“…TUTTI GIU’ PER TERRA !”

earthday Chi non ricorda il classico girotondo che si faceva da bambini e che terminava proprio con queste parole? Beh, allora erano pronunciate festosamente, ma non si può negare che oggi esse risuonino piuttosto inquietanti, con quel loro apocalittico riferimento: “casca il mondo, casca la terra”… Recentemente, peraltro, ho appreso dalla mia ultimogenita – amante del dark – che quell’ingenuo girotondo infantile avrebbe avuto in effetti un’origine assai poco allegra, traducendo una diffusa “nursery rhime” inglese dell’Ottocento (Ring-a-ring-a-roses), a sua volta ispirata alla ‘grande pestilenza’ che colpì duramente quel Paese alla metà del XVII secolo. Ma lasciamo stare la peste del ‘600 e veniamo ai giorni nostri, in cui – anziché delle “roses” (cioè le macchie rosa’ che allora comparivano sulla pelle degli appestati, preludendo ai bubboni) faremmo invece bene a preoccuparci del grave e costante arrossamento che stiamo provocando al nostro Pianeta, continuando a surriscaldarne l’atmosfera in modo irresponsabile. Certo, non è che così facendo davvero “casca la Terra”, ma non c’è dubbio che ne stiamo fatalmente compromettendo la vivibilità, avviandoci spensieratamente verso una catastrofe annunciata. Oggi ricorre la “Giornata della Terra” e, ancora una volta, da varie parti si lanciano accorati appelli a salvare il Pianeta azzurro da questa terribile minaccia. Fra i moniti più autorevoli va sicuramente annoverato quello della Commissione di scienziati nominata dall’ONU, che ha affermato senza tanti giri di parole: “Solo una spinta a livello globale nei prossimi 25 anni potrà evitare i disastrosi effetti del cambiamento climatico” . Non è che qui in Italia se ne sia parlato e scritto molto, ma lo si apprende leggendo un articolo su TIME del 13 aprile scorso, disponibile anche sull’edizione online della nota rivista  (http://time.com/60769/global-warming-ipcc-carbon-emissions/ ). L’ IPCC (Commissione Intergovernativa sul Cambiamento Climatico), ha infatti ribadito che, per contenere i peggiori effetti di questo fenomeno, è indispensabile che i governi adottino misure sempre più efficaci a ridurre le emissioni di anidride carbonica. Questo autorevole consesso scientifico ( non di certo composto da sfegatati ambientalisti…) ha sottolineato che: “Le emissioni globali di gas serra devono essere ridotte del 40% al 70% rispetto al 2010 entro la metà del secolo, al fine di porre un limite al fatto che la temperatura media globale aumenti di 2 ° C o 3,6 ° F, al di sopra dei livelli preindustriali. Un aumento della temperatura superiore a 2 º C provoca effetti drastici, compreso il crollo di lastre di ghiaccio, l’estinzione massiva di piante e animali, scarsità di cibo e di acqua ed eventi meteorologici estremi…” (cfr. il testo del comunicato stampa su: http://www.ipcc.ch/pdf/ar5/pr_wg3/20140413_pr_pc_wg3_en.pdf ).

