(8) THE END…

(8) E anche il viaggio di quest’anno volge al termine, dopo l’intensa settimana di questo tour padano. La mattinata trascorre nella visita dei monumenti di Pisa che ieri abbiamo solo potuto guardare di sfuggita e dall’esterno. Non vorremmo partire tardi, ma la visita delle meraviglie biancheggianti di Piazza del Miracoli non può iniziare prima delle 10,00 e ci tocca aspettare nell’assolato ed enorme piazzale, facendo un giro obbligatorio, come i tanti altri turisti, per le bancarelle di souvenirs, tra equivoche torri che spuntano da mutande-ricordo e simpatiche t-shirt con l’immagine dell’Homer Vitruviano, ma anche in mezzo a borse e stendardi con lo stemma di Pisa, bicchieri e tazze rigorosamente pendenti ed altra paccottiglia-ricordo. Data l’ora, riusciamo a visitare per bene solo l’interno della splendida cattedrale, con la sua facciata marmorea con varie sfumature di marmo bianco e gli archetti che ricorrono un po’ dovunque, dalla stessa Torre pendente all’imponente Battistero. Questi ultimi ci limitiamo ad osservarli nella loro architettura esterna, come pure il Camposanto che completa la collana di perle di questa città schiva ed un po’ superba, ma poi dobbiamo risalire in auto e riprendere la marcia verso sud. Tornati al casello di Firenze, imbocchiamo l’autosole e da quel momento non c’è più storia, ma solo un nastro d’asfalto che corre nella verde campagna toscana e poi tra le colline umbre e quelle dell’alto Lazio, dove c’imbattiamo in un’improvvisa pioggia.  Al rientro a Baia Murena il contachilometri ne segna un totale di 1.800, nei sette giorni e mezzo di questa scorribanda padana trascorsi molto piacevolmente e ricchi di sensazioni e ricordi, alcuni dei quali ho cercato di fermare in questo diario di bordo. L’impressione generale che ce ne rimane è quella di uno stile di vita più sereno e meno convulso di quello cui ci siamo purtroppo abituati dalle nostre parti e di un comprensibile orgoglio per le proprie radici storiche e comunitarie, molto più profondo e sentito delle sciocche sovrastrutture in stile leghista che qualcuno vorrebbe che contrassegnassero le regioni della cosiddetta Padania. La verità è che il Veneto è il Veneto, così come l’Emilia-Romagna o la Lombardia sono realtà a se stanti, con il loro intreccio di storia, di arte ma anche di civiltà e di tradizioni civiche. Del resto anche lì non mancano problemi e qualche carenza (ad esempio nella manutenzione stradale oppure nella davvero ridotta raccolta differenziata dei rifiuti, con grande spreco di materie prime soprattutto nelle zone più turistiche…), ma quello che emerge è la dimensione media delle città ed un profondo senso della collettività e della cooperazione, che da noi continuano a mancare. Certo, si tratta di banalità e di osservazioni forse troppo ovvie, ma una cosa è leggere le analisi altrui ed altro immergersi, sia pure per breve tempo, in una determinata realtà ed assaporarne le diversità. Ecco: ora è proprio tutto e quello che aspetta me e la mia famiglia è un altro paio di settimane al mare, amorevolmente circondati dalle amiche delle mie figlie, che non ci faranno mancare la compagnia in questo scorcio finale dell’estate 2009… Anzi, adesso che ci penso, potremmo anche noi aprire un piccolo "bed & breakfast" casalingo, prolungando in qualche modo questa settimana di viaggio. Ritrovando al nostro ritorno a Baia Murena il nostro micio, Birillo, affidato in questo frangente alle amorevoli cure di una cortese vicina, ad Anna è venuto in mente anche il nome per questo B&B: "Al gatto bianco" …..

