Verbi violenti troppo frequenti…

In principio era il preverbo…

In un precedente articolo [i], utilizzando la tabulazione dei dati desunti dal Nuovo Vocabolario di Base della lingua italiana [ii], ho provato a mettere in luce quanto perfino il ‘lessico fondamentale’ (condiviso dall’86% di coloro che la utilizzano) lasci troppo spesso trasparire una realtà socioculturale segnata da un linguaggio militare e bellico. Quella mia ricerca, infatti, evidenziava che tra i 2000 lemmi considerati ‘fondamentali’ (ridotti a 1790 escludendo pronomi, articoli, avverbi, preposizioni etc.) ben 259 vocaboli italiani ricadono nel campo semantico bellico-militare. Ciò significa che il 14,6% di quel totale – cioè una parola su sette – rispecchia atteggiamenti sostanzialmente autoritari e violenti. All’interno di questo preoccupante contesto, inoltre, troviamo parecchi verbi indicanti azioni dirette contro un indistinto universo ‘nemico’, o comunque animate da intenti ostili, se non esplicitamente distruttivi. Per approfondire quest’ultimo aspetto – tenuto conto che quasi 9 italiani su 10 utilizzano un lessico che non solo è estremamente ridotto ma è anche costituito per quasi il 15% da locuzioni aggressive – ho provato ad affrontare questa realtà da un punto di vista specificamente etimologico-semantico.

Ne risulta che parecchi verbi ‘fondamentali’ d’impronta bellicosa devono la loro aggressività anche all’utilizzo di alcuni prefissi preposizionali (o ‘preverbi’), che integrano o modificano il senso di base delle rispettive forme verbali. [iii] Si tratta generalmente di preposizioni latine, spesso congiunte a verbi semanticamente già violenti, cui imprimono una notazione di movimento (AD, DE, EX, IN, RE, SUB) oppure sottolineano che si tratta di azioni di gruppo (CUM), finalizzate a conseguire in tal modo un determinato obiettivo (OB). Ciò premesso, ho analizzato etimologicamente una ventina di verbi composti che mi sembravano tipici d’una comunicazione ostile, eppure utilizzati molto frequentemente dal 14% dell’86% del campione, ossia dal 12,04% degli italiani.

Partendo dal mio precedente database, ho verificato che col prefisso AD– ce ne sono 3 (AFFRONTARE, AMMAZZARE, ATTACCARE). Quelli preceduti da CUM– sono 4 (COMBATTERE, CONDANNARE, CONQUISTARE, COSTRINGERE). Altri 3 iniziano con DE- (DIFENDERE, DISTRUGGERE, DIVIDERE) ed altrettanti con EX– (ELIMINARE, ESCLUDERE, SPAVENTARE).  Il prefisso IN- ricorre in 2 casi (IMPEDIRE, IMPORRE) e OB- è presente in 4 verbi (OBBLIGARE, OCCUPARE, OPPORRE, UCCIDERE). Infine, con RE- ne iniziano 2 (RESISTERE, RISPONDERE) mentre con SUB- ne troviamo solo 1 (SOTTOPORRE).

Ebbene, pur considerando che alcuni elementi di questo campionario possono essere intesi con connotazioni diverse, resta innegabile che il principale ambito semantico di quasi tutti i verbi in questione rimanda ad un rapporto aggressivo e virulento coi loro rispettivi oggetti o referenti. La ricerca sull’etimologia di ciascun preverbio sembrerebbe riportarci ad un mondo primitivo, caratterizzato dai rapporti di forza tipici di chi lotta per la sopravvivenza. Una violenza atavica che però sembra non aver smesso d’improntare il linguaggio attuale e che, quasi sempre in modo inconscio, inevitabilmente finisce col condizionare la nostra comunicazione verbale e le nostre relazioni.

A questo punto passiamo all’osservazione al microscopio etimologico – e quindi più da vicino ed in profondità – di queste 22 forme verbali composte così tanto diffuse, ma di cui forse solo in pochi conoscono il significato originario e le trasformazioni di significato che hanno subito.

La minacciosa forza dei preverbi AD- e CUM-

La preposizione latina AD, utilizzata come prefisso modificante di un verbo o di un sostantivo, suggerisce il movimento verso qualcuno o qualcosa, un avvicinamento, ma talvolta l’inizio di un processo, un rafforzamento, nonché un atteggiamento sia favorevole sia contrario [iv] . Nei tre verbi con questo preverbo, l’indicazione di un moto ostile si unisce al significato già aggressivo dei verbi modificati, rafforzandolo.

  • Nel caso di AFFRONTARE, dalla base latina frontem derivano altri sostantivi e relative forme verbali (affronto, confronto, raffronto…), che indicano azioni di cui il prefisso AD- precisa la direzione e/o destinazione. L’etimo di questa parola sembrerebbe risalire alla radice sanscrita *BHRU, indicante l’arcata sopracciliare e presente anche in vocaboli germanici e slavi. Si esprime pertanto un’azione che ‘prende di faccia’ l’interlocutore, verso il quale il soggetto si dirige direttamente e minacciosamente [v].
  • Anche nel verbo AMMAZZARE il prefisso indica la direzione di un’azione intrapresa con intenzioni ostili, poiché il verbo latino mactare significava già uccidere (vedi sostantivi come ‘mattatoio’ o il verbo spagnolo matar). Anche se all’origine ci fosse invece il sostantivo ‘mazza’, la sostanza non cambierebbe, trattandosi comunque di un grosso bastone usato per colpire qualcosa o qualcuno.
  • In ATTACCAREil prefisso si aggiunge alla radice celto-germanica *TAC, il cui senso era aderire, fermare, agganciare, o anche toccare, partendo da una base latina (v. tangere, tatto…), che ritroviamo anche nel verbo inglese to take (prendere) [vi].

Sebbene il prefisso preposizionale latino CUM- sia di solito adoperato “per esprimere l’idea dell’unione, della compagnia, della condivisione[vii], nei quattro verbi seguenti funge piuttosto da rafforzativo di un’azione, sottolineando che è compiuta da più persone.

