NAPOLI E L’ALTARE DELLA PACE

di Ermete Ferraro

 

Mi è molto piaciuta l’espressione adoperata dal cronista del quotidiano IL MATTINO per descrivere l’affollata e partecipe piazza Plebiscito, teatro della significativa cerimonia ecumenica che ha concluso la tre giorni d’incontri del Meeting delle Religioni per la Pace.

 Di fronte alle migliaia di napoletani che seguivano commossi gli interventi dei massimi esponenti di tutte le fedi, accomunati nella preghiera per la pace, di cui questo autentico dialogo è il primo segno concreto, il giornalista ha parlato di un simbolico “altare della pace”.  La mente, per associazione d’idee, è corsa subito al retorico “Altare della Patria”, il marmoreo “Vittoriano” che, insieme col corpo del “milite ignoto”, custodisce anche i segni ed i rituali di un mondo diviso, sempre in conflitto e nel quale ogni “patria” ha preteso di essere la sola degna del rispetto degli uomini e della protezione di Dio.

Ebbene, credo che il contraltare di un palco che riuniva le varie confessioni cristiane, insieme con ebrei, buddisti, islamici ed altri ancora, in una solenne dichiarazione di rifiuto della religione come schermo per nazionalismi e conflitti bellici, possa effettivamente identificarsi in questa efficace espressione.

Da quella piazza, dall’abbraccio festoso di tanti napoletani fieri di esserci, ho sentito salire al cielo qualcosa di più di preghiere e canti comuni.  Dalle parole dell’Arcivescovo di Napoli, del Patriarca di Costantinopoli e dello stesso Presidente della Repubblica Italiana, infatti, si è levata non solo una promessa di continuare sulla via del dialogo inter-religioso e della mediazione diplomatica, ma anche la solenne proclamazione della Nonviolenza come l’unica ed autentica prospettiva per i credenti.

“Napoli insegna anche la pace” : è il titolo del corsivo di Gino Battaglia sulla prima pagina dell’edizione napoletana di oggi de “la Repubblica”, che sottolinea la notevole partecipazione popolare a quello che non è stato solo un riuscito evento mediatico, ma un appuntamento che l’incalzare della cronaca nera e della sotto-politica strillata non riusciranno facilmente a cancellare nella memoria della nostra Città.

“Lo spirito di Assisi”, evocato in piazza Plebiscito, sembra che stia incarnandosi davvero in una Chiesa in cui religiosi e laici stanno diventando sempre più sensibili alla stretta connessione fra giustizia, pace e salvaguardia del creato, proprio nello spirito di Francesco d’Assisi  e seguendo quella prospettiva che Benedetto XVI aveva già efficacemente definita “ecologia della pace”.

Il rischio è quello di cadere nel solito equivoco di riprovare o applaudire le scelte fatte dalla Chiesa (o, in questo caso, dalle Chiese) come se a noi laici non spettasse il ruolo principale, cioè quel protagonismo che solo ci può far diventare veri “costruttori di pace”.

Le scelte quotidiane come quelle epocali, infatti, non passano solo per i proclami di chi ci governa o dei pastori che pur hanno l’enorme responsabilità di guidarci. Senza la nostra convinta adesione personale ad un piano di pace (quello che Gandhi chiamava “programma costruttivo”), purtroppo serviranno a poco anche le manifestazioni di protesta e l’opposizione attiva alla militarizzazione ed alle smanie guerrafondaie.

Ci vuole ben altro di uno sventolio di bandiere arcobaleno per riuscire a coprire una realtà sempre più nera, su cui si riaffacciano gli spettri della guerra fredda e del riarmo nucleare, mentre ogni giorno muoiono migliaia di persone, tra cui donne e bambini, sui vari scenari di guerre locali, o per le devastazioni e gli ‘effetti collaterali’ di quelle già finite.

La pace non è un concetto astratto o una pia aspirazione. E’ la concreta utopia di chi, qui e ora –  anche in questa Napoli martoriata dalla quotidiana violenza della criminalità e di troppe esistenze precarie e dure – decide di scegliere e di non farsi coinvolgere dalla logica perversa di chi ha rinunciato a cambiare il mondo, cominciando da se stesso, e quindi vi si adatta come può.

I “costruttori di pace” non sono persone pacifiche, ma uomini e donne che hanno capito che il conflitto è il pane quotidiano di chi fa della responsabilità la propria parola d’ordine.

I “costruttori di pace” sono quelli che devono prima abbattere a martellate muri d’incomprensione reciproca ed ai cui spesso tocca di forzare situazioni di equivoco compromesso “pro bono pacis”.

