Una sporca guerra. Parlando…in generale

Non è facile ammetterlo, soprattutto per un antimilitarista, ma talvolta le autorità militari hanno fatto e fanno tuttora dichiarazioni molto più sensate e condivisibili di quelle dei politici.  Infatti, contrariamente a quanto affermato nella paradossale quanto sarcastica citazione da Georges Clemenceau, primo ministro francese negli anni ’20 dello scorso secolo (“La guerre! C’est une chose trop grave pour la confier à des militaires[i]), appare in modo sempre più evidente che a giocare pericolosamente, e da dilettanti, con la guerra sono invece proprio i nostri governanti.

Già nel 1961 un potente insegnamento sul pericoloso intreccio tra affari e politica in materia militare ci era venuto da quanto ebbe a dichiarare nel suo discorso di fine mandato il presidente degli Stati Uniti Dwight Eisenhower, che ne era stato anche il più autorevole generale: «Nei consigli di governo, dobbiamo guardarci dall’acquisizione di un’influenza ingiustificata, cercata o meno, dal complesso militare-industriale. Il potenziale per il disastroso aumento del potere fuori luogo esiste e persisterà. Non dobbiamo mai lasciare che il peso di questa combinazione metta in pericolo le nostre libertà o i processi democratici. Non dovremmo dare nulla per scontato. Solo una cittadinanza attenta e ben informata può obbligare a unire adeguatamente l’enorme apparato di difesa industriale e militare con i nostri metodi e obiettivi pacifici, in modo che la sicurezza e la libertà possano prosperare insieme »[ii].

Ma è stata soprattutto la guerra in Ucraina a scatenare una serie di dichiarazioni da parte di vertici militari che contraddicono clamorosamente la vulgata mediatica ed i bellicosi discorsi di molti esponenti politici, grondanti retorica e zeppi di stereotipi. Il primo caso, forse quello più imbarazzante, sono state le spiazzanti dichiarazioni del potente vertice dell’U.S. Army, il gen. Mark Milley. Come rilevava Tommaso De Francesco in un suo editoriale su Il manifesto: «Nell’arco di poco più di tre mesi e per tre volte, il capo di stato maggiore dell’esercito statunitense […] ha ribadito che, a un anno dall’invasione russa, non c’è soluzione militare al conflitto in Ucraina […] Pragmatico e prudente sull’andamento del conflitto e credibilmente più consapevole della reale situazione sul campo di tanti «esperti» che affollano gli scranni tv partecipando, da lontano, alle battaglie, Mark Milley insiste: «Né l’Ucraina né la Russia sono in grado di vincere la guerra che, invece, può solo concludersi ad un tavolo negoziale», perché «se è praticamente impossibile» che la Russia conquisti l’Ucraina, cosa che «non succederà», resta «pure estremamente difficile che le forze di Kiev riescano a cacciare quelle di Mosca dalle loro terre» [iii].

Nel nostro Paese le voci critiche sulle decisioni politiche in materia non sono purtroppo caratteristiche dell’opposizione al governo di destra, ma serpeggiano in modo trasversale e contraddittorio nei due schieramenti. Risulta pertanto ancora più clamoroso che a sbilanciarsi sulle scelte italiane ed europee circa il conflitto armato russo-ucraino siano stati anche in Italia due autorevoli vertici militari, evidentemente consapevoli dei rischi del miope unilateralismo bellicoso dettato dalle scelte NATO ed europee.  A seminare lo scompiglio tra politici e commentatori, infatti, sono state le parole nientedimeno che dell’attuale Capo di Stato Maggiore della Difesa, l’amm. Giuseppe Cavo Dragone, come riferiva il quotidiano Libero in un articolo:  «Mentre gran parte della politica e dei commentatori, in Europa e negli Stati Uniti, sostengono che l’Ucraina “deve vincere” e che il mondo occidentale farà di tutto per sostenerla, i più esperti delle dinamiche boots on the ground di un conflitto affermano l’esatto contrario: ovvero la prudenza avvertendo sui rischi dell’escalation. Tra questi c’è il capo di stato maggiore della Difesa, l’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone. “Una soluzione militare non esiste” per la guerra tra Russia e Ucraina, dice a Marco Menduini per la Stampa spiegando che “né gli uni, i russi, riusciranno mai a disarcionare la leadership ucraina; né gli ucraini potranno riuscire a riconquistare tutti i territori che sono stati invasi dalla Russia. Questo è un dato che rimane costante nel tempo”. Di certo, puntualizza l’ammiraglio, “non possiamo permetterci un altro conflitto congelato nel cuore dell’Europa“…» [iv].

