commettiamo l’errore di scambiare le rilevazioni per rivelazioni, ma non facciamo neanche finta di non averne comprese le indicazioni. Le analisi e le diagnosi, si sa, non mancano mai. Ma ora è il momento di passare finalmente alle terapie, senza dimenticare che il primo passo è la prevenzione. E non solo quella sanitaria.

Due ammiragli e un generale

Foto: JFC Naples Public Affairs Office

E poi dicono che sui giornali non si trovano buone notizie… Si trovano eccome! Ad esempio, quella riportata il 19 luglio scorso dall’edizione Napoli-Campania del quotidiano ‘la Repubblica’, dal titolo: “Nato, il cambio di comando, Burke: ”Un vero privilegio guidare la base di Napoli”. L’articolo, a firma di Giovanni Marino, si occupa del ‘cambio della guardia’ ai vertici del Joint Forces Command – Naples di Giugliano-Lago Patria che, a dire il vero, non è affatto una semplice ‘base’, ma uno dei tre principali Comandi della NATO in Europa, con quello di Brunssum (Paesi Bassi) e di Lisbona (Portogallo). Il Comando Alleato di Napoli ha competenze soprattutto sulle forze d’intervento aero-navale dell’Alleanza sul fronte orientale e mediterraneo ed è la struttura NATO corrispondente al Comando della Marina Statunitense in Europa ed in Africa con sede a Napoli-Capodichino, al punto tale che il suo vertice addirittura s’identifica con quello del JFCN.

«È iniziata ufficialmente l’era Burke alla Nato di Napoli e nell’avveniristica sede di Lago Patria il nuovo comandante ha parlato durante la cerimonia. “Assumere il comando delle forze navali Usa in Europa e Africa […] e del Comando interforze alleato di Napoli è per me un vero privilegio. Sono onorato di accettare il bastone del comando dall’ammiraglio Foggo e sono impaziente di continuare, con gli alleati Nato ed i partners, il comune sforzo di dissuasione e di intraprendere, se necessario, la difesa della nostra alleanza in un ambiente di sicurezza sempre più complesso”, ha detto l’ammiraglio della marina americana durante la cerimonia presieduta dal comandante supremo delle Forze alleate in Europa, generale Tod D. Wolters». [i]

Foto: la Repubblica

Una cerimonia importante, che ha segnato il ‘pensionamento’ del precedente Comandante, l’Amm. James G. Foggo III, nel cui doppio incarico è subentrato un altro Ammiraglio della U.S. Navy, Robert P. Burke, che come il predecessore ha impegnato a lungo la sua carriera alla guida dei reparti di sommergibili.  Sul podio allestito per la solenne cerimonia – presieduta dal massimo vertice della NATO in Europa, il generale Tod D. Wolters – si è celebrato il tradizionale rituale militare, a base di campane, squilli di tromba, inni, saluti, passaggi di vessilli etc., sancendo l’insediamento del nuovo ‘governatore’ del vicereame USA a Napoli, nel segno di quella salda continuità che non riguarda solo il ruolo che la NATO si è data in Italia, ma anche il preoccupante consenso di quasi tutte le forze politiche nostrane a questa consolidata e rafforzata subalternità.

«Ti sei distinto nella funzione di comando che hai esercitato negli ultimi tre anni, così come hai fatto nel resto della tua carriera – ha detto Wolters rivolgendosi a Foggo – Il tuo impegno nei Balcani, nel condurre la missione Nato in Irak e nel portare l’hub di direzione strategica della Nato alla piena operatività, ha rafforzato la nostra linea strategica a 360 gradi. Questo lo dobbiamo alla tua azione di leadership e ai tuoi saggi consigli». [ii]

Ed in effetti l’ammiraglio Foggo, si puntualizza nell’articolo, aveva condotto anche l’esercitazione Trident Juncture 2018 – la più imponente mai effettuata dalla NATO, alla quale due anni fa presero parte in Norvegia addirittura 50.000 militari, provenienti da 31 paesi. Si citano anche altre ‘missioni’ dell’Alleanza guidata da Foggo, come quelle nei Balcani ed in Iraq, e questi tre soli riferimenti potrebbero essere già sufficienti per comprendere il peso strategico del quartier-generale alleato che abbiamo l’onore (e l’onere) di ospitare a poco più di 25 chilometri da Napoli.

Foto: la Repubblica

I due ammiragli – a loro volta onerati dal peso delle numerose medaglie e riconoscimenti appuntati alle rispettive uniformi bianche – si sono quindi dati il cambio (senza che nulla sia cambiato davvero), festeggiati con una trionfale torta loro dedicata, che ne riportava i nomi e raffigurava al centro un sottomarino, sovrastato dai simboli del Comando NATO e di quello US Navy.  Davvero commovente, non c’è che dire. Il guaio è quella specie di gateau mariage che i due hanno congiuntamente tagliato rappresenta la nostra Italia, sulla cui sagoma tricolore, non a caso, troneggiava il grigio e minaccioso sommergibile americano…

«Sono onorato di accettare il bastone del comando dall’ammiraglio Foggo e sono impaziente di continuare, con gli alleati Nato ed i partners, il comune sforzo di dissuasione e di intraprendere, se necessario, la difesa della nostra alleanza in un ambiente di sicurezza sempre più complesso» [iii]

ha dichiarato con fierezza il subentrante Burke, ribadendo ovviamente il concetto che l’enorme (e costosissimo) apparato militare dell’Alleanza Atlantica serva solo come ‘dissuasione’, per assicurare la nostra ‘difesa’. Peccato che la realtà sia molto diversa, in quanto concentra sul nostro Paese funzioni e responsabilità strategiche che da decenni lo rendono il ‘guardiano’ armato del nord-Africa, dell’area balcanica e di quella mediorientale, tradendo il ruolo di pace e di sviluppo che, viceversa, esso potrebbe avere proprio nello scenario euro-mediterraneo.

Il ‘bastone del comando’ che simbolicamente si sono scambiati i due ammiragli – celebrante nell’occasione il comandante supremo in Europa – continua quindi a colpire pesantemente la nostra indipendenza ed autonomia, azzerando ogni controllo democratico su una delle regioni più militarizzate d’Italia e mettendo a rischio la sicurezza del nostro territorio (ed in particolare della Città Metropolitana di Napoli, che dal dopoguerra continua ad essere trattato come una ‘provincia’ della Roma imperiale. 

Non sarà un caso che, a pochi chilometri dalla ‘avveniristica’ sede del J.F.C. di Lago Patria resista ancora la lapide dedicata all’antico stratega Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, ritiratosi nell’allora Liternum per protesta contro la sua “ingrata patria” e lì morto nel 183 a.C., nello stesso periodo in cui la tradizione riferisce la morte del suo ‘arcinemico’, il generale cartaginese Annibale Barca.  Ed è latina anche la famosa locuzione “Nomen omen”, secondo la quale nei nomi sarebbe già racchiuso in qualche modo il destino di una persona, per cui la denominazione equivarebbe quasi ad una sorta di presagio. Ebbene, prendendo in esame i cognomi dei nostri illustri e pluridecorati ammiragli, è difficile non notare alcuni interessanti elementi.  Foggo è un nome di origine scozzese, legato ad un antico villaggio scozzese, denominato così dall’antico inglese ‘fogga’, [iv] che nell’inglese moderno ha riportato la radice ‘fog’, cioé ‘nebbia’. Ma un’inquietante analogia si riscontra col cognome dell’attuale comandante. Burke, oltre a richiamare anch’esso la denominazione anglo-normanna dell’antico villaggio irlandese de Burg (cittadella fortificata) [v], rinvia infatti anche ad un verbo inglese traducibile con: “sopprimere, soffocare, insabbiare”…[vi].  