Il rapporto predisposto dall’IPCC, fra l’altro, ammonisce i responsabili degli Stati, chiamati a decidere nel merito, che l’inazione sarebbe davvero fatale, visto che – nel periodo 2000-2010 – le emissioni sono cresciute assai più velocemente che nei tre decenni precedenti. Non si tratta delle minacciose previsioni di apocalittici ‘profeti di sventura’, ma di pura e semplice constatazione della realtà, che però dovrebbe renderci tutti/e più attivi e reattivi di fronte all’inerzia e ai colpevoli ritardi di chi governa. Ed è sempre il TIME magazine, nell’edizione cartacea europea del 14 aprile, a lanciare l’allarme, pubblicando una breve scheda nella quale si sintetizzano i cinque punti-chiave del citato IPCC. 1) Danni ambientali. Il cambio climatico ha già pesantemente alterato gli standard migratori, fatto fuori alcune specie e reso più difficile la coltivazione dei cereali, per non parlare dello scioglimento dei ghiacciai e della progressiva scomparsa del Mar Glaciale Artico. 2) Ripercussioni sociali. Si evidenzia che la conflittualità sociale è destinata a crescere laddove le persone sono costrette a fronteggiare una pesante riduzione delle risorse. Si chiarisce poi che “tale violenza, a sua volta, renderà ancora più difficile dare risposte al riscaldamento globale”. 3) Crisi economica. Se non si riuscirà ad impedire l’aumento globale della temperatura di 2 gradi centigradi – ammonisce la Commissione – anche la produzione mondiale ne risentirà, con un tasso di calo previsto intorno al 2% all’anno. 4) Impatto sui poveri. E’ evidente, si osserva, che i Paesi “in via di sviluppo” saranno colpiti più duramente, nella misura in cui i suddetti cambiamenti climatici ne peggioreranno le condizioni di povertà. Essi infatti si troveranno a combattere contro un ulteriore aggravamento di fenomeni già presenti, come malnutrizione, sete, malattie ed alti tassi di mortalità. 5) Riduzione del danno. Il  fatto è che denunciare gli effetti deleteri del cambiamento climatico non basta. Il rapporto quindi ribadisce che tutto dipende da come si saprà rispondere al riscaldamento globale, per ridurre il danno ed evitare che le cose vadano sempre peggio. Non so quanto le raccomandazioni di quegli scienziati – il cui studio è stato promosso dalle Nazioni Unite – riuscirà davvero a smuoverci dalla nostra pigra e rassegnata routine. Sappiamo però che senza una sostanziale riduzione delle emissioni tossiche per la nostra atmosfera non c’è scampo. E’ per questo che, come ha efficacemente commentato il Prof. Edenhofer, co-presidente dell’IPCC e noto scienziato tedesco: “We need to move away from business as usual.”, espressione traducibile approssimativamente con: “E’ necessario che ci smuoviamo dal nostro abituale modo di essere”.

Eggià, perché la cosa più difficile è proprio uscire dal nostro solito tenore di vita, rinunciando alla vecchia e comoda equazione “Più è meglio” e convertendoci finalmente a scelte alternative ed a stili di vita che siano socialmente responsabili e compatibili con le esigenze ambientali. L’etica della responsabilità non è certo patrimonio esclusivo dei credenti, ma è comunque importante che dalle Chiese si alzi la voce contro un modello di sviluppo che ci sta portando alla catastrofe, coinvolgendo l’intera biosfera in quest’assurdo suicidio dell’umanità. Ecco perché fa piacere constatare che anche Papa Francesco, nella sua recente esortazione apostolica, ha richiamato i credenti in Cristo ad una netta svolta in senso ecologico: “Amiamo questo magnifico pianeta dove Dio ci ha posto, e amiamo l’umanità che lo abita, con tutti i suoi drammi e le sue stanchezze, con i suoi aneliti e le sue speranze, con i suoi valori e le sue fragilità. La terra è la nostra casa comune e tutti siamo fratelli…” (Evangelii Gaudium, n. 183 – p, 145-5). Ecco: amare la Terra, non soltanto tutelarne gli equilibri per non colpire il nostro interesse. Credo che sia giunto il tempo che i Cristiani imparino ad uscire da un’asfittica prospettiva antropocentrica e comincino ad interrogarsi sulla loro responsabilità verso la dantesca “aiuola che ci fa tanto feroci” (Par. XXII,151). Amare la Terra vuol dire impedire con tutte le nostre forze che egoismo, avidità ma anche pigrizia ci lascino proseguire sulla solita strada, adoperandoci in prima persona per essere il cambiamento che vorremmo vedere nel mondo, per citare le profetiche parole del Mahatma Gandhi. E allora diamoci da fare affinché cresca e si diffonda sempre più la consapevolezza di questa drammatica situazione, anche facendo appello ai cittadini perché sappiano richiamare chi li governa al rispetto delle scelte che possono e devono farci invertire la rotta. A tal proposito, anche la Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità (www.laciviltàdelsole.org ) – il network associativo di cui faccio parte – ha cercato di operare in tal senso. Ha infatti lanciato su Change.org una petizione al Consiglio della U.E. (http://www.change.org/petitions/l-europa-contribuisca-alla-salvezza-del-clima-del-pianeta?fb_action_ids=10203450119803495&fb_action_types=change-org%3Arecruit&fb_ref=__TjnuZfVDqD ), affinché deliberasse l’adozione degli obiettivi 60-50-50 (rispettivamente per la riduzione emissioni di CO2, l’aumento della produzione di energia da fonti rinnovabili e la diminuzione dei consumi energetici). Dopo il rinvio delle decisioni degli organismi europei, ed in vista delle prossime scadenze internazionali, – fra cui il summit dell’ONU sul clima – abbiamo però ritenuto necessario attivare una nuova e aggiornata petizione anche a livello internazionale. (https://secure.avaaz.org/en/petition/Council_of_the_European_Union_European_Commission_European_Council_Europe_lets_contribute_to_the_salvation_our_climate/?dunzSab&pv=0 ).