  • COMBATTERE, ad esempio, usa questo preverbo (modificato in COM-) per integrare il verbo latino battuere, presente anche in ambito non romanzo (ingl. beat, gael. bith). Probabilmente esso attingeva alla radice sanscrita *PAD (piede), per cui battere significherebbe in origine pestare, calpestare, percuotere col piede [viii] o, più latamente, colpire. Non dimentichiamo poi che da tale verbo derivano anche sostantivi tipicamente militari, come battaglia, batteria, battaglione etc.
  • CONDANNARE ha un significato ampio, non riferibile esclusivamente ad un contesto di scontro o di guerra. Il senso più diffuso, infatti, è quello giudiziario, che designa l’atto di dichiarare qualcuno colpevole, per poi infliggergli una pena (lat. damnum).  Come nel caso precedente, la preposizione sottolinea che si tratta di un’azione collettiva (giuria) o espressa da un giudice a nome della comunità. Peraltro, il senso ostile e violento del verbo appare evidente a prescindere dal motivo della condanna.
  • CONQUISTARE è un verbo meno trasparente dal punto di vista etimologico. Pochi infatti saprebbero risalire ai verbi latine cum-quirere > cum-quidere, a loro volta forme intensive del molto più innocente ed innocuo verbo quaerere (da cui ‘chiedere’) [ix]. Infatti non c’è dubbio che una conquista sia qualcosa di molto più violento di una  semplice ‘richiesta’, sebbene alla voce ‘conquistare’ la Treccani metta al primo posto proprio il significato di “ridurre in proprio dominio con le armi”. In seconda posizione troviamo “acquistare, fare proprio con fatica, con sacrifici, lottando contro difficoltà e ostacoli”, cui seguono le ulteriori accezioni “accattivarsi, guadagnare” e “far innamorare, sedurre[x]. La forza aggressiva del verbo, in questo caso, sembra dipendere dal prefisso, che suggerisce un atto collettivo e dunque più efficace. Si tratterebbe infatti di una ‘richiesta’ assai categorica, molto somigliante – nel linguaggio mafioso del Padrino di Ford Coppola – a “un’offerta che non si può rifiutare”.
  • COSTRINGERE compone lo stesso prefisso col verbo latino stringere, la cui radice *STRAG indicava “…comprimere, tirare a sé con forza […] premere o serrare con forza…” [xi]). Anche in questo verbo emerge l’intento aggressivo dell’azione e si comprende bene il suo significato di “forzare; obbligare qualcuno, con la forza o con altro mezzo, a fare cosa che sia contraria alla volontà o comunque non spontanea[xii].

DE-, EX- e IN- per escludere ed aggredire

Secondo la Treccani, il prefisso preposizionale DE- “… si trova in molte voci di derivazione latina, nelle quali indica ora allontanamento (per es. deviare, deportare), ora abbassamento o movimento dall’alto in basso (per es. degradare, deprimere, declinare), ora privazione (per es. dedurre, detrarre; cfr. anche demente), ora ha valore negativo (per es. decrescere), ora serve soltanto alla formazione di verbi tratti da sostantivi o aggettivi…” [xiii] .  Non c’è dubbio che atti quali allontanare, abbassare, privare e negare non siano riconducibili ad atteggiamenti e comportamenti pacifici e costruttivi. Se poi tre bruschi prefissi si uniscono a verbi già minacciosi, la violenza verbale è servita.

  • DIFENDERE, insieme coi verbi ‘offendere’ ed i sostantivi ‘difesa’ ed ‘offesa’ e relativi aggettivi derivati, è un “…composto di -fendo, nel senso di ‘colpire – urtare’, da una radice comune al ved. Hanti “colpisce[xiv]. Secondo altra fonte, il verbo fendo avrebbe una radice FAD, derivante dal sanscrito bâd-ayami, col significato di “spingere, stringere, pressare[xv]. In entrambi i casi si tratta di azioni violente, di minacce alla sicurezza personale e collettiva da cui sarebbe legittimo proteggersi, anche utilizzando la forza. Non a caso la Treccani indica prioritariamente le seguenti accezioni del verbo ‘difendere’: “1.a proteggere, preservare dal male, dai pericoli, dalle offese […] b. sostenere la causa di qualcuno […] 2. rifl. a) Proteggersi, ripararsi […] contrapporre la propria forza alla violenza del nemico o dell’avversario…” [xvi].  Indubbiamente il ‘diritto alla difesa’ è sancito dalle costituzioni e dalle leggi, in ambito giudiziario come in quello della ‘difesa nazionale’. Il vero problema, però, è che la tradizionale difesa armata e militare ha superato da tempo l’idea della pura e semplice ‘reazione’ ad un’azione aggressiva esterna e si configura sempre più come apparato di aggressione, sia pur col pretesto della ‘dissuasione’ o della ‘prevenzione’ della violenza altrui. La verità, come da tempo affermano i nonviolenti, è che “un’altra difesa è possibile”.
  • DISTRUGGERE, viceversa, è un verbo che è impossibile interpretare in senso positivo. Il dizionario Treccani enumera una serie di significati che lo classificano di fatto tra i più violenti: “distrùggere v. tr. [dal lat. destruĕre, comp. di de- e struĕre «innalzare, costruire»] …1. a. Abbattere, guastare, disfare, per lo più con azione o con mezzi violenti, scomponendo le parti d’un oggetto, dissolvendo, riducendo in rovina, in modo che la cosa sia resa definitivamente inutilizzabile o non ne rimangano talora neppure le tracce […] b. Annientare vite umane […] c. Ridurre al niente […] 2. Usi fig.: a. Rendere inutile […] b. Togliere completamente e definitivamente […] c. Annullare […] d. letter. Consumare a poco a poco, fisicamente o spiritualmente…” [xvii]. Non potrebbe essere diversamente, in quanto ‘distruggere’ utilizza il prefisso de– proprio per annullare il senso positivo del verbo struere (indicante azioni come: accumulare, stratificare, fabbricare, costruire, erigere etc.). Ecco perché è un po’ l’icona di un linguaggio ostruttivo e distruttivo, in quanto radicalmente opposto ad una comunicazione costruttiva, edificante e nonviolenta.
  • DIVIDERE è un verbo prevalentemente di segno negativo, ma dall’etimologia piuttosto incerta. Secondo alcuni il prefisso DISsi unirebbe ad un ipotetico *vido (in umbro vetu = dividerai e sanscrito vihyati = perfora [xviii]. Secondo altre fonti, invece: “il verbo dividere, …. sembra derivare dall’unione tra il prefisso dus-, che poi è diventato dis- e la radice vid- che alcuni ritrovano in vidēre. Quindi, quel ‘dis’ ci darebbe l’idea della separazione (piuttosto che quella di negazione) e ‘vid’ quella di una dimensione interna (in lituano vidus significa proprio centro)[xix]. In ogni caso, le possibili accezioni di tale verbo sono negative e non rimandano affatto ad un contesto relazionale caratterizzabile come costruttivo e privo di violenza.

Il prefisso EX- “…sotto l’aspetto semantico, conserva in una parte dei composti il sign. fondamentale della prep. ex, cioè «da, fuori, via» […] in altri casi indica negazione, privazione […] o mutamento di natura […]; in altri ancora esprime il concetto della pienezza, del compimento, conferendo quindi al verbo valore estensivo o intensivo…” [xx].

  • ELIMINARE ha un significato di base meno truce e violento di quanto appare. In effetti – etimologicamente parlando – significherebbe soltanto: cacciare da casa, lasciar fuori dalla soglia (extra limine) [xxi], dunque “escludere, scartare, far scomparire[xxii]. Si tratta comunque di un’azione di natura ostile, ma solo in tempi moderni il verbo è passato ad indicare una soluzione molto più radicale, cioè: “uccidere, togliere di mezzo, sopprimere, soprattutto un nemico, un avversario, una persona sgradita[xxiii].
  • ESCLUDERE è un un calco semantico di ‘eliminare’, essendo composto dal prefisso ex- (fuori) e claudere (chiudere). Siamo di fronte ad un ulteriore caso di azione espulsiva, che priva qualcuno del diritto di abitare in un luogo e/o di far parte di una comunità. Una sorta di rigetto, che espelle ed emargina una persona o un intero gruppo sociale dal suo contesto abituale, cui si interdice l’ingresso.
  • SPAVENTARE a prima vista non ha relazione col prefisso preverbo EX-, ma in latino era proprio questa preposizione che integrava il verbo pavère, in senso passivo col significato di tremare di paura, aver paura, ma anche, in senso attivo, di “provocare, incutere spavento[xxiv]. Un altro chiaro esempio di violenza, fisica o psicologica, che ricorre al terrore per forzare la volontà altrui e per conseguire i propri scopi.