Il passaggio dalla ‘nebbia’ sul vero ruolo della NATO ad un ‘insabbiamento’ della sua funzione, d’altronde, sarebbe del tutto in linea con la sua tradizione, ma noi naturalmente non crediamo al magico significato dei nomi. Oppure no?…

N o t e


[i] Giovanni Marino, “Nato, il cambio di comando, Burke: ”Un vero privilegio guidare la base di Napoli”, la Repubblica – Napoli, 19.07.2020 > https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/07/19/news/nato-262264783/

[ii]  Ibidem

[iii] Ibidem

[iv] Vedi: https://www.surnamedb.com/Surname/Foggo

[v]  Vedi: https://www.ancestry.com/name-origin?surname=burke

[vi] Vedi: https://www.wordreference.com/enit/burke

© 2020 Ermete Ferraro

Tintinnar di sciabole e medaglie…

photo by Master Sergeant Florian Fergen, German Air Force)

Città Metropolitana di Natoli?

Pochi lo hanno saputo, ma la Città Metropolitana di Napoli ha avuto un grande onore. Nientedimeno il Comandante Supremo della NATO in Europa è stato infatti ospite, giovedì 11 giugno, del Comando Alleato del Sud Europa, che ha la sua avveniristica sede a Giugliano, nei pressi del Lago Patria, caro già al celeberrimo stratega romano Scipione l’Africano. [i]

Qualcuno potrebbe chiedersi come mai di un simile evento non si trovi traccia sui quotidiani né nei media radiotelevisivi, ma non dobbiamo dimenticare la lodevole discrezione dei vertici militari dell’Alleanza, dettata – oltre che da ovvi motivi di sicurezza – dalla ben nota modestia di quegli alti ufficiali statunitensi e dal fatto che, quando essi visitano una base NATO, più che in visita ufficiale all’estero, si sentono praticamente…a casa propria.

L’unico organo d’informazione che riporta la notizia è il sito del Joint Forces Command Naples, con una laconica news intitolata: “SACEUR visita il JFC Naples”. [ii] Per i non addetti ai lavori, SACEUR è l’acronimo di Supreme Allied Commander Europe (Comandante Supremo Alleato per l’Europa) e designa il vertice dello SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), il Quartier-generale Supremo delle Forze Alleate in Europa, con sede in Belgio. [iii]

A questo punto sorge spontanea una domanda: come tale pezzo grosso della NATO ha voluto gratificarci della sua presenza? Dal comunicato pubblicato dal citato sito Natoletano in effetti riceviamo una risposta parziale. Infatti, oltre ad informarci che:

Il Gen. Todd. D. Wolters…ha visitato la JFCNP” e che “durante la sua visita, Wolters ha ricevuto un aggiornamento sull’importante lavoro della Hub del Sud della Direzione Strategica della NATO…un forum che collega alleati, partners ed esperti in materia, per comprendere e superare le sfide alla sicurezza nel continente africano ed in Medio Oriente

l’’articolo non fornisce molti altri chiarimenti. [iv] Naturale discrezione e prudente riservatezza, direte. Fatto sta che la presenza a Napoli del pluridecorato generalissimo Wolters [v] non trova una esplicita spiegazione oltre la precisazione che la visita – la prima del Comandante Supremo della NATO in Europa al Comando Alleato delle Operazioni (ACO) – avrebbe dovuto svolgersi a metà marzo, ma è stata rinviata a causa della pandemia di Coronavirus. Si cita l’incontro col Comandante del JFC, l’Amm. James G. Foggo III (i due alti ufficiali figurano nelle due immagini fotografiche a corredo della nota), ma probabilmente al vertice militare era presente anche un importante esponente della difesa italiana.

A.C.O.  & C.O.I. nel dopo COVID.

Il Gen. C.A. Luciano Portolano [vi] (già Capo di Stato Maggiore del JFC di Giugliano-Lago Patria, comandante della Brigata Sassari dell’E.I. e della missione ONU in Libano UNIFIL), da settembre 2019 è il Comandante del C.O.I. (Comando operativo di vertice interforze), organismo alle dirette dipendenze del Capo di stato maggiore della difesa, “che esercita la pianificazione, il coordinamento e la direzione delle operazioni militari delle forze armate italiane, e sulle esercitazioni interforze e multinazionali e tutte le attività ad esse collegate”. [vii]  Voci di corridoio ipotizzavano la sua presenza, per ricevere l’ennesima alta onorificenza dalle mani del SACEUR, ma purtroppo il comunicato stampa non ne fa menzione… 

Non ci vuole però molta fantasia per immaginare di cosa abbiano discusso il Comandante Europeo della NATO e quello del fronte sud-europeo ed africano dell’Alleanza. E non è difficile ipotizzare quale sarebbe stato il contributo alla discussione del Comandante del vertice interforze italiano, se fosse stato inserito in tale ‘Gotha’ strategico. I già precari equilibri geopolitici dell’area mediterraneo-africana e del vicino Oriente, infatti, non sono stati certamente migliorati dagli sconvolgimenti socio-economici dovuti alla grave pandemia.

Oltre alla NATO a trazione USA – sempre più impaziente ed esigente nei confronti dei propri ‘associati’ – si deve tener conto dell’effervescenza militarista della Francia, dei passi verso una difesa comune europea ‘parallela’ all’Alleanza atlantica, ma anche dell’interventismo turco, delle forzature imposte da Israele e della permanente polemica statunitense con la Cina. Tutti scenari di crisi che – al di là della visita di cortesia – devono aver indotto il generale Wolters a verificare di persona quanto la NATO sia effettivamente ‘pronta’ a rispondere ad un’escalation della tensione, soprattutto sul versante meridionale e mediorientale.

Infatti il COVID – che assomiglia sinistramente alla sigla di un comando interforze – anziché indebolirla, ha addirittura rafforzato l’epidemia militarista e guerrafondaia che serpeggia in Europa, contagiando anche la nostra beneamata Italia. Abbiamo infatti appreso che tra i primi provvedimenti del governo italiano per la ‘ripresa’ c’è proprio… l’aumento delle spese militari.

L’Italia rinforza le sue missioni nella lotta al terrorismo islamico. Aumenta in maniera significativa lo schieramento nel cuore dell’Africa, mettendolo tutto nelle mani dei francesi. Potenzia il contingente anti-Isis in Iraq, mandando anche una batteria di missili per contrastare “l’assertività iraniana”. Un cambiamento rilevante per la nostra politica estera, che ci vede diventare protagonisti nei due fronti più caldi del pianeta, mimetizzato tra le righe e i tecnicismi in lingua inglese delle 649 pagine del Decreto Missioni appena approvato dal governo […] La lunga introduzione al Decreto presenta un caposaldo: “Il destino dell’Europa è il destino del Mediterraneo”. [viii]

Ripresa (delle ostilità) e ripartenza (delle missioni militari)

Il Ministro della difesa Guerini visita il C.O.I. (a dx. il gen. Portolano) Fonte: MinDif.

Il resoconto di Gianluca di Feo su la Repubblica è illuminante ed evita i soli equilibrismi verbali di quando si trattano questioni militari. Dalla stessa fonte, poi, apprendiamo che, se il primo fronte è quello arabo anti-terrorismo, il secondo obiettivo dell’attivismo NATO è quello nord-africano, grazie allo ‘stimolo’ francese e turco, che punta ad intervenire anche nella guerra fra le fazioni libiche in cerca di supremazia.

“Per questo ci muoviamo potenziando due poli di alleanza. Quello con la Francia, con il coinvolgimento in Sahel. E quello con gli Stati Uniti, facendoci carico di un maggior impegno in Iraq anche in funzione anti-iraniana. Il disegno, non esplicitato, è quello di ottenere in cambio il sostegno di questi due Paesi nell’affrontare il cuore del nostro interesse nazionale: la Libia…”. [ix]

Del resto, a mobilitarsi in questi giorni era stato già il Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltemberg, che l’8 giugno aveva lanciato un bellicoso appello nel vertice del Consiglio Atlantico, una sorta di piano decennale delle future guerre.