Firmarla è solo il primo passo per un cambiamento che ci riguarda tutti e dipende da ciascuno di noi. Perché la posta in gioco è molto alta e non possiamo più permetterci di fare infantili girotondi per rinviare all’infinito decisioni improcrastinabili. E’ un impegno che dobbiamo assumerci, tutti. Prima che, fuor di metafora, “caschi la Terra”…. © 2014 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )

UOMINI “CON IL SOLE IN TASCA” ?

soleinmanoMentre ascoltavo, durante la colazione, la consueta rubrica di notizie e commenti di Radio 3 Rai, mi ha colpito una frase che si riferiva al modo con cui sembra che Berlusconi amasse descriversi: una persona “con il sole in tasca”. Era la prima volta che mi capitava di sentire questa espressione e, incuriosito, ho fatto una piccola ricerca su Internet. Ho così scoperto che, oltre ad essere un modo di dire tipico dell’ex premier, essa era diventata addirittura il titolo di una sua elogiativa biografia scritta nel 2009 da Sandro Bondi (“Il sole in tasca”) e, nel 2012, d’un romanzo ‘fantapolitico’ di Cesare de Marchi: (“L’uomo con il sole in tasca”).

Lasciando da parte Berlusconi ed il suo immaginario rapimento da parte delle nuove B.R., quest’originale modo di dire non mi suggerisce tanto l’idea dell’imprenditore “baciato dalla fortuna”. Nella mia mente affiora piuttosto l’immagine di quelle brave persone che – consapevoli del poco tempo che resta ai combustibili fossili sui quali hanno costruito le proprie fortune e le nostre disgrazie – stanno già fregandosi le mani al pensiero di come potranno ora allungarle anche sulle energie rinnovabili e, in particolare, su quella solare.  Non è proprio come quando corvi e sciacalli sono stati intercettati a sghignazzare cinicamente tra loro sulle ‘opportunità’ che il terremoto dell’Aquila offriva ai loro affari, ma poco ci manca…

La cosa peggiore di certe pseudo-conversioni alle risorse energetiche pulite e naturali è che, ancora una volta, lorsignori tenteranno gattopardescamente di cambiare tutto per non cambiare niente, proseguendo indisturbati sulla strada della speculazione e dello sfruttamento dei beni comuni. Ne abbiamo peraltro già tanti esempi a livello internazionale e, d’altra parte, dopo quello che sono riusciti a combinare con l’accaparramento di una risorsa vitale come l’acqua, non ho dubbi che potentati e lobbies nostrane si getteranno a capofitto anche nel bisinìs delle rinnovabili. Questo stesso nome, infatti, è per loro simbolo di palingenesi, di personale rinnovamento. Una specie di evangelica metànoia, con la differenza che tale operazione, anziché ricordarci la  celebre ‘caduta da cavallo’ di Saulo/Paolo a Damasco, assomiglia piuttosto ad un furbesco ‘cambio di cavallo’ in corsa, cui da tempo anche la nostra politica ci ha abituato.

