
Sotto i ponti sono passati ormai decenni di subdolo revisionismo storico, di smarrimento progressivo dell’identità antifascista e di cancellazione della memoria stessa della resistenza popolare alla barbarie nazista. Basta guardarsi intorno e gettare un’occhiata ai giornali per verificare, d’altra parte, che Napoli è ancora caratterizzata dal degrado – non solo urbanistico-ambientale ma anche sociale e culturale – e dallo spegnersi della coscienza civile e comunitaria, a causa di troppi anni di malgoverno bipartisan e conseguente rigurgiti di qualunquismo e populismo.
Se poi s’inquadra la situazione napoletana nel contesto di un’irrisolta – ora addirittura negata – “questione meridionale” e di un’allarmante deriva neoconservatrice, c’è davvero poco da stare allegri, soprattutto se non riesce finora a profilarsi nessuna credibile alternativa. Ma al male non c’è mai un limite preciso, e non è detto che al termine di una discesa ci sia il piano e non un’altra penosa discesa…
Per restare alla cronaca politica di Napoli, ad esempio, di nuovo c’è che a Materdei – una delle basi della resistenza popolare delle Quattro Giornate e quartiere in cui dal dopoguerra ad oggi opera e “resiste” anche la “Casa dello Scugnizzo” di Mario Borrelli – ha dovuto recentemente subire l’onta dell’occupazione di un vecchio convento da parte dell’organizzazione neofascista “CasaPound Italia”, che da quella fatiscente roccaforte ha ritenuto di lanciare vetuste parole d’ordine e messaggi demagogici, facendo leva però su questioni tragicamente gravi ed irrisolte come quella della casa.
Ecco allora che in questi stessi giorni – in occasione dell’anniversario delle Q.G. di Napoli – sono scesi in piazza migliaia di cittadini, associazioni e movimenti per protestare contro questa presenza inquietante e provocatoria in un quartiere tradizionalmente antifascista. Sono sfilati cortei, sono a caso utilizza il linguaggio dei movimenti antagonisti (centro occupato, autogestione dei servizi etc.) per sventolare su un quartiere disastrato e dimenticato vecchie bandiere e finte intransigenze.
Il guaio è che se c’è chi vorrebbe fare “ ‘o gàllo ‘ncopp’’a munnézza “ è perché – dopo decenni di chiacchiere, promesse e rutilanti progetti di risanamento e recupero ambientale e sociale – di “munnezza” (in senso proprio e in quello traslato…) nei quartieri popolari ce n’è ancora troppa.
Certo, che a troneggiare sui rifiuti sia ora un gallo nero è senza dubbio cosa grave ed evidente segno che “mala tempora currunt”. Credo però che non possiamo fare a meno d’interrogarci su che fine hanno fatto, nel frattempo, sia quelli che blateravano del Nuovo Rinascimento di Napoli, sia quegli altri che andavano sbandierando alternative più o meno radicali.
Il diritto alla casa ed al lavoro non sono rivendicazioni rivoluzionarie, ma semplici presupposti del vivere civile ed ovvi antidoti ad una endemica mentalità clientelare e malavitosa. Quando Mario Borrelli, negli anni ’50 e ’60, portò avanti testardamente – e costantemente isolato – le sue lotte con la gente e per la gente, perché si assicurassero un’educazione decente ai ragazzi di strada e case vivibili ai baraccati – non aveva in mente nessuna rivoluzione epocale, ma un elementare principio di sviluppo civile della comunità e di rispetto dei basilari diritti umani.
Eppure, più di quarant’anni dopo, c’è ancora qualcuno che pensa di poter cavalcare la tigre di disagio incancrenito della popolazione dei quartieri popolari, costantemente tradita dalla peggiore politica e cinicamente strumentalizzata, per affermare con toni populisti improbabili avanguardie.
Certo, fanno bene i cittadini e le realtà collettive di Materdei a scandalizzarsi per una presenza neofascista strumentale e provocatoria, ma è meglio mettersi in testa che il tempo degli slogans è passato e che alle farneticazioni neonaziste non si può più rispondere con vecchie e consunte parole d’ordine di segno opposto, pretendendo, ancora una volta, di parlare in nome della “gente”.
La verità è che “la gente” non sa che diavolo farsene delle chiacchiere, se poi i fatti le smentiscono puntualmente, tradendo la sua fiducia e confermando tragicamente l’atavico qualunquismo del “fanno schifo tutti quanti” !
