Pregavamo alla marinara…

Un meeting di professionisti del culto agli ordini della NATO

In una delle mie incursioni sul sito web del Comando delle Forze Navali degli Stati Uniti in Europa ed Africa – al fine di ricavarne utili informazioni su possibili attracchi di natanti a propulsione nucleare nel porto di Napoli o sulle nuove ‘missioni’ guidate dall’USEUCOM/AFRICOM – mi sono imbattuto in un articolo che ha attratto la mia attenzione sia come ecopacifista sia come credente.

Già il titolo del servizio (“Interoperabilità del supporto spirituale: Migliorare la prontezza spirituale nella NATO”) [i] denotava infatti una visione della religione unicamente come utile ed opportuno sostegno spirituale ai nuovi, preoccupanti, wargames della NATO. Per essere più precisi, l’incontro interreligioso cui si riferisce l’articolo è avvenuto sulla USS Mount Whitney, ammiraglia della 6^ Flotta USA, nel quadro dell’esercitazione BALTOPS 23, attuale edizione della mega-manovra interforze della NATO nel Mar Baltico, che in questi tragici momenti assume un significato ancor più specifico ed allarmante.

«La costa di Klaipeda, in Lituania, è il teatro dell’operazione, iniziata il 4 giugno e destinata a concludersi il 16 giugno. Di gran rilievo la presenza italiana, con la nave San Marco protagonista di una complessa infiltrazione anfibia. Obiettivo simulare una “dimostrazione di forza” ai danni dell’Alleanza Atlantica. A due ore di auto, nell’entroterra del Paese, nella base di Lakunu, vicino Siauliai, è in corso Air Defender». [ii]

La finalità di quello specifico incontro, peraltro, era così presentata all’inizio del servizio:

«Durante l’esercitazione Baltic Operations 2023, le nazioni alleate e partner hanno operato a fianco di forze non solo terrestri, aeree e marittime, ma hanno anche implementato, addestrato e rafforzato il loro corpo spirituale. In preparazione all’esercitazione, 14 cappellani in rappresentanza di otto nazioni si sono riuniti a bordo della USS Mount Whitney per la Conferenza dei Cappellani ‘pre-sail’, incentrata su concetti di interoperabilità, eventi di esercizio, coordinamento logistico e condivisione di competenze e protocolli» [iii].

Da una pur superficiale analisi critica del testo si rileva facilmente che il tono dell’articolo ha poco a che fare con un’autentica spiritualità, assumendo piuttosto una coloritura burocratico-militare, evidenziata inoltre dall’utilizzo di una terminologia quasi aziendale, che impiega verbi ed espressioni di stampo tecnocratico quali: implementare, addestrare, interoperabilità, esercizio, coordinamento logistico, competenze, protocolli…).

In questa ecumenica ‘missione’ congiunta, i suddetti ministri di culto – di diversa nazionalità e differenti credi religiosi – sono stati dunque impegnati per due settimane sulla nave al comando  di una simulazione bellica per ‘addestrare’ i rispettivi ‘fedeli’ in uniforme “su argomenti spirituali relativi ai militari, come il danno morale”, con la motivazione che “i cappellani sono ufficiali navali e professionisti del ministero religioso che si concentrano sulla prontezza spirituale del loro equipaggio assegnato[iv].

Francamente non è chiaro di quale “danno morale” si parli nell’articolo (a parte quello derivante dalla preparazione di azioni di guerra, causa di morte e devastazione) né cosa sia la misteriosa “prontezza religiosa” che, secondo la Marina USA, andrebbe alimentata negli equipaggi navali. Viceversa, mi sembra fin troppo evidente la visione cinicamente utilitaristica dei cappellani come “professionisti” delle religioni, al servizio della sedicente missione militare nel Baltico in quanto “fonte d’incoraggiamento per la loro gente[v].

Alimentare benessere, fiducia e solidarietà tra militari?

Non ci aiutano a comprendere meglio questa strana adunata militar-religiosa neppure le spiegazioni fornite dall’intervento del Capitano della U.S. Navy Brian Weigelt.