Il solo fatto che interessanti opuscoli educativi ed accattivanti spot pubblicitari che propongono una svolta ecologica verso la sostenibilità ambientale siano talora prodotti o sponsorizzati da colossi del petrolio come la Exxon o la BP la dice lunga sulla tendenza delle multinazionali dell’oro nero a ri-convertirsi – almeno in parte – all’oro giallo del sole e a quello azzurro dell’acqua e del vento.  Il fatto è che se a parlarci di “futuro”, di “crescita sostenibile” e di “biodiversità” sono le ‘grandi sorelle’ del petrolio è proprio il caso di preoccuparci e di chiederci cosa diavolo stiano progettando…

Da noi in Campania (” ‘o Paese d”o Sole”….) il valore della legge popolare che da un anno siamo riusciti a far approvare dal Consiglio regionale – e per la cui attuazione continuiamo a batterci – non risiede solo nella scelta decisa e coraggiosa del Sole e delle altre rinnovabili come fonte di energia per i prossimi decenni. E’ anche e soprattutto una profonda alternativa nel modello di sviluppo e di consumi, accompagnata dalla rivendicazione dell’autonomia energetica delle comunità locali, salvaguardando comunque la biodiversità dei territori, che perfino le ‘rinnovabili’ potrebbero mettere a repentaglio, se fossero usate con la solita logica predatoria e speculativa.  Ecco perché noi della Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità  ci preoccupiamo che nessuno giunga a mettersi “il sole in tasca” per privatizzarne la benefica potenza, controllandone la captazione e la distribuzione. Ecco perché non ci sta bene che si continui a consumare prezioso suolo agricolo, tappezzandolo di pannelli fotovoltaici, o che si costruiscano “cattedrali solari” nel deserto, come è successo recentemente in California, quando invece le alternative ci sono e vanno cercate nelle aree degradate ed inquinate, che dalla rivoluzione del solare sarebbero riscattate.

“Ma se il Sole lassù è di tutti / tu lo sai…” – come cantava nel 1966 Stevie Wonder – non dobbiamo quindi consentire che ci sia spazio per chi vorrebbe specularci su, appropriandoselo e monetizzandone la gratuita e democratica energia. Il testo originale inglese della canzone citata (A Place in the Sun)  tra l’altro diceva: “Cause there’s a place in the sun / Where there’s hope for ev’ryone”, ossia: “Perché c’è un posto al sole / dove c’è speranza per tutti”.  E’ compito degli ambientalisti veri evitare che quel ‘sole di tutti’ sia rinchiuso nelle celle (sia pure fotovoltaica…) d’una prigione dorata, per essere distribuito solo grazie ad onerose intermediazioni.

In effetti, già ottocento anni fa san Francesco innalzava la sua lode a Dio, insieme con tutte le sue creature e “spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui. Et ellu è bellu e radiante cum grande splendore, de te, Altissimo, porta significatione”.  Ebbene, questa radiante bellezza, questo divino splendore, dovrà restare una risorsa per l’umanità e le altre creature, che nessuno ha il diritto di appropriarsi e di monopolizzare. Proprio perché “il sole è di tutti” , evitiamo che imprenditori spregiudicati possano vantarsi di essere “uomini col sole in tasca” ed a nessuno speculatore sia consentito di cancellare, in nome del proprio interesse, la “speranza per tutti” che deriva da quell’energia pulita, disponibile e diffusa ovunque.

“Here comes the sun, and I say / It’s all right”, cantavano  i Beatles ed anch’io ribadisco che “va tutto bene”. Basta che impediamo ai soliti noti di ficcarsi il sole nelle loro tasche.

© 2014 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )

