Giugliano, provincia di NATOLI…

Giugliano in Campania – dopo Napoli il comune più popoloso dell’omonima Città Metropolitana – è l’erede dell’osca e poi romana Liternum, che abbracciava un vasto territorio dell’allora fertile Campania Felix, affacciato sul litorale domizio e caratterizzato dallo storico Lago Patria. Ma già dal tempo della occupazione di quel territorio da parte dei veterani della II guerra punica e del loro stratega, Publio Cornelio Scipione detto l’Africano, quella località sembra essere stata condannata ad essere una colonia militare. Infatti, quando nel 2012 il Comando per il Sud Europa e l’Africa della NATO (JFC – Joint Forces Command) si è trasferito “armi e bagagli” da Bagnoli sulle sponde dello scipionico Lago Patria, la città di Giugliano in Campania sembra essere definitivamente diventata ciò che gli americani definiscono come una military town [i]. Con tutte le conseguenze sociosanitarie e socio-ambientali del caso, che vanno dall’inquinamento elettromagnetico all’incremento della circolazione veicolare, dalla iperproduzione di rifiuti da smaltire all’impossibilità di monitorare i parametri ambientali in una cittadella extraterritoriale e per di più coperta dal segreto militare.

È NATO nu criaturo ô Laco Patria” – ironizzavo allora in un articolo [ii] – sottolineando come quel mega-comando ‘alleato’ invadesse 330.000 m2 di terreno giuglianese già infiltrato dalla camorra, cementificandoli con 282.000 m3 di edifici su 6 piani, di cui 2 prudenzialmente interrati. Insomma, una sede ‘strategica’ in ogni senso, popolata da circa 3.000 addetti militari e civili, corredata da un minaccioso complesso di radar e protetta da bunker ed avveniristici sistemi di cyber-sicurezza. Il costo dell’occupazione militare da parte di quel “fastidioso NeoNato[iii] si aggirò allora sui 200 milioni di euro, integrati da 14 milioni di stanziamenti statali e regionali, destinati al Comune ospitante per finanziarvi opere infrastrutturali. Evidentemente grata per tali sostanziose ‘compensazioni’ economiche – ma purtroppo molto meno preoccupata dell’impatto della maxi-base sul suo già complicato equilibrio ambientale – Giugliano ha ribadito la sua natura di military town con ripetute dimostrazioni di servilismo verso i nuovi e potenti padroni. In questo decennio, infatti, si sono moltiplicate ‘spontanee’ visite d’intere scolaresche giuglianesi e qualianesi al quartiergenerale di Lago Patria [iv], come pure gli incontri nelle classi con generali ed ammiragli ed altre visite di “buon viciNATO” da parte di ufficiali del JFC al Municipio ed alla locale struttura ospedaliera [v].

Inoltre, le amministrazioni comunali da allora succedutesi ‘patriotticamente’ si sono date da fare a ribadire la loro devozione anche alle nostre forze armate, stipulando specifici accordi e favorendo apertamente l’infiltrazione dei militari negli istituti scolastici giuglianesi. L’ultimo esempio, in data11.11.2021, si è avuto quando Pirozzi, l’attuale Sindaco, ha sottoscritto col generale Tota, numero 1 del Comando Forze Operative Sud, un protocollo d’intesa con lo scopo di: «…educare i ragazzi, attraverso la formazione degli insegnanti negli Istituti scolastici, sul tema della gestione dei rifiuti, con particolare riferimento alla raccolta e al loro conferimento […] con l’obiettivo di sensibilizzare le giovani generazioni alla prevenzione dei reati ambientali» [vi].