IN-, RE-, OB- e SUB-: altri quattro preverbi ostili

Stando alla Treccani, “Il prefisso IN- (dal latino in-) può assumere in italiano due diversi valori. Può indicare mancanza, privazione, contrarietà, opposizione in parole derivate dal latino (inutile, insano) o formate modernamente […] Può essere usato per la formazione di verbi parasintetici derivati dal latino (incurvare, incorporare) …” [xxv]. Nei due casi seguenti sembra prevalere il secondo, che dà alla preposizione un valore locativo.

  • IMPEDIRE significa letteralmente “mettere ceppi, impacci ai piedi[xxvi] (dal sostantivo greco pous, podòs), e quindi – in senso metaforico – ‘ostacolare’, ‘opporsi’, ‘contrariare’. Ancora una volta riconosciamo un’azione senz’altro ostile, anche se talvolta questo verbo è usato per indicare l’opposizione ad una minaccia o ad un pericolo, come abbiamo già visto nel caso dell’ambivalente ‘difendere’.
  • IMPORRE, nella sua trasparenza semantica, non è invece equivocabile. Derivato dal latino in-ponere, designa un atto di per sé violento, frutto di arroganza e finalizzato al dominio. Ricorrere ad una ’imposizione’ vuol dire letteralmente: “Porre sopra, indi, fig. prescrivere, comandare[xxvii]. Significa perciò trattare le persone come si era abituati a fare con gli animali, costringendoli con gioghi, selle ed altri pesanti carichi a sotto-porsi ad un padrone senza scrupoli.

Il prefisso OB (“lat. ob- “a, verso, contro, in opposizione, di fronte a, a causa” e con valore rafforzativo[xxviii]) esprime sia un rapporto di causalità, sia un’avversione o un’opposizione, come verifichiamo nei seguenti quattro verbi.

  • OBBLIGARE coniuga ob-, già indicante una contrarietà, con il verbo ligare, che di per sé impone un legame, un vincolo, rendendo questo verbo un sostanziale sinonimo di ‘costringere’ e dello stesso ‘imporre’. È quindi difficile intepretarlo in senso positivo, come richiamo ad un legame etico, poiché l’etimologia ci presenta una costrizione materiale. Infatti, il verbo latino ligare deriva dal greco lygein (piegare, annodare), a sua volta riferito al sostantivo lygos (vimine) e al verbo sanscrito ling-âmi (piego) [xxix].
  • OCCUPARE compone il prefisso OB- (contro) col verbo latino capere (prendere), con assimilazione-raddoppio della ‘c’. Da qui il significato di “impossessarsi, impadronirsi[xxx], ma anche l’accezione bellicosa di “invadere o tenere con la forza delle armi” [xxxi].
  • OPPORRE – come i sostantivi e attributi da esso derivanti – è un altro verbo di sapore marziale. Ma in questo caso il preverbo, che di per sé esprime opposizione, si unisce al più neutro verbo ponere. Da qui il significato attivo e transitivo di “1. Porre contro, per impedire, per fare ostacolo, per contrastare” e riflessivo di “porsi contro, impedire (o cercar d’impedire) che una cosa abbia effetto o consegua i suoi fini[xxxii].
  • UCCIDERE (che latinamente era occidere, da ob prefissato al verbo caedere, cioè tagliare) è il più esplicitamente violento dei verbi esaminati, indicando l’azione definitiva e irrimediabile di togliere la vita. Atto peraltro considerato un crimine (omicidio) quando è compiuto da persone, ma purtroppo esaltato come gesto di valore patriottico quando invece è causato da corpi militari o da agenti cui è stata affidata la pubblica sicurezza, spesso con mandato molto ampio e discrezionale.

Le altre due preposizioni latine usate come prefissi verbali sono RE- (che di solito esprime il ripetersi di un’azione, nello stesso senso o in senso contrario) e SUB- (che in italiano fornisce un’indicazione locativa (‘sotto’), anche in senso metaforico.

  • RESISTERE, ad esempio, vuol dire: “Opporsi a un’azione, contrastandone l’attuazione e impedendone o limitandone gli effetti…” [xxxiii]. Inoltre la parola ‘resistenza’, anche nel linguaggio scientifico della fisica, indica la proprietà meccanica d’un corpo di non subire rottura sotto sforzo. Il prefisso re- in questo caso si è unito al verbo latino sistere (raddoppiamento di stare), col significato di fermare un atto, opponendovi una forza contraria. Eppure la sua collocazione tra i lemmi di sapore bellico e militare è frutto dell’errata – ma purtroppo diffusa – concezione del ‘resistere’ come reazione armata e violenta, mentre da oltre un secolo, ma senza che se sappia quasi nulla, una resistenza disarmata e nonviolenta è risultata più efficace e spesso vincente.
  • RISPONDERE. Apparentemente è un verbo innocuo o quanto meno di significato piuttosto neutro. L’etimologia, in effetti, ci mostra che il prefisso re- (indietro, ma anche di nuovo) va a modificare il verbo latino spondēre, (promettere, impegnarsi) nel senso di “parlare dopo essere stato interrogato, per soddisfare alla domanda fatta[xxxiv], ma anche – più polemicamente – di “replicare…ribattere, controbattere, reagire, contestare, confutare…” [xxxv] . Fatto sta che, si tratti di una partita a carte o di un battibecco fra coniugi, l’atto di ‘rispondere’ finisce spesso col perdere la sua valenza positiva di soddisfazione di una domanda/richiesta, per assumere un connotato più violento, sia pure sul piano verbale. Ci sono però anche casi – come ‘rispondere al fuoco’ o ‘rispondere ad un’aggressione’ – in cui la ‘risposta’ si palesa invece in tutta la sua minacciosa fisicità.
  • SOTTOPORRE, che chiude questa lista di ‘verbi violenti troppo frequenti’, appare univoco ed esplicito nel suo significato. Sub+ponere – il verbo composto latino da cui peraltro deriva anche ‘supporre’ – è infatti trasparente nell’indicare l’atto di porre qualcuno o qualcosa al di sotto, significando dunque: “assoggettare, soggiogare[xxxvi] e anche “a. ridurre sotto il proprio dominio…b. costringere qualcuno ad affrontare, o a subire, qualcosa di spiacevole o di non gradito o voluto[xxxvii].

Decalogo conclusivo sui preverbi violenti

Al termine di questa particolare indagine etimologica mi sembra utile trarne una sintesi in dieci punti, in modo da ricavarne qualche utile conclusione.

