PROPOSTE…DISARMANTI

 
Mercoledì scorso ho partecipato all’ incontro caratterizzato da quest’originale titolo, organizzato a Napoli dal “Tavolo Campano per gli Interventi Civili di pace”, in occasione del 29 maggio, in cui si celebra la “Giornata del Peacekeeping”.  Era da un bel po’ che dalla parti nostre non si parlava esplicitamente e qualificatamente di nonviolenza, transarmo, interventi di difesa civile, e non potevo certo mancare a questo appuntamento. E’ stata anche un’occasione per ascoltare interventi molto interessanti (come quello del prof. Pizzigallo della “Federico II” e di Fashid dell’Assopace), per riascoltare la profetica testimonianza di padre Alex Zanotelli, ma anche per incontrare dopo parecchio tempo l’amico e maestro Antonino Drago, che da alcuni anni insegna “Scienze della Pace” all’Università di Pisa e a quella di Firenze.
Le “proposte disarmanti” di cui si è parlato riguardavano in particolare il ruolo dei “Corpi Civili di Pace” (istituiti nel 1991 e confermati nel 2001 dal Parlamento Europeo, ma rimasti lettera morta, fatta eccezione per pochi stati, primo dei quali la Repubblica Federale Tedesca), altre iniziative di formazione alla nonviolenza e la promozione della “Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza” , che partirà fra 127 giorni e cui hanno finora aderito personaggi come Rigoberta Menchù, Evo Morales, Isabel Allende, Josè Saramago, Adolfo Perez Esquivel, Zubin Metha, Arun Gandhi e tanti altri.
Purtroppo non eravamo in molti a quell’incontro e pochi eravamo anche stamane, quando ci siamo visti nella “cappella della pace” di Pax Christi Napoli, per una delle cinque giornate di formazione agli “interventi civili di pace”, finalizzati alla prevenzione e trasformazione dei conflitti. Non è bastato, evidentemente, fare appello alla necessità di approfondire l’addestramento alla soluzione civile e nonviolenta dei conflitti per incuriosire e coinvolgere nuovi soggetti, benché spesso siano già impegnati e attivi in vari campi, dal volontariato alla cooperazione internazionale, dalla educazione alle battaglie per la pace e la salvaguardia dell’ambiente.
La frustrazione che deriva dalle mancate risposte a proposte formative del genere è ovvia, ma – come abbiamo verificato oggi, analizzando modalità e funzioni di uno strumento psico-sociale molto utile per chi si voglia preparare adeguatamente ad un intervento di pace – bisogna superare la naturale delusione e chiedersi quale aspetto del processo abbiamo trascurato o sottovalutato.
Il problema è che c’è troppa gente intorno a noi che ha perso la voglia di formarsi, di confrontarsi e di rivedere le proprie categorie mentali, per cui guarda con diffidenza a questi momenti di analisi e discussione, avvertendoli come una perdita di tempo un po’ accademica, una sovrastruttura teorica inutile o addirittura dannosa, nella misura in cui potrebbe ritardare o condizionare la prassi.
Eppure sappiamo bene, perché ce l’ha insegnato l’esperienza, che l’attivismo spontaneista non porta a risultati efficaci e stabili, se manca un training serio ad interventi alternativi in aree per loro natura conflittuali, che richiedono capacità di ascolto e di analisi della situazioni, ma anche conoscenza di tecniche e strumenti e capacità di gestione delle stesse azioni.
Fare interventi civili di pace, insomma, non può identificarsi con un’operatività volontaristica e velleitaria, ma richiede riflessione, addestramento ed organizzazione. Ovviamente bisogna stare attenti a non cadere nella tentazione opposta: quella, per intenderci, che ha sviluppato a livello internazionale molte esperienze accademiche di peace studies, cristallizzando spesso l’azione per la pace negli stadi della ricerca sulla pace e dell’educazione alla pace e facendola scivolare in una dimensione troppo mentalista e poco funzionale alla pratica.