La NATO deve continuare ad essere forte militarmente, essere più unita politicamente ed assumere un più ampio approccio globale. Per questo si deve continuare a investire nelle forze armate e in moderni sistemi militari. Rafforzare politicamente la NATO significa utilizzare l’Alleanza quale forum di discussione e, quando necessario, agire e affrontare le questioni che minano la sicurezza, operando più strettamente con i partner per difendere i nostri valori in un mondo dove cresce la competizione globale”. [x]

Come osserva Antonio Mazzeo, si sta profilando una NATO pluri-interventista e sovra-ordinata rispetto alla difesa europea, che ricomincia ad utilizzare la micidiale parola ‘deterrenza’ e inquadra i fenomeni migratori in atto come una minaccia alla ‘stabilità’ dei confini. Ecco perché anche il vecchio ‘leone’ di san Marco, che campeggia sul vessillo del comando sud-europeo di Napoli, ricomincia a ruggire minacciosamente. Ma se i ‘domatori’ che dovrebbero controllarne l’aggressività sono il generale Wolters e l’ammiraglio Foggo…beh, ci sono buoni motivi per preoccuparsi.

Note


[i] Sul Comando NATO di Lago Patria, cfr. altri precedenti articoli sul mio blog, fra cui: https://ermetespeacebook.blog/2012/04/30/lago-patria-un-preoccupante-neo-nato/ del 2012; https://ermetespeacebook.blog/2015/07/28/nato-per-combattere/ del 2015 e, specificamente su Scipione l’Africano: https://ermetespeacebook.blog/2011/12/26/ingrata-patria/ , del 2011.

[ii] Vedi: https://jfcnaples.nato.int/newsroom/news/2020/saceur-visits-jfc-naples

[iii] Vedi: https://shape.nato.int/saceur

[iv] Vedi art. cit. sul sito JFC Naples (trad. mia)

[v] Visita: https://shape.nato.int/saceur/biographies

[vi] Visita: https://www.difesa.it/SMD_/COI/Pagine/IlComandante.aspx

[vii] Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Comando_operativo_di_vertice_interforze  e https://www.difesa.it/SMD_/COI/Pagine/default.aspx

[viii] https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/08/news/lotta_al_terrorismo_italia_missioni_all_estero-258667012/?ref=search&fbclid=IwAR1pauJkNCrFcoZ3B0tRHRuU9sJ-WjZApe_gYQaWh2pbqKkIZUix_9GN63U

[ix] Ibidem

[x] https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2020/06/daqui-al-2030-faremo-la-nato-ancora-piu.html?fbclid=IwAR1GjEImwL_-pJ2Wu1Mc6GRUgib53fDfNrt27NcGi91AGnkYhXzNI1yyV8M

© 2020 Ermete Ferraro

Generali e ammiragli come modelli? No, grazie!

Il Sindaco de Magistris col Gen. Vittiglio

DICONO CHE L’EPIDEMIA di Coronavirus avrebbe offuscato altre questioni importanti per il nostro Paese e per la nostra Città, monopolizzando l’attenzione dei media.  Del resto, non si può negare che gli organi d’informazione siano spesso reticenti circa vicende assai poco simpatiche, come i tragici avvenimenti ai confini tra Turchia e Grecia o l’arrivo in Italia di altre 50 testate nucleari, trasferite alla base USAF di Aviano (PN) proprio dalla base turca di Incirlik.  Ma non bisogna generalizzare, visto che alcuni giornali riportano notizie poco significanti, come quelle riguardanti le ottime relazioni che intercorrono tra i vertici della NATO e le nostre massime cariche istituzionali, a livello sia nazionale sia locale.  Il primo caso è quello della ‘breve’ pubblicata in Cronaca di Napoli del quotidiano Il Mattino di giovedì 5 marzo 2020, dalla quale apprendiamo che:

«Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha incontrato a Palazzo San Giacomo il generale Antonio Vittiglio nuovo Capo di Stato Maggiore del Comando della Nato di stanza a Lago Patria al quale ha rivolto i migliori auguri di buon lavoro nel prestigioso incarico. Il primo cittadino ha poi donato al Generale il crest ufficiale della città che l’alto ufficiale ha molto gradito».  [i]

Qualora vi dica poco o nulla il nome del generale chiamato a guidare lo stato maggiore del Comando NATO competente per l’Europa sud-orientale e per l’Africa, un altro organo d’informazione online, Quasimezzogiorno, specifica che:

«…il Generale di Corpo d’Armata Antonio Vittiglio ha assunto la carica di Capo di Stato Maggiore e la qualifica di Capo del Command Element dell’Unione Europea. Inoltre, dal settembre del 2018 al 02 settembre del 2019, ha ricoperto l’incarico di Vice Comandante presso il Comando NATO ad Istanbul in Turchia (Nato Rapid Deployable Corps – Turkey) dove ha preso parte alla preparazione e validazione futura sia del Comando di Corpo d’Armata Turco e sia della sua Brigata VJTF (L), prendendo parte alla pianificazione e alla preparazione per la certificazione per l’NRF-L (Nato Response Force Land) 2020 e al processo per il raggiungimento nel 2021 della FOC (Full Operational Capability) per la nuova struttura del Comando Turco della NATO….» [ii].

Insomma, mentre la frontiera dalla Turchia alla Grecia risulta tutt’altro che accogliente nei confronti d’una grande quantità di sventurati profughi siriani, dalla Turchia all’Italia invece arriva senza ostacoli un po’ di tutto, dai generali alle bombe atomiche… E poiché noi Napolitani siamo tradizionalmente molto accoglienti, il nostro Sindaco – mettendo da parte bandane arancioni ed arcobaleno – ha ritenuto suo dovere accogliere con tutti gli onori il generale Vittiglio, augurandogli buon lavoro (proprio così…) ed omaggiandolo con lo stemma della “Città di Pace” di cui è primo cittadino. Magari gli sarà sfuggito che quello scudo giallo-rosso è l’antico stemma di uno dei Sedili di Napoli, quello del Popolo, e soprattutto che non è affatto vero che tutto il popolo napolitano sia felice e soddisfatto dell’occupazione militare di cui i ‘Liberatori’ alleati ci gratificano da quasi 70 anni. O, peggio, questo è stato ritenuto un particolare insignificante e comunque ininfluente.

L’Amm. James G. Foggo III insignito del titolo di ‘Commendatore della Repubblica Italiana

LA SECONDA NOTIZIA, ancora una volta riguardante i vertici della NATO, oltre che sul sito web del Comando J.F.C. Naples [iii] è apparsa anche sul Daily World Italia, un giornale telematico pubblicato a Civitavecchia, dal quale apprendiamo che:

«L’Ammiraglio James Foggo, Comandante del Comando Interforze Alleato di Napoli e delle Forze Navali USA in Europa e Africa è stato insignito del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. L’alta onorificenza è stata consegnata dal Generale di Squadra Aerea Roberto Corsini, Consigliere del Presidente della Repubblica Italiana per gli Affari Militari, nel corso di una cerimonia tenutasi al Comando JFC Naples il 17 febbraio 2020. L’Ordine al Merito (OMRI) è un prestigioso riconoscimento della Repubblica italiana.  L’Ammiraglio Foggo ne è stato insignito per decisione del Presidente della Repubblica Italiana e Capo dell’Ordine, Sua Eccellenza Sergio Mattarella». [iv]

L’articolo riferisce le espressioni di gratitudine e le dichiarazioni dell’Ammiraglio responsabile della NATO per l’Europa e l’Africa, il quale, citando legami parentali risalenti alla seconda guerra mondiale, non ha mancato di sottolineare che «…questo ci ricorda da quanto tempo e con quanto impegno i nostri due paesi, uniti, si ergano a difensori della libertà[v]  Ecco, appunto. Quella “difesa della libertà” che – per citare la celebre frase pronunciata dal don Vito Corleone de Il Padrino – per noi Italiani continua ad essere “un’offerta che non si può rifiutare”. [vi]  I due organi d’informazione (ma il secondo è solo la traduzione italiana del primo) ci rendono edotti che l’onorificenza è conferita a personaggi

ritenuti meritevoli della gratitudine della Repubblica per il loro straordinario contributo all’integrazione e al coinvolgimento o per l’impegno profuso dai loro enti di appartenenza nell’ambito civile, culturale e professionale della Repubblica.”