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(7) BASILICHE E TORRI

(7) Mercoledì 12: ultimo giorno di permanenza a Venezia, con la sensazione di avere ancora troppe cose da vedere e troppo poco tempo per farlo. Dopo il breakfast all’albergo, tra l’ipotesi di girare ancora un po’ per la città e quella di scendere subito in picchiata verso sud, un po’ per caso e un po’ per accontentare Anna decido di optare per una terza soluzione. Imbocco infatti la superstrada che, dopo 35 chilometri lungo la ridente campagna patavina e la riviera del Brenta – costellata di splendide ville biancheggianti tra il verde – ci porta a Padova. Entrati in città, delle grandi cupole tondeggianti ci fanno credere di esserci approssimati alla Basilica del Santo e, lasciata l’auto al parcheggio, ci avviciniamo alla facciata. Scopriamo però che si tratta di un altro imponente santuario, dedicato a Santa Giustina ma racchiudente, in uno degli altari della vasta navata, nientedimeno che la preziosa teca col corpo di San Luca. La testa l’evangelista, purtroppo, l’aveva già persa da molto tempo, essendo stata donata a non so quale Imperatore d’Austria, che la fece collocare nella cattedrale di Praga… Raggiungiamo a piedi, qualche centinaio di metri più avanti, l’orientaleggiante, celeberrima, struttura della Basilica di Sant’Antonio, la cui grandiosa struttura è caratterizzata dalla grande cupola seduta stranamente proprio sopra la facciata. C’immergiamo in reverente silenzio nel santuario antoniano, circondati da centinaia di devoti turisti provenienti da tutte le parti del mondo. La chiesa è bellissima, ma l’interesse dei visitatori è prevalentemente religioso, più che artistico, e converge verso il cuore della Basilica, la cappella absidale con le preziose reliquie del grande predicatore francescano, il cui cadavere risulta però stranamente dissezionato in tante parti, fra cui la famosa "lingua", simbolo della sua evangelica e miracolosa eloquenza. Sul lato destro della navata, invece, c’è la cappella con l’urna che ne contiene le spoglie mortali, lì collocate dopo una recente ricognizione e traslazione. Una volta usciti nel bel chiostro del santuario – dove si trova il book-shop e la rivendita dei pii ricordini antoniani, nonché lo stand del diffusissimo "Messaggero di Sant’Antonio" – Irene riesce perfino qui a trovare appagamento alla sua esaltazione pausiniana. Sullo scaffale, infatti, occhieggia il volto della diva Laura dalla prima pagina del numero di maggio dell’edizione inglese della rivista (The Messenger of St. Antony), che le ha dedicato un’ampia intervista.  Dopo la fila per procurarmi questo prezioso ed inaspettato "santino", concludiamo il nostro breve pellegrinaggio antoniano e ci dirigiamo lestamente al vicino Orto Botanico. Non è che questa meta entusiasmi moltissimo la figliolanza, ma le ragazze hanno modo di ricredersi una volta dentro questo bel giardino scientifico dell’antichissima università, che racchiude essenze di tutti i tipi, dalle piante medicinali a quelle carnivore, dagli alberi secolari alle piantine di mentuccia. La parentesi botanica è interessante e gradevole – anche se il nostro Orto napoletano non ha nulla da invidiare a quello patavino – ma non possiamo prolungarla oltre un’oretta. Ci tocca, infatti, procurarci dei saporiti panini e dei dolci locali un po’ fiacchi, che ci consentono di rifocillarci e di ripartire, lasciando la Padania per raggiungere la Toscana via autostrada, ripassando per Bologna e scendendo poi a Firenze. L’idea è quella – forse suggeritaci inconsciamente da un entusiamo per le repubbliche marinare – di fermarci a Pisa, deviando un po’ dall’Autosole e spingendoci verso la gradevole costa tirrenica, pur evitando accuratamente le mete turistiche balneari come le celeberrime perle della Versilia. Una volta a Pisa, non avendo prenotato, prendiamo due stanze in un simpatico albergo, distante solo qualche centinaio di metri dalla fantastica Piazza dei Miracoli. Nel frattempo, Anna è stata colta da uno dei suoi malori – frutto di qualcosa di un po’ indigesto, del caldo e dello stress del viaggio – e si abbatte sul letto, in preda a nausea e mal di testa, sancendo la fine della giornata turistica, peraltro giunta a tarda ora. Restiamo per un po’ mestamente a farle compagnia, ma poi un vago appetito s’impadronisce di noi (ovviamente non di Anna e di Laura, ancora di malumore per il taglio brusco alla visita veneziana) e quindi Irene, Chiara ed io ci dirigiamo verso il fulcro monumentale di una città peraltro piuttosto insipida e solitaria. Giungiamo nella fatidica piazza proprio in tempo per osservare e fotografare (come centinaia e centinaia di turisti, fra cui molti spagnoli, cinesi e francesi…) quelle tre meraviglie architettoniche di marmo bianco, che troneggiano sui prati verdissimi e che, alla luce del sole che tramonta, assumono bellissime sfumature dorate e rosate. Schiviamo un folto nugolo di "vucumprà" africani, che fuggono a gambe levate con le loro mappatelle di articoli taroccati, seguiti lentamente da una gazzella della Finanza e pronti a riprendere posizione subito dopo… Questo ci fa sentire subito a casa nostra e continuiamo a gironzolare per la piazza, con uno sguardo privilegiato alla celeberrrima Torre pendente, replicata in un numero incredibile di souvenirs lungo l’ininterrotta fila di botteghe, nelle fogge più assurde, alcune di pessimo gusto. Mi rifiuto decisamente di emulare le centinaia di visitatori, che si lasciano immortalare in improbabili pose plastiche, fingendo di reggere la torre ma componendo solo un esilarante quadro di follia, e mi limito a qualche tradizionale scatto con le ragazze. Ceniamo poco più avanti, in una trattoria affollata ma non degna di menzione, cercando comunque di tenerci leggeri per non fare compagnia ad Anna a boccheggiare sul letto…

