I ‘proclami’ del pensiero unico filo-israeliano

L’articolo di Ruben Razzante su IL MATTINO del 17.10.2023 “I proclami del terrore che il web non blocca” (https://www.ilmattino.it/pay/edicola/i_proclami_del_terrore_che_il_web_non_blocca-7698939.html?refresh_ce) mi sembra un esempio lampante di come, paradossalmente, si possano attaccare su un giornale le strategie di disinformazione finalizzate a “spargere veleni” proprio mentre si opera in quella stessa direzione. 

Il bersaglio del giornalista sono i ‘social’ ed il ‘web’, attraverso i quali organizzazioni islamiste “come Hamas” (quali?), con una “amplificazione costante”, punterebbero ad “alimentare un clima altamente tossico e contrassegnato dal terrore permanente” […] per alimentare la spirale della drammatizzazione del conflitto.” 

Al giornalista, a quanto pare, non viene in mente che uno dei problemi che hanno reso esplosivo questo infinito conflitto possa essere stato proprio il complice silenzio dei media sulla tragica situazione in cui da 75 anni si trovano i Palestinesi, privati di ogni diritto, espulsi dal loro territorio e marginalizzati da una politica di apartheid.  Ciò che ga lui appare una provocatoria “amplificazione” è piuttosto lo svelamento inevitabile d’una condizione insostenibile, su cui in troppi, e per troppo tempo, si è preferito tacere, se non mistificarne la natura.

Il “terrore permanente” cui sono stati sottoposti per decenni i Palestinesi (compresi donne, anziani e bambini), secondo Ruben Razzante, non esisteva già da prima, ma sarebbe frutto solo di una “spirale della drammatizzazione del conflitto”, finalizzata ad “esacerbare gli animi” con un “linguaggio d’odio” e “disseminando sul terreno del dialogo ostacoli subdoli difficilmente disinnescabili”.

Mi sembra evidente che i termini usati dal giornalista escludano di fatto ogni responsabilità dello Stato d’Israele, sebbene la sua arrogante politica – di stampo colonialista e militarista – sia stata caratterizzata da tutt’altro che tentativi di “dialogo” e “costruttivi percorsi di pacificazione”. Ad alimentare il “clima altamente tossico” denunciato nell’articolo, viceversa, mi sembra che contribuisca lo stesso autore, ad esempio quando opera una speciosa e partigiana differenza tra gli appelli a favore di Israele e quelli a favore dei Palestinesi.

Egli, infatti, non esita a scrivere che: “molte celebrità hanno deciso di esporsi, proprio usando le piattaforme social, postando storie e commenti e per dichiarare piena solidarietà ad Israele. Ma ce ne sono state anche altre che hanno sfruttato lo spazio virtuale per condividere appelli in favore della causa palestinese”.  Risulta palese il giudizio di valore sotteso a queste parole: le personalità che hanno appoggiato gli Israeliani sarebbero quasi degli eroi, che hanno avuto il coraggio di “esporsi” mediaticamente. Viceversa, i personaggi che hanno manifestato solidarietà ai Palestinesi avrebbero biecamente “sfruttato lo spazio virtuale”.

“Fake news”, “comportamenti sbagliati”, “un siero letale iniettato nei circuiti mediatici”,   secondo il giornalista, sarebbero il prodotto esclusivo di “provocatori e produttori seriali di notizie false” (ovviamente filo palestinesi…), per cui: “la circolazione online di contenuti falsi e manipolati contamina i circuiti informativi e ispira il più delle volte reazioni violente e scomposte che infiammano le lotte tra fazioni allontanando il traguardo della pace” e “mettono a repentaglio la stabilità mondiale”.

Quest’ultima frase mi sembra particolarmente rivelatrice di che cosa intenda l’autore dell’articolo quando parla di “pace”.  È probabilmente la ‘pace’ della subalternità accettata supinamente, dell’ingiustizia assurta a regola, delle violazioni dei diritti umani date per ovvie e scontate. È la ‘pace’ che non comprometta la “stabilità mondiale”, anche se quest’ultima si fonderebbe sulla stabilizzazione di logiche imperialiste, interessi economici imposti con le armi, depredazione ambientale e sfruttamento dei soggetti più deboli e marginali.

Non sono certo questi i “traguardi” cui tende il vero movimento per la pace, che si fonda invece sulla nonviolenza, la salvaguardia dei diritti umani, la giustizia sociale, e propone percorsi di disarmo, di smilitarizzazione e di ripudio della guerra. Ecco perché non sono i cosiddetti “proclami del terrore” che intossicano l’opinione pubblica, ma piuttosto l’imposizione di un pensiero unico e la caccia a chi da esso dissente.

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