Ebbene, che i militari – da sempre responsabili della pesante impronta ecologica su territori sottratti ai controlli ambientali e, anche in tempo di ‘pace’, fonte d’inquinamento di aria, acqua e suolo – si presentino come esperti nel campo dell’educazione ambientale è di per sé grottesco e paradossale. Ma che sia stato un ente locale, a nome d’una comunità civile, ad affidare loro questo compito, autorizzandoli ad entrare nelle proprie scuole con la patente di formatori a ‘buone pratiche’ ambientali, appare ancor più grave e deplorevole. Il sindaco di Giugliano ha dichiarato che: «…la collaborazione con i militari dell’Esercito in materia di controllo e di tutela ambientale è stata finora molto proficua […] si procede in questa direzione coinvolgendo anche le famiglie attraverso i ragazzi, col sostegno importantissimo delle scuole, a sostegno anche delle tante attività che il Comune sta mettendo in campo per migliorare la qualità della vita in città» [vii]. Francamente non so quanti Giuglianesi se ne siano accorti, ma è lecito dubitarne…

Perfino Scipione l’Africano non avrebbe condiviso affermazioni così azzardate, con cui si cerca di razionalizzare un’operazione di dubbia legittimità (quali specifiche competenze didattiche ha un’amministrazione comunale, fatta salva quella istituzionale sugli immobili scolastici?) e che appare comunque molto discutibile, trattandosi d’un atto autonomo della Giunta e non del risultato di una discussione consiliare. Del resto proprio Scipione, lo stratega delle guerre puniche, secondo Tito Livio [viii] avrebbe affermato: “Nullum scelus rationem habet”, traducibile con: “nessun misfatto ha una scusante”.  Come docente ecopacifista e come responsabile nazionale e locale dell’associazione ambientalista VAS e del Movimento Internazionale della Riconciliazione, ho richiesto ufficialmente al Sindaco copia del suddetto protocollo d’intesa con l’Esercito Già in un precedente comunicato stampa avevo espresso la netta contrarietà di chi si oppone alla militarizzazione della scuola, contrapponendovi progetti di educazione alla pace, alla difesa civile ed alla trasformazione nonviolenta dei conflitti.

Ed infatti non ci sono scusanti per un’azione d’indottrinamento militare rivolto a bambini delle elementari e ragazzini delle medie, col pretesto d’insegnargli come si fa la raccolta differenziata oppure di fargli sapere quanto sono belle e moderne le tecnologie informatiche dei registi delle guerre a distanza. Come promotori della Campagna nazionale “Scuole Smilitarizzate[ix] ci siamo adoperati già dallo scorso anno per denunciare ed arginare la pervasiva azione propagandistica delle forze armate nelle scuole italiane. Ma mentre a causa delle restrizioni sanitarie è stato quasi impossibile svolgere iniziative antimilitariste, recentemente in Campania gli artificieri dell’Esercito sono andati nelle scuole “a sensibilizzare i più piccoli all’uso sicuro dei fuochi d’artificio[x] o a “raccontare ai piccoli alunni le particolarità dell’Esercito Italiano” [xi]. In Sicilia, addirittura, la direzione scolastica regionale ha stipulato “un protocollo d’intesa di durata triennale con l’Esercito italiano per consentire lo svolgimento delle attività di alternanza scuola-lavoro in alcuni dei reparti militari presenti nell’Isola[xii]…!

Come possiamo chiudere gli occhi, poi, sulla subdola strategia dell’emergenza, grazie alla quale i militari stanno infiltrando tutti i settori della società, dalla sanità alla protezione civile, dai trasporti alla pubblica sicurezza, abituandoci ad un’assurda ‘normalità’ fatta di mimetiche, stellette e mitra spianati? Come possiamo digerire trasmissioni come “La Caserma” e altre subdole evocazioni d’una società improntata alla disciplina militare? Come giustificare che, di fronte a disservizi nei trasporti o ai cumuli di rifiuti, ci sia sempre qualcuno che giunge a invocare l’intervento dell’esercito?  Bisogna dunque resistere a queste pericolose tentazioni autoritarie e militariste, contrapponendovi la controinformazione ed opportune campagne di educazione alla pace, al disarmo ed alla smilitarizzazione del territorio. Facciamolo per noi, ma soprattutto per i nostri ragazzi/e, se non vogliamo ritrovarci ai tempi cupi del “libro e moschetto”.