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(6) UNA GIORNATA…SERENISSIMA

(6) Oggi, martedì 11 agosto, ricorre l’onomastico della nostra Chiara che, oltre agli auguri, si aspetta un regalo. Ma Venezia offre quasi esclusivamente botteghe di artigianato e non certo negozi di giocattoli o vIdeogiochi, per cui non sarà facile accontentarla. Il bus ci riporta, dopo colazione, all’affollato Piazzale Roma, dove però decidiamo di lasciar stare la traversata via mare e c’immergiamo nuovamente nel dedalo di calli già farcite di turisti a caccia di scatti originali, compresi alcuni giapponesi che fotografano perfino i cestini dei rifiuti. Prosegue così la viacrucis delle soste davanti a murrine e cornici, orecchini e vasi di cristallo, in una mattinata decisamente splendida e con un po’ di gradevole ventilazione. Una diversione all’itinerario scandito dai cartelli indicanti San Marco ci porta ad assaporare l’originale ed assai tipica atmosfera del celebre Ghetto, tuttora abitato da molti ebrei veneziani, che gestiscono cartolerie, gioiellerie e ristoranti rigorosamente kosher. Per il quartiere si aggirano turisti, ma soprattutto barbuti esponenti della comunità con kippàh e filatteri, oppure con incredibili soprabiti neri e cappelli a larghe falde. Il nostro giro termina in una larga piazza, dove si affaccia fra l’altro la sinagoga ed il museo della cultura ebraica, che visitiamo incuriositi, anche se Anna è già un’esperta in materia, avendo fatto più volte una visita didattica alla sinagoga napoletana.   Il pesce fresco esposto sui banchi fuori del Ghetto – intorno al quale si aggirano sfacciatamente i gabbiani – ci riporta all’atmosfera lagunare. Continuiamo ad attraversare i ponti, fino a quello, incantevole, di Rialto, dove decidiamo di fermarci anticipatamente in un grazioso ristorante con vista sul ponte, per pranzarvi con spaghetti allo scoglio, calamari alla veneta con polenta ed un’insalatona verde. Un caffè ci rimette in piedi, per proseguire fino al cuore della Serenissima, dove ritroviamo le frotte di stranieri, i piccioni, i camerieri in divisa di gala, i venditori di cappelli da gondoliere e tutto quel colorito e un po’ buffo mondo che si muove convulsamente dentro una cornice così millenaria e solenne. L’obiettivo è visitare finalmente il Palazzo Ducale, andando dietro la meravigliosa facciata marmorea e traforata per scoprire una residenza incredibilmente grande e maestosa, sede di quei Dogi che costituivano solo il vertice simbolico di un’oligarchia terribilmente chiusa, rissosa e priva di scrupoli. Lì tutto ha la grandiosità sfarzosa di quella strana repubblica di nobili ed imprenditori miliardarI del tempo, per i quali l’arte – si trattasse di pittura, scultura o di architettura – era solo un modo per garantirsi l’immortalità ed un alone di magnificenza. Percorriamo, sempre pià assetati e defatigati, le decine di saloni affrescati o arricchiti da bellissime tele del Tintoretto, del Bassano e di tanti altri artisti della scuola veneta, accanto ai quali spiccano anche alcuni allucinati quadri di Bosch. Lasciamo sale con mappamondi e carte geografiche antiche per entrare nel cuore dell’occhiuto ed autoritario potere