FINISCE CHE CI CACCIANO PURE DALLA NATO…!

Sono seriamente preoccupato. Ho letto che l’Italia, dal 2008 al 2009, è passata dall’ottavo al decimo posto nella classifica internazionale delle spese militari. Vabbé, c’è la crisi. Però non era un buon motivo per tagliare proprio sulla difesa, riducendo la sua voce nel bilancio e scendendo a meno di 30 miliardi di euro…!
Eppure ce lo avevano raccomandato, quelli della NATO, di non “tagliare” troppo ! Rasmussen, il segretario generale, era stato chiarissimo a tal proposito. “…tagli troppo pesanti mettono a rischio la sicurezza futura e potrebbero anche avere implicazioni economiche negative”. E invece niente. Per non stare a sentire le solite critiche dei disfattisti, mentre gli USA continuano a fare il loro dovere, spendendo il 4,7% del PIL, noi italiani abbiamo fatto ancora una volta una figuraccia, scendendo al 1,5%, meno ancora della spesa media degli europei, che già non raggiunge il 2% !
Naturalmente i pacifisti hanno trovato da ridire anche su questo. Dicono che le spese militari mondiali – secondo il SIPRI – sarebbero aumentate del 6% rispetto al 2008 e che, nel caso degli Stati Uniti, in nove anni sono aumentate quasi del 50%. Embé, che cosa dovrebbero fare gli USA? Starsene a lesinare sulla spesa militare proprio quando i fronti si aprono da tutte le parti?
La verità è che loro hanno tenuto saldamente il primo posto nelle classifiche mondiali, mentre noi rischiamo di finire in serie B, tra quei paesi sottosviluppati che non sanno investire nella propria sicurezza, mettendo in pericolo anche il nostro sviluppo e la stessa civiltà occidentale…
Finora siamo riusciti almeno a restare nella “top ten”, ma se ci lasciamo andare ancora finisce che ci cacciano pure dalla NATO. E poi, che razza di figura ci facciamo con i nostri ‘cugini’ d’oltralpe, che hanno speso 52,3 miliardi di euro? Perfino l’Arabia Saudita ha speso più di noi (33,8) e, d’altra parte, lo dicono pure i giornali che stiamo diventando dei rammolliti pacifisti, visto che negli stessi nove anni, abbiamo ridotto il nostro budget della difesa del 13,3%…
Dice: nel 2009 ogni italiano, grande o piccolo, ha speso 500 euro a testa per le nostre forze armate.
E che c’è di strano in questo? Cosa volete che siano 500 miserabili euro di fronte alla sicurezza del nostro Paese? Gli americani sborsano ogni anno più di 1700 euro ciascuno e nessuno si permette di dire che è troppo! E poi, si fa presto a dire “taglia”… Lo ha detto pure il ministro La Russa che non può mica tagliare sul personale della difesa, e allora finisce che la scure si abbatte sugli investimenti e sulle spese indispensabili. Che dite? Che è stato previsto di mandare a casa 130 mila insegnanti nei prossimi tre anni? E fanno bene! Che ce ne facciamo di tutti questi sedicenti maestri, che accampano solo diritti e che stanno sempre a lamentarsi per questo e per quello? Quello che è certo è che quest’anno stiamo scendendo a poco più di 20 miliardi, cioè appena l’1,3% del bilancio attuale, e c’è chi vorrebbe ancora protestare…! Se non si può ridurre il personale della difesa (appena 185mila uomini e donne, quelli sì che meritano il nostro grazie…) va sicuramente a finire che si dovrà tagliare sugli armamenti. Già li sento i soliti antimilitaristi del cavolo! “Vuol dire che non compreremo più i 131 cacciabombardieri F35 che costano tanto alle casse dello Stato”. Ma di che cosa blaterano quei cretini? Si tratta solo di 13 miliardi e mezzo di euro, da pagare entro il 2016 in comode rate. Mica possiamo andare in giro con i vecchi caccia dell’ultima guerra, che diavolo!
E dire che nel 2009 noi italiani abbiamo fatto invece un’ottima figura con l’industria bellica, visto che le esportazioni di armi italiane sono aumentate del 61% per un valore di 4 miliardi e 900 milioni, grazie anche alle banche che hanno investito saggiamente nel futuro di un’Italia forte!
Bah, meno male che c’è stata la parata militare del 2 giugno e abbiamo potuto rifarci un po’ gli occhi con la sfilata dei nostri bravi soldati ! Oddìo, li chiamiamo soldati, ma effettivamente c’è qualcosa di vero nel fatto che 90 mila militari su 185 mila oscillano fra il grado di generale e quello di sottufficiale. Ma, in fondo, che c’è di strano se abbiamo delle forze armate che per metà sono fatte di comandanti ? Vuol dire che sono un personale molto qualificato, anche se vanno dicendo che soltanto 25 mila uomini sono realmente preparati ed operativi per le missioni di pace che svolgiamo all’estero. E poi, basta con questa vecchia storia dei 40 mila marescialli non qualificati che restano nelle caserme! La colpa è solo di chi per decenni ha voluto demagogicamente l’ “esercito di popolo”, mentre ora abbiamo decisamente cambiato rotta e, non per vantarci, facciamo la nostra figura sui principali scenari di guerra…cioè di ‘ristabilimento della pace’. E per questo non facciamoci mettere sotto dai disfattisti di sempre e gridiamo a una voce: “Viva i Bersaglieri!”
(C) 2010 Ermete FERRARO

