Etimostorie #1: GUERRA

NON È BELLO CIO’ CHE È BELLICO…

Relief at the entrance of the former Military Casino of Madrid (Spain), built in 1916. Di Luis García, CC BY-SA 3.0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=6109805

Dopo il corso di Lingua e cultura napolitana nel primo quadrimestre 2021-22, quello nuovo che sto proponendo presso la sede di Napoli dell’UNITRE (Università delle Tre Età) riguarda l’introduzione alla ricerca etimologica.

Venerdì 25 febbraio eravamo al secondo incontro di questo percorso ma per me, da decenni ricerc-educ-attore per pace, sarebbe stato impossibile limitarmi a fare lezione, come se non stesse accadendo nulla. Soprattutto se si considera la cultura come la porta per giungere quella consapevolezza che, a sua volta, dovrebbe indurci all’impegno diretto, per cambiare qui e ora ciò che non va nel nostro travagliato mondo.

Ecco perché, prima di riepilogare quanto avevo spiegato inizialmente a proposito della ricerca etimologica e delle sue basi glottologiche, non ho potuto fare a meno di esemplificare quanto lo studio dell’origine ed evoluzione semantica delle parole possa aiutarci a capire meglio la realtà quotidiana e anche a demistificarne le narrazioni correnti.

Perciò, di fronte ad una clamorosa e drammatica invasione con aerei e carrarmati d’un paese libero, col terribile corredo di morte distruzione e terrore derivante da ogni folle pretesa di risoluzione armata dei conflitti, ho proposto ai/alle partecipanti un istruttivo viaggio dentro una delle parole-concetti peggiori della storia, ma che purtroppo l’hanno caratterizzata da millenni: GUERRA. Ovviamente si è trattato allora solo di accenni, ma proverò adesso ad allargare il campo per un’esplorazione più ampia e comparativa.

I Greci la chiamavano Πόλεμος (pòlemos) personificandola con l’omonimo demone della guerra, padre della dea Alalà che accompagnava il dio Ares. E alalà era appunto il grido di battaglia ellenico, dopo migliaia di anni attualizzato dal fascismo su suggerimento di Gabriele D’Annunzio. Secondo Etimo.it, la parola deriverebbe dal verbo gr. pallo (lat. pello), indicante l’atto di lanciarsi contro qualcuno, da cui anche il sostantivo palé (lotta), a sua volta padre di termini come palestra e suoi derivati.

Per gli antichi Romani, che di guerra s’intendevano parecchio, il sostantivo comunemente usato era bellum, derivante (stessa fonte) da una modificazione della parola originaria latina duellum (lotta fra due persone o parti), seguendo il percorso dvellum > dbellum > bellum. Nel periodo successivo alle invasioni, che portarono alla fine dell’impero romano, questo termine fu rapidamente sostituito nelle lingue romanze dall’equivalente germanico.

Come spiega il cit. Etimo.it , le parole neolatine ed anglosassoni con questo significato (guerra, guerre, war) ci riportano infatti al vocabolo antico tedesco werra, il cui senso originario era: contesa, discordia, zuffa, baruffa. Andando ancora più indietro come suggerisce il sito Etymonline.com , scopriamo che quella parola proto-germanica si riallacciava alla radice indoeuropea *werz, il cui significato era: confusione, mescolanza, mischia. Circostanza che fa venire in mente il vecchio detto napolitano: “L’ammuìna è bbona p’ ’a guerra”. Una sorprendente sintesi glottologica popolare, visto cha il verbo spagnolo amohinàr – da cui deriva il termine partenopeo – significa dare fastidio, seccare, ma anche arrabbiarsi, adirarsi.

È invece abbastanza curioso che proprio i tedeschi – eredi diretti degli antichi e bellicosi popoli germanici – abbiano lasciato ad altri quell’antica radice verbale, spostandosi sulla parola krieg, secondo Duden.de derivata da Kriec del medio alto tedesco, col significato di combattimento, ma originariamente anche di sforzo. Un altro dizionario etimologico tedesco (v. dwds.de) allarga il significato a concetti come perseveranza, ostinazione, dogmatismo, resistenza, discordia ecc.

DALLA CLAVA ALLA BOMBA ATOMICA

Nel mondo semitico, il concetto di guerra è rappresentato dal vocabolo ebraico מִלחָמָה milhamâ, terribile parola presente innumerevoli volte anche nell’Antico Testamento e che, come apprendiamo dal sito biblico Blue Letter Bible ,  derivava dalla radice verbale indicante la lotta, il combattimento. In lingua araba, invece, il termine che ci parla della guerra è حرب harb. In questo caso, però, si tratta di un vocabolo più generico, che in quel contesto culturale e religioso indicava il territorio degli infedeli (dār arb) contrapposto alla terra dei credenti nell’Islàm (dār al-islām). Non a caso l’aggettivo sostantivato arbī – come spiega l’Enciclopedia Italiana Treccani – è stato tradotto in latino col vocabolo hostis, il cui significato – prima ancora di ‘nemico’ – era appunto quello di estraneo, straniero.