«I cappellani si relazionano a marinai e marines per la loro identità pastorale, la loro vocazione a prendersi cura di tutta la persona. Mentre prestano servizio come professionisti del ministero religioso, si prendono cura di tutti indipendentemente dal rango o dalle credenze religiose o non religiose e hanno completa riservatezza. Ma servono anche come ufficiali della Marina che capiscono le sfide uniche della vita in mare e la cultura della più ampia organizzazione» [vi].

Da cristiano, leggendo queste parole mi è venuta alla mente l’ammonizione evangelica “Nessun servitore può servire a due padroni” (Lc 16:13), però è evidente che per l’ufficiale della marina statunitense non solo non c’è alcuna contraddizione tra il servizio religioso e quello militare, ma sussiste anche la convinzione che la “vocazione” dei cappellani sia finalizzata ad incrementare la c.d. “prontezza spirituale” dei futuri combattenti.

I cappellani, si ribadisce infatti, in quanto “direttamente interessati al benessere individuale di marinai o dei marines, offrono soluzioni e indicazioni che un leader di mentalità bellica non può offrire[vii]. In altre parole: sono comunque utili alla ‘causa’, anche perché “l’interoperabilità delle forze spirituali alleate e partner è incentrata sulla creazione di fiducia per tutti i soggetti coinvolti[viii]. I cappellani imbarcati sulle navi militari, inoltre, sono considerati funzionali all’esercitazione militare della NATO anche in chiave di supporto psicologico, laddove si presentino scenari critici come suicidi o incidenti, come un uomo in mare, in quanto “l’intero equipaggio ne verrebbe traumatizzato” ed essi potrebbero fornire una risposta aggiuntiva in caso di crisi. 

In buona sostanza, secondo il servizio ‘affari pubblici’ delle US Naval Forces Europe-Africa, i c.d. ‘professionisti del ministero religioso’ sarebbero utili per assicurare il ‘benessere’ e cementare la ‘fiducia’ negli equipaggi, ma anche per far superare gli inevitabili traumi di chi combatte col ‘prendersi cura’ del personale militare, rafforzando così “il senso di solidarietà che migliora il nostro impegno per il lavoro” [ix].

«Mentre l’esercitazione volge al termine, la forza dei cappellani si riunirà a Kiel, in Germania, per la conferenza inaugurale sulla Interoperabilità del supporto spirituale per il Comando Marittimo della NATO. Lì esamineranno gli eventi dell’esercitazione, determineranno cosa è andato bene e su cosa dovrebbero concentrarsi l’anno prossimo e inizieranno la pianificazione preliminare. I loro due temi principali saranno gli standard di cura per la cappellania nel settore marittimo della NATO e il ruolo dei cappellani nel combattimento marittimo» [x].

Come avevo già ribadito in precedenti articoli [xi], il connubio blasfemo tra ministeri religiosi e ministeri della guerra è dunque tutt’altro che superato, con buona pace di don Milani, di cui proprio quest’anno ricorre il centenario. Oggi si utilizzano toni meno retorici ed un linguaggio più aziendale che bellicoso, ma a mio avviso resta lo scandalo dell’innegabile subalternità dei cappellani militari alle gerarchie militari, di cui quei ministri del culto hanno improvvidamente accettato di essere parte integrante, col pretesto di prendersi cura delle anime di coloro che vengono invece addestrati ad usare il loro corpo e le loro menti per uccidere e distruggere e, semmai, a prepararsi spiritualmente a morire in battaglia…


[i] Cfr. U.S. Naval Forces Europe-Africa Public Affairs, “Spiritual Support Interoperability: Enhancing Spiritual Readiness across NATO” (June 13,2023) > https://www.c6f.navy.mil/Press-Room/News/Article/3426557/spiritual-support-interoperability-enhancing-spiritual-readiness-across-nato/ (trad. mia)

[ii] F. Russo, “La Nato alla sfida del Baltico, sulla Lituania l’ombra della guerra”, AGI, 15.06.2023 > https://www.agi.it/estero/news/2023-06-14/nato-esercitazioni-lituania-guerra-russia-ucraina-21825234/

[iii]Spiritual Support…”, cit.