A questo punto, forse immaginando che qualche lettore possa chiedersi cosa mai il vertice alleato abbia fatto di tanto importante per ricevere la commenda, si precisa che:

L’Ammiraglio Foggo è stato ritenuto meritevole della onorificenza per avere dato prova di eccezionale sensibilità, generosità ed impegno a favore della Repubblica Italiana e dei suoi cittadini.” [vii]  

Sinceramente continuo a non capire a quali manifestazioni di generosità ed impegno civico si riferisse l’articolo a proposito dell’ammiraglio della U.S. Navy, di cui è anche il Comandante nell’area euro-africana, controllata dalla 6^ Flotta. [viii]  Ma forse insistere su questo punto potrebbe sembrare inopportuno, visto che l’amm. James G. Foggo III è già stato insignito, oltre che di numerose decorazioni e di medaglie ad onor militare, anche di riconoscimenti civili come la prestigiosa Legion d’Honneur francese, che ora potrà sfoggiare insieme con le insegne di Commendatore al merito della Repubblica Italiana.

A questo punto, di fronte a tale indecoroso atteggiamento di subalternità verso i più alti vertici dell’Alleanza Atlantica in Italia – ringraziati ed omaggiati come se davvero ci stessero rendendo un insostituibile ed indispensabile servizio – non ci resta…”che piangere” – verrebbe da dire, citando il noto film con Benigni e Troisi. E invece no. Per me e tanti altri, non resta che demistificare, denunciare ed opporsi all’incalzante militarizzazione della società e della cultura, che passa anche per la retorica esaltazione di alti ufficiali delle forze armate. Da una Repubblica che costituzionalmente “ripudia la guerra” e da un Comune che si dichiara statutariamente “Città di Pace” non dovremmo aspettarci una  profluvie di omaggi rivolti a chi, al di là della retorica sulla NATO come ‘scudo’ della nostra libertà e sicurezza, si occupa di pianificare ed attuare operazioni belliche. Infatti, come peraltro è esplicitamente dichiarato nella pagina iniziale dello stesso sito web del JFC Naples, la sua attivazione:

«…era parte della trasformazione della NATO volta ad adattare la struttura militare alleata alle sfide operative di una guerra di coalizione, così da fronteggiare le minacce emergenti del nuovo millennio…» [ix]

Ebbene, se nel XIV secolo il titolo di “commendatore” indicava chi proteggesse o sostenesse gli altri, oggi di questi “commendatori” con greca e stellette e di quel genere di ‘protezioni’  faremmo invece volentieri a meno…


Note

[i] https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/napoli_luigi_de_magistris_nato_lago_patria-5093093.html

[ii] https://www.quasimezzogiorno.org/news/il-generale-vittiglio-nuovo-capo-di-stato-maggiore-del-joint-force-command-naples/

[iii] https://jfcnaples.nato.int/newsroom/news/2020/admiral-james-foggo-awarded-the-title-of–commendatore–of-the-order-of-merit-of-the-italian-republic-

[iv] http://www.dailyworditalia.com/comando-jfc-naples-lammiraglio-james-foggo-commendatore-dellordine-al-merito-della-repubblica-italiana/

[v] Ibidem

[vi] Cfr. https://aforismi.meglio.it/frase-film.htm?id=9c9a

[vii] www.dailyworlditalia.com , cit.

[viii] https://www.c6f.navy.mil/about-us/our-leaders/adm-foggo/

[ix] https://jfcnaples.nato.int/page5714813.aspx (traduzione mia)

Etica militare? Siamo… a cavallo

La ‘annunziatella’ del Mattino

Il Sindaco de Magistris tra i col. Cristofaro e Barbaricini (Ref. la Repubblica e IL MATTINO)

Il quotidiano ‘Il Mattino’ – come anche la Repubblica – ha recentemente pubblicato questa notizia: “Napoli, protocollo d’intesa tra Comune e Nunziatella per etica, sport e inclusione”. [i]  Se dal titolo non riesce facile cogliere il nesso tra l’accordo sottoscritto e quelle tre nobili parole, neanche la lettura dell’articolo sembra fornire lumi per capire che cosa c’entri un addestramento alle mansioni di scuderia e di mascalcia, che consentiranno un graduale avvicinamento al cavallo e all’equitazione” con le proclamate finalità educative e sociali del progetto. Il principale quotidiano del Sud ci ha resi edotti che il sindaco della terza città d’Italia ha firmato un protocollo d’intesa col comandante della storica scuola militare partenopea, grazie al quale otto studenti di un istituto superiore statale di Napoli saranno inseriti nella “attività formativa” che si terrà dal 2 al 13 marzo presso il Centro Ippico della ‘Nunziatella’.  Lo storico accordo è stato ratificato nella Sala Giunta di Palazzo San Giacomo, alla presenza – oltre i sottoscrittori Luigi de Magistris e col. Amedeo Gerardo Cristofaro – dell’Assessore Clemente, del col. Barbaricini (capo progetto per la valorizzazione del comparto equestre dell’esercito) e della Dirigente Scolastica Palmira Masillo, accompagnata da una delegazione di studenti dell’I.S.I.S. ‘Alfonso Casanova’.

A questo punto il lettore, incuriosito dal convenire di amministratori ed alti ufficiali, si sarà chiesto quale finalità abbia questa nuova intesa tra vertici di enti locali, amministrazioni militari e presidi d’istituti scolastici pubblici. Le risposte fornite dal giornale sono le seguenti: “un approccio all’attività sportiva equestre militare ed ai valori ad essa legati […] La tradizione equestre militare è, oggi più che mai, veicolo di valori quali l’inclusione sociale e l’etica dello sport” […] Il Centro Ippico Militare offre l’opportunità di vivere un ambiente educativo e formativo che, pur preservando i propri scopi istituzionali principali, si rivela essere una risorsa polifunzionale per il territorio”. [ii]  Ma il motivo per coinvolgere degli studenti “in attività di scuderia e di mascalcia” è enunciato nelle affermazioni seguenti: “Il progetto si prefigge lo scopo di offrire l’opportunità di compiere un percorso formativo improntato alla legalità che si sviluppa in seno all’etica militare e che consentirà agli studenti coinvolti di conoscere meglio se stessi, mediante l’interazione naturale con il cavallo, rapportarsi e relazionarsi con altri che hanno scelto di vivere al servizio del proprio Paese in uniforme e acquisire il valore delle regole attraverso il riscontro giornaliero dei risultati conseguiti grazie all’applicazione disciplinata degli insegnamenti ricevuti”. [iii]

Il “percorso formativo” oggetto dell’intesa, insomma, sarebbe imperniato su queste quattro parole-chiave: (a) educazione alla “legalità” come naturale sviluppo della (b) “etica militare”, a sua volta fondata sulla scelta di svolgere un (c) “servizio al proprio Paese” e (d) dare valore alle “regole”, applicando con “disciplina” gli insegnamenti ricevuti.

Ippica etica e legalità

Attività di equitazione militare

Non sappiamo se tali dichiarazioni rientrino nel testo del protocollo firmato dal Primo Cittadino di Napoli (dichiaratasi per Statuto “Città di Pace”) o se riferiscono solo i commenti dei vertici militari. In ogni caso, saltano agli occhi tre sconcertanti elementi: (1) il divario fra reboanti affermazioni ed il ben più esile oggetto di quello che è solo un altro dei tanti accordi stipulati tra forze armate ed istituti d’istruzione, a conferma della strisciante ma incalzante militarizzazione della scuola; (2) l’insistenza sulla retorica di ‘valori militari’ come servizio e disciplina, accostati a concetti di bel altro spessore democratico, quali: etica e legalità; (3) l’incongruenza tra un progetto formativo che offrirà ad otto studenti la ‘opportunità’ di trascorrere dieci giorni di formazione nelle scuderie d’un centro ippico militare e le dichiarate finalità educative per i giovani, che vanno dalla ‘conoscenza di sé’ alla ‘relazione’ coi loro disciplinati coetanei in uniforme, fino alla citata ‘educazione alla legalità’. Il tutto grazie alla full immersion dei fortunati prescelti…nel mondo dei cavalli.