“ALLAHU AHBAR” !

gheddafi 
Cerco d’immaginare cosa pensava il nostro beneamato Capo del Governo mentre l’altro giorno, tutto impettito accanto al Raìs avvolto nella galabeya color caki, ascoltava la fanfara intonare, dopo “Fratelli d’Italia”, l’inno nazionale libico “Allahu ahbar”.
Chissà se gli sarà passato per la testa, occupata da ben altri pensieri, di chiedere a qualcuno la traduzione di quella composizione, a metà fra la marcia trionfale dell’Aida ed un inno religioso, al punto tale da intitolarsi con la solenne invocazione con la quale inizia l’orazione di ogni buon musulmano: “Dio è grande”. Oddìo, Berlusconi si trovava lì a Tripoli, irrigidito accanto a Gheddafi, non certo per approfondire aspetti culturali o musicali, ma solo per ribadire solennemente l’accordo italo-libico di un anno fa. Ma se la sua mente avesse potuto per un attimo pensare ad altro che ai business  che questo accordo comporta, avrebbe forse compreso anche meglio l’importanza storica della sua “missione”. 
Per carità, tutti gli inni nazionali sono un imbarazzante impasto di retorica nazionalista e bellicista, compreso naturalmente il nostro, con i suoi “elmi di Scipio”, le sue “coorti” dove si stringe gente “pronta alla morte”ed i suoi “bimbi d’Italia chiamati Balilla”, misti ad echi storici, da Legnano ai Vespri siciliani. Sta di fatto che l’inno libico è ancora più esplicito nella sua proclamazione fideistico-nazionalista, soprattutto in alcuni passaggi del testo, dove Allah viene tirato in ballo come colui che “sta al di sopra degli inganni degli aggressori”, essendo “il miglior aiuto per gli oppressi”. Ecco perché il popolo “difenderà il suo Paese con la fede e con le armi”.
L’inno prosegue così: “L’esercito nemico sta giungendo / con l’intenzione di distruggermi / Io lo combatterò con la fede e con le armi / e se sarò ucciso, lo porterò alla morte con me…!”.  Il testo si chiude con un altro appello contro il “nemico”, poiché “Allah è al di sopra del minaccioso invasore”.
Beh, se per caso Allah si distraesse un po’ dalla sua funzione di protezione contro i nemici, sta di fatto che da molti anni ci sta pensando Gheddafi ad accumulare quelle “armi” che l’inno nazionale libico pone non a caso accanto alla fede… Come si dice: fidarsi è bene, ma con missili, elicotteri, tank, cannoni e bombardieri le cose vanno meglio!
Ecco perché l’attuale governo (come già accaduto nel recente passato…) si sta adoperando un sacco per agevolare il lucroso affare della vendita alla Libia di armamenti leggeri e pesanti, sia per difendere il suo suolo dagli “aggressori” e dai “minacciosi invasori” che vorrebbero “distruggerla”, ma anche per consentire ai nostri amici libici di realizzare a loro volta qualche affaruccio, rivendendo a vari stati africani in guerra vecchi kalashnikov ed altre armi di seconda mano.   Il documentato servizio pubblicato da l’Espresso chiarisce questo “doppio gioco” che vede un bel po’ di nostri connazionali fare i piazzisti di armi, alimentando i bagni di sangue nel continente africano e consentendo al regime libico di esigere laute tangenti su questi affari.
Ma non è tanto la cosiddetta “tangentopoli a Tripoli” dell’articolo di Gianluca de Feo e Stefania Mau che ci scandalizza di più – abituati come siamo alle nostre – quanto l’intreccio fra questo infame commercio di morte e la sciagurata vicenda del ping-pong d’immigrati “clandestini” fra Libia ed Italia. L’organizzazione libica più importante che dovrebbe difendere i diritti umani di questa povera gente, assistendo gli immigrati che transitano per la Libia, ha per presidente un tizio che sembra aver fatto da intermediario alle frequenti spedizioni di armi dall’Italia verso quel paese, ma con destinazione effettiva altri stati africani in guerra…
“Allah è il miglior aiuto per gli oppressi!” – proclama l’inno libico – e non possiamo che essere d’accordo, visto che resta forse l’unica loro speranza, dal momento che essi – immigrati e profughi compresi – non possono aspettarsi un grande aiuto dal regime di Gheddafi, dalle politiche di “respingimento” in salsa leghista e dagli stessi organismi internazionali per i rifugiati, che spesso brillano per la loro inettitudine pratica…
Sì, “Allah è grande”, ma la rivoltante ipocrisia dei nostri politici sembra ancora più grande!