Da noi in Italia – anche se sono non molti a saperlo – possiamo vantare esperienze coraggiose e qualificate sia di studi sulla pace sia di interventi di pace. Bisogna riprenderle e coordinarle, superando artificiose barriere tra matrici religiose e laiche del pacifismo, tra convinti della nonviolenza e chi non lo è. Bisogna rilanciare un movimento il più possibile unitario, facendo leva su esperienze di azioni civili di mediazione di pace che non rinuncino a diventare qualcosa di meno informale, ma si pongano l’obiettivo di strutturare un’organizzazione realmente alternativa alla difesa armata ed al peacekeeping militarizzato. “Ci sono alternative”, ripetiamo testardamente con Galtung, anche se la pseudo-informazione ed il pensiero unico vorrebbero convincerci del contrario…

ELEGANTEMENTE SEMPLICI

sfrancescoFOL2Sull’ultimo numero di Resurgence” (la bella rivista ambientalista inglese che ospita contributi di studiosi del calibro di Fritjof Capra, James Lovelock, Noam Chomsky, Vandana Shiva…), Satish Kumar – che ne è il direttore – ha scritto un editoriale dal titolo “Elegante semplicità”.
Il nocciolo del problema,  di cui peraltro si occupano vari articoli di questo numero della rivista (254 * May June 2009), è l’esigenza di resistere alla schiavitù delle tendenze e delle mode, considerate giustamente come l’antitesi della sostenibilità, in quanto causa di problemi economici ed ambientali.
Viceversa, argomenta Kumar: “la semplicità è parte della ‘saggezza perenne’ promossa da molti grandi pensatori ed utopisti. […]La semplicità è una qualità positiva: quando le cose sono semplici sono ben fatte, durano indefinitamente, sono fatte con piacere e danno piacere quando sono usate. E’ stato E. F. Schumacher a dire: ‘Qualsiasi stupido può fare cose complicate, però ci vuole un genio per fare cose semplici’…”
Ecco, appunto: siamo effettivamente circondati da pazzi che creano cose e situazioni complicate ed intricate, dalle quali non riusciamo più a liberarci e di cui diventiamo irrimediabilmente schiavi. La moda e la tirannia di ciò che ‘fa tendenza’ sono solo due aspetti di una generale visione distorta della vita e delle sue priorità. Il fatto è che la nostra società, in nome del benessere e della libertà, ha generato mostri che minacciano ogni giorno il nostro benessere psicofisico e ci privano della libertà di essere noi stessi.
La semplicità, osserva Kumar, richiede meno egoismi, complicazioni e preoccupazioni per le apparenze e, invece, più immaginazione e creatività ed una maggiore attenzione alla sostanza delle cose. Naturalmente la maggior parte delle persone sono convinte che una società avanzata e sviluppata debba necessariamente avere certe caratteristiche e che i problemi personali, sociali ed ambientali che abbiamo davanti agli occhi siano soltanto spiacevoli effetti collaterali di un inarrestabile e lineare progresso.
La verità – benché difficile da digerire – è che i nostri attuali stili di vita, orientati al consumismo e a mode effimere, sono oggettivamente alla base della triplice crisi del nostro tempo, che investe non solo l’ambito ecologico, ma anche quello socio-economico e spirituale. Lo sfruttamento intensivo e contro natura delle risorse del nostro pianeta, infatti, provoca catastrofi ambientali, ma è fonte anche di povertà ed ingiustizia e sta minando le basi stesse di una convivenza basata su valori etici che rendano la vita degna di essere vissuta ed impediscano agli esseri umani di sentirsi soli ed infelici.
Non è un caso che le principali religioni stiano ponendo nuovamente al centro del loro messaggio di rinnovamento e di speranza valori come l’umiltà, la semplicità e la sobrietà, indicandoli come il solo antidoto ad una crisi planetaria, ma anche interiore e comunitaria.
“La moderazione non è solo una regola ascetica, ma anche una via di salvezza per l’umanità – ha scritto Benedetto XVI nel Messaggio per la giornata della pace 2009 – E’ ormai evidente che soltando adottando uno stile di vita sobrio , accompagnato dal serio impegno per un’equa distribuzione delle ricchezze, sarà possibile instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile.”