[iv]  Ibidem

[v]  Ibidem

[vi] Ibidem

[vii] Ibidem

[viii] Ibidem

[ix] Ibidem

[x] Ibidem

[xi] Cfr., fra gli altri a firma Ermete Ferraro, i seguenti:  https://ermetespeacebook.blog/2020/01/30/pregare-per-lunita-dei-cappellani-militari/https://ermetespeacebook.blog/2020/12/07/come-barbarea-cosi-marinea/https://ermetespeacebook.blog/2020/03/15/riforma-mimetica-per-religiosi-con-le-stellette/

© 2023 Ermete Ferraro

Dall’EireneFest alla…“Eiréne” di Aristofane

Stavo tornando a Napoli dopo due giorni trascorsi alla seconda edizione del ‘festival del libro per la pace e la nonviolenza’ (Roma, 26-28 maggio) e, dovendo ingannare il tempo nell’attesa del treno, ho evitato le sbrilluccicanti gallerie dello shopping per curiosare invece tra gli scaffali della libreria della stazione Termini. Lì mi è fatalmente caduto l’occhio su un volumetto [i] il cui titolo era troppo provocante per resistervi. Si trattava infatti di una vivace traduzione, con testo greco a fronte, di “EIPHNH” (Pace), tra le meno note delle commedie di Aristofane nelle quali ricorre la tematica dell’ostilità di cittadini e contadini, di donne e uomini, alla follia omicida e devastante della guerra.

L’intonazione comico-grottesca delle sue mirabolanti storie non deve ingannarci. La verità incontrovertibile è che già due millenni e mezzo fa il teatro greco affrontava l’assurdità e bestialità della guerra, non solo mettendone in luce gli esiti catastrofici sulle condizioni economiche, sociali e familiari della gente comune, ma anche sferzando impietosamente i volgari interessi di politicanti e mercanti d’armi nel nefasto propagarsi degli eventi bellici.

Aristofane lo faceva a suo tempo e a modo suo, con la satira pungente e le battute oscene tipiche di un genere drammaturgico nato dai culti dionisiaci, in cui la guerra, apportatrice di distruzione e morte (thanatos) era presentata come l’antitesi del godimento amoroso (eros), e della pacifica esistenza di chi produce con fatica e vorrebbe godersi i frutti di quella produzione. Lo schema narrativo delle commedie aristofanee riguardanti la pace è peraltro abbastanza costante, come spiega Albini nella sua introduzione, facendo alcuni esempi.

«Negli Acarnesi, stufo della guerra, Diceopoli manda un uomo-dio a concludergli una pace personale con gli Spartani. Nella Pace, Trigeo sale al cielo su uno scarabeo stercorario per chiedere a Zeus le ragioni del conflitto in corso. Negli Uccelli, Pisetero e Euelpide, disperati per le rissosità e faziosità urbane, fondano una nuova città a mezza strada tra terra e cielo. Nella Lisistrata, sdegnate per il perdurare dello stato di belligeranza, le donne proclamano lo sciopero del sesso…» [ii].

Nella Pace è un contadino attico che compie la sua stravagante ‘missione impossibile’ ascendendo goffamente ad un Olimpo ormai evacuato dalle divinità, dove risiede provvisoriamente solo Ermes. Trigeo, infatti, vuole eroicomicamente riportare sulla terra quella Pace che il gigante Polemos (guerra) aveva recluso in una profonda caverna (allegoria dell’oscurità dell’ignoranza), ostruendone l’ingresso con pesanti massi (gli ostacoli che gli umani frappongono per non far emergere le scomode verità).  Ed è proprio Ermes a spiegargli il motivo del sorprendente esodo degli dei olimpici dalla loro abituale residenza.

«Erano furiosi contro i Greci. Nella loro vecchia sede hanno sistemato il Gigante Guerra e lo hanno autorizzato a far di voi quello che gli piaceva. Loro si sono ritirati nei quartieri alti del cielo: non volevano più vedervi combattere e sentire le vostre suppliche […] Perché vi hanno offerto più volte la pace e voi avete sempre preferito menar le mani […] Di conseguenza non so se rivedrete più la Pace […] Il Gigante Guerra l’ha gettata in fondo ad una spelonca […] e poi l’ha sbarrata con un mucchio di pietre. Così non potrete più riprendervi la Pace» [iii].