  1. Dei 7.500 vocaboli ‘di alta frequenza’ presenti nel citato Nuovo Vocabolario di Base della lingua italiana, quelli classificabili come ‘parole fondamentali’ sono 2.000 e ricoprono l’86% delle occorrenze.
  2. Sottraendo a questi 2.000 lemmi quelli meno significativi (pronomi, congiunzioni, avverbi etc.) il campo si restringe ai 1.768 vocaboli presi in esame come campione per la mia già precedente ricerca, finalizzata a verificare quanti rientrassero in tre ambiti semantici: a) bellico-militare, b) ecologico-ambientale, c) latamente pacifista.
  3. Nel primo settore della mia classificazione ho registrato 259 lemmi (pari al 14,6%) che ritengo espressione d’un linguaggio aggressivo e violento. Questo significa, in pratica, che una parola su sette rientrerebbe in tale allarmante contesto.
  4. All’interno del campione dei 1.768 vocaboli considerati ‘fondamentali’ dal NVdB ho contato 468 verbi, ossia il 26,5%.
  5. Il passo successivo è stato quello di enucleare tra le forme verbali censite quelle con una connotazione bellico-militare o comunque violenta che fossero composte con prefissi preposizionali che ne esaltassero la carica aggressiva. Quelli esaminati sono appunto i 22 verbi ‘ostili’ (quasi il 5% dei 468 ‘fondamentali’) che ho poi analizzato sul piano etimologico-semantico.
  6. I 6 preverbi considerati (AD-, DE-, EX-, IN-, RE-, SUB-), in effetti, hanno modificato in senso negativo le relative forme verbali di base, tra cui 9/22 già ostili di per sé.
  7. La carica semantica negativa dei prefissi, impressa ai verbi che modificano, ne sottolinea pertanto: a) con AD- la direzione; b) con DE- allontanamento, abbassamento o deprivazione; c) con EX- esclusione; d) con IN- privazione o contrarietà; e) con OB- contrarietà; f) con RE- opposizione; g) con SUB- sottomissione.  
  8. Dei verbi esaminati, circa la metà (10/22) manifestano una carica inequivocabilmente violenta ed esplicitamente guerrafondaia: AMMAZZARE, ATTACCARE, COMBATTERE, CONQUISTARE, COSTRINGERE, DISTRUGGERE, ELIMINARE, IMPORRE, OCCUPARE, UCCIDERE.
  9. I restanti 12 preverbi (AFFRONTARE, CONDANNARE, DIFENDERE, DIVIDERE, ESCLUDERE, SPAVENTARE, IMPEDIRE, OBBLIGARE, OPPORRE, RESISTERE, RISPONDERE, SOTTOPORRE) – sia pur in modo meno univoco – esprimono un atteggiamento ostile o manifestano volontà di dominio e di sottomissione:
  10. Concludendo, dalla mia indagine risulta che 1 verbo composto italiano su 20 totali censiti come ‘fondamentali’ esprime avversità, inimicizia, violenza oppure intenti di sottomissione. Per chi auspica un lessico pacifico, nonviolento e non-ostile è un dato preoccupante, da valutare molto seriamente.  


Note

[i] Ermete Ferraro, “Un vocabolario di base ‘fondamentalmente’ violento?” (14.4.23), Ermetespeacebook, https://ermetespeacebook.blog/2023/04/14/un-vocabolario-di-base-fondamentalmente-violento/

[ii] Tullio de Mauro (2016), Nuovo vocabolario di base della lingua italiana. (Cfr. anche il Dizionario Online di Internazionale, https://dizionario.internazionale.it/

[iii]  Fra i vari studi accademici sul valore modificante dei prefissi verbali cfr: Davide Bertocci (2017), ‘Intensive’ verbal prefixes in Archaic Latin –(https://www.academia.edu/37442997/_Intensive_verbal_prefixes_in_Archaic_Latin ); Ursula Lenker (2008), Booster prefixes in Old English – an alternative view of the roots of ME forsoothhttps://www.anglistik.uni-muenchen.de/personen/professoren/lenker/publikationen/2008-booster-prefixes-in-oe.pdf ; Dewell, Robert B. (2015), The Semantics of German Verb Prefixes (Human Cognitive Processing 49), Amsterdam/Philadelphia, John Benjamins.

[iv] Cfr. la presentazione di Agnes Jekl (Univ. di Budapest -2019) dal titolo “Cambiamenti nella funzione del prefisso verbale ad- dal latino classico all’italiano”, https://www.uniud.it/it/ateneo-uniud/ateneo-uniud-organizzazione/altre-strutture/centro-internazionale-plurilinguismo/allegati/ppt-jekl-cambiamenti-nella-funzione-del-prefisso-verbale-ad.pptx

[v]  Cfr. https://www.etimo.it/?term=fronte

[vi]  Cfr. https://etimo.it/?term=attaccare&find=Cerca

[vii]  Cfr. https://dizionari.corriere.it/dizionario_latino/Latino/C/cum_1.shtml

[viii] Cfr. https://etimo.it/?term=battere&find=Cerca

[ix] Cfr. https://etimo.it/?term=conquistare&find=Cerca

[x] https://www.treccani.it/vocabolario/conquistare/

[xi]  https://etimo.it/?term=stringere&find=Cerca

[xii]   https://www.treccani.it/vocabolario/costringere/

[xiii]https://www.treccani.it/vocabolario/de/#:~:text=%E3%80%88d%C3%A9%E3%80%89%20%5Bdal%20lat.,alto%20in%20basso%20(per%20es.

[xiv]  Dante Olivieri (1961), Dizionario Etimologico Italiano, Milano, Ceschina (voce: “difendere”)

[xv]  https://www.etimo.it/?term=difendere&find=Cerca

[xvi]  https://www.treccani.it/vocabolario/difendere/

[xvii]  https://www.treccani.it/vocabolario/distruggere

[xviii] Cfr. Olivieri 1961 (voce: “dividere”)

[xix]https://www.etimoitaliano.it/2015/04/divisione.html#:~:text=Per%20quanto%20riguarda%20la%20questione,che%20alcuni%20ritrovano%20in%20videre.

[xx]  https://www.treccani.it/vocabolario/ex/

[xxi]   https://www.etimo.it/?term=eliminare

[xxii]  https://www.treccani.it/vocabolario/eliminare/

[xxiii]  ibidem

[xxiv]  https://www.treccani.it/vocabolario/spaventare/

[xxv] https://www.treccani.it/enciclopedia/in-prefisso_(La-grammatica-italiana)

[xxvi]  https://www.treccani.it/vocabolario/impedire/ 

[xxvii]  https://www.etimo.it/?term=imporre&find=Cerca

[xxviii]  https://dizionario.internazionale.it/parola/ob-

[xxix] https://www.etimo.it/?term=legare&find=Cerca

[xxx] https://www.etimo.it/?term=occupare&find=Cerca

[xxxi]  https://www.treccani.it/vocabolario/occupare/

[xxxii]  https://www.treccani.it/vocabolario/opporre/

[xxxiii]  https://www.treccani.it/vocabolario/ricerca/resistere/

[xxxiv] https://www.etimo.it/?term=rispondere&find=Cerca

[xxxv]  https://it.wiktionary.org/wiki/rispondere

[xxxvi]  https://www.etimo.it/?term=sottoporre

[xxxvii]  https://www.treccani.it/vocabolario/sottoporre/


© 2023 Ermete Ferraro

Un vocabolario di base ‘fondamentalmente’ violento?