della Serenissima: il salone del governo dogale, quello del Senato e, davvero enorme e splendidamente ornato da cicli di tele a tema, quello del Maggior Consiglio. Mescolati a biondissimi ragazzi inglesi e discrete turiste arabe col velo, a vocianti gruppi di spagnoli ed a famigliole tedesche, anche noi seguiamo l’itinerario previsto, giungendo nei saloni scintillanti di corazze, spade, scimitarre turche, lance e antichi archibugi ed infine nelle cupe ed umidissime prigioni, dove migliaia di condannati dai tribunali segreti della Repubblica giungevano, attraverso il celebre Ponte dei Sospiri, per terminare la propria vita segregati in una ventina di metri quadrati di cella, spesso dopo atroci torture. Usciamo dal palazzo dei Dogi decisamente provati, fra l’altro in un orario che non consente di visitare molto altro, dato che alle 18 chiudono musei e gallerie, fra cui quella dell’Accademia, cui dobbiamo rinunciare. Sarà la stanchezza oppure la sensazione di trovarsi ormai sulla via del ritorno, ma il clima tra noi non è proprio…serenissimo. Laura vorrebbe imbarcarsi, per tornare al mitico Lido o andare a Murano, mentre Irene è un po’ stufa e vorrebbe far ritorno in albergo. Chiara è palesemente insoddisfatta di aver trascorso l’onomastico in una delle poche città dove non si vede neanche l’ombra di giocattolai, ma anche Anna comincia a risentire sensibilmente del viaggio. Ci rinfreschiamo un po’ con gelati e granite e un po’ di frutta, passeggiando lungo le procuratie e sostando in un verde giardinetto dietro la piazza. Dopo una specie di referendum, che ovviamente scontenta Laura, decidiamo di fare ritorno lento pede al piazzale Roma, cambiando però itinerario e cercando di scoprire nuovi pittoreschi angoli di questa fantastica città a mollo. Ci riusciamo solo in parte, ma tanto ci basta per osservare nuovi spazi di Rialto, dove c’imbattiamo nella chiesa di Santa Lucia, che custodisce reverentemente il corpo della martire siracusana. Carichi di pacchettini con nuovi regali, raggiungiamo poi i Frari, ove troneggia il grandioso convento francescano e, a poca distanza, spicca lo splendido complesso di San Rocco, con gli affreschi dell’omonima ‘scuola’.  Nella vasta piazza, sfiniti, prendiamo posto ai tavoli all’aperto di un ristorante cinese, anticipando anche la cena con zuppe agrodolci, pollo ai pinoli e maiale alle verdure piccanti, innaffiate da birra cinese, tè cinese e acqua veneziana, per spegnere gli ardori del cibo… Ci trasciniamo, decisamente appesantiti dal pasto, per l’ultimo tratto che ci separa da piazzale Roma, giusto in tempo per salire sul bus della linea per Padova. Purtroppo il percorso è diverso, e vi trascorriamo un bel po’ di tempo, attraversando anche la vivace Mestre, prima di tornare a Marghera, dove le nostre camere ci accolgono, sfatti ed un po’ nervosi. La materia del contendere, infatti, riguarda il da farsi domani mattina: tornare a Venezia , per cercare di visitare altri monumenti e gallerie, oppure dirigersi decisamente fuori del capoluogo, in direzione di Padova o di altra città intermedia per spezzare il lungo ritorno? Comunque siamo troppo stanchi per discutere e perciò la decisione è rinviata a domani.