L’I.S.I.S. ‘Casanova[iv] è uno dei più antichi istituti superiori napolitani, che offre ai suoi studenti percorsi sia professionali (servizi socio-sanitari, manutenzione ed assistenza tecnica, produzioni industriali ed artigianali), sia tecnici (grafica e comunicazione, meccanica, meccatronica ed energia), nonché una sezione di liceo artistico ad indirizzo audiovisivo-multimediale. La sua offerta formativa raggiunge mediamente 1.200 studenti, seguiti da poco meno di 200 docenti. Nella pagina di presentazione del suo sito web, si precisa che: “La vision dell’Istituto Casanova fa riferimento ad un modello di istituzione scolastica aperta alla realtà culturale ed economica in cui opera […] un’istituzione sensibile verso le problematiche sociali, promotrice di una cultura di pace e di solidarietà contro ogni fenomeno di violenza e di prevaricazione sociale e culturale, attenta alla formazione culturale, così come a quella professionalizzante”. [v]  A proposito della mission di questa istituzione scolastica si citano tanti obiettivi, tra cui: “successo formativo […] lotta alla dispersione scolastica […] equità, coesione sociale, cittadinanza attiva e dialogo interculturale […] competenze professionali e inserimento nel mondo del lavoro, eccellenza, creatività innovazione, imprenditorialità […] cultura della sicurezza…” [vi] e via discorrendo. Ma è difficile trovare tra i motivi ispiratori ed i traguardi formativi qualcosa che giustifichi l’adesione di quell’istituto scolastico ad un progetto così poco conforme ad essi, in particolare quando si parla di “cultura della pace e della solidarietà” e di “cittadinanza attiva”. A meno che non si confonda l’equità con… l’equitazione.

Eppure si direbbe che né l’amministrazione comunale di Napoli né la dirigenza scolastica abbiano trovato nulla da eccepire sul progetto proposto dai vertici della ‘Nunziatella’ che, in attesa di veder coronato il loro sogno di dar vita alla prima scuola di guerra europea, fanno parlare di sé in occasione dei solenni e plateali giuramenti dei nuovi cadetti, tramite compiacenti servizi giornalistici e televisivi su questa sedicente ‘eccellenza’ partenopea o, appunto, grazie al bislacco percorso formativo alla legalità svolto nelle scuderie del loro centro ippico di Agnano. Sarebbe davvero interessante sapere che cosa pensano gli altri assessori e consiglieri della Città di Napoli, ma anche docenti genitori e studenti del ‘Casanova’, di questo accordo stipulato al vertice, che sembra confermare quanto poco abbiano a che fare etica e legalità con istituzioni militari il cui fine, come spiega il motto della ‘Nunziatella’, è piuttosto: “preparo alla vita e alle armi”.

Cavalli civici vs cavalli militari

Stemma araldico del Sedile di Nilo

La Città di Napoli, fin dalle sue origini, ha avuto un cavallo come simbolo. È dal XIII secolo – ricordava Angelo Forgione nel 2014 – che il destriero rampante rappresenta “l’indomito popolo napoletano”. Già nel 1253, infatti, i Napolitani avevano opposto una strenua resistenza alla conquista della città da parte dell’imperatore svevo Corrado IV, il quale però: “entrò, vinse e volle dimostrare di aver domato il popolo partenopeo facendo mettere un morso in bocca alla colossale statua del “Corsiero del Sole”, un cavallo imbizzarrito di bronzo posto su un alto piedistallo marmoreo”.[vii]  Dal periodo aragonese, il cavallo ha continuato a rappresentare il simbolo dei ‘Sedili’ di Capuana e Nilo, due delle sei storiche istituzioni amministrative della città di Napoli, ed è tuttora – dopo esserlo stato a lungo della soppressa  Amministrazione Provinciale –  il ‘logo’ della Città Metropolitana di Napoli. Lo stesso cavallo imbizzarrito e scalciante (in araldica: ‘inalberato’) lo troviamo anche nello stemma della scuola militare partenopea, dove è stranamente definito “puledro allegro di nero”. [viii]  Il riferimento, però, è più al cavallo come animale da battaglia che alle virtù civiche del popolo napolitano ed alla sua fiera resistenza alle invasioni straniere, l’ultima delle quali è rappresentata dalla gloriosa pagina delle Quattro Giornate del 1943.

Premesso che, secondo il protocollo, gli studenti del ‘Casanova’ saranno destinati a “mansioni di scuderia e di mascalcia, che consentiranno un graduale avvicinamento al cavallo e all’equitazione”, è legittimo chiedersi: perché mai attività proprie di quelli che una volta si chiamavano “mozzi di stalla” e “maniscalchi” dovrebbero rappresentare un percorso formativo adeguato ai bisogni di giovani che studiano da odontotecnico, meccatronico o web-designer?Quali “competenze professionali e inserimento nel mondo del lavoro” dovrebbe fornir loro questo “graduale avvicinamento al cavallo e all’equitazione”? Perché mai dieci giorni trascorsi tra equini e cadetti in divisa dovrebbero migliorare il loro senso della legalità e promuoverne il “successo formativo”?  E poi: in che modo un’istituzione che forma alla ferrea disciplina militare dovrebbe sviluppare nei giovani la “cultura della pace e della solidarietà” auspicata dalla loro scuola? Ovviamente a tali interrogativi non c’è risposta se non l’arrogante e autoreferenziale visione di una casta militare che cerca di nobilitare la sua funzione che è appunto “preparare alle armi”.

Si direbbe che il vero scopo di quest’imbarazzante farsa travestita da proposta formativa sia quello di continuare a tener viva l’attesa per l’attuazione del progetto di annessione della caserma ‘Bixio’ della Polizia di Stato alla scuola militare contigua, quel piano pomposamente chiamato “Grande Nunziatella”, cui lo stesso Mattino ha dedicato parecchi articoli ed al quale il Sindaco ed il suo Richelieu stanno puntando da diversi anni, anche a costo di spericolate operazioni amministrative, ripetutamente denunciate dal comitato Napoli Città di Pace ad un’opinione pubblica ignara e ad un Consiglio colpevolmente inerte. [ix]

Stemma araldico
della ‘Nunziatella’

Per la città di Napoli è prevista anche la realizzazione della Grande Nunziatella, che vedrà l’antica accademia militare, con sede a Palazzo Parisi a Monte di Dio, diventare una scuola europea, grazie all’acquisizione della vicina Caserma Bixio. Una riqualificazione dell’intero promontorio di Pizzofalcone, che unirebbe le due strutture, a oggi separate l’una dall’altra, con un intervento architettonico, ma anche paesaggistico”.[x]

Ma noi alla “riqualificazione” dell’area popolare che si fa istituendovi la scuola di guerra europea non crediamo per niente, proprio come al fatto che mandare degli studenti in un centro ippico militare ne forgi lo spirito di legalità. In entrambi i casi, in questa sconcertante partita a scacchi, all’impetuosità bellicosa del ‘cavallo’ continueremo opporre la ‘torre’ della resistenza civile e della nonviolenza.