Vocabolario di base e frequenza nell’uso delle parole.

Nel 2016 Tullio De Mauro aggiornò la sua precedente ricerca sul ‘vocabolario di base della lingua italiana’ (NVdB), individuando le 7.500 parole che costituiscono il nostro ‘lessico quotidiano’, vale a dire il serbatoio linguistico cui la maggioranza degli italiani sembra attingere più frequentemente [i].

«È un elenco di circa 7500 parole selezionate per uso, frequenza e disponibilità e suddivise in tre categorie: 1 – lessico fondamentale (FO, circa 2000 parole ad altissima frequenza usate nell’86% dei discorsi e dei testi; nell’elenco sono formattate in grassetto); 2 – lessico di alto uso (AU, circa 3000 parole di uso frequente che coprono il 6% delle occorrenze; sono formattate come testo normale); 3 – lessico di alta disponibilità (AD, circa 2000 parole usate solo in alcuni contesti ma comprensibili da tutti i parlanti e percepite come aventi una disponibilità pari o perfino superiore alle parole di maggior uso; sono formattate in corsivo)» [ii].

Lo stesso De Mauro precisava che:

«Ciò che abbiamo finora chiamato uso è il prodotto della frequenza assoluta delle occorrenze di una parola in un campione di testi di una lingua, divisi in diverse categorie (testi scolastici, testi letterari, copioni cinematografici o teatrali eccetera), moltiplicata per la sua dispersione, cioè per il numero di categorie di testi in cui la parola occorre. La dispersione, cioè la presenza in più categorie diverse di testi, aiuta a correggere distorsioni che potrebbero aversi guardando solo alla frequenza.…» [iii] .

Da questa risorsa, fondamentale per la conoscenza del nostro patrimonio lessicale d’uso comune, si ricavano non solo interessanti indici statistici di frequenza nell’utilizzo delle parole dell’italiano corrente, ma anche alcune considerazioni sulle tendenze socio-linguistiche in atto. Un ecopacifista come me, ad esempio, andando a curiosare fra i 2.000 lemmi contrassegnati in neretto, in quanto considerati ‘fondamentali’, ha potuto utilizzare questo repertorio per ricercare quanta parte del nostro lessico quotidiano abbia a che fare con determinati contesti logici, quali “guerra e militarismo”, “pace” ed “ecologia”.

La presente ricerca ha richiesto la tabulazione dei 2.000 lemmi fondamentali in un’apposita tabella Excel, in modo da evidenziare – lettera per lettera – quali parole ricadessero in ciascuno di questi tre ambiti, calcolandone poi la rispettiva percentuale sul totale. Dall’insieme dei vocaboli in neretto sono stati esclusi quelli di scarso valore semantico (pronomi personali, aggettivi dimostrativi e possessivi, preposizioni, avverbi, congiunzioni) e pertanto il numero complessivo di quelli presi in esame è sceso a 1.768.

Sebbene le osservazioni seguenti siano frutto di una mia personale elaborazione del database pubblicato su Internazionale, ritengo comunque che possano dare un’idea abbastanza precisa di come il patrimonio linguistico maggiormente condiviso dagli italiani [iv] lasci trasparire determinate tendenze a rappresentare la realtà, alimentando particolari narrazioni. Nell’ambito degli studi di ecolinguistica [v], ad esempio, è molto diffuso l’impiego dei “corpus assisted discourse studies”, ossia dell’analisi linguistica fondata sull’utilizzo e l’elaborazione di repertori lessicali.

«Lo sforzo principale degli studi del discorso assistito da corpus è l’indagine e il confronto delle caratteristiche di particolari tipi di discorso, integrando nell’analisi le tecniche e gli strumenti sviluppati all’interno della linguistica dei corpora. Questi includono la compilazione di corpora specializzati e analisi di elenchi di frequenza di parole e cluster di parole, elenchi di parole chiave comparative e, soprattutto, concordanze […] Gli studi sul discorso assistito da corpus mirano a scoprire significati non ovvi, cioè significati che potrebbero non essere prontamente disponibili per la lettura a occhio nudo. Gran parte di ciò che ha significato nei testi non è aperto all’osservazione diretta […] Usiamo il linguaggio “semi-automaticamente”, nel senso che parlanti e scrittori compiono scelte semi-consce all’interno dei vari complessi sistemi sovrapposti di cui è composto il linguaggio» [vi].

In questo caso, un confronto statistico tra blocchi di parole fondamentali riguardanti determinati contesti può quindi risultare illuminante sul pensiero sottostante alle parole della lingua italiana più frequentemente utilizzate, stimolando considerazioni per nulla banali.

Dati emersi dalla mia ricerca sul NVdB dell’italiano

Ovviamente non tutte le osservazioni che si possono ricavare analizzando il mio database sono significative allo stesso modo. Alcune sono solo curiosità originate dall’evidenziazione di alcuni aspetti, come ad esempio la frequenza di determinate parole all’interno di uno specifico repertorio alfabetico. Ad esempio, non sembra che abbia un particolare significato il fatto che la maggior parte delle parole italiane da me selezionate nel citato ‘lessico fondamentale’ e riguardanti la guerra ed il militarismo inizino con le lettere S (40), R (32) e C (25). Altrettanto vale per l’osservazione che gran parte dei vocaboli ‘pacifici’ comincino per A o P (17), oppure per I ed R (10), o anche che il lessico ambientale si alimenti prevalentemente di parole inizianti con le lettere P (21), S (19) e C (12). Si tratta dunque di semplici constatazioni, anche se l’analisi etimologica delle parole ci porta talvolta ad osservare che fenomeni di natura fonetica, come l’onomatopea, possono aver condizionato il significato di alcuni vocaboli, soprattutto per quanto riguarda la loro radice primaria.

Le osservazioni oggettive che si possono trarre dalla mia ricerca mi sembrano indubbiamente più significative. Infatti, sebbene l’attribuzione di una parola ad un determinato campo semantico (guerra e militarismo – ecologia ed ambiente – pace e nonviolenza) sia frutto di una mia selezione, ciò che si ricava dall’analisi dei dati va al di là di impressioni personali, in quanto ne emerge un quadro abbastanza preciso delle caratteristiche del nostro lessico fondamentale.

Ma esaminiamo prima i risultati da un punto di vista meramente statistico, tenendo conto che l’entità totale di riferimento sono i 1.768 lemmi che ho ricavato dal 2.000 del NVdB (De Mauro 2016), eliminando quelli che – come precisato prima – mi sembravano semanticamente non particolarmente rilevanti .

  • Nel primo settore della mia classificazione – concernente le parole del vocabolario fondamentale italiano che ricadono nel campo semantico bellico-militare – si ritrovano 259 lemmi, pari al 14,6% del totale.
  • Nel secondo ambito di ricerca – comprendente le parole che fanno riferimento all’ambiente ed all’ecologia – ricadono 124 lemmi, pari al 7,01%.
  • Il terzo campo semantico preso in esame – vocaboli riferibili in modo diretto o indiretto alla pace, alla giustizia e ai diritti – registra infine la presenza di 152 lemmi, corrispondenti all’8,6%.