N O T E

[i] https://en.wikipedia.org/wiki/Military_town

[ii] https://ermetespeacebook.blog/2012/05/26/e-nato-nu-criaturo-o-laco-e-patria/

[iii] https://contropiano.org/news/politica-news/2011/07/09/napolilago-patria-un-fastidioso-neo-nato-02369

[iv]  V. ad es.: https://www.ilcarrettinonews.it/in-gita-alla-base-nato-che-arricchi-la-camorra/ , https://www.istitutodonvitale.edu.it/pagine/scuola-civili-e-militari-alla-base-nato-di-lago-patria , https://www.ilcarrettinonews.it/in-gita-alla-base-nato-che-arricchi-la-camorra/ 

[v] https://ermetespeacebook.blog/2012/07/17/prove-tecniche-di-buon-vici-nato/

[vi] https://www.reportdifesa.it/esercito-italiano-firmato-un-protocollo-dintesa-per-sensibilizzare-i-ragazzi-sul-tema-delleducazione-e-sulla-gestione-dei-rifiuti-con-laiuto-degli-insegnanti/

[vii] Ibidem

[viii] Tito Livio, Ab Urbe condita, XXVIII, 28

[ix]  https://www.facebook.com/scuole.smilitarizzate/

[x] http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/seminario-feste-sicure_211220.aspx?fbclid=IwAR0t-SrzU3P84mjRJB5VzskIqhNCOKbhjgNg_TjfJL0UJUt_hG-xIxvF9og

[xi] https://www.anteprima24.it/napoli/esercito-scuola-napoletano/?fbclid=IwAR3dm5-nZakBwRxvKJ0H5y4Ek-5NsZl_C8m4wf_WLWQWtKvnSjTMjE_O41A

[xii] https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2021/12/lalternanza-scuola-lavoro-in-sicilia-si.html?fbclid=IwAR2OoJ96dWsWiLT9MshAV91IHx6LgaVX6VCdZUJ6EWM1vldvH2rP3HNpTEc

http://www.esercito.difesa.it/comunicazione/Pagine/esercito-e-comune-di-giugliano_211112.aspx

Come può cambiar la vita da Trieste in giù…

“E ritornammo a riveder… lo Sole”

Apprendiamo che «nella classifica sulla Qualità della vita nelle province italiane, pubblicata oggi dal ‘Sole 24 Ore’. Roma sale dal 32esimo al 13esimo posto, Firenze dal 27esimo all’11esimo. Dopo anni di progressivo peggioramento Napoli torna a scalare posizioni (una) collocandosi 90esima. Benevento è 86esima, Salerno ottantanovesima, Avellino 93esima e Caserta al centesimo posto. Ai primi tre posti in Italia ci sono in ordine Trieste, Milano, Trento, Aosta, Bolzano, Bologna, Pordenone, Verona, Udine, Treviso. Ultimo posto per Crotone, preceduta da Foggia e Trapani». (Napoli Today13.12.2021). 

La classifica – si spiega – analizza la qualità della vita a livello generale e in tal modo ci presenta una fotografia aggiornata dell’Italia, che ancora una volta evidenzia rilevanti differenze territoriali. Si conferma il ben noto divario sociale tra Nord e Sud, ma dall’indagine statistica emerge come virtuoso e particolarmente ‘vivibile’ soprattutto il Nord-Est e specificamente il Friuli. La rilevazione svolta dal Sole si basava su dati relativi a sei indicatori: ricchezza e consumi, affari e lavoro, demografia, società e salute, ambiente e servizi, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Si precisa inoltre che i 90 indicatori statistici su base provinciale, divisi nei sei ambiti richiamati, prevedevano al loro interno «28 parametri aggiornati al 2021 e una decina di “indici sintetici” (cioè che a loro volta aggregano più parametri)…» (la Repubblica – Napoli, 13.12.2021).

I media locali rilevano che Napoli – “passo dopo passo”… – nel 2021 ha guadagnato due posizioni, piazzandosi comunque al 90° posto in classifica, numero poco felice dalle nostre parti, in quanto ci ricorda “la paura” nella Smorfia. E, oggettivamente, non può non impaurire chi vive a Napoli il fatto che il divario tra la prima classificata, Trieste, e l’ex capitale del Sud ammonta a ben 64,57 punti sul massimo di 581 attribuiti: un gap di quasi il 10%. Per non parlare di Caserta, che si classifica 100a su 107, mentre le altre tre province campane oscillano tra l’86° posto di Benevento (-7), l’89° di Salerno (+4) e il 93° di Avellino (-9).