© 2020 Ermete Ferraro


Note

[i] “Napoli, protocollo d’intesa tra Comune e Nunziatella per etica, sport e inclusione”, IL MATTINO, Napoli, 26.02.2020 > https://www.ilmattino.it/napoli/politica/nunziatella_napoli_etica_sport_inculsione-5076298.html. Vedi anche: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2020/02/26/news/firmato_protocollo_d_intesa_tra_comune_e_nunziatella_per_il_progetto_etica_sport_ed_inclusione_-249633835/

[ii] Ibidem

[iii] Ibidem (sottolineatura mia)

[iv] Fonte: http://www.istitutocasanova.edu.it/

[v] http://www.istitutocasanova.edu.it/presentazione/ (sottolineatura mia)

[vi] Ibidem

[vii]  Cfr.  https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/notizie/arte_e_cultura/2014/4-dicembre-2014/cercasi-logo-la-citta-metropolitanasi-scelga-cavallo-imbizzarrito-simbolo-xiii-secolo-230670461662.shtml?refresh_ce-cp

[viii] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Stemma_della_scuola_militare_Nunziatella

[ix] Sulla campagna di controinformazione lanciata da ‘Napoli Città di Pace’ (v. pagina facebook) cfr., fra gli altri: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/01/23/news/napoli_scuola_militare_nella_caserma_bixio_i_pacifisti_attaccano_de_magistris-217228391/?refresh_ce ; https://www.ildenaro.it/monte-echia-via-la-polizia-la-caserma-bixio-sara-accorpata-allo-storico-edificio-della-nunziatella/ ; https://www.cantolibre.it/scuola-di-guerra-a-napoli-un-enigma-da-chiarire/ ; https://www.popoffquotidiano.it/2019/05/11/napoli-no-alla-scuola-di-guerra-di-de-magistris/

[x] Cfr. https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/esercito_piano_caserme_verdi-4865242.html

“Napule è mille paure…”

C’è qualcosa di sconcertante, e al tempo stesso profondamente irritante, in ciò che sta succedendo a Napoli. Ė senza dubbio una città sempre più culturalmente vivace, straordinariamente attrattiva per tanti turisti italiani e stranieri, sorprendente in tutte le sue manifestazioni e piena anche d’iniziative originali. Eppure, allo stesso tempo, Napoli risulta assai fragile, perennemente afflitta da emergenze che durano da decenni, amministrata più con la fantasia che con la concretezza di scelte meditate e coerenti.  Ė una storica capitale che però stenta ancora a leggere la propria lunga storia ma anche a disegnare il profilo del proprio futuro, si tratti di pianificazione urbanistica oppure di attività produttive, di progettazione della mobilità urbana o di contrasto alla criminalità. Intrappolata com’è nella morsa di una crisi finanziaria che ne paralizza in larga parte risorse ordinarie ed investimenti, Napoli continua ad inseguire una modalità che la rende unica rispetto alle altre amministrazioni civiche: uno strano mix di populismo e dirigismo, di apertura comunitaria alla partecipazione e di chiusura burocratica nei palazzi dove, talvolta, si ha l’impressione che gli stessi componenti della giunta, più che dialogare tra loro, si parlino attraverso una sorta di ‘centralino’ unico.

Essere portatori di contraddizioni, diversità e particolarità, d’altronde, non è sempre un male. In tempi di pensiero unico e di omologazione socio-culturale, anzi, un po’ di originalità ed autonomia risulta un pregio. Eppure c’è qualcosa che a Napoli continua a mancare ed è la normalità, intesa sia come condotta amministrativa che segua una linea condivisa ed ordinaria, sia come stabilità e certezza di ciò che fa la vita meno precaria, sia anche nel senso di rispetto delle regole, scritte e non scritte, che rendono una comunità civile degna di questo nome. 

Manifestazione “DisarmiAmo Napoli” – Piazza Nazionale – Domenica 5 maggio 2019

L’episodio più grave che ha sconvolto i Napolitani, purtroppo già abituati a questi atti si follia urbana, è stata l’ennesima sparatoria in mezzo alla folla di una popolare piazza, nella quale è rimasta tragicamente coinvolta un’innocente bambina che passeggiava con sua nonna ed ora versa in gravi condizioni in ospedale pediatrico. La reazione della gente è stata più immediata ed energica del solito, segno che il peso di una camorra senza limiti e scrupoli è diventato ormai intollerabile. Ma, oltre alla ripresa dei regolamenti di conti fra criminali ed alle ‘stese’ delle bande di giovani delinquenti, ci sono stati anche altri episodi che hanno lasciato sconcertato chi vive a Napoli e deve già fare i conti con l’ordinaria follia del traffico, con trasporti pubblici carenti, coll’inquinamento dell’aria e col caos dell’abusivismo, a vari livelli e in vari ambiti.

Ad esempio, è partito in pompa magna il Maggio dei Monumenti, con file chilometriche di visitatori davanti a musei ed altri beni culturali ma, allo stesso tempo, si continuano a registrare disastri che coinvolgono monumenti unici come il complesso dell’Ospedale e Chiesa degli Incurabili, gravi danni a facciate di chiese e palazzi, chiusure perenni di gioielli architettonici, episodi di assurdo vandalismo nei confronti di opere d’arte.  E poi: si sbandierano slogan ecologisti come ‘Ossigeno Bene Comune’ eppure il tasso d’inquinamento da polveri sottili in città è sempre più grave, costringendo da anni l’amministrazione a ricorrere provvedimenti ‘urgenti’ e non si sa quanto ‘temporanei’. Ci si riempie la bocca di proclami che dichiarano Napoli ‘Città di Pace’ ma, al tempo stesso, non si sono mai visti tanti militari nelle piazze, per strada e perfino nelle scuole, per non parlare della brillante idea di ospitare addirittura una scuola militare europea in una storica struttura che avrebbe invece dovuto essere riconvertita a scopi civili e sociali.

Si esalta giustamente la natura accogliente e multiculturale della nostra città, ma poi si continua a dare risposte del tutto insufficienti alle pressanti esigenze di migliaia di persone – locali, apolidi o straniere – che non hanno il necessario per vivere e campano alla giornata, mendicando, rovistando tra i rifiuti o lavando vetri ai semafori. Si delegano sempre più i servizi socio-assistenziali al c.d. ‘privato sociale’, eppure manca un vero piano che coordini le pur necessarie azioni del ‘terzo settore’, garantendo finanziamenti certi e regolari ma anche controlli effettivi sull’ efficienza ed efficacia di tali interventi.

Napoli è una città eccezionale, è vero. Questo non significa però che debba costituire un’eccezione a tutte le regole, come ad esempio quella che vede tutte le metropoli delegare gran parte delle competenze amministrative ad un livello decentrato. Da noi il decentramento alle municipalità cittadine è sempre più simbolico ed asfittico e la gente dei quartieri continua a guardare a Palazzo S. Giacomo come una volta i popolani guardavano verso il balcone centrale della storica residenza dei Borbone.  Insomma, è necessaria una salutare spinta dal basso da parte di chi non accetta di vivere in una condizione di continua emergenza, ma al tempo stesso non intenda restare alla finestra a criticare chi decide a nome di tutti. Ci vuole una riscossa civile, una svolta autenticamente ecologica, un’alternativa nonviolenta non solo nei confronti chi semina morte e terrore con metodi criminali, ma anche di chi continua a fare affari sull’assenza di quella ‘normalità’ che consente ed alimenta abusi, imbrogli e corruzione.

I Napolitani dovrebbero quindi sentirsi sempre più cittadini attivi e responsabili e sempre meno  spettatori passivi di questa sconcertante alternanza di affermazioni positive e degrado quotidiano. Ciò significa che bisogna ricostituire la rete dell’associazionismo, della militanza politica, del volontariato promozionale e non di supplenza alle carenze istituzionali. Ciò significa difendere con i denti tutte le sedi e le occasioni di partecipazione diretta (dagli organi collegiali della scuola ai consigli municipali, dagli organismi di controllo alle realtà a difesa dei consumatori), smettendo di considerarli meri adempimenti formali e burocratici e restituendogli  il loro valore di esercizio della cittadinanza attiva e del capitiniano ‘potere dal basso’.

Soprattutto, bisogna smetterla di apprendere che cosa ci succede intorno di seconda mano, dalle chiacchiere da bar dagli onnipresenti smartphone e schermi televisivi, ricavandone generalmente sconcerto e crescita del senso d’impotenza. Proviamo piuttosto a vivere intensamente e direttamente le relazioni umane, comunitarie e civiche. C’è un mondo intorno a noi a cui troppo spesso non prestiamo più attenzione e verso il quale, invece, potremmo intervenire in prima persona, aiutando, denunciando, ribellandoci, facendoci promotori d’iniziative che aggreghino altri.