Già questi soli dati numerici rispecchiano una precisa realtà socioculturale, in cui il lessico di base più comune degli italiani è composto per un settimo da vocaboli appartenenti al linguaggio militare e guerresco, mentre per i ‘linguaggi di pace’ la maggior parte dei parlanti l’italiano dispongono e utilizzano meno di una parola su undici. Inoltre, per quanto riguarda ciò che si riferisce alla natura, agli elementi ambientali ed all’ecologia, il dato sembra ancor più allarmante. Infatti in questo contesto ricade solo il 7% del lessico italiano considerato ‘fondamentale’, vale a dire meno di una parola ogni quattordici.  Sono solo dati statistici, ma è difficile non considerarne il valore ed il significato all’interno di un’analisi del discorso che punti a svelare i condizionamenti esercitati su un vocabolario che, oltre ad essere spesso piuttosto povero e limitato, attribuisce al linguaggio di guerra uno spazio addirittura doppio rispetto a quello riservato a quello riguardante il nostro imprescindibile rapporto con l’ambiente.

Alcune considerazioni in chiave ecopacifista

A questo punto mi sembra opportuno ricordare quanto scriveva l’ecolinguista Arran Stibbe sull’analisi critica del discorso e su ciò che si propone di rivelare.

«a) L’attenzione si concentra su discorsi che hanno (anche potenzialmente) un impatto significativo non solo sul modo in cui le persone trattano le altre, ma anche su come trattano i sistemi ecologici più ampi da cui dipende la vita. B) I discorsi vengono analizzati mostrando come gruppi di caratteristiche linguistiche si uniscono per formare particolari visioni del mondo e ‘codici culturali’… c) I criteri in base ai quali le visioni del mondo sono giudicate derivano da una filosofia ecologica (o ecosofia) esplicita o implicita. Un’ecosofia è informata sia da una comprensione scientifica di come gli organismi (compresi gli esseri umani) dipendono dalle interazioni con altri organismi e da un ambiente fisico per sopravvivere e prosperare, sia da un quadro etico per decidere perché la sopravvivenza e la prosperità sono importanti…»[vii].

Ebbene, dall’elaborazione dei dati della mia indagine emerge un preoccupante quadro verbale – e perciò stesso cognitivo – di quanto il vocabolario usato dall’86% degli italiani aiuti poco lo sviluppo della consapevolezza ecologica e l’impegno per la pace. A quest’ultimo ambito semantico, come già detto, ritroviamo solamente 1/12 del vocabolario di base della lingua italiana. Ciò non significa che tale rapporto sul piano del lessico rispecchi esattamente il nostro livello di coscienza pacifista, che invece la guerra in Ucraina sta paradossalmente facendo maturare. Il vero problema, però, è se si dispone di adeguati strumenti per esprimerlo ossia, per citare un noto libro [viii], se si hanno a sufficienza “le parole per dirlo”.

Viceversa, come ho avuto modo di sottolineare in altri contributi [ix], sembra che si faccia strada sempre più un linguaggio improntato ai sedicenti ‘valori militari’, sia a causa della crescente invadenza delle forze armate nelle istituzioni scolastiche italiane, sia per l’influenza della comunicazione mediatica che diffonde, in modo talvolta subdolo, modalità espressive ispirate a quel mondo.

Nell’impossibilità di pubblicare in questa sede l’intero database generato dalla mia ricerca, vorrei comunque offrire almeno un’idea di ciò che ne è emerso. Ad esempio, tra le parole registrate dal NVdB come quelle usate più frequentemente dagli italiani ritroviamo molti verbi che evocano direttamente la violenza della guerra e la retorica dell’eroismo militare (affrontare, ammazzare, attaccare, avanzare, battere, caricare, circondare, colpire, combattere, conquistare, difendere, distruggere, eliminare, imporre, intervenire, minacciare, morire, obbligare, occupare, opporre, provocare, resistere, ritirare, scoppiare, sottoporre, sparare, spaventare, uccidere etc.). Si tratta di una constatazione che preoccupa, dal momento che, in maggioranza non fanno certo parte del lessico quotidiano nè sembrano facilmente attribuibili ad altri contesti, sia pur in forma traslata.

Un secondo esempio di tale perniciosa tendenza si ricava dall’analisi dei sostantivi italiani più frequentemente usati, tra i quali ritroviamo abbastanza sorprendentemente termini riferibili prevalentemente alle forze armate, quali: arma, attacco, battaglia, capitano, carabiniere, carica, controllo, coraggio, difesa, dovere, eroe, esercito, forza, fronte, fuoco, generale, guerra, impresa, intervento, lotta, militare, missione, nazione, nemico, norma, nucleare, obiettivo, onore, pericolo, piano, pistola, principio, reazione, rischio, rispetto, servizio, sfida, soldato, squadra, strategia, superiore, tensione, trasmissione, ufficiale, valore, zona etc.

Se teniamo conto del fatto che la nuova edizione del lessico di base curata da De Mauro risale al 2016 e che in questi sette anni l’influenza dei militari sul piano socioculturale è molto aumentata, non possiamo non allarmarci per la frequenza di questa particolare terminologia nel linguaggio corrente di 8,6 italiani su 10.

La controprova è data dalla ricorrenza molto più ridotta in esso di termini che esprimano valori di pace, giustizia, tutela dei diritti umani e rifiuto della violenza nelle sue varie forme. Questa tipologia di parole, infatti, ricorre nel vocabolario di base fondamentale in misura estremamente limitata, poiché solo un lemma su dodici sembra ricadere in questo pur ampio campo semantico.

Vi ritroviamo, comunque, parecchi verbi che esprimono atteggiamenti nonviolenti, equi e solidali, come: accettare, accogliere, accompagnare, adottare, affidare, aiutare, appoggiare, apprezzare, comprendere, comunicare, consentire, consigliare, convincere, dedicare, distribuire, fidarsi, garantire, informare, inserire, intendere, interessare, manifestare, migliorare, offrire, ospitare, partecipare, perdonare, permettere, prestare, proporre, realizzare, riconoscere, ringraziare, rispettare, salvare, scegliere, soddisfare, sperare, sviluppare, trasmettere, utilizzare, valutare, visitare etc.

Una lingua di pace, come ho cercato di argomentare nel mio manuale ecopacifista [x], dovrebbe trasmettere concetti ispirati alla nonviolenza ed alla riconciliazione, alla valorizzazione delle diversità ed alla sostenibilità ambientale ed anche alla giustizia sociale ed alla solidarietà. Un lessico ecopacifista, infatti, è quello che sappia comunicare – ed aiutare ad instaurare – una positiva relazione tra gli uomini e tra questi ed il contesto naturale di cui fanno parte. Uno sguardo al settore del vocabolario di base dell’italiano che va in questa direzione ci mostra però un repertorio lessicale ancora troppo limitato, se è vero che soltanto una parola su quattordici comunica interesse per i valori ecologici.