Un coro di voci invoca il ritorno della Pace

Lo scambio di battute tra Guerra ed il suo servo Kydoimos (personificazione dell’orrendo frastuono delle battaglie, della confusione e del tumulto, tipici d’ogni scontro armato) offre ad Aristofane l’occasione per puntare il dito contro i generali guerrafondai (l’ateniese Cleone e lo spartano Brasida), i ‘pestelli’ coi quali il gigante vuol “ridurre in polpettone tutte le città[iv]. Da lì parte il Coro, voce dolente di chi fa appello al comune impegno contro l’incombente minaccia di distruzione.

«Ognuno accorra subito, è in gioco la salvezza / ora o mai più, miei Greci, occorre compattezza /Abbandonate i ranghi e la rossa divisa / risplende una giornata ai generali invisa […] Estrarremo la Pace, la dea che è senza eguali / l’amica delle vigne, usando pale e pali» [v].

L’alternarsi delle battute di Trigeo con quelle del Coro sottolinea quindi la bellezza della pace ritrovata, attaccando “chi fabbricando lance e smerciando scudi desidera la guerra per guadagnare di più” ed invitando perciò gli amanti della pace “a darsi da fare”.

L’inevitabile ed eterna contrapposizione tra chi fabbrica falci e chi produce spade emerge con chiarezza, seppure nel tono comico aristofaneo, così come risulta evidente che l’interesse fraudolento di chi semina zizzania ed alimenta i conflitti bellici sarà sempre antitetico a quello di chi coltiva la terra e produce beni. Ed è sempre Ermes a rivelare che una delle abituali armi di Guerra per seminare la paura è la menzogna, la falsificazione, l’inganno. Infatti: «La città, pallida e atterrita, inghiottiva di gusto tutte le calunnie che le venivano gettate…» [vi].

Quando finalmente Trigeo – grazie alla collaborazione di altri volenterosi – riuscirà a liberare Pace dalla grotta in cui Guerra l’aveva segregata, riportandola sulla Terra, la sua riconquista sarà festeggiata da una folla osannante, che così l’implora:

«….Metti fine / a battaglie e tumulti: avrai il nome / di ‘dea che scioglie gli eserciti’ / Blocca i sottili sospetti, son fonte / di male dicerie reciproche. / Rimescola da capo / noi Greci / in un succo di amicizia, / infondi nelle menti / una più mite intesa…» [vii].

L’alternativa alla guerra psicologica di chi falsifica la realtà, semina sospetti ed eccita gli animi, rinfocolando odi e incomprensioni, allora come ora restano dunque gli sforzi per un’intesa reciproca, la mitezza della nonviolenza e la determinazione a recuperare relazioni pacifiche. Ma non è un caso che l’appellativo che Aristofane assegna alla dea Pace è Lisimaca – colei che scioglie gli eserciti, che ci libera dalle battaglie – ricordandoci anche oggi che non esiste pacifismo che non sia antimilitarismo, cioè opposizione ad un intero sistema di violenza istituzionalizzata e glorificata.

Ebbene, ora come allora – come è emerso dai numerosi incontri nel corso dell’EireneFest – ancora una volta tocca a noi liberare Pace dalla spelonca delle mistificazioni, dei sospetti e degli odi alimentati da chi invece ha interessi a nutrire il gigante Guerra. E, ora come allora, i costruttori di pace (eirenopoiòi) devono fare ricorso – insieme e convintamente – alle basi nonviolente della pace: verità, cooperazione, riconciliazione, rispetto della vita e rifiuto di ogni collaborazione con chi persegue il denaro ed il potere a costo della soppressione delle vite e della devastazione ambientale.

Dopo 2400 anni ormai avremmo dovuto capirlo…


[i] Aristofane, Pace, Introduzione e traduzione di Umberto Albini, note di Fulvio Barberis, Milano, Garzanti, 2002

[ii]  Ivi, p. viii

[iii] Ivi, pp. 15-17

[iv]  Ivi, p. 19

[v]  Ivi, pp. 21-23

[vi] Ivi, p. 41

[vii]  Ivi, p. 63


© 2023 Ermete Ferraro