E’ certamente legittimo indignarsi se – a 65 anni dal crollo del fascismo – c’è ancora chi crede di poter lanciare da un convento occupato proclami in stile “repubblica sociale”, rimasticando un anticapitalismo autarchico mescolato con un mai sopito razzismo e nazionalismo di fondo, adoperando toni tra la dissacrazione futurista e la vecchia retorica da figli della lupa. Ma lasciatemi dire anche che il vero problema non è – se ancora qualcuno non se n’è accorto – il manipolo di audaci avanguardisti che realizzano “occupazioni non conformi” di stabili che il Comune si è scordato da decenni e cui nessuno si è degnato finora di trovare destinazioni “sociali”.
Il problema reale credo che sia, invece, quello di una ritornante ed incalzante barbarie – come giustamente la chiama lo storico della nonviolenza Giuliano Pontara. Essa è figlia di quella nazifascista e contro di essa l’unica cosa da fare (più che urlare o scrivere sui manifesti…) è organizzare una resistenza vera, popolare civile e nonviolenta, proprio come quella delle Quattro Giornate di cui festeggiamo l’ennesimo, ma ormai vuotamente retorico, anniversario.
La “nuova barbarie nazista”, cui il citato ricercatore per la pace contrappone la necessaria riscossa dell’antibarbarie – è sinteticamente riassumibile in 8 punti:
- la lotta per la supremazia mondiale
- il diritto assoluto del più forte
- lo svincolamento della politica da qualsiasi limite morale
- l’elitismo
- il disprezzo per i deboli
- la glorificazione della violenza
- il culto dell’obbedienza assoluta
- il dogmatismo fanatico.
Ebbene, basta rileggere questo elenco con un po’ di attenzione per accorgersi che di specificamente e storicamente classificabile come “nazista” resta ben poco (l’elitismo, l’obbedienza cieca, il dogmatismo…), mentre è evidente che il “pensiero unico” impostoci dal modello americano, nella versione globalizzata dal “Grande Fratello” mediatico, si ritrova tutto negli altri cinque punti… Insomma, dopo oltre mezzo secolo dalla nostra “liberazione” dal nazifascismo, quello che i cosiddetti “Alleati” ci hanno lasciato in eredità sono centinaia di basi militari ed i capisaldi di una civiltà contrabbandata come “democratica”, ma frutto di un’ideologia improntata all’imperialismo mondiale, al trionfo del forte “vincente” sul debole “perdente” ed all’esaltazione della guerra e della violenza come indispensabili strumenti per combattere e schiacciare il nemico di turno della c.d. “Libertà”, cui altri – sotto l’egida statunitense e NATO – vanno intitolando “case” e “partiti”…
E la Sinistra ? In Italia ed in Europa, più che interrogarsi leninianamente sul “Che fare?”, se è capace di sana autocritica, può ormai solo chiedersi: “Che cosa avremmo dovuto fare?”.
E il variopinto mondo dell’associazionismo, delle organizzazioni di volontariato, delle mille sigle che hanno banalizzato e “onlusizzato” il lavoro sociale di base a forza di progetti e di convenzioni e gare d’appalto, che diavolo di fine hanno fatto ? Lo stesso associazionismo cattolico-operaio, una volta saldamente radicato nei quartieri popolari napoletani, dove sarà mai finito?
In aree come quella di Materdei si tocca con mano il trasformismo dei vecchi notabili democristiani e social-opportunisti, riciclatisi in una mediocre classe dirigente locale – destrorsa e meridional-leghista – sulla quale si vanno non a caso a sovrapporre i neo-avanguardisti, che sono andati a scomodare il modernismo del povero Ezra Pound per darsi una verniciata alternativa e romantica.
Uno degli aforismi attribuiti a Pound, sul quale mi sento di concordare, è : “Se un uomo non è disposto a lottare per le sue idee, o le sue idee non valgono nulla, o non vale nulla lui." E’ per questo che,per contrastare la neo-barbarie in cui viviamo, possiamo solo contrapporre la nostra ferma determinazione a lottare per le idee (di giustizia sociale, di etica della politica, di dissacrazione della violenza e di disobbedienza civile all’ingiustizia e alla guerra) nelle quali crediamo davvero.