Un mese dopo è toccato ad un altro vertice militare gettare pietre nello stagno della politica estera italiana. Il generale Marco Bertolini, già comandante del Comando Operativo Interforze, ha infatti dichiarato senza tanti giri di parole: «Ci stiamo facendo male da soli: così sabotiamo la pace, addio sovranità, intromettendoci in una guerra che non è nostra. Stiamo prendendo sempre più le parti di uno dei due belligeranti, riducendo lo spazio per una trattativa di pace” […] stiamo procedendo su una strada che renderà difficile, se non impossibile, riprendere le fila di una trattativa o recitare ruoli nella partita di pace […] continuiamo a gettare benzina sul fuoco fornendo armi ed energie a un altro Stato impegnato in guerra che rischia di diventare una never ending war» [v].

Ovviamente le motivazioni che hanno spinto sì autorevoli ufficiali stellati e con la greca a pronunciarsi criticamente sull’irresponsabile corsa di troppi nostri rappresentanti politici verso una guerra senza fine (ed anche con falsi fini…) sono ben differenti da quelle del mondo del pacifismo nonviolento. È infatti il fondato timore che la sovranità del nostro Paese sia ormai nelle mani di altri decisori e che – per citare ancora Bertolini – si sottraggano “preziose risorse alla nostra difesa” ad ispirare in primo luogo la caustica polemica di generali ed ammiragli sul ruolo dell’Italia nello scenario internazionale, in nome della “disciplina di alleanza”, ma con pesanti ricadute economiche e sociali negative.  Eppure è difficile non condividere il riferimento di Bertolini «alla grande ipocrisia di questo conflitto del quale ci siamo accorti solo all’ultimo momento, mentre il fuoco ha covato sotto la cenere per almeno otto anni, dal 2014, nella nostra indifferenza» [vi]. Un’ipocrisia che pervade trasversalmente destra e sinistra e che non tiene conto della crescente ostilità chiaramente espressa dalla maggioranza degli Italiani verso questa guerra insensata, devastante e sempre più rischiosa per tutti.

Ciò che resta tragicamente assente dal dibattito pubblico, però, è che da 120 anni un’alternativa difensiva – disarmata, civile, sociale e nonviolenta – esiste ed è vincente nel 52% dei casi. Che “la resistenza civile funziona” – come dice il titolo di una fondamentale ricerca sulla percentuale di successo delle campagne nonviolente confrontate con quelle belliche, nel periodo 1900-2006 [vii] – è quindi un fatto ormai acclarato, ma ancora poco conosciuto. La seconda falsità da contrastare, quindi, è che non esistano alternative alla passività ed alla resa, anche se per il complesso militare-industriale è preferibile che non si sappia in giro…

Note


[i]   Cfr. https://it.wikiquote.org/wiki/Georges_Clemenceau  (La frase citata era stata forse già pronunciata da Talleyrand)

[ii]   Dwight Eisenhower, Discorso di addio, 17.01.1961 (cfr. https://it.alphahistory.com/guerra-fredda/dwight-eisenhowers-discorso-d%27addio-1961/  – https://www.brookings.edu/research/eisenhowers-farewell-addresses-a-speechwriter-remembers/  – https://www.studocu.com/it/document/universita-degli-studi-di-napoli-lorientale/geografia-delle-relazioni-internazionali/eisenhower-traduzione-del-discorso/11740741

[iii] T. Di Francesco, “Generale, dietro la collina…” (19.2.2023), il manifesto, https://ilmanifesto.it/generale-dietro-la-collina

[iv] “Ammiraglio Cavo Dragone, la profezia finale: chi non vincerà la guerra” (25.02.2023), Libero, https://www.liberoquotidiano.it/news/esteri/34995407/ammiraglio-cavo-dragone-profezia-finale-non-vincera-guerra.html