Tornando infine al drammaticamente attuale scenario di guerra guerreggiata, apprendiamo che alcune parole slave che ad essa si riferiscono (russo воина: voinà pron: vainà – ucraino війни: viyny – polacco: wòyna – ceco: vàlka) – secondo il sito russo Lexicography online – hanno come comune origine un’antica forma slava che riproduceva il grido di caccia, l’ululato ferino del combattente. Altri la collegano invece ad un’altra antica radice *vino, che ci parla invece di colpe, peccati ed errori, ma anche di chi si vendica (vedi lat. vindex).

In ogni caso, il grido selvaggio di chi concentra i propri sforzi fisici e mentali sulla lotta al ‘nemico’ (l’altro, il diverso, lo straniero) ci riporta purtroppo ad un mondo di violenza primitiva, dove la vita era lotta e le proprie ragioni si affermavano solo con pietre e clave. L’assurda barbarie della guerra – ripudiata dalla civiltà ma purtroppo fin troppo presente anche nel terzo millennio – è stata non a caso sintetizzata dalla famosa frase di Albert Einsten: “Non so con quali armi si combatterà la terza guerra mondiale, ma la quarta sì: con bastoni e pietre”. Ecco perché l’unica guerra possibile è e sarà quella contro la guerra, l’imperialismo mai estinto ed il sistema militare-industriale su cui si regge.

“Born to Kill”: NATO per uccidere

Noi napolitani, eredi di secoli di forzoso adattamento alle dominazioni straniere che ci hanno assuefatti al controllo militare, siamo arrivati a sentirci quasi ospiti a casa nostra.  Percorrendo in auto la Domiziana, soprattutto con una deviazione per raggiungere località balneari come Varcaturo, a tantissime persone sarà capitato di scorgere distrattamente un enorme complesso, moderno e grigio, proprio accanto al Lago Patria, a breve distanza dall’antica Liternum, dove si 2200 anni fa si ritirò dopo le guerre puniche Scipione l’Africano.  Ma forse anche per molti giuglianesi quella grigia fortezza, sinistra città nella città, è un elemento in più nella ex fertile Campania Felix, da decenni infelice sede delle ecomafie, intossicata da criminali scarichi di veleni e appestata da roghi tossici.

E allora benvenuti a Nàtoli, provincia di ‘Terra dei Fuochi’, una cittadella militare dove i sedicenti ‘alleati’ multinazionali – ma targati stelle e strisce – da un decennio si esercitano a controllare lo scacchiere strategico dell’Europa meridionale, del nord Africa e dell’est europeo. Una delle aree più calde, sulle quale il JFCN (Joint Forces Command Naples) ha esteso dal 2012 la sua giurisdizione – dopo il trasferimento dall’AFSOUTH di Bagnoli – come quartier-generale operativo della NATO, da cui dipendono due delle sei Force Integration Units in Romania ed il neonato Aegis Ashore Missile Defence Site Deveselu, parte del suo sistema di difesa missilistica.

Benvenuti in quella che per molti è solo un’area militare off limits, chiamata impropriamente ‘base’ ma dalla quale non partono cacciabombardieri né colonne di carri-armati. E in effetti – a parte un’enorme e minacciosa batteria d’installazioni per telecomunicazioni – nulla lascerebbe sospettare che in quell’ingombrante complesso color ferro a meno di 20 km da Napoli (edifici a 7 piani di cui 2 interrati, 330.000 mq di superficie, 280.000 metri cubi di edificazione ed una potenziale ricettività di 3.000 presenze) si sono già decise le sorti delle recenti, disastrose, guerre scatenate dall’imperialismo USA e, purtroppo, si continueranno a decidere e controllare strategicamente quelle che si stanno preparando sul fronte est e quello mediterraneo.

Benvenuti in quella che in teoria sarebbe casa nostra, la nostra terra, ma che dal dopoguerra è occupata militarmente dai cosiddetti ‘liberatori’, cui sovrintende un mega-ammiraglio statunitense ‘a due berretti’, capo sia delle forze navali USA (US Naval Force Europe-Africa di Capodichino) sia del JFC di Giugliano, giusto per far capire chi è che comanda…  Nella pagina di ‘accoglienza’ del sito www.jfc.nato.int è scritto che la “nuova struttura di comando della NATO è più snella, più flessibile, più efficiente e meglio in grado di condurre l’intera gamma delle missioni dell’Alleanza”. Si precisa poi che è parte della: “Forza di risposta della NATO (NRF) costituita da una forza flessibile e tecnologicamente avanzata che include elementi di terra, mare e aria pronti a spostarsi rapidamente ovunque sia necessario, come deciso dal Consiglio Nord Atlantico». Il linguaggio è volutamente neutro, come se non si trattasse di un comando militare strategico ma di una qualsiasi azienda. Un messaggio pubblicitario, che sorvola ovviamente sul fatto che efficienza tecnologica e flessibilità operativa servono a “preparare, pianificare e condurre” azioni di guerra (eufemisticamente: ‘missioni’), causa di migliaia di morti e feriti e di gravissime devastazioni ambientali. Quella guerra che a parole la nostra Costituzione “ripudia”, ma alla quale ci prepariamo disciplinatamente, sotto il comando d’un ammiraglio che, a sua volta, è al comando del Presidente degli Stati Uniti d’America.