I “costruttori di pace” sono quelli che, certo, credono che si tratti di un dono di Dio, ma non per questo l’aspettano passivamente, come se quella pace dovesse esserci calata dal cielo “c’’o panaro”, come si dice nella mia città, dove secoli di fatalismo ci hanno resi troppo spesso rassegnati ed inerti.

Allo “spirito di Assisi” – commenta Gino Battaglia in chiusura del suo articolo – sta sovrapponendosi quello che chiama “lo spirito di Napoli”: uno spirito “mediterraneo”, interculturale, popolare, dolente ma ricco di speranza, che sembra porre le premesse per un cammino comune delle religioni verso una prospettiva di dialogo e di nonviolenza.

Me lo auguro di cuore e, con me, se lo augurano i tanti napoletani che hanno visto la loro città rivivere in questi giorni una speranza più forte della rassegnazione.

 

Leggo e ripropongo il post di  Raqqash il ottobre 20, 2007 18:45

NO al DDL che trasforma la libera espressione della rete
 in testate giornalistiche.


I siti e i blog sono libera espressione democratica non paragonabile alle testate giornalistiche registrate al Registro Operatori Comunicazione che devono osservare l’apposita legge sulla stampa.

Il disegno di legge è stato approvato in Consiglio dei ministri il 12 ottobre.
Nessun ministro si è dissociato.

La legge Levi-Prodi prevede che chiunque abbia un blog o un sito debba registrarlo al ROC, un registro dell’Autorità delle Comunicazioni, produrre dei certificati, pagare un bollo, anche se fa informazione senza fini di lucro.

Chiediamo al Consiglio dei Ministri di ritirare il DDL che imporrebbe l’iscrizione al ROC anche dei semplici blog.


Mi raccomando di far girare il più possibile questo messaggio e di pubblicarne il testo sui vostri siti o blog.
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MAGLIA AZZURRA E MAGLIA NERA

maglianera                                                 di Ermete Ferraro

 

Sempre maglie sono. Solo che per quelle azzurre della Napoli Calcio il cuore d’una gran quantità di abitanti di questa città batte forte, si emoziona e si appassiona fino all’eccesso, mentre per la maglia nera per l’ambiente urbano, assegnata “dedecoris causa” al Comune di Napoli, non sembra siano in molti a preoccuparsi.

Per chi – come me –  vi sta lavorando da quasi trent’anni, in un modo o nell’altro, perché la qualità della vita e la consapevolezza ambientale e sociale raggiungessero livelli molto più apprezzabili, dovete ammetterlo, c’è di che farsi cadere le braccia!

Ma come: un sacco di discorsi, documenti, progetti, stanziamenti, interventi, riorganizzazioni strutturali e questo è il risultato? Una città che viene decorata sul campo da diversi quotidiani del titolo di “vergogna nazionale” e di “fanalino di coda” della qualità ambientale in Italia! Una capitale storica dell’Europa meridionale che si dimostra tra le meno sostenibili in assoluto, perdendo d’un colpo ben 24 posizioni e classificandosi quindi come una delle peggiori metropoli dove vivere!

Il rapporto “Ecosistema Urbano 2008” (basato sulla ricerca svolta da Legambiente ed Istituto “Ambiente Italia”, insieme con Il Sole 24ore) riporta Napoli addirittura al 91° posto della classifica generale, vale a dire in penultima posizione: praticamente pronta alla retrocessione in serie minore.

C’è qualcuno che ha fatto barricate, lanciato molotov o occupato strade per protestare con rabbia contro questa situazione di crescente degrado? Nei bar, alle fermate dei bus, nelle piazze o altrove qualcuno ha commentato duramente questo primato al contrario? Si sono forse creati comitati, gruppi spontanei ed organizzazioni per chiedere la rimozione immediata degli “allenatori” di questa vergogna nazionale?

No, evidentemente non se ne frega nessuno, se non qualche sparuto gruppetto di ambientalisti ancora non del tutto integrati nel “sistema urbano” di una città che sta colando a picco mentre nella metaforica sala da ballo, da una parte, si continua allegramente a sprecare, inquinare, speculare, cementificare e, dall’altra, ad organizzare originali quanto inutili e costosi “eventi” mediatici per coprire il vuoto d’idee e di coerenza…

La raccolta differenziata raggiunge appena il 6% delle abnormi tonnellate di munnezza che questa città riesce a produrre. Ben 4 litri di preziosa acqua potabile ogni 10 si perdono per strada, scialacquando  – è il caso di dire – un patrimonio che andrebbe invece tutelato e saggiamente distribuito. Percentuali incredibili di polveri sottili, insieme ai mefitici gas di scarico, c’intossicano l’aria un giorno sì e un giorno sì, proprio come i tortellini dello spot pubblicitari.