TETTI SOLARIZZATI, MA TESTE DA ILLUMINARE…

Ho la fortuna d’insegnare in una scuola media che è uno dei 27sole-bio istituti scolastici napoletani prescelti per l’installazione di impianti fotovoltaici per produrre energia elettrica da fonte solare.   Nel 2010 il progetto comunale riguardava 42 scuole della città, ipotizzando un risparmio di emissioni di CO2 pari a 2.800 tonnellate in venti anni. L’11.1.2010, infatti, la Regione Campania – applicando un finanziamento previsto dal D.M. 21.5.2002 –  aveva emanato il decreto dirigenziale n. 3, col quale accordava al progetto “Scuole Solarizzate” del Comune di Napoli un contributo di quasi 868.320 Euro, pari al 20% dell’investimento totale previsto (4.341.600 Euro). Nel successivo capitolato d’appalto, però, la somma è stata ridotta a 2.822.040 Euro, per cui l’investimento si è limitato solo a 27 istituti cittadini, con un finanziamento regionale sceso a 408.300 Euro, a seguito del dirottamento dei restanti 460.000 Euro per un progetto sui parchi.   Il progetto, pur ridimensionato, resta comunque significativo. Esso prevede infatti che dai 390 kWp installati sulle 27 scuole napoletane si ottenga una produzione di energia pari a 535.500 kW per anno, evitando in tal modo d’immettere in atmosfera 416 tonnellate di CO2  annue, vale a dire 8.320 tonnellate in 20 anni.

A distanza di 4 anni, però, dell’effettiva attuazione di quel progetto si sa piuttosto poco, a parte che – con delibera di giunta del 9.2.2012 – ne è stato approvato il ‘completamento’. Lo stesso presidente della quinta municipalità di Napoli, da me invitato a partecipare ad un incontro pubblico sull’argomento, tenuto lo scorso 2 aprile proprio nella mia scuola, ha candidamente ammesso di non avere dati precisi nemmeno sui tre istituti scolastici di sua competenza. Certo, in ogni scuola ‘solarizzata’ è stato installato un tabellone luminoso, dal cui display è possibile ricavare informazioni sulla potenza dell’impianto, l’energia prodotta e l’inquinamento da CO2 evitato. Si tratta però d’un monitoraggio parziale dei risultati dell’operazione realizzata dal Comune di Napoli che, soprattutto, riduce la questione a meri dati tecnici, che peraltro nessuno si preoccupa di portare a conoscenza delle comunità locali, che in tal modo non viene informata né coinvolta.  Nel corso dell’incontro cui accennavo prima, infatti, è apparso chiaro è che la consapevolezza di genitori e docenti in materia – anche in una scuola collocata in un contesto socio-culturalmente ed economicamente evoluto – resta piuttosto limitata. Gli impianti fotovoltaici installati nelle scuole, insomma, restano qualcosa che sta “sui tetti” di quelle realtà educative, ma forse non è mai sceso dentro le menti ed i cuori di coloro che ne sono i fruitori. Del resto, anche questo termine risulta improprio, visto che l’energia elettrica prodotta dai pannelli solari non viene utilizzata direttamente dagli utenti di ciascun istituto scolastico, ma è immessa in rete, alimentandone il flusso unificato e centralizzato, come un ruscello che si perda in un grande fiume.

Nella locandina che pubblicizzava l’incontro ho inserito, rielaborandolo, il logo di un’associazione statunitense (Solar Schoolshttp://www.nrdc.org/about/ ), il cui sintetico ed efficace slogan è: “Powering classrooms, empowering communities”. Ho provato a tradurlo con “Dare energia alle aule, dare più potere alle comunità”, per sottolineare che un programma di solarizzazione delle scuole non dovrebbe mai essere banalizzato come un mero investimento o una ‘modernizzazione’ tecnologica.

Dietro la valorizzazione e diffusione dell’energia solare – avremmo voluto spiegare anche ai tanti genitori e docenti della mia scuola che purtroppo non sono intervenuti all’incontro – c’è in realtà un cambiamento epocale, una vera e propria rivoluzione, non solo energetica.  E’ quella “Civiltà del Sole” di cui la Rete associativa di cui faccio parte da tre anni si fa divulgatrice e promotrice, denunciando ambiguità e ritardi delle istituzioni, che purtroppo stanno rallentando l’attuazione dell’innovativa legge popolare su cui abbiamo raccolto circa 20.000 firme e che siamo riusciti a far approvare dalla Regione Campania poco più di un anno fa.