Anche se a molti non piace sentirselo dire, bisogna allora insistere sul fatto che l’attuale crisi di un’economia e di una finanza artificiali e drogate ci sta dando, suo malgrado, la possibilità di non persistere diabolicamente nell’errore, ma di perseguire un’autentica conversione a U, in direzione di un modo di vivere più sano, più giusto e più semplice, riscoprendo la bellezza delle cose naturali e dei rapporti diretti e solidali.
A tal proposito, segnalo che a Napoli è iniziato oggi – e proseguirà fino a domenica 24 – il VI convegno per la formazione e l’impegno sociale dell’O.F.S. (Ordine Francescano Secolare), dedicato significativamente al tema: “Francescanamente per il Bene Comune. Le responsabilità e il contributo della politica”.   
 

VADE RETRO, DECRETINO !

 GAZZELLA UFFICIALE
Ci sono momenti in cui ci si sente talmente depressi che cresce la tentazione di non reagire neppure, di lasciarsi cadere le braccia… Si avverte nell’aria una preoccupante sensazione di crescente imbarbarimento dei rapporti civili e sociali, ma quello che sgomenta di più è la sensazione che ogni cosa, anche la più grave, venga ormai assorbita dal materasso d’indifferenza nel quale sembra che ci siamo distesi, un po’ per pigrizia mentale, un po’ per rassegnazione e conformismo.
L’impressione che se ne ricava è che la vecchia antitesi di Umberto Eco tra “apocalittici” ed “integrati” sia ormai un lontano ricordo per chi, sprofondando sempre più nella melmosa palude di un’acquiescenza imbarazzata ad un sistema apparentemente senza alternative, non si preoccupa nemmeno più di simulare un’opposizione o una parvenza di coerenza tra idee e azioni.
I pochi che,come me, cercano di parlare ancora di decrescita, di energie rinnovabili e pulite, di difesa non armata, di tutela della diversità biologica e culturale, di finanza etica, di partecipazione diretta dei cittadini e di altre tematiche una volta considerate “alternative”, più che “apocalittici” sembrano essere diventati i classici “prophetae clamantes in deserto”.
Eppure non bisogna essere dei rivoluzionari per rendersi conto che ciò che avviene intorno a noi è molto più di una serie di decisioni consequenziali alla scelta politica di fondo che la maggioranza degli elettori italiani hanno fatto, diventando inquilini della “casa delle libertà” e trovandosi ora irregimentati come “popolo della libertà”. Non credo che si tratti solo di normale e democratica alternanza di governi, ma di una preoccupante omologazione della nostra classe politica ad un modello standardizzato di società e di democrazia e, in fondo, ad un pensiero pressoché unico e pervasivo, nella sua devastante banalità.
La cosa più odiosa, dal mio punto di vista, è che questa mutazione genetica della nostra gente – che la sta privando di qualsiasi originalità e specificità culturale ed etico-politica – la sta rendendo di fatto anche incapace di cogliere le profonde contraddizioni tra le decisioni assunte dal governo ed i pretesi “valori” che sarebbero alla base di quelle scelte.
Solo la penetrazione nelle nostre menti del subdolo “bis-pensiero” preconizzato da Orwell più di 60 anni fa, infatti, può spiegare il fatto che in nome della libertà si decidano provvedimenti liberticidi; in nome del progresso si insista su scelte scientificamente e tecnologicamente fallimentari e, in nome della sicurezza e della pace, si vadano ad imboccare strade che portano esattamente dalla parte opposta, alimentando insicurezza e uno stato di guerra infinita.
La marea montante di diffidenza, di paura, di sospetto che sembrerebbe giustificare una serie di provvedimenti palesemente contrari ai diritti umani fondamentali, d’altra parte, è la dimostrazione che gli Italiani si stanno bloccando in un’ottica ristretta e miope, che li porta a chiudere gli occhi sulla perniciosa e supina dipendenza del nostro Paese dai centri di potere mondiali, per aprirli invece sulla presunta “minaccia” derivante da una società multietnica e multiculturale, che peraltro è già una realtà incontrovertibile a livello internazionale.