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(5) DA FERRARA A VENEZIA

(5)  Il risveglio a Ferrara, nel silenzio di questa città vivace ma al tempo stesso placida, ci porta a fare colazione ed uscire subito per un rapido giro dei principali monumenti. Purtroppo sono tutti chiusi di lunedì, per cui non ci resta che percorrere le singolari strade lastricate con pietre di fiume e che proprio un alveo sono periodicamente diventate, in occasione delle frequenti piene di Po. Ne rende testimonianza l’originale "padometro". vera e propria storia tangibile di una città che, secolo dopo secolo, si è trovata invasa dalle acque del fiume, come nell’ultimo, tragico, episodio della piena nel Polesine del 1951. Il tempo è molto bello e un venticello rende ancora più gradevole la passeggiata, che inizia col Palazzo Comunale e prosegue al maestoso Castello Estense. Percorriamo poi le strade ancora deserte in direzione del magnifico Palazzo dei Diamanti, con la sua originale facciata in bugnato ed il silenzioso cortile verde. Diverse decine di immigrati – che attendono davanti alla questura per il rinnovo del visto di soggiorno – costituiscono l’unica isola di voci nel silenzio della città, dove continuiamo ancora un po’ ad ammirare chiese e nobili palazzi della corte estense, passando anche davanti alla casa di Ludovico Ariosto. Le valigie e le borse vengono nuovamente inghiottite dal capace bagagliaio della ‘Fabia SW’ e ripartiamo alla volta di Venezia, utilizzando nel tratto finale l’autostrada Bologna-Padova e quella che porta appunto alla città lagunare. Grazie alle indicazioni ricevute all’info-point, raggiungiamo abbastanza agevolmente Marghera, dove abbiamo prenotato in un simpatico hotel di questa ordinata e tranquilla periferia industriale. Nonostante la crisi, che si fa sentire anche qui, Venezia è infatti di nuovo al top del flusso turistico e percorrere calli e canali significa immergersi in una vivace babele linguistica ed etnica. Ce ne accorgiamo appena scesi dal bus a Piazzale Roma, dove migliaia di spagnoli, cinesi, inglesi etc.attendono d’imbarcarsi sul suggestivo (ma costoso…) traghetto per San Marco. Su Venezia si sono dette troppe cose per non risultare banali, ma è impossibile non parlare dell’incanto di questa incredibile e un po’ assurda città, dove chiese e palazzi si specchiano nelle acque della laguna, solcate da motoscafi e dalle solite gondole. Il tempo si è fermato come in una magia da fiaba, e grasse tedesche, vocianti ispanici e velate iraniane si trovano immersi dentro un quadro di Canaletto… Sembra quasi di avvertire il sorriso benevolo, ma un po’ beffardo, di questa millenaria Città, che riesce a digerire ogni anno centinaia di migliaia di turisti da tutto il mondo, restando impassibile e distaccata, immersa nei ricordi della sua gloriosa storia di repubblica marinara, quando Venezia dominava i commerci con l’Oriente e scopriva il fascino dell’impero cinese, guerreggiava con i Mori e s’imponeva sulla stessa Bisanzio. Piazza San Marco è un esempio classico di questa cartolina senza tempo, dove anche noi ci siamo immersi, restando incantati a guardare ed a fotografare gli ori della facciata della Basilica, con le sue cupole orientali; il fantastico campanile, la torretta dell’orologio con i classici mori e la prospettiva eccezionale delle procuratie, che delimitano questo straordinario pezzo di storia dell’arte. I leoni alati osservano divertiti le migliaia di turisti, abbigliati nelle fogge più strane, ma con in testa, rigorosamente, pagliette da gondoliere o berretti da improbabili capitani di lungo corso. Valzer viennesi e suoni jazz, provenienti dagli storici caffé della piazza, accompagnano chi gira sudato per la piazza, scattando foto in mezzo ai piccioni o seguendo agguerriti capi-carovana con ombrellino e microfono regolarmentari. Dopo aver visitato la Basilica, c’immergiamo quindi nel dedalo di calli e campielli, ponti e ‘salizzade’ che costituiscono il classico itinerario pedonale da San Marco a Piazzale Roma. Si tratta di vari chilometri, percorsi a naso in su per ammirare le facciate in gotico fiorito, ma anche con interminabili e defatiganti soste davanti alle centinaia di botteghe di artigianato locale. Come si fa, in effetti, a non soffermarsi davanti a mille articoli in vetro di Murano, alle maschere carnevalesche, ai gioielli ed ai bicchieri di cristallo? Come si può impedire a chi ci passa davanti di scegliersi i regalini per amici e parenti, ripartendo ogni volta con un fragile pacchetto in più e con qualche decina di euro in meno? Non si può, ovviamente, ed anche noi compiamo il nostro rito, non trascurando però di visitare qualche chiesa e di ammirare i ricami in marmo dei palazzi. Il tempo è poco e, all’approssimarsi di un improvviso temporale, ci rifugiamo dentro un McDonald’s (ebbene sì…) dove consumiamo avidamente una cenetta a base di Big Mac, crocchette di pollo e patatine, innaffiata da secchielli di coca e sprite. Nel frattempo la pioggia si è intensificata, cogliendoci senza gli ombrelli, per cui l’ultimo tratto da Rialto alla stazione ferroviaria lo percorriamo a gran velocità, in mezzo a tuoni spaventosi che echeggiano nella laguna. I due ombrelli acquistati per strada di consentono di giungere non troppo bagnati al piazzale, dove attendiamo il bus che ci riporta infine a Marghera, per un sonno ristoratore.