Ed appunto a una ‘smorfia’ viene spontaneo atteggiare il viso di fronte a questa ennesima, spietata, dimostrazione della sopravvivenza di due Italie che – a distanza da 160 anni dalla cosiddetta ‘unificazione’ – continuano a fronteggiarsi arcignamente, senza una reale integrazione.

Non accomodiamoci sul divario

Commenta Michela Finizio: «La nuova geografia provinciale del benessere, che va da Trieste a Crotone […] si candida a diventare una bussola per orientare investimenti e progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una cartina di tornasole delle disuguaglianze, accentuate dalla pandemia, da cui è necessario partire per attuare in modo efficace le tre missioni trasversali del Piano: ridurre i divari territoriali e di genere e aumentare le opportunità per i giovani […]  Su novanta indicatori le ultime posizioni sono popolate in ben 57 casi da province del Sud o delle Isole…»(Lab24 – Il Sole 24 ore ).

Già il PNRR come occasione storica per “ridurre i divari territoriali”. Obiettivo più che auspicabile ma contraddetto dalla strisciante tendenza a sancire ancor più quei divari, utilizzando quella “autonomia differenziata” che si fa strada subdolamente ed invece andrebbe denunciata in quanto oggettivamente anticostituzionale. Ecco perché c’è chi, come Massimo Villone, nutre legittimi dubbi su un PNRR ‘riequilibratore’: «La necessità di un ripensamento sull’autonomia differenziata non si manifesta solo per la sanità. Per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) le priorità variamente dichiarate – come transizione ecologica, digitalizzazione, giovani, donne, Mezzogiorno – richiedono la definizione di obiettivi strategici nazionali e la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti volte a realizzarli. Su questo va attentamente misurata la compatibilità delle autonomie, in specie se declinate come nel separatismo soft di Lombardia, Veneto e in buona misura anche Emilia-Romagna […] Si sente dire spesso, e autorevolmente, che dalla crisi […] deve uscire un’Italia nuova e diversa. È giusto. Ma dall’autonomia differenziata ex art. 116.3 può rivelarsi difficile, o persino impossibile, tornare indietro, per come è disegnata nella norma costituzionale. Se si attuasse in modo sbagliato nel corso dell’attuazione del PNRR, potrebbe bene essere la pietra tombale sul Piano». (il manifesto – 25.04.2021).

Dalle statistiche lo stato dell’arte

Certo, per chi vive a Napoli – come in qualsiasi città dell’Italia meridionale – leggere questi dati risulta davvero sgradevole. Il guaio è che non possiamo neppure prendercela con i criteri in esame, visto che in questo caso non si tratta di parametri esclusivamente economici (che pure ci sono, quali ricchezza e consumi, affari e lavoro), ma di una gamma abbastanza ampia di fattori, che vanno dalla sicurezza ai servizi, dall’ambiente alla cultura e al tempo libero. Negli scorsi anni si è discusso a lungo dell’affidabilità di queste rivelazioni statistiche e dell’esigenza di andare ben oltre il P.I.L., prendendo in esame diversi indicatori di benessere e puntando alla “sostenibilità” dello sviluppo (v.ricerca). Ovviamente questa ricerca, come ogni altra indagine, può essere ritenuta opinabile e/o parziale. Si possono anche nutrire forti dubbi sul fatto che a chi abita a Trieste sia garantito un livello di vita dieci punti superiore a quello di chi, puta caso, risiede nella città metropolitana di Napoli. Però dobbiamo ammettere che le cifre, soprattutto se scorporate nei sotto-indicatori – restano impietosamente chiare.

Nell’ambito “ambiente e servizi” – dove Oristano Trieste e Milano sono sul podio – Napoli scende di 28 punti e si colloca al 98° posto. Per fortuna nella classifica su “cultura e tempo libero” troviamo Napoli al 23° posto, con un +47 d’incremento.  L’altalena però la riguarda in negativo quando si tratta di “giustizia e sicurezza”, laddove precipita al penultimo posto, scendendo di 29 punti.