Rimbambiti dai “talk show” e dal voyeurismo delle fattorie e delle case-del-grande-fratello, sembra infatti che non vogliano accorgersi che il vero “Big Brother” ci spia, ci controlla e ci condiziona ogni giorno e in ogni circostanza, riducendoci a pedine passive di un progetto che prevede l’unica libertà di consumare e di spendere, senza neanche riuscire a garantire che tutto ciò sia reso possibile da un lavoro decente e minimamente stabile e da un ambiente di vita minimamente salubre e sicuro.
Beh, che il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, all’accoglienza e alla partecipazione democratica non stessero di casa nella “casa delle libertà” lo avevamo già capito da un po’. Sarebbe stato legittimo attendersi, d’altra parte, una reazione più apprezzabile e ferma al tentativo di trasformare il nostro Paese in uno stato poliziesco e militarizzato, dove perfino discariche ed inceneritori per smaltire la nostra assurda spazzatura consumistica possono essere imposti “manu militari”. in nome della sicurezza nazionale !
Certo. un po’ tutti lo avevamo già capito che la Carta costituzionale della nostra repubblica non andava a genio ai nostri governanti e perfino a qualche loro predecessore, però non sembrava così scontato che in Italia si potesse calpestare impunemente la Costituzione, le normative ordinarie ed i regolamenti liberamente scelti, in nome di una decisionalità di vertice ed a colpi di decreti, accordi di programma in deroga e commissariamenti straordinari anche di materia ordinarie.
La “prefettizzazione“ della politica sembrerebbe essere la via maestra imboccata dagli ultimi governi per risolvere i problemi dell’ordine pubblico, quelli ambientali e quelli sociali, alla faccia del diritto ad un normale confronto democratico e, ovviamente, di qualunque coinvolgimento reale dei cittadini in decisioni che pur li toccano molto da vicino. Provvedimenti come il respingimento preventivo dei flussi di migranti (clandestini e profughi che siano), l’istituzione di corpi di polizia paralleli a quelli ufficiali e perfino la decisione di ritornare all’infausta opzione nucleare, del resto, possono essere imposti solo bypassando i percorsi legislativi ordinari ed adottando a ripetizione la soluzione dei decreti-legge, meglio ancora se blindati da un voto di fiducia. Non che il dibattito parlamentare risulti molto più esaltante ed edificante… Quello che è certo è che agire per le vie brevi rafforza la sensazione di un esecutivo forte e coeso ed evita anche all’opposizione penosi contorsionismi verbali per raggiungere discutibili mediazioni, anziché dare sul serio battaglia contro questo genere di provvedimenti.
Ma, a quanto pare, qualcosa si sta muovendo. Di fronte all’anticostituzionale decisione governativa di costruire nuove centrali nucleari in Italia, senza il previsto consenso delle Regioni, perfino un personaggio di vertice come il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha dichiarato rabbiosamente: “Credo che dovranno ingegnarsi molto a immaginare le forme di occupazione militare del territorio, perché la ribellione della Puglia sarà rabbiosa e radicale".
Perbacco! Forse qualcuno si sta accorgendo, anche se un po’ tardi, che il preteso “federalismo” del centro-destra è solo un pretesto per arricchire i ricchi ed impoverire i poveri e che militarizzare la politica è già prassi consolidata, ma comunque meglio tardi che mai! Vuol dire che quelli come noi si sentiranno un po’ meno soli a combattere contro la civiltà delle discariche e del nucleare, a contrastare l’imbarbarimento della convivenza civile e ad opporsi alla distruzione programmatica di ogni competenza statale in materie essenziali come la sanità, l’educazione e i servizi sociali.
 Bando quindi alla depressione e cerchiamo di reagire, di resistere, in nome di quei valori che non si contrattano in borsa e che ci costringono a prendere delle decisioni e fare delle scelte. Forse non saremo in tanti o comunque non abbastanza per cambiare le cose, ma facciamo sapere al popolo dei “decretini” che su noi non possono e non potranno mai contare !