Ecco, proviamo ad essere più protagonisti e meno spettatori. Sono le dittature che hanno bisogno di un pubblico da arringare e convincere. La democrazia, quella vera, non è ‘star sopra un albero e neppure avere un’opinione’ per parafrasare la nota canzone del grande Giorgio Gaber – perché la libertà si manifesta davvero solo con la partecipazione. Non quella formale e parolaia che qualcuno ci ha benevolmente concesso finora, ma quella autentica – sicuramente più impegnativa – che nasce dalla riflessione, dall’impegno e dalla responsabilità.


© 2019 Ermete Ferraro

Ossigeno Bene Comune ?

Un ambientalismo…creativo

Non si può negare che l’Amministrazione del Comune di Napoli dimostri una notevole fantasia. Una volta si parlava della ‘finanza creativa’ inaugurata da certi governi, ma a quanto pare c’è anche un ‘ambientalismo creativo’. E’ così che accattivanti etichette – come quella dell’Ossigeno Bene Comune  – riescono ad occultare, con la loro evocativa fascinazione, l’oggettiva scarsità di decisioni concrete e di misure effettive adottate in materia di contrasto dei cambiamenti climatici. Basta leggere con attenzione la deliberazione n. 110 della Giunta Comunale di Napoli del 21 marzo 2019, per comprendere come premesse così promettenti ed ecologicamente ineccepibili, vadano progressivamente scemando in un dispositivo deliberativo piuttosto generico e fiacco.

La Giunta di Napoli approva la delibera O.B.C.

Come non essere d’accordo? Nessuna Amministrazione può occuparsi da sola delle complesse problematiche ambientali, senza poter contare sulla “partecipazione e sul coinvolgimento dei cittadini nelle scelte strategiche”, dei quali – come si afferma poco dopo – va “stimolato il senso di responsabilità [con] azioni per l’educazione e la sensibilizzazione, con attenzione all’integrazione tra settori e soggetti diversi”. Peccato, però, che a questo fondamentale aspetto l’Amministrazione de Magistris abbia dedicato uno spazio assai ridotto, se si tiene conto: del ruolo assolutamente ininfluente svolto dal decentramento municipale; dell’incapacità di relazionarsi in modo non solo episodio e simbolico con le associazioni ambientaliste; delle Consulte in materia ridotte ad inutili fantasmi o a pletorici ‘tavoli’ di consultazione; ma soprattutto della scarsa trasparenza dimostrata proprio su alcuni fondamentali punti della pianificazione strategica del Comune in materia ambientale ed energetica.

Priorità enunciate alla prova dei fatti

Efficienza e sostenibilità urbana.

Sono tutte scelte sottoscrivibili, chi lo nega. Il vero problema è che:

  1. dell’attuazione del P.A.E.S.(Piano di Azione dell’Energia Sostenibile) – adottato dal Comune nel 2012 – sia il Consiglio Comunale (cui l’A.C. avrebbe dovuto relazionare ogni anno), sia i cittadini di Napoli continuano ad essere molto poco informati. Sul sito istituzionale (http://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/18558 ) compare infatti solo il documento originale, senza alcun aggiornamento sullo ‘stato dell’arte’, per conoscere il quale bisogna andarsi a cercare l’unico monitoraggio svolto (nel 2016) sul sito web in inglese del Covenant of Mayors (https://www.eumayors.eu/about/covenant-community/signatories/progress.html?scity_id=2410 ). Si scopre così che, pur avendo speso oltre la metà del budget previsto,  un terzo delle azioni programmate in materia di produzione elettrica e d’interventi sulle abitazioni non è stato neanche iniziato; è stata realizzata solo la metà di quelle relative all’illuminazione pubblica; si è attuata solo la terza parte delle azioni concernenti i trasporti, mentre le attività riguardanti edifici residenziali ed impianti del settore terziario sono genericamente classificate come ongoing (in corso).
  2. L’auspicato Osservatorio sui cambiamenti climatici nelle città del Mediterraneo è soltanto una suggestiva idea, ma non ha nessuna concretezza pratica, considerato che – non si registra alcun atto politico né amministrativo  in tal senso dell’A.C. napoletana e che l’unico organismo di tale natura (C.M.C.C. – Centro Euro-Mediterraneo sui Cambiamenti Climatici) è un ente nazionale di ricerca non-profit con cui essa non interagisce.
  3. Anche quella di sostenere gli ecosistemi che compongono la città e la loro messa in rete si rivela solo una lodevole intenzione, visto che – pur consultando l’area tematica del sito comunale dedicata all’ambiente (http://www.comune.napoli.it/ambiente-mare-tutela-animali )   –  non risultano iniziative effettive in tal senso,  sebbene da parte di alcune associazioni ambientaliste (fra cui WWF, VAS e RCCSB) non siano mancate sollecitazioni alla istituzione di osservatori sulla biodiversità urbana e ad una vera pianificazione del verde.
  4. “Monitorare e controllare la qualità dell’aria” è un altro dei buoni propositi della Giunta de Magistris, ma è stato attuato molto parzialmente se si considera che gli unici sette impianti di monitoraggio (gestiti dall’ARPAC Campania: http://www.arpacampania.it/aria )  registrano i tassi d’inquinamento atmosferico solo per alcuni parametri ed in cinque aree urbane (Ponticelli, Ferrovia, Centro, Arenella, Capodimonte e Posillipo) sull’insieme delle dieci municipalità;
  5. “Mitigare i cambiamenti climatici” è ovviamente un altro obiettivo da perseguire, ma lo stato di attuazione del PAES di Napoli non sembra lasciare spazio a grandi speranze, anche se (in base ad una recente classifica sulla vivibilità urbana stilata da Il Sole 24 Ore), su 107 capoluoghi italiani Napoli si piazzerebbe al 43° posto rispetto ai dati meteorologici, in special modo la temperatura media.
  6. Il programma ‘Itinerambiente’: Napoli città dell’hiking urbano” evoca un impegnativo progetto, eppure non si trova alcuna traccia nei provvedimenti comunali  di tale suggestivo quanto misterioso programma di educazione ambientale.
  7. Implementare il ciclo urbano dei rifiuti mediante buone pratiche è l’ultima lodevole priorità cui si fa cenno; peccato però che la percentuale di raccolta differenziata dei R.S.U. negli ultimi 12 mesi tocchi mediamente solo il 37% (fonte: ASIA Napoli https://www.asianapoli.it/raccolta-differenziata/risultati-raccolta-differenziata.html ),  ragion per cui quasi due terzi dei rifiuti di Napoli finiscono negli inceneritori (in Campania ed in altre regioni), oppure prendono strade più traverse e vengono smaltiti illegalmente altrove (il 19 marzo nel Vicentino la GdF ha sequestrato 900 tonnellate di rifiuti misti provenienti dal Napoletano e dal Casertano – fonte: Il Mattino > https://www.ilmattino.it/primopiano/cronaca/choc_in_veneto_900_tonnellate_di_rifiuti_da_napoli_e_caserta-4371773.html  ).

Misure strategiche adottate. O no?

“Our future…in your hands”

Certo, nella sua delibera la Giunta di Napoli elenca anche altre ‘misure’ che sarebbero state da essa adottate per conseguire gli obiettivi strategici che ne costituiscono l’oggetto, ad es.: limitazione del traffico veicolare e del riscaldamento degli edifici; contenimento delle emissioni inquinanti delle navi ormeggiate nel Porto; riqualificazione di scale e percorsi della ‘città verticale’. Purtroppo ai cittadini di Napoli è stata offerta un’informazione del tutto carente su queste dichiarate ‘buone pratiche’ e, ancora una volta, poco si è fatto per monitorne l’applicazione e per valutarne concretamente gli effetti positivi.

