Conosco e stimo il prof. Amato Lamberti, docente a Sociologia della Federico II ed ex-presidente della Provincia di Napoli. Le nostre strade si sono più volte incrociate in questi ultimi vent’anni. Oltre a condividerne l’interesse ad approfondire il tessuto sociale che sta dietro i fenomeni criminali che caratterizzano la Campania, ho sempre apprezzato la sua capacità di coniugare l’impegno di docente e di ricercatore con la volontà d’incidere in prima persona sul terreno amministrativo e politico, in un movimento alternativo e propositivo come quello dei Verdi degli anni ’80.
Su Facebook – dove ci siamo incontrati di nuovo in tempi recenti – Lamberti ha lanciato ora un’iniziativa, utilizzando una delle pagine tematiche di quest’affollata community, per proporre una sorta di cantiere in cui provare a costruire insieme una “casa della solidarietà”.
L’intento è raccogliere intorno a questo denominatore comune (già nei termini contraltare alla berlusconiana “casa della libertà”) tutti coloro che “…ancora credono che ‘un altro mondo è possibile’ e che […] vorrebbero con le loro idee, le loro proposte, le loro iniziative, rendere migliore e più giusta la società, realizzando se stessi e i loro sogni, in tutti i campi. Coloro che si battono per l’energia pulita, per l’aria pulita, per l’acqua sana e nelle mani della gente, per fermare il consumo dissennato del territorio,per una industria responsabile, per uno sviluppo sostenibile.”
Ovviamente ho subito aderito a questo nuovo gruppo di discussione su FB, sia perché ne condivido largamente le finalità, sia perché mi sembra che questo momento particolare della storia politica italiana – che vede ulteriormente messo a rischio il pluralismo e quasi azzerata la capacità propulsiva dei movimenti antagonisti a questo sistema economico e di potere – richieda iniziative coraggiose anziché inutili lamentazioni, imprecazioni o recriminazioni.
E’ pur vero, d’altra parte, che questo penoso capitolo non può essere sbrigativamente liquidato, senza tentare un’analisi dei fattori che hanno determinato tale sconfortante risultato, esaltando sempre più l’individualismo cinico e baro dei ‘valori’ finanziari e condannando alla semi-estinzione ogni tentativo di porre al centro ben altri “Valori”, per dimostrare che“un altro mondo è possibile”.
I soggetti cui Lamberti lancia questo appello sono: “…non solo i delusi del mondo della sinistra e dell’ambientalismo, ma tutto il mondo dell’associazionismo laico e cattolico che tutti i giorni combattono per vedere riconosciuti i pieni diritti di cittadinanza ai soggetti più deboli ed emarginati…”.
Come potrebbe non sottoscrivere queste parole uno come me, che da trent’anni si è dato da fare per testimoniare in prima persona un’alternativa nonviolenta, ambientalista, eco-sociale e di sviluppo comunitario dal basso? Mi sento perfettamente inquadrato nel target ideale della sua proposta, sia come educatore ed operatore sociale di base, sia come attivista eco-pacifista che ha speso dieci anni per affermare non solo una politica ecologica, ma anche un’ecologia della politica.
Eppure c’è qualcosa che non mi convince del tutto. Non è certo la denominazione scelta per questa proposta, che stranamente riprende proprio il titolo che io stesso diedi, parecchi anni fa, al progetto che sintetizzava l’azione sociale della storica “Casa dello Scugnizzo” di Napoli, dove ho a lungo operato e di cui ho avuto l’onore e l’onere di essere presidente per otto anni.
E’ piuttosto il termine “cantiere” che mi lascia un po’ freddo, forse perché mi ricorda esperienze simili, quasi sempre deludenti e spesso strumentali, di convergenza di aree politiche diverse in un soggetto elettorale, per far fronte all’ennesima “batosta” e/o diaspora.
Mi lascia perplesso anche l’appello al mondo di un generico “associazionismo”, che in questi ultimi vent’anni – come Lamberti sa bene – si è geneticamente modificato, diventando un contenitore indifferenziato dove trovano posto volontariato e impresa sociale, aziendalismo cooperativista e opportunismo da furbetti del quartierino.
Mi sbaglierò, ma anche l’appello a chi cerca di “rendere migliore e più giusta la società” e a chi persegue “uno sviluppo sostenibile” mi suona un tantino generico e “politically correct”, forse per abbracciare il maggior numero di soggetti, a scapito però di un’indispensabile chiarezza.
La prospettiva d’una società solo un po’ più giusta e sostenibile – mi permetto di osservare a chi, come Amato, sa bene che non sono un estremista – rischia di avallare l’idea che, tutto sommato, non sono affatto necessarie svolte significative e scelte nette. Lo stesso concetto di “sviluppo economico sostenibile” è una specie di ossimoro, perché senza una vera “decrescita” e senza un modello profondamente alternativo di sviluppo umano e comunitario non cambia nulla.
L’altro mondo possibile – di cui parla Lamberti – non può essere che un mondo “altro”, fondato su valori e priorità del tutto opposte a quelle correnti. La stessa “solidarietà” – mi consenta l’amico Lamberti – non è una merce acquisibile come le altre, ma nasce da una logica alternativa a quella del mercato e dell’interesse individualistico che il liberismo ci ha abituati a considerare normale.
Sappiamo bene, infatti, che i soggetti non nascono “deboli ed emarginati”, ma sono resi tali da una società che esalta fanaticamente l’affermazione dei “vincenti” e che scarta impietosamente i “perdenti”, come se fossero le inevitabili “scorie” di un irrefrenabile processo evolutivo.
Un’altra piccola nota vorrei farla sull’uso un po’ convenzionale dei termini “laico e cattolico”, a proposito dell’universo dell’associazionismo cui il gruppo fa appello. Da cristiano-cattolico devo dissentire da questa banale e stantia contrapposizione, che non tiene conto né del fatto che i vari soggetti politici provenienti dal cattolicesimo hanno scelto da decenni la laicità come valore e che, in ogni caso, essere “laici” non significa smarrire le proprie radici ed i propri valori fondamentali, bensì affermarli nel rispetto del pluralismo di una società democratica e multiculturale.
Ciò premesso, ribadisco il mio sincero interesse per un confronto che non si fermi alla virtualità di una comunità della Rete, ma cominci a far dialogare persone in carne ed ossa e, perché no, gruppi che vogliano aderire a questo positivo richiamo a “fare rete” sul territorio, prima che nei cartelli elettorali.