Dall’EireneFest alla…“Eiréne” di Aristofane

Stavo tornando a Napoli dopo due giorni trascorsi alla seconda edizione del ‘festival del libro per la pace e la nonviolenza’ (Roma, 26-28 maggio) e, dovendo ingannare il tempo nell’attesa del treno, ho evitato le sbrilluccicanti gallerie dello shopping per curiosare invece tra gli scaffali della libreria della stazione Termini. Lì mi è fatalmente caduto l’occhio su un volumetto [i] il cui titolo era troppo provocante per resistervi. Si trattava infatti di una vivace traduzione, con testo greco a fronte, di “EIPHNH” (Pace), tra le meno note delle commedie di Aristofane nelle quali ricorre la tematica dell’ostilità di cittadini e contadini, di donne e uomini, alla follia omicida e devastante della guerra.

L’intonazione comico-grottesca delle sue mirabolanti storie non deve ingannarci. La verità incontrovertibile è che già due millenni e mezzo fa il teatro greco affrontava l’assurdità e bestialità della guerra, non solo mettendone in luce gli esiti catastrofici sulle condizioni economiche, sociali e familiari della gente comune, ma anche sferzando impietosamente i volgari interessi di politicanti e mercanti d’armi nel nefasto propagarsi degli eventi bellici.

Aristofane lo faceva a suo tempo e a modo suo, con la satira pungente e le battute oscene tipiche di un genere drammaturgico nato dai culti dionisiaci, in cui la guerra, apportatrice di distruzione e morte (thanatos) era presentata come l’antitesi del godimento amoroso (eros), e della pacifica esistenza di chi produce con fatica e vorrebbe godersi i frutti di quella produzione. Lo schema narrativo delle commedie aristofanee riguardanti la pace è peraltro abbastanza costante, come spiega Albini nella sua introduzione, facendo alcuni esempi.

«Negli Acarnesi, stufo della guerra, Diceopoli manda un uomo-dio a concludergli una pace personale con gli Spartani. Nella Pace, Trigeo sale al cielo su uno scarabeo stercorario per chiedere a Zeus le ragioni del conflitto in corso. Negli Uccelli, Pisetero e Euelpide, disperati per le rissosità e faziosità urbane, fondano una nuova città a mezza strada tra terra e cielo. Nella Lisistrata, sdegnate per il perdurare dello stato di belligeranza, le donne proclamano lo sciopero del sesso…» [ii].

Nella Pace è un contadino attico che compie la sua stravagante ‘missione impossibile’ ascendendo goffamente ad un Olimpo ormai evacuato dalle divinità, dove risiede provvisoriamente solo Ermes. Trigeo, infatti, vuole eroicomicamente riportare sulla terra quella Pace che il gigante Polemos (guerra) aveva recluso in una profonda caverna (allegoria dell’oscurità dell’ignoranza), ostruendone l’ingresso con pesanti massi (gli ostacoli che gli umani frappongono per non far emergere le scomode verità).  Ed è proprio Ermes a spiegargli il motivo del sorprendente esodo degli dei olimpici dalla loro abituale residenza.

«Erano furiosi contro i Greci. Nella loro vecchia sede hanno sistemato il Gigante Guerra e lo hanno autorizzato a far di voi quello che gli piaceva. Loro si sono ritirati nei quartieri alti del cielo: non volevano più vedervi combattere e sentire le vostre suppliche […] Perché vi hanno offerto più volte la pace e voi avete sempre preferito menar le mani […] Di conseguenza non so se rivedrete più la Pace […] Il Gigante Guerra l’ha gettata in fondo ad una spelonca […] e poi l’ha sbarrata con un mucchio di pietre. Così non potrete più riprendervi la Pace» [iii].