A buon intenditor…

Che dire? Sebbene la percezione di un comune cittadino napolitano non gli restituisca una così netta ed evidente sensazione di de-grado (etimologicamente parlando), ritengo che l’ennesima rilevazione statistica non possa e non debba lasciarci indifferenti ed inerti. Solo pochi mesi fa le varie forze politiche, in occasione delle elezioni amministrative – avevano provato a darsi alcune priorità programmatiche, in modo da risultare più credibili e magari vincenti. Eppure, fatta la dovuta tara a questo genere di classifiche, non sarebbe stato male se i nostri amministratori (e aspiranti tali) avessero dato uno sguardo meno superficiale e distratto alle cifre che peraltro emergevano fin troppo chiaramente già dalle precedenti indagini del Sole-24 ore.

Se a Napoli, nella raccolta differenziata, restiamo al 36% rispetto all’88% di Ferrara ci sarà un perché. Se la provincia di Napoli si trova al penultimo posto nel parametro “energia elettrica da fonti differenziate” – sebbene tra le prime classificate ci siano anche città meridionali come Brindisi, Matera e Lecce – qualcosa si sarà pure sbagliato. Se la “spesa sociale dei comuni” a Napoli è identificata con l’indice 34,17 a fronte del 225,34 di Trieste qualcosa evidentemente non ha funzionato…

Morale della favola: non commettiamo l’errore di scambiare le rilevazioni per rivelazioni, ma non facciamo neanche finta di non averne comprese le indicazioni. Le analisi e le diagnosi, si sa, non mancano mai. Ma ora è il momento di passare finalmente alle terapie, senza dimenticare che il primo passo è la prevenzione. E non solo quella sanitaria.

La ‘felice memoria’ di Renato de Falco

È stato proprio un bell’incontro. Credo che Renato de Falco ne sarebbe stato contento, osservando dall’alto la sala della Fondazione Mezzogiorno Europa – all’interno di Palazzo Reale – affollata di persone venute a rendergli omaggio. Gli sarebbe piaciuto il tono serio, ma non serioso, con cui lo abbiamo ricordato, anzi abbiamo attualizzato il ricordo mai spento della sua inesauribile e poliedrica attività di maestro della lingua e cultura napolitana, di profeta della sua divulgazione popolare che non ha mai perso la consistenza, la ‘sostanza’ diremmo noi, della sua profondità di filologo. Ma per coltivare seriamente la filologia, ho osservato nel mio intervento, bisogna essere prima ancora ‘logofili’, cioè amanti della parola, appassionati della sua storia e capaci di ripercorrerla in modo scientifico, in modo da ricostruire etimologie altrimenti affidate a intuizioni o fantasia, come purtroppo accade.

Renato de Falco, noto avvocato napolitano, è stato definito la “Cassazione del Napolitano” e riconosciuto come il maggiore cultore e custode di una napolitanità che non è affatto ‘a rischio’ di estinzione, ma deve piuttosto essere coltivata e rivitalizzata per non ridursi a caricatura di se stessa. Nel manifesto d’una mostra commemorativa a lui dedicata, tenuta al P.A.N. nel 2017, de Falco era definito “un signore napolitano”, sottolineando giustamente una ‘signorilità’ mai contrassegnata da altezzosità, ma condita e insaporita col sale della genuinità e dell’arguzia popolare.

L’intervento di Claudio Pennino – noto poeta, scrittore, traduttore e napolitanista – ha messo in luce quanto dobbiamo tutti/e a questo Maestro, che è stato capace di trasformare le sue ricerche filologiche in gustosi interventi per la televisione, raccolti nel volume “Alfabeto napoletano” che tuttora resta la Bibbia di chi si sente scorrere nelle vene il fluido di una napolitanità al tempo stesso antichissima e moderna. Il libro – ristampato numerose volte dal 1985 al 2019 – che spiccava ovviamente sul tavolinetto davanti alla postazione dei partecipanti a questo ricordo, quasi un altare predisposto per celebrare, insieme con de Falco, la “lingua geniale” cui egli ha dedicato tutta la vita.