E poi, vogliamo parlare delle aree verdi che avrebbero dovuto far respirare meglio e di più i napoletani, oppure della robusta “cura di ferro” che avrebbe dovuto finalmente snellire il macroscopico traffico veicolare, in una città assuefatta alla  convivenza col caos, il frastuono e l’impossibilità di tempi certi per spostarsi?

Eppure, dove stanno gli striscioni, i cori grintosi, le piogge di lettere ed e-mail ai giornali, la voce popolare che si levi contro questa condanna, apparentemente senza fine, per cui Napoli sembra dover essere insignita della fascia di “Miss Invivibilità”?

“Risposta non c’è…” – cantavamo una volta col Bob Dylan di “Blowing in the Wind”.  Il fatto è che qualcuno, invece, dovrebbe proprio darcele quelle risposte, superando l’assordante silenzio di chi ci amministra ormai da vent’anni, ma ha sempre più problemi a sbandierare lo slogan del rinascimento napoletano. Uno slogan che stride maledettamente con le condizioni da basso medioevo nelle quali i veri napoletani continuano a sopravvivere, con i cuori sempre più protesi a quelle maglie azzurre che dovrebbero farci scordare le troppe maglie nere che ci hanno cucito addosso. 

 

di erferraro Inviato su Senza categoria Contrassegnato da tag

BURMACOTTAGGIO: BOICOTTARE CHI SI ARRICCHISCE IN MYANMAR

                                 di Ermete Ferraro

 

Una delle forme più concrete di opposizione nonviolenta ad un regime oppressivo e sanguinario, lo sappiamo da tempo, è il boicottaggio della sua economia e, in particolare, la cessazione dei rapporti commerciali tra il proprio Paese e quello che reprime ogni forma di opposizione e cancella i diritti umani (visita il sito: www.equonomia.it).

Nel caso di Myanmar (ex Birmania o Burma) è già presente una rete di denuncia e di controinformazione, attivata anche in Italia da organizzazioni pacifiste, del commercio equo e solidale e sindacali. Nello specifico, è il caso della CISL, che ha lanciato un appello insieme a Greenpeace, Legambiente e WWF (visita: http://htm.cisl.it/sito/contenuti/BIRMANIA/Birmania.htm) e di specifiche campagne (come quella pubblicizzata su: http://www.birmaniademocratica.org/Home.aspx ), che ci stanno aiutando a scoprire quanti – e quanto grandi –  interessi economici ci siano stati (e ci siano tuttora), anche in Italia, al punto di aver impedito che l’opinione pubblica scoprisse le malefatte di una dittatura militare che da 45 anni paralizza la Birmania.

Meglio di tante chiacchiere e appelli ad una teorica solidarietà con la lotta nonviolenta dei cittadini di Myanmar e delle migliaia di monaci buddisti – repressa violentemente ma rimasta comunque un punto di non ritorno per quell’ottuso regime – ecco allora che possiamo fare, tutti, qualcosa per far cambiare le cose in quella terra martoriata.

Dal sito http://www.global-unions.org/burma , ad esempio, ho estrapolato questo elenco di aziende che, pur non essendo necessariamente italiane, sono molto conosciute e praticate dai consumatori italiani:

3M – Minnesota Mining and Manufacturing Company

Acer

Alcatel – Alcatel Shanghai Bell (reply from company available)

Bellotti spa
Best Tours

Caterpillar
Chevron
Cosco Holdings
Daewoo International Corporation
DHL Worldwide Express

Euroteck
GlaxoSmithKline
Hitachi
Hyundai Corporation
Italian-Thai Development Plc

Mitsubishi 

Nestlè

Nouvelles frontières
Pfaff Industrie
Qantas
Samsung Corporation
Schindler Group – Jardine Schindler
Siemens (reply from company available)
Suzuki

Swatch Group – Omega (reply from company available)
SWIFT 
 (reply from company available).
Total
(reply from company available)
Toyota Tsusho

Viaggi Avventure nel Mondo

Come vedete, si tratta di note aziende orientali legate al mondo degli auto-motoveicoli (Daewoo, Hiunday, Mitsubishi, Suzuki, Toyota), ma anche di diffuse marche di carburanti (Chevron, Total). Ci sono poi conosciuti marchi di elettronica e telecomunicazioni ( 3M-Minnesota, Alcatel, Samsung, Siemens) ed altri relativi a prodotti molto diffusi (dagli ascensori Schindler agli orologi Swatch-Omega, fino ai moltissimi “tour operators” e relative società aereee (Quantas, Best Tour, Nouvelles Frontières, etc.).