PROPOSTE…DISARMANTI

 
Mercoledì scorso ho partecipato all’ incontro caratterizzato da quest’originale titolo, organizzato a Napoli dal “Tavolo Campano per gli Interventi Civili di pace”, in occasione del 29 maggio, in cui si celebra la “Giornata del Peacekeeping”.  Era da un bel po’ che dalla parti nostre non si parlava esplicitamente e qualificatamente di nonviolenza, transarmo, interventi di difesa civile, e non potevo certo mancare a questo appuntamento. E’ stata anche un’occasione per ascoltare interventi molto interessanti (come quello del prof. Pizzigallo della “Federico II” e di Fashid dell’Assopace), per riascoltare la profetica testimonianza di padre Alex Zanotelli, ma anche per incontrare dopo parecchio tempo l’amico e maestro Antonino Drago, che da alcuni anni insegna “Scienze della Pace” all’Università di Pisa e a quella di Firenze.
Le “proposte disarmanti” di cui si è parlato riguardavano in particolare il ruolo dei “Corpi Civili di Pace” (istituiti nel 1991 e confermati nel 2001 dal Parlamento Europeo, ma rimasti lettera morta, fatta eccezione per pochi stati, primo dei quali la Repubblica Federale Tedesca), altre iniziative di formazione alla nonviolenza e la promozione della “Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza” , che partirà fra 127 giorni e cui hanno finora aderito personaggi come Rigoberta Menchù, Evo Morales, Isabel Allende, Josè Saramago, Adolfo Perez Esquivel, Zubin Metha, Arun Gandhi e tanti altri.
Purtroppo non eravamo in molti a quell’incontro e pochi eravamo anche stamane, quando ci siamo visti nella “cappella della pace” di Pax Christi Napoli, per una delle cinque giornate di formazione agli “interventi civili di pace”, finalizzati alla prevenzione e trasformazione dei conflitti. Non è bastato, evidentemente, fare appello alla necessità di approfondire l’addestramento alla soluzione civile e nonviolenta dei conflitti per incuriosire e coinvolgere nuovi soggetti, benché spesso siano già impegnati e attivi in vari campi, dal volontariato alla cooperazione internazionale, dalla educazione alle battaglie per la pace e la salvaguardia dell’ambiente.
La frustrazione che deriva dalle mancate risposte a proposte formative del genere è ovvia, ma – come abbiamo verificato oggi, analizzando modalità e funzioni di uno strumento psico-sociale molto utile per chi si voglia preparare adeguatamente ad un intervento di pace – bisogna superare la naturale delusione e chiedersi quale aspetto del processo abbiamo trascurato o sottovalutato.
Il problema è che c’è troppa gente intorno a noi che ha perso la voglia di formarsi, di confrontarsi e di rivedere le proprie categorie mentali, per cui guarda con diffidenza a questi momenti di analisi e discussione, avvertendoli come una perdita di tempo un po’ accademica, una sovrastruttura teorica inutile o addirittura dannosa, nella misura in cui potrebbe ritardare o condizionare la prassi.
Eppure sappiamo bene, perché ce l’ha insegnato l’esperienza, che l’attivismo spontaneista non porta a risultati efficaci e stabili, se manca un training serio ad interventi alternativi in aree per loro natura conflittuali, che richiedono capacità di ascolto e di analisi della situazioni, ma anche conoscenza di tecniche e strumenti e capacità di gestione delle stesse azioni.
Fare interventi civili di pace, insomma, non può identificarsi con un’operatività volontaristica e velleitaria, ma richiede riflessione, addestramento ed organizzazione. Ovviamente bisogna stare attenti a non cadere nella tentazione opposta: quella, per intenderci, che ha sviluppato a livello internazionale molte esperienze accademiche di peace studies, cristallizzando spesso l’azione per la pace negli stadi della ricerca sulla pace e dell’educazione alla pace e facendola scivolare in una dimensione troppo mentalista e poco funzionale alla pratica.
Da noi in Italia – anche se sono non molti a saperlo – possiamo vantare esperienze coraggiose e qualificate sia di studi sulla pace sia di interventi di pace. Bisogna riprenderle e coordinarle, superando artificiose barriere tra matrici religiose e laiche del pacifismo, tra convinti della nonviolenza e chi non lo è. Bisogna rilanciare un movimento il più possibile unitario, facendo leva su esperienze di azioni civili di mediazione di pace che non rinuncino a diventare qualcosa di meno informale, ma si pongano l’obiettivo di strutturare un’organizzazione realmente alternativa alla difesa armata ed al peacekeeping militarizzato. “Ci sono alternative”, ripetiamo testardamente con Galtung, anche se la pseudo-informazione ed il pensiero unico vorrebbero convincerci del contrario…