Il fatto è, comunque, che una ‘civiltà del sole’ non si basa soltanto sulla crescita quantitativa della percentuale di energia ricavata da fonti rinnovabili, ma richiede un profondo cambiamento degli stili di vita, del rapporto con l’ambiente naturale e di effettive e diffuse ‘buone pratiche’ nei consumi domestici, nei trasporti e in tanti altri aspetti della nostra realtà quotidiana.  Non serve a molto, infatti, solarizzare i tetti degli edifici se chi vi abita e vi lavora continua a comportarsi come ha sempre fatto, sprecando elettricità in mille modi.  Chi abbia dimestichezza con gli uffici, e quindi anche con le scuole, sa bene che troppo spesso corridoi ed aule restano inutilmente illuminate anche con una luce esterna più che sufficiente. Che la miriade di apparecchi elettrici ed elettronici (computer, lavagne elettroniche, fotocopiatrici, stampanti, fari delle palestre etc.) rimangono frequentemente accesi o comunque in posizione di ‘stand by’ . Che il riscaldamento centralizzato funziona talvolta anche con 23 gradi di temperatura esterna, costringendo alunni ed insegnanti a spalancare le finestre – sotto le quali i termosifoni sono spesso collocati – e quindi disperdendo assurdamente calore nell’aria. Ma tutto ciò è l’evidente contrario di quel risparmio energetico che, insieme all’efficienza, dovrebbe invece rappresentare per una comunità consapevole l’obiettivo principale da conseguire, fra l’altro a costo zero. Recenti studi in Germania hanno quantificato lo spreco energetico, dovuto alle apparecchiature elettriche lasciate in ‘stand by’ attorno ai 20 TW/h. Si tratterebbe nientemeno che di venti mila miliardi di wattora che l’incuria degli utenti riesce a sperperare ogni anno, con l’aggravante che ciò avviene per alimentare apparecchiature elettriche… spente!

Ricerche e studi in proposito non mancano certo e sono concordi nel denunciare questo spreco assurdo di risorse energetiche, frutto di abitudini sbagliate e di diffusa ignoranza. Eppure una delle ragioni per cui le scuole sono state prescelte come sede per impianti fotovoltaici ritengo sia stata proprio la loro caratterizzazione educativa, la loro valenza formativa. Se ci guardiamo un po’ intorno, però, non mi pare che questo obiettivo sia stato raggiunto. Il consumismo sfrenato della nostra civiltà si alimenta in buona parte col consumo spensierato di energia elettrica (pensiamo solo al proliferare di cellulari, smart-phone, tablet , i-pad ed altri costosi aggeggi).Ecco perché la diffusione d’impianti fotovoltaici e di altre fonti energetiche alternative e rinnovabili (eolico, geotermico etc.) non può e non deve diventare il pretesto per ammantare di ecologia un uso irrazionale delle risorse o, peggio, per continuare a credere che la scienza e la tecnologia risolveranno tutti i nostri problemi.

E’ pur vero, d’altra parte, che ci sono tantissime esperienze di educazione ambientale sia all’estero (USA, GB, Germania, Paesi Scandinavi…) sia in Italia, che fanno leva proprio sul ruolo formativo della scuola per promuovere conoscenze migliori e per promuovere buone pratiche.   Guai se il sole arrivasse solo ai pannelli installati sui tetti delle scuole, senza giungere ad ‘illuminare’ anche le teste di studenti, docenti ed altri lavoratori che vi trascorrono mediamente sei ore al giorno! Ancor meglio sarebbe se l’energia del sole così raccolta servisse ad alimentare le stesse scuole, dando senso all’efficace slogan citato prima. Fornire direttamente energia alle aule sarebbe il primo importante passo, cui dovrebbe comunque seguire il secondo: dare più potere alle comunità locali, decentrando le risorse energetiche e facendole gestire direttamente a chi vive in quel territorio.

Il guaio è che questi non sono obiettivi che si raggiungono schiacciando un bottone. Ci vuole convinzione e tenacia, ma soprattutto la consapevolezza che, per parafrasare don Milani, dobbiamo tutti agire come se ogni cosa dipendesse da noi. Ecco, nel milaniano “I CARE” mettiamoci anche l’impegno affinché ciascuno faccia quanto può, al suo livello, per realizzare davvero l’auspicata  “Civiltà del Sole’.

© 2014 Ermete Ferraro (http://ermeteferraro.worpress.com )