L’Amministrazione Comunale vanta inoltre la propria partecipazione a programmi europei di contrasto ai cambiamenti climatici, come Horizon 2020 e Clarity, ma sarebbe interessante verificare quanto di tali ‘azioni strategiche’ sappiano gli stessi consiglieri comunali, per non parlare ovviamente dei semplici cittadini di un sì ‘virtuoso’ Comune…

Il primo, in effetti,  è solo un programma di ricerca ed innovazione, ma se si consulta la pagina ‘casi di successo’ del sito web relativo (http://www.horizon2020news.it/argomenti/casi-di-successo ) non si trova nessuna notizia riguardante la nostra città. Viceversa:

Molto bene ma, a parte il solito vizio di utilizzare coloriti titoli in lingua inglese per illustrare progetti di cui non si spiega molto – anche una ricerca sul sito dedicato (  https://cordis.europa.eu/search/ ) non consente di avere un’idea più chiara di quanto il Comune di Napoli si sia impegnato a fare. Ciò che sembra di capire è che si tratterebbe di sviluppare una “piattaforma informatica” allo scopo di raccogliere dati sui cambiamenti climatici e ricavarne i possibili “scenari di rischio”.

Più avanti si parla anche del P.U.M.S. – misterioso acronimo che rinvia al Piano comunale per la Mobilità Sostenibile, approvato dal Consiglio Comunale di Napoli, il quale prevede l’adozione di misure finalizzate a ridurre i tassi d’inquinamento atmosferico ed acustico e migliorare la mobilità collettiva dei cittadini. La strada seguita per raggiungere tali obiettivi sarebbe:

Le ‘smart cities’

Anche in questo caso si tratta di ottime intenzioni, cui però non sembrano purtroppo corrispondere azioni altrettanto brillanti ed efficaci.  Basti pensare alle problematiche relative al rinviato ripristino della linea tramviaria lungo l’area marittimo-portuale;  alla travagliata e controversa vicenda del completamento di parte della linea 6 della metropolitana; alla disastrosa crisi amministrativa e gestionale dell’A.N.M. ed alla sua ripercussione sui trasporti pubblici di superficie e sotterranei (funicolari e metro), per non parlare poi del defunto e non ancora rinato servizio (ancora definito ‘sperimentale’) di bike sharing e del non attuato piano di rinnovo del parco veicoli comunale, utilizzando quelli ‘a basso impatto ambientale’ e, in alcuni casi, ‘elettrici’.

Una città verde…o al verde?

Parco della Rimembranza o …rimembranza del Parco?

Un’ulteriore criticità riguarda il verde pubblico e la gestione di parchi e giardini, per i quali l’A.C. afferma che si starebbe impegnando particolarmente, anche se la realtà sotto gli occhi di tutti i Napoletani appare decisamente meno esaltante. Il secondo ‘polmone verde’ cittadino – il Parco Urbano dei Camaldoli (1 milione di metri quadrati di macchia mediterranea – resta parzialmente chiuso da oltre un anno, ma non è migliore la sorte di altri sei parchi cittadini. Solo due di essi – la Villa Comunale ed i S. Gaetano Errico a Secondigliano – sono stati finalmente riaperti, seppur in condizioni non certo ottimali. Solo nella seconda metà di gennaio era stato reso fruibile il Parco della Rimembranza, devastato da cadute e danni meteorologici, nei cui pressi il Viale Virgiliano e strade limitrofe sono però praticamente ridotti ad uno squallido deserto, dopo la strage di oltre un centinaio di alberi abbattuti, ufficialmente in quanto malati o deteriorati.  E’ stato più volte rilevato che al Comune mancano dipendenti, attrezzature idonee e che gran parte delle operazioni di potatura (peraltro con esiti spesso disastrosi…) siano state da tempo ‘esternalizzate’.

Eppure sulla delibera O.B.C. si trovano le seguenti, ambiziose, affermazioni:

Abbattimenti di alberi nei giardini.

Non abbiamo motivo di non credere all’Amministrazione Comunale di Napoli, ma – considerato che finora essa non disponeva neppure di un apparecchio ‘deceppatore’ e che alcuni degli alberi abbattuti (ad esempio i pini del Virgiliano) presentano enormi apparati radicali che si sono infiltrati fin sotto la carreggiata, è legittimo nutrire qualche dubbio sull’agevole attuazione di tale programma di ripiantumazione. La quasi assoluta mancanza di manutenzione, fitoterapia e regolare gestione del verde cittadino – che ha decimato in questi anni alberate stradali ed essenze arboree presenti nei parchi e giardini – non può essere supplita sic et simpliciter dalla pur auspicata installazione di nuove piante, solitamente ancora giovani e fragili.  La diffusa pratica della capitozzatura, inoltre,  indebolisce gli alberi ancora in buona salute, sfregiandone l’aspetto ed esponendoli a nuovi rischi. Stando ai dati forniti, infine, la metà esatta dei 5.600 nuovi arrivati sono destinati a sostituire quelli “crollati e/o abbattuti”, per cui il saldo resta solo parzialmente soddisfacente, soprattutto se non si provvede ad aumentare l’organico degli addetti ai giardini ed a fornire la terza città d’Italia di strumenti essenziali per la loro manutenzione ordinaria.

Efficienza energetica e inefficienza amministrativa

L’ultimo capitolo della delibera O.B.C. sul quale penso sia il caso di soffermarsi è quello dedicato al risparmio ed efficientamento energetico e sviluppo delle fonti rinnovabili. Il Comune di Napoli, infatti, ha programmato un piano di diagnosi energetiche del proprio patrimonio edilizio, misure per il risparmio dei consumi e di miglioramento dell’efficienza degli stabili in questione.

Tutto bene allora? Non proprio, dal momento che l’unico aspetto del P.A.E.S. comunale sul quale finora ci siamo soffermati come Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità ha già fatto emergere gravissime carenze amministrative, inefficienza gestionale e spreco di risorse pubbliche, senza peraltro conseguire gli obiettivi ambientali che ci si era prefissati con quelle spese. Sulla sconcertante vicenda delle c.d. “scuole solarizzate”, infatti, la R.C.C.S.B. – di fronte all’assenza di risposte ed alle opacità gestionali emerse – ha denunciato pubblicamente (nonché alla magistratura contabile) che:

Un articolo sulla denuncia della R.C.C.S.B.

“A distanza di quasi dieci anni, gli impianti fotovoltaici ex-ARIN realizzati sulle scuole napoletane sono soltanto 12 (laddove il progetto comunale del 2008 ne prevedeva 42) e solo 6 risultano allacciati alla rete elettrica. A questi si aggiungono gli impianti realizzati in altre 13 istituti scolastici ammessi a finanziamento nell’ambito della procedura PON “Ambienti per l’Apprendimento” – Qualità ambienti scolastici Fondo Europeo di Sviluppo Regionale – Programmazione 2007-2013, di cui solo 3 funzionanti . Ciò significa che, a Napoli, ben due terzi dell’energia finora prodotta dalle ‘scuole solarizzate’ sono andati irrimediabilmente ed irresponsabilmente sprecati, se ci si basa sui dati raccolti dalla Direzione Centrale Ambiente del Comune e nel corso delle riunioni della Consulta per le Politiche Energetiche”

Le osservazioni che si potrebbero ancora fare sono molte, ma non è il caso d’infierire ulteriormente. Mi sembra di aver già dimostrato con sufficiente chiarezza che le dichiarazioni di circostanza e le promesse altisonanti ci convincono fino ad un certo punto.

TGR Campania su scuole solarizzate

I disastrosi cambiamenti climatici – che hanno mobilitato centinaia di migliaia di giovani e risvegliato le forze ambientaliste – non possono essere contrastati dalle Amministrazioni pubbliche solo con corpose ed ambiziose delibere d’intenti, bensì con azioni chiare, trasparenti ed efficaci.

Ossigeno Bene Comune resta più che altro un accattivante slogan. Adesso tocca al Comune di Napoli dimostrare che non si tratta solo di…aria fritta.

© 2019 Ermete Ferraro