
E’ con questo linguaggio forbito e desueto che hanno dovuto fare i conti i quattordicenni di Napoli e di Rho, di Rimini e di Canicattì, chiamati ieri a svolgere la “prova nazionale” di Italiano per gli alunni di terza media, elaborata dall’Invalsi e programmata – insieme con quella di matematica – come quarta prova dell’ “esame di stato conclusivo del primo ciclo dell’istruzione secondaria”.
Sì, una volta si chiamava “licenza media”, ma forse non rendeva in modo abbastanza solenne e togato quella che, dopo l’abolizione dell’esame di quinta elementare, deve apparire una tappa basilare del curricolo della nuova scuola gelminiana.
Chiusi per un’ora nelle loro aule e rigidamente monitorati, ragazzi e ragazze abbronzati e accaldati si sono trovati di fronte due pagine di prosa del genere, un testo “tratto e adattato” da Le notti difficili di Dino Buzzati. Quel che è certo è che “difficile” per loro è stata questa giornata di prova nazionale d’Italiano, che partiva dal gustoso ma non certo orecchiabile racconto buzzatiano per verificarne la comprensione a vari livelli, chiedendo di rispondere ai 17 quesiti previsti.
Devo ammettere che io e gli altri docenti d’Italiano della mia scuola – segregati nella sala dei professori durante questa pretenziosa “National examination”, in attesa di prestare invece assistenza alla successiva prova di matematica – siamo stati colti da profonda “stupefazione” nel leggere il testo proposto ai nostri sventurati alunni/e.
Pur riconoscendo umilmente che non toccava certo a noi discutere quanto deciso dai “massimi luminari” del Ministero della (pubblica) Istruzione, devo riconoscere che non siamo riusciti a trattenere la sgradevole sensazione che, probabilmente, stavolta i “sommi” avessero esagerato…
Non ho potuto verificare di persona – dato il veto opposto alla nostra presenza in aula durante la somministrazione della prova d’Italiano – ma mi è stato riferito che l’occhio degli alunni appariva vitreo ed inespressivo di fronte a queste 75 righe di testo. Sospetto che ci sia qualche esagerazione, ma qualcuno mi ha raccontato che “come entrò nell’aula, il letargo di alcuni ragazzi pareva essersi fatto ancora più greve e l’ansimare più stentato…”.
D’altra parte, leggendo gli items relativi al racconto anche noi docenti non abbiamo potuto evitare d’esclamare all’unisono: “Domeneddìo, che disastro!”, convinti come eravamo che questo benedetto test dell’Invalsi stesse seriamente “mettendo a repentaglio” la licenza media di un bel po’ dei nostri sprovveduti e poco acculturati ragazzi.
Domande come l’A3 (“Con quale espressione sostituiresti ‘di riflesso’? A. Nonostante ciò, B. Di conseguenza; C. Notoriamente, D. In teoria “) hanno, infatti, lasciato anche noi piuttosto perplessi, ma non avevamo ancora letto la domanda A10 (“Che cosa indicano i puntini di sospensione all’interno del discorso del professor Marasca? A. Il pensiero sottinteso, non detto dal prof. Marasca; B. La rabbia trattenuta del prof. Marasca; C. Le parole del prof. Marasca che la contessa non riesce a sentire; D. Il rispetto del prof. Marasca verso la contessa”)…..
Ma non finisce qui! La prova continuava con un altro testo di una cinquantina di righe in cui, con un linguaggio meno ricercato, si offrivano “Consigli per il domani ai giovani (e ai genitori)”, tra cui la seguente, acuta, osservazione: “Nella società globale del 2000 dobbiamo perdere l’ossessione del posto fisso ad ogni costo ed acquisire il ‘virus’ dell’internazionalità ed il gusto della mobilità professionale”.
Dopo aver amabilmente ricordato ai ragazzi che “il primo elemento di successo nella società in rapida trasformazione” è “la capacità di esprimersi con un ricco ed articolato vocabolario”poiché “la maggiore difficoltà che si incontra nel ‘riciclare’ lavoratori anziani o nel formare lavoratori giovani è il loro ‘povero’ italiano”,l’autore dello scritto sancisce, con grande originalità, che: “Subito dopo una buona conoscenza della lingua madre, l’inglese è oggi lo strumento determinante per comunicare con il resto del mondo”, senza trascurare peraltro di consigliare lo studio di altre lingue – come il russo, il cinese e l’arabo – motivando tale originale proposta col fatto che sono “molto utili per i nuovi mercati dell’Est e del Sud”.
Ma che belle parole…La Gelmini e lo stesso Berlusconi non avrebbero potuto esprimere meglio questo alato concetto dello studio delle lingue come risorsa per l’impiego. Scusate, volevo dire “per la mobilità professionale”, indicata giustamente come un imprescindibile valore cui fare sempre riferimento in una società “globale” e “in rapida trasformazione”.
Ma sì: basta con questa stupida “ossessione del posto fisso ad ogni costo” ! Oggi occorre “riciclare” lavoratori anziani (proprio come il vetro rotto e la carta straccia…) e formare giovani lavoratori che però, ahimé!, esibiscono spesso un italiano troppo “povero”, visto che leggono molto poco e poiché tra le loro letture difficilmente troviamo Buzzati…
I nostri ragazzi – suggerisce allora il secondo testo proposto – devono assolutamente lasciarsi contagiare dal “virus dell’internazionalità” e la scuola dovrebbe sollecitare in loro il “gusto della mobilità professionale”. Solo così, grazie al loro “ricco e articolato vocabolario” italiano ed alla conoscenza di un paio di lingue (l’inglese ed il cinese, ad esempio) essi potranno realizzare il loro radioso futuro di lavoratori emigranti…
Alcuni malevoli hanno raccontato che, subito dopo questa prova nazionale d’Italiano, alla sede del Ministero e dell’Invalsi “urgevano molte telefonate di circostanza”, ma si tratta solo delle solite esagerazioni di chi pretenderebbe di far diventare l’integerrima ministra Gelmini “lo zimbello della piazza”…