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(4) ESTESI PAESAGGI E BICI ESTENSI

(4) Le buone torte e le altre possibilità dolci e salate per la colazione, messe a disposizione degli ospiti, ci aiutano a riprendere energia per la tappa di oggi, domenica 9 agosto. Lasciamo Ravenna dirigendoci verso il porto ed il litorale, piatto e fittamente industrializzato, fino a raggiungere i lidi-nord di Marina. A dire il vero la vicinanza di un polo petrolchimico non è l’ideale per farsi un bagno, ma la spiaggia – una distesa enorme di sabbia fine con una pineta sullo sfondo – c’incoraggia a prendere ombrellone e lettini per una mattinata balneare. Il sole è già forte e l’umidità decisamente alta, per cui è molto piacevole immergersi nelle acque di questo Adriatico più ruspante, rispetto a quello della costiera riminese. Oddìo, immergersi non è proprio il termine giusto: ci esibiamo infatti in una miracolosa camminata sulle acque basse e, a qualche chilometro dalla spiaggia, riusciamo finalmente a fare una nuotata ristoratrice. Segue rituale spaparanzata per abbrustolirsi al sole e colazione a base di buoni pianini imbottiti, innaffiati da tè verde. Il ristoro dura poco, perché dopopranzo ci tocca rivestirci ed affrontare l’afa per il nuovo tratto da percorrere in questa incredibile "pianura piadina", una piatta ed interminabile distesa di campi di mais, di risaie e di frutteti. Siamo infatti nella fertile zona del delta del Po ed attraversiamo rapidamente Comacchio in quel paesaggio monotono ed assolato, dove la strada sarebbe fin troppo dritta, ma qualcuno ha provveduto a movimentarla ogni tanto con inutili rotatorie (o ‘girotondi’, come le chiamano da queste parti), alcune delle quali smistano surrettiziamente verso centri commerciali. Il tratto finale – costellato di allegri persiceti – ci porta a Ferrara, la bellissima città estense che ci ospiterà per questa quarta tappa. Al nostro arrivo, è ancora un po’ addormentata ma non ci è difficile trovare un albergo dove pernottare e, al momento, per rinfrescarci e riposarci un po’. Il guaio è che di domenica pomeriggio è ormai impossibile visitare musei, palazzi storici e gallerie della città immortalata dal Tasso, per cui non ci resta che entrare nel meraviglioso Duomo dalla facciata tripartita, girando per le cappelle senza far troppo rumore, per non disturbare la messa vespertina. E’ un vero piacere passeggiare poi per la splendida piazza su cui s’affaccia la Cattedrale, ma anche il turrito palazzo del Comune ed altri bellissimi edifici. Un gelato ci mette nelle migliori condizioni per proseguire il giro del centro, rigorosamente pedonalizzato ma convulsamente solcato da sferraglianti e zigzaganti biciclette. Ristoratori cinesi e vecchie signore col bastone; intere famigliole con bambini piccoli e giovani genitori un po’ dark; distinti gentiluomini e ragazzotti di varie età. E’ una vera fiera delle due ruote, in questa Ferrara che ha addirittura il titolo di città delle biciclette, che effettivamente regnano indisturbate in un borgo medievale, che da secoli resta incredibilmente uguale a se stesso. Chiese e conventi del X secolo, palazzotti e dimore rinascimentali, vicoletti e piazze solitarie: è un piacere aggirarsi senza meta, scoprendone il fascino discreto ma anche reminiscenze storiche recenti, come le lapidi per le tante vittime ebraiche del nazi-fascismo, che ne hanno quasi azzerato la popolosa comunità israelitica. La cena – gustosa ma con qualche pecca – la consumiamo in un simpatico ristorantino con giardino interno, tornando subito dopo a piedi all’hotel, mentre nel buio della sera continuano a vorticare le bici dei ferraresi.