Un coro di voci invoca il ritorno della Pace

Lo scambio di battute tra Guerra ed il suo servo Kydoimos (personificazione dell’orrendo frastuono delle battaglie, della confusione e del tumulto, tipici d’ogni scontro armato) offre ad Aristofane l’occasione per puntare il dito contro i generali guerrafondai (l’ateniese Cleone e lo spartano Brasida), i ‘pestelli’ coi quali il gigante vuol “ridurre in polpettone tutte le città[iv]. Da lì parte il Coro, voce dolente di chi fa appello al comune impegno contro l’incombente minaccia di distruzione.

«Ognuno accorra subito, è in gioco la salvezza / ora o mai più, miei Greci, occorre compattezza /Abbandonate i ranghi e la rossa divisa / risplende una giornata ai generali invisa […] Estrarremo la Pace, la dea che è senza eguali / l’amica delle vigne, usando pale e pali» [v].

L’alternarsi delle battute di Trigeo con quelle del Coro sottolinea quindi la bellezza della pace ritrovata, attaccando “chi fabbricando lance e smerciando scudi desidera la guerra per guadagnare di più” ed invitando perciò gli amanti della pace “a darsi da fare”.

L’inevitabile ed eterna contrapposizione tra chi fabbrica falci e chi produce spade emerge con chiarezza, seppure nel tono comico aristofaneo, così come risulta evidente che l’interesse fraudolento di chi semina zizzania ed alimenta i conflitti bellici sarà sempre antitetico a quello di chi coltiva la terra e produce beni. Ed è sempre Ermes a rivelare che una delle abituali armi di Guerra per seminare la paura è la menzogna, la falsificazione, l’inganno. Infatti: «La città, pallida e atterrita, inghiottiva di gusto tutte le calunnie che le venivano gettate…» [vi].

Quando finalmente Trigeo – grazie alla collaborazione di altri volenterosi – riuscirà a liberare Pace dalla grotta in cui Guerra l’aveva segregata, riportandola sulla Terra, la sua riconquista sarà festeggiata da una folla osannante, che così l’implora:

«….Metti fine / a battaglie e tumulti: avrai il nome / di ‘dea che scioglie gli eserciti’ / Blocca i sottili sospetti, son fonte / di male dicerie reciproche. / Rimescola da capo / noi Greci / in un succo di amicizia, / infondi nelle menti / una più mite intesa…» [vii].

L’alternativa alla guerra psicologica di chi falsifica la realtà, semina sospetti ed eccita gli animi, rinfocolando odi e incomprensioni, allora come ora restano dunque gli sforzi per un’intesa reciproca, la mitezza della nonviolenza e la determinazione a recuperare relazioni pacifiche. Ma non è un caso che l’appellativo che Aristofane assegna alla dea Pace è Lisimaca – colei che scioglie gli eserciti, che ci libera dalle battaglie – ricordandoci anche oggi che non esiste pacifismo che non sia antimilitarismo, cioè opposizione ad un intero sistema di violenza istituzionalizzata e glorificata.

Ebbene, ora come allora – come è emerso dai numerosi incontri nel corso dell’EireneFest – ancora una volta tocca a noi liberare Pace dalla spelonca delle mistificazioni, dei sospetti e degli odi alimentati da chi invece ha interessi a nutrire il gigante Guerra. E, ora come allora, i costruttori di pace (eirenopoiòi) devono fare ricorso – insieme e convintamente – alle basi nonviolente della pace: verità, cooperazione, riconciliazione, rispetto della vita e rifiuto di ogni collaborazione con chi persegue il denaro ed il potere a costo della soppressione delle vite e della devastazione ambientale.

Dopo 2400 anni ormai avremmo dovuto capirlo…


[i] Aristofane, Pace, Introduzione e traduzione di Umberto Albini, note di Fulvio Barberis, Milano, Garzanti, 2002

[ii]  Ivi, p. viii

[iii] Ivi, pp. 15-17

[iv]  Ivi, p. 19

[v]  Ivi, pp. 21-23

[vi] Ivi, p. 41

[vii]  Ivi, p. 63


© 2023 Ermete Ferraro

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