Anch’io ho reso doveroso omaggio a questo illustre precursore di tutti quelli che anche adesso si sforzano – con caparbietà e passione – di riportare alla gente di Napoli una cultura ed una lingua che rischiano di essere banalizzate, volgarizzate e parodiate, smarrendone la preziosa eredità, senza preoccuparsi di tramandarle alle nuove generazioni. Ho ricordato infatti che molto si sta facendo ancora per raccogliere il testimone del suo insegnamento, mai pedante ma piacevole ed accattivante, attraverso corsi tenuti presso centri culturali, associazioni ed università popolari, cercando di portare l’insegnamento del napolitano nelle scuole e di sviluppare una cultura identitaria ma non passatista. Ho anche fatto presente quanto si sta cercando di fare per far uscire lo studio e la pratica della nostra lingua dal chiuso delle aule universitarie e delle biblioteche, restituendo alla gente il diritto di parlare e scrivere come pensa, però in modo più preciso e corretto. Purtroppo l’approvazione nel 2019 della legge regionale sulla tutela e valorizzazione del nostro idioma – cui avevo dato il mio contributo – non mi sembra che si sia finora rivelata lo strumento giusto per sostenere lo sforzo chi vorrebbe liberare il napolitano dalla gabbia accademica in cui è intrappolato, non agevolando né promovendo la diffusione di esperienze capaci di agire alla base di questo processo di rivitalizzazione.

Il guaio – ha osservato Vincenzo de Falco, avvocato come il padre ma anche scrittore, regista e traduttore – è che all’eccesso di cultura cattedratica che poco comunica col quotidiano si somma oggi anche l’eccesso opposto, quello di una divulgazione mediatica che definirei ‘sciué sciué’, più populista che popolare, accattivante e divertente ma figlia della superficialità di chi si accontenta d’informazioni raffazzonate raccolte su internet. Questo accade naturalmente quando si tratta di spiegare l’etimologia delle parole napolitane – come ha ricordato citando i suoi sapidi articoli ma mostrando anche quanto, di recente, la ricerca della loro origine abbia rivelato spesso basi cognitive fragili e fallaci.   

Tornare a de Falco – che avrebbe potuto essere il titolo dell’incontro – significa quindi conservare il tono vivace ed umoristico della divulgazione, ma anche blindarne i contenuti con la serietà nella ricerca delle fonti etimologiche e letterarie. Significa sicuramente  evitare la pedanteria di alcuni studi accademici ma, seguendo il suo esempio, utilizzare l’arte della paremiologia per fare dei proverbi popolari non soltanto l’occasione per farsi una risata, ma in primo luogo per riflettere sul nostro DNA culturale e sulla stratificazione di millenni e di culture che solo un attento geologo della lingua riesce a rilevare.

Vincenzo de Falco, Ermete Ferraro, Claudio Pennino

Dobbiamo dunque augurarci che gli spunti emersi da questo incontro diano dei frutti non solo nella vendita della ristampa del libro di de Falco – che non ne ha certo bisogno – ma soprattutto nella maturazione della consapevolezza che il destino del napolitano non può restare nelle mani di alcuni ‘sacerdoti’ che ne celebrino il ricordo, se non diventa impegno diffuso e comunitario a mantenerlo vivo e vegeto.  La degustazione finale dei dolci della tradizione natalizia partenopea ha concluso gradevolmente questo evento, evocando al tempo stesso uno dei temi più trattati da Renato de Falco nelle sue raccolte di parole e locuzioni, spesso consacrate ai temi del cibo e della salute. Insomma, per mutuare le parole da lui pronunciate in un video alcuni anni prima della scomparsa, spero che siamo riusciti a rispettare il senso di quella “felice memoria” con la quale egli disse di voler essere ricordato. Perché la memoria è autentica e utile solo quando induce felicità, cioè – etimologicamente parlando – se risulta feconda, fertile, e produttiva. E qui – avrebbe detto de Falco – “è il momento di far punto”.