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(3) MOSAICI E PIADINE

(3) La mattina di sabato 8 si apre con la consueta ed abbondante colazione al residence, viatico al breve tragitto che ci porta – una trentina di chilometri più avanti – a Ravenna. Una campagna bella ed assolata – tra cascinali e fabbriche agroalimentari – c’introduce infatti alla bizantina città dei mosaici, rigorosamente chiusa al traffico nel suo centro, attraversato anche qui da tante bici. Lascata l’auto al parcheggio, inizia quindi il giro di rito: dopo la fastosa cattedrale ed il suggestivo battistero, tutto risplendente di mosaici incredibili, è la volta della basilica romanica di San Vitale (un classico dei libri di storia dell’arte…) e del fantastico mausoleo di Galla Placidia, che mi sembra però più piccolo, forse perché sono passati un bel po’ d’anni da quando l’ho visto l’ultima volta…Lasciamo per un po’ i mosaici e, in processione come gli ieratici cortei bizantini, ci appropinquiamo ad una trattoria, dove ci aspettano delle buone piadine farcite ai salumi ed un monumentale piatto ovale ripieno di saporito risotto alla pescatora. La signorile magione in centro, dove avevamo prenotato per "room & breakfast", ci accoglie con i suoi mobili antichi per una pennichella ristoratrice. Ci restano infatti da visitare ancora altre meraviglie di questa fantastica città: il piccolo ma importante battistero neoniano del VI secolo; la Basilica di Sant’Apollinare Nuovo (con le sue eccezionali teorie di dignitari e martiri bizantini) ed il vicino "palatium", raffigurato proprio nei mosaici della basilica, ed altri monumenti purtroppo già chiusi ma visibili almeno all’esterno. Gelati e dolcetti ai tavolini di un bar della piazza principale – su cui si affacciano il municipio e la prefettura – ci consente di guardarci intorno pigramente, mentre il sole tramonta su una Ravenna un po’ spenta e con non troppi turisti, facendo magicamente sbrilluccicare gli ori dei mosaici, che i secoli trascorsi non sono riusciti a rendere meno splendidi.  Certo, te li ritrovi replicati come souvenir nei posti più strani: dai piatti da muro agli adesivi da frigo, dalle ‘sportine’ per la spesa ai portachiavi. Poco ci manca che non li abbiano messi come decorazione sulle piadine, ma non è detto che non ci pensino davvero… Il vecchio cagnone della ‘maison’ che ci ospita ci accoglie, chiedendoci carezze, a pancia in su tra il giardinetto interno e le sale dove i turisti cominciano ad arrivare per il week end che precede il ferragosto, facendo respirare un po’ albergatori e ristoratori.

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(2) CERAMICHE E CANZONI

(2) Un abbondante breakfast, dopo un sonno ristoratore, ci rimette in piedi, pronti ad affrontare un’intensa mattinata. La prima tappa, obbligatoria, è l’istituto d’arte faentino, dove ha studiato Laura Pausini. Proprio accanto c’è il fantastico e ultramoderno museo internazionale della ceramica (MIC), dove noi ci avventuriamo in un giro appassionante – ma interminabile – tra terrecotte, fayences, porcellane e altri tipi di ceramiche. Si va da quelle dell’epoca pre-colombiana alle terrecotte medievali, dalle vivaci ceramiche rinascimentali a quelle del settecento e dell’ottocento italiano. E’ un percorso estremamente interessante, che termina con opere modernissime (da Picasso Matisse e Chagall ad artisti contemporanei ed esponenti del modern style e della scultura informale). Frastornati da vasi, piatti, bassorilievi, ‘albarelli’ da farmacia e perfino ritratti ceramici, usciamo un po’ provati dal MIC, accompagnati dallo sguardo benevolo di un variopinto ed originale "Ganesh" di Luigi Ontani, con tanto di proboscide, naso e gin-occhi… Rinfrescatici ad un bar, ripartiamo spediti alla volta della vera meta del giorno: Solarolo. L’assolato ma ridente paesino ci accoglie a poche decine di chilometri e non facciamo molta fatica a reperire la stradina dove, tra molte altre, spicca la villa della divina Laura Pausini. Purtroppo è vuota, ma un cartello avvisa il postino di recapitare i plichi alla nuova residenza di Castel Bolognese. Foto di rito davanti al fatidico cancello e Irene è pronta per ripartire alla ricerca della nuova casa. Ma è ora di pranzo – qui si mangia piuttosto presto…- e allora decidiamo di fermarci ad un vicino ristorante, nel cui bar spiccano ovviamente foto autografate di Lei, in mezzo a manifesti che annunciano un evento musicale che si svolgerà a fine mese proprio qui a Solarolo.   Sotto un sole martellante, dopo un caffé, ripartiamo lungo la strada che porta a Castel Bolognese. Lì scopriamo però che non c’è traccia della via che cerchiamo. Da accurate indagini in giro appuriamo che la residenza di Laura è fuori del paese, in direzione delle terme di Riolo. Un gelato ci rinfresca abbastanza per aguzzare l’ingegno e ricorrere a "google-earth" per localizzare la sconosciuta stradicciola, a mezza via tra Riolo e Castel Bolognese. Il bello è che ci riusciamo e scopriamo così una zona molto bella, in collina, dove la strada s’inerpica tra vigne e residenze imponenti. Una di queste, cui si accede da un viale di cipressi rigorosamente "off limits" e con cancello videosorvegliato, è proprio la villa pausiniana, che viene anch’essa immortalata in alcuni scatti d’Irene, un po’ delusa per non potersi avvicinare di più, ma comunque soddisfatta per la missione compiuta. Tornati a Faenza, non c’è storia. Un riposino per rinfrancarsi e poi un giro serale per la cittadina, attraversata dalle biciclette che qui costituiscono l’abituale mezzo di spostamento di giovani e vecchi. Una cenetta cinese ha chiuso la seconda giornata con un sapore di agrodolce e di soia, lasciandoci con la gola in fiamme, giusto per rinfrescarla con della frutta… fritta.