Si tratta prevalentemente di sostantivi che si limitano a cogliere elementi geo-biologici dell’ambiente naturale e antropizzato, ad es.: acqua, albero, animale, atmosfera, bosco, campo, canale, cielo, costa, fiume, fonte, freddo, frutto, giardino, isola, lago, lupo, mare, montagna, natura, neve, paese, parco, pesce, pietra, pioggia, punta, radice, rosa, sera, sereno, sole, spazio, stagione, stella, terra, uccello, uomo, uovo, vento etc.

Si sono individuati anche altri vocaboli con una maggiore pregnanza dal punto di vista ecologico, in quanto lasciano trasparire un atteggiamento positivo verso il ciclo vitale e la ricerca di un’integrazione delle persone col proprio contesto ambientale. Si tratta però solo di pochi verbi (crescere, generare, produrre, raccogliere, rispettare, trasformare, vivere) e di alcuni nomi e aggettivi riferibilipiù esplicitamente a temi ecologici (ambientale, catena, fenomeno, materia, naturale, organismo, pianeta, riproduzione, salute, temperatura, territorio, universo, verde, vita). 

Qualche conclusione da trarre…

Sempre più – e da più parti – comincia a manifestarsi l’esigenza di ripristinare ed accrescere un patrimonio lessicale che nel tempo è andato invece ad impoverirsi, riducendo la capacità delle persone di ‘leggere il mondo’, di comprenderlo e di agire in modo positivo e attivo per salvare ciò che possiede un autentico valore e per cambiare ciò che viceversa è frutto d’ingiustizia e di violenza. Un luninoso esponente di questa visione pragmatica del processo comunicativo e del ruolo dell’educazione in tal senso è stato don Milani, che ai suoi ragazzi della scuola di Barbiana aveva fatto capire che “la parola è la chiave fatata che apre ogni porta” perché “ci fa uguali”.

Ma se è vero che possedere solo 200 parole – come affermava il Priore – significa essere dominati da chi ne conosce 2.000, occorre forse ampliare la riflessione milaniana, andando oltre l’aspetto quantitativo (senza dubbio determinante) per affrontare anche quello qualitativo. Nel caso in esame, le 2.000 parole che il NVdB dell’Italiano ha riconosciuto come ‘fondamentali’ all’interno di quelle più frequentemente utilizzate dagli italiani, infatti, non soltanto costituiscono in ogni caso un misero patrimonio lessicale (anche se supportate dalle altre 3.000 parole del ‘lessico di alto uso), ma vanno analizzate più in profondità, per scoprire quale modello sociale e culturale rispecchiano e, inevitabilmente, contribuiscono a diffondere e perpetuare.

Paulo Freire, nel suo libro “L’educazione come pratica della libertà[xi] proponeva a chi perseguiva l’educazione delle masse popolari un approccio molto particolare incentrato sulla lingua, non solo come indispensabile alfabetizzazione e prima tappa nella liberazione degli ‘oppressi’, ma soprattutto come formazione umana delle persone e veicolo di coscientizzazione sociale. La prima delle cinque fasi del processo di educazione linguistica proposto da Freire era, non a caso, l’individuazione delle parole più usate nel linguaggio comune dei gruppi con cui si voleva operare. La seconda era caratterizzata dall’individuazione delle ‘parole generatrici’ più adeguate a sviluppare in quelle comunità un’autentica consapevolezza di sé, dei propri limiti e dei propri bisogni.

«Le parole generative, le parole fondamentali, di cui Freire va alla ricerca, lette nella mia chiave, altro non sono che il sistema simbolico che organizza i discorsi di quella cultura Quando Freire si propone di alfabetizzare gli abitanti delle favelas […] egli vuole ricostruire il vocabolario di quelle persone, il loro sistema culturale, per costruire un percorso di alfabetizzazione alla loro cultura, […] È necessario avere la coscienza della propria cultura di riferimento per poter pienamente autoprogettarsi, scegliere, decidere, per poter pienamente servirsi della propria cultura, rifletterla, criticarla, modificarla, farla evolvere e con essa far evolvere se stessi…»[xii].

Dall’indagine di cui ho dato conto emerge piuttosto un allarmante livellamento socioculturale verso il basso, che però non sembra affatto casuale né poco significativo. Dalla base lessicale comune e più condivisa dagli italiani, in effetti, sembra emergere un universo di riferimento in cui le parole generatrici di una visione militarista e violenta sono il doppio di quelle che invece ci descrivono nella nostra relazione con l’ambiente. Si tratta di un dato significativo da non sottovalutare ma anzi da tener ben presente quando ci si propone di educare alla pace in senso lato, soprattutto se si persegue un progetto ecopacifista che dia spazio alla coscientizzazione ed alla formazione e non solo all’azione [xiii].


Note

[i] Tullio de Mauro, Nuovo vocabolario di base della lingua italiana, 2016. (Cfr. anche il Dizionario Online di Internazionale, https://dizionario.internazionale.it/

[ii]  Licia, “Le 7500 parole del lessico di base dell’italiano” (29.12.2016), Terminologia etc., https://www.terminologiaetc.it/2016/12/29/vocabolario-base-italiano-demauro/

[iii] Tullio De Mauro, “Il Nuovo vocabolario di base della lingua italiana” (23.12.2016), Internazionale, https://www.internazionale.it/opinione/tullio-de-mauro/2016/12/23/il-nuovo-vocabolario-di-base-della-lingua-italiana

[iv] «Il NVdB si fonda sullo spoglio elettronico (controllato manualmente) di testi lunghi complessivamente 18.843.459 occorrenze raggruppati in sei categorie di estensione approssimativamente equivalente: stampa (quotidiani e settimanali), saggistica (saggi divulgativi, testi e manuali scolastici e universitari), testi letterari (narrativa, poesia), spettacolo (copioni cinematografici, teatro), comunicazione mediata dal computer (chat eccetera), registrazioni di parlato» (T. De Mauro, https://www.internazionale.it/opinione/tullio-de-mauro/2016/12/23/il-nuovo-vocabolario-di-base-della-lingua-italiana )

[v]  Cfr. Ermete Ferraro (2022), Grammatica ecopacifista. Ecolinguistica e linguaggi di pace (Quad. Satyagraha n. 42), Pisa, Centro Gandhi Edizioni

[vi]  “Corpus-assisted discourse studies”, Wikipedia, https://en.wikipedia.org/wiki/Corpus-assisted_discourse_studies (trad. mia)

[vii]  Arran Stibbe (2014), “An Ecolinguistic Approach to Critical Discourse Studies”, in Critical Discourse Studies, 11.1, London, Routledge https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/17405904.2013.845789

[viii]  Cfr. Marie Cardinal (2001), Le parole per dirlo, Milano. Bompiani

[ix]  Oltre al libro già citato (in particolare la IV parte, su “riferimenti e indicazioni per una grammatica ecopacifista”), cfr. anche alcuni miei articoli: Disarmiamo la nostra scuola (2019); Fenomenologia dello strumento militare (2020); Il militarismo eterno (2020); Una lapide al ‘militarismo noto’ (2021) e A rotta di…protocollo (2022), tutti pubblicati sul mio blog ( https://ermetespeacebook.blog/)

[x]  Cfr. Ferraro 2022, in particolare alle pp. 112-118

[xi] Il testo originale “Paulo Freire (1967), Educaçao como pratica da liberdade, Paz e Terra, Rio de Janeiro, è stato così tradotto in italiano nelle edizioni Mondadori (Milano, 1977)

[xii] Ada Manfreda (2017), La parola che emancipa, l’apprendimento che trasforma. Le parole generative di Paulo Freire,  http://siba ese.unisalento.it/index.php/sppe/article/download/18429/15729 , p. 54

[xiii]  Cfr. anche: M.I.R. Italia (a cura del) 2021, La colomba e il ramoscello – Un progetto ecopacifista, Torino, Ed. Gruppo Abele.