Benvenuti in un territorio straniero sul quale non abbiamo giurisdizione né controllo, ma dove comunque risiedono dal 2013 migliaia di militari e civili di varia nazionalità, aggravando l’impatto antropico su un’area comunale densamente popolata (oltre 1.314 abitanti per hm2), assai inquinata e con vari problemi di vivibilità, un luogo per di più sottratto ad ogni verifica e monitoraggio ambientale e sanitario. Un grosso compound ipertecnologico, dove assurdamente gli scolari di Giugliano vengono portati in visita guidata, ma che ha reso problematica la sicurezza di quel territorio (di fatto un bersaglio strategico…). Un complesso di cemento…armato costato pure un bel po’ di denaro, tenuto conto che sommando ai 165 milioni di euro stanziati dalla NATO (pagati peraltro in quota parte anche dall’Italia) i 21 milioni di fondi FAS per le “infrastrutture” viarie e i 5 milioni erogati a suo tempo dall’Amministrazione Provinciale, si arriva alla stratosferica somma di oltre 190 milioni di euro investiti in una centrale della guerra.

Purtroppo Giugliano, pur ricevendo in cambio pochi veri benefici, sembra da tempo rassegnata a recitare il ruolo subalterno di military town, dove spadroneggiano anche i nostri soldati, col pretesto dell’intervento per l’operazione ‘Terra dei Fuochi’. Di recente, fra l’altro, essi stanno cercando di accreditarsi paradossalmente come protettori dell’ambiente ed educatori nelle scuole, come dimostra il recente ed incredibile protocollo d’intesa tra Comune e Comando Sud dell’Esercito per promuovere… la raccolta differenziata nelle scuole. Forse la popolazione locale non ha ancora percepito la gravità di una situazione d’una città con quasi 124.000 abitanti (e con un numero molto superiore di residenti in periodo estivo) che si trova forzosamente ad ospitare uno dei principali comandi strategici della NATO.

È quindi compito del movimento antimilitarista e pacifista, contro ogni guerra e contro la sudditanza all’Alleanza Atlantica, rafforzare le azioni di sensibilizzazione, controinformazione e mobilitazione civile e popolare nei confronti dei cittadini giuglianesi, soprattutto in un drammatico momento in cui – neanche usciti da un pandemia globale e sotto l’imminente minaccia di una catastrofe ecologica – i venti di guerra soffiano più impetuosi del solito ed il leone della NATO ruggisce minacciosamente.

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(*) Ermete Ferraro, vicepresidente del M.I.R. e membro dell’Esecutivo di V.A.S., è un ecopacifista nonviolento. L’articolo è stato pubblicato dal quotidiano online “CONTROPIANO” (https://contropiano.org/news/politica-news/2022/02/18/born-to-kill-n-a-t-o-per-uccidere-0146710 )

Camaleonti con le stellette

Le forze armate tra conformismo atlantico e trasformismo ambientalista

ERMETE FERRARO

Sintesi: Nella prima parte dell’articolo evidenzio il difficile e contradditorio rapporto del sistema militare con un territorio che dovrebbe ‘difendere’ ma che contribuisce largamente ad inquinare e devastare, riprendendo a tal fine le mie analisi nell’ultimo decennio sulla militarizzazione della regione Campania e sul ‘mimetismo’ ambientalista delle forze armate. Nella seconda parte ripercorro gli ultimi vent’anni di contrapposizione tra una crescente consapevolezza del ruolo nocivo dei militari per gli equilibri ecologici ed una diffusa narrazione sulla loro pretesa funzione di ‘difesa’ dell’ambiente, accreditata mediante un superficiale ma progressivo greenwashing delle loro attività istituzionali. La terza parte dell’articolo, infine, è dedicata specificamente ad un approccio ecopacifista, per il quale è molto importante l’analisi ecolinguistica del ‘discorso’ ambientalista dei militari, per demistificarne il trasformismo e denunciarne la strumentalità.
Parole-chiave: ecopacifismo, ecolinguistica, analisi critica del discorso, comunicazione

Il saggio può essere letto e scaricato dal sito ACADEMIA.EDU al seguente indirizzo: https://www.academia.edu/71001713/CAMALEONTI_CON_LE_STELLETTE_Le_forze_armate_tra_conformismo_atlantico_e_trasformismo_ambientalista