 

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Tour romagnolo-veneto (1)

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rimo giorno del tour romagnolo-veneto che interrompe il tradizionale soggiorno estivo a Baia Murena e la routine delle vacanze ‘residenziali’ con un qualcosa di diverso e un po’ più movimentato. Partenza alle 8,30 e, via Cassino, immissione nell’autosole fino a Bologna, con un paio di soste intermedie per rifocillarsi. Il tempo è bello e non troviamo traffico, perfino nel tratto dopo Firenze, notoriamente più critico. Bologna ci accoglie un po’ sonnacchiosa, con la sua aria vecchiotta ed i suoi incredibili filari di porticati. Per strada passeggiano soprattutto stranieri, immigrati orientali e qualche sparuta comitiva di biondi ragazzotti locali. Suggestiva e un po’ english la chiesa-convento di San Francesco, con i suoi archi rampanti dell’abside, i suoi colori un po’ cupi ed il giardinetto esterno con annessi barboni e vecchiette.. Molto più imponente e luminosa la cattedrale di San Petronio, con le cappelle affrescate e l’originale ‘pendolo di Foucault’, un po’ spaesato in mezzo a decine di santi e madonne… La piazza maggiore è sempre bella e suggestiva, col suo palazzo comunale, la fontana del Nettuno e la facciata incompiuta del duomo, ma c’è qualcosa che lascia la sensazione di un po’ triste, probabilmente la mancanza di gran parte dei bolognesi, senza la romorosa vicacità dei quali Bologna non è la stessa. Una tangenziale ci porta fuori dai viali della città, in direzione di Ravenna e, nel caso specifico, di Faenza. Qui infatti abbiamo prenotato da una settimana un albergo, in attesa di compiere il devoto pellegrinaggio a Solarolo, cittadina natale della Laura Pausini, il cui solo pensiero fa sorridere la mia Irene, pausiniana sfegatata, dal cui suggerimento, in effetti, è nata l’idea di questo tour romagnolo, poi esteso al Veneto. In speranzosa e fidente attesa di questa ‘epifanìa’, fatichiamo non poco a trovare il nostro albergo, percorrendo più volte le ‘rotonde’ che collegano il simpatico e accogliente centro di Faenza con i comuni circostanti, tra cui Granarolo e, appunto, Solarolo-Pausini… Dopo esserci rinfrescati nelle due belle camere del residence, ci aspetta una cena con tortellini al ragù e in altre preparazioni gustose, che è un modo per entrare appieno nel clima di questa Romagna che ci accoglie cordiale nella patria della ceramica, cui è dedicato perfino un museo, che visiteremo domani. Verdi pascoli (voglio vedere se riesco a incontrare la Lola granaroliana…) maioliche artistiche e musica…Non c’è che dire: è un bel mix!

di erferraro Inviato su Senza categoria Contrassegnato da tag