© 2023 Ermete Ferraro

Etimostorie #10: ‘vigilare’ – ‘vegliare’

La Domenica delle Palme, ancora una volta, ci ha proposto il racconto di quanto accadde 2023 anni fa a Gerusalemme al rabbi nazareno Yehoshua, passato nel giro di poche ore dalle grida osannanti e festanti alle urla feroci della folla che assediava il pretorio. La cronistoria di quell’inverosimile processo sommario, culminato nella condanna a morte senza una chiara imputazione di colui che fino a poche ore prima era stata ritenuto un profeta ed un guaritore, risulta estremamente realistica ed efficace, pur con alcune varianti stilistiche nei tre evangeli sinottici.

Un passo particolarmente toccante e significativo è quello che narra la dolorosa sensazione di smarrimento, abbandono, delusione e tristezza provata dal Maestro nel giardino degli ulivi, circondato da discepoli stanchi, sfiduciati e quasi incapaci di comprenderne davvero le parole. Ed è proprio quella stanchezza – sia mentale sia fisica – che si era impadronita di loro che li aveva portati ad addormentarsi, anziché vegliare e pregare come invece era stato loro raccomandato.

«Così, non siete stati capaci di vegliare con me una sola ora? Vegliate e pregate, per non entrare in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole» [i].

Nel testo originale in greco di questo brano («Οὕτως οὐκ ἰσχύσατε μίαν ὥραν γρηγορῆσαι μετ᾽ ἐμοῦ. γρηγορεῖτε καὶ προσεύχεσθε ἵνα μὴ εἰσέλθητε εἰς πειρασμόν· τὸ μὲν πνεῦμα πρόθυμον ἡ δὲ σὰρξ ἀσθενής» spicca il verbo γρηγορέω (grigoréo), reso in italiano con “vegliare”.  Il Maestro, infatti, aveva chiesto loro di restare svegli e vigilanti, ma essi si erano comunque addormentati, in lingua greca καθεύδοντας, dal verbo καθεύδω (kathèudo).  Il prefisso preposizionale katà (giù, in basso, sotto) evoca il cadere nel sonno (in inglese si dice “to fall asleep”), metafora del conseguente “cadere in tentazione”, da cui Gesù pur li aveva esortati a guardarsi. L’espressione in greco, però, suona un po’ diversa: “μὴ εἰσέλθητε εἰς πειρασμόν” in quanto, più che al ‘cadere’ passivamente, allude al movimento attivo di chi si avvicina, va in direzione di qualcosa o qualcuno, entrando in un certo luogo (éis = in/dentro + érchomai =andare).

Ebbene, se innegabilmente l’opposto di addormentarsi, cedere al sonno, è ‘vegliare’, sarebbe forse utile approfondire quel verbo, che usiamo abitualmente ma di cui non sempre conosciamo il significato originario.  D’altra parte non basta non dormire per ‘vegliare’, come ci suggerisce il verbo parallelo vigilare, identico in latino, che però suggerisce significati aggiunti.

«V. intr. e tr. [dal lat. vigilare, der. di vigil -ĭlis «vigile»] (io vìgilo, ecc.). – 1. intr. (aus. avere) a. letter. Vegliare, stare sveglio […] b. Stare attento, usare molta attenzione perché qualche cosa avvenga nel modo voluto […] 2. tr. Sorvegliare, seguire con attenzione e controllare lo svolgimento di un’azione, il modo di comportarsi di una o più persone, di gruppi o di enti, o anche il funzionamento di impianti e macchinarî, per poter intervenire rapidamente ed efficacemente se necessario…» [ii].

Insomma, non è sufficiente rimanere svegli per essere davvero ‘vigili’, aggettivo che suggerisce un’attenzione specifica verso qualcuno/qualcosa (ad-tendere), una ‘intenzionalità’ (in-tendere) che può essere originata solo da una salda motivazione. Il verbo greco γρηγορέω [iii] suggerisce peraltro un’accezione un po’ differente, che è quella del correre, dell’andare di fretta, ma sostanzialmente quella dell’essere svelti in quanto svegli (aggettivo che rinvia al verbo ἐγείρω = essere sveglio). Insomma, quella raccomandata dal Maestro ai suoi discepoli era una ‘vigilanza’ che non si limitasse a non cedere al sonno (che è comunque un allontanamento dalla realtà), ma li motivasse ad esercitare un’attenzione particolare, soprattutto in un momento critico come quello che avrebbe preceduto la cattura, il processo e la condanna.

Oggi il termine ‘vigile’ continua ad applicarsi a coloro i quali svolgano un ruolo professionale di vigilanza, spesso quando il resto della comunità è da tempo ‘caduta’ nel sonno, per assicurare un controllo sui beni comuni e sulla sicurezza delle persone. Però, mentre dalle nostre strade vanno progressivamente scomparendo i tradizionali ‘vigili urbani’ (termine da tempo sostituito da quello più vago ed anodino di ‘agente di polizia locale’), proliferano viceversa le agenzie di vigilanza privata, diurna e notturna, a salvaguardia dei beni e degli interessi di singoli, condomini, aziende ed esercizi commerciali. In una società dove l’avere domina incontrastato sull’essere, questi parapoliziotti (non a caso chiamati spesso alla spagnola vigilantes) sono quindi chiamati a ‘vegliare’ e ‘sorvegliare’, ma solo per evitare che qualcuno ‘entri nella tentazione’ di portar via i nostri preziosi averi…

Che dire? Se dell’evangelica raccomandazione a “vegliare e pregare” non è rimasto molto, anche al desueto invito alla “vigilanza politica” non si direbbe ormai che siano molti ad aderire, poiché la maggioranza delle persone sembrano anestetizzate dal pensiero unico e tutt’altro che attente a ciò che accade intorno a loro. Ma è proprio per questo che dovremmo finalmente svegliarci dal questo torpore sonnolento, ricordando che, etimologicamente, vigilare e vegliare sono verbi “che dipendono dal verbo vigeo: essere vivo, vigoroso: rad. *vig- [iv].

Vigilare, infatti, è il modo migliore per dimostrare di essere davvero “vivi e vegeti”...

Note


[i]  Mt 26:40-42

[ii]  https://www.treccani.it/vocabolario/vigilare/

[iii]  Cfr. https://el.wiktionary.org/wiki/%CE%B3%CF%81%CE%B7%CE%B3%CE%BF%CF%81%CF%8E

[iv]  Cfr. voce ‘vegliare’, in: D. Olivieri, Dizionario etimologico dell’italiano, Milano, Ceschina 1965