[v] Vincenzo Bisbiglia, “Il generale Bertolini:”Ci stiamo facendo male da soli: così sabotiamo la pace, addio sovranità” (20.03.2023), il Fatto Quotidianohttps://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2023/03/20/il-generale-bertolini-ci-stiamo-facendo-male-da-soli-cosi-sabotiamo-la-pace-addio-sovranita/7102359/

[vi]  Ibidem

[vii] Vedi: Erica Chenoweth & Maria J. Stehan, Why Civil Resistance Works, Columbia Univ. Press, 2011

Una battaglia ecopacifista…a propulsione antinucleare

Oltre 25 anni di mobilitazioni nonviolente per difendere la sicurezza dei cittadini e per denuclearizzare il mare di Napoli

di Ermete Ferraro

1. Un po’ di storia (1996-2010)

La battaglia dei VAS (Verdi Ambiente e Società) per liberare il golfo e la città di Napoli dal pericolo nucleare iniziò addirittura quando il circolo napoletano dell’Associazione non era ancora nato. Infatti, nel maggio del 1996, infatti, i responsabili regionale e cittadino dell’associazione Verdarcobaleno (D’Acunto e Ferraro, che in seguito costituirono VAS Napoli ed il Coordinamento campano) avevano già lanciato l’allarme sul grave rischio per la sicurezza e la salute della popolazione civile derivante dalla presenza di sottomarini nucleari nella base NATO (COMSUBSOUTH) collocata nell’isolotto di Nisida, di fronte a Bagnoli. [1]

In realtà la battaglia per la smilitarizzazione e denuclearizzazione del territorio e del mare di Napoli era cominciata molto prima, agli inizi degli anni ’70, con la mobilitazione del movimento pacifista napoletano, riunito intorno ad Antonino Drago [2], allora docente di storia della fisica alla “Federico II” e leader delle lotte degli obiettori di coscienza antimilitaristi per una difesa civile, sociale e nonviolenta.[3]  È da lì che in buona parte deriva, confluendo nell’azione di VAS in Campania, lo spirito ecopacifista che l’ha contraddistinta, arricchendo l’ecologia sociale, da sempre suo elemento costitutivo, con l’impegno per la difesa del territorio e dei suoi abitanti dalla minaccia nucleare.

Risale al 2001 la prima presa di posizione ufficiale dei VAS napoletani contro l’ingombrante e pericolosa presenza della portaerei nucleare USA Enterprise nel porto di Napoli, ripresa dai media locali [4]. Le proteste pubbliche contro l’indifferenza del Presidente della Regione Campania e del Sindaco di Napoli – responsabili della protezione del territorio e della salute dei cittadini – si sono susseguite negli anni successivi, ma tutti gli appelli dei VAS alle autorità competenti sono stati regolarmente disattesi e anche i media non hanno sempre pubblicizzato la loro denuncia. Solo tre anni dopo, nel 2004, fu ancora una volta un quotidiano di destra a riportare le motivate proteste degli ecopacifisti napoletani contro la minacciosa presenza di fronte al Maschio Angioino di ben due portaerei americane (la Enterprise a febbraio e la Truman a luglio). [5].

Già dal 2001, del resto, il Coordinamento dei circoli campani di VAS aveva promosso l’originale iniziativa denominata “Festa della Biodiversità” (che si è svolta a Napoli per quattro anni), ribadendo anche in quella sede che la cultura della biodiversità, naturale o culturale che sia, passa comunque per un modello di sviluppo alternativo, rispettoso della natura ma anche equo, solidale e pacifico. Ed è proprio in tale ambito che il supplemento speciale alla rivista Verde Ambiente nel 2004 pubblicò l’articolo di Ferraro “Quale ecopacifismo?” [6] In questo saggio, infatti, si chiariva perché questo termine non può essere ridotto ad una semplice somma di due grandi idealità, ma deve piuttosto proporsi come una sintesi organica, da cui scaturisca un modello di sviluppo alternativo, che rifiuti la violenza ed il dominio come propri elementi costitutivi.

Negli anni successivi l’intervento di VAS Campania ha affiancato quello di altre organizzazioni – come la sezione napoletana di Pax Christi [7] e soprattutto il Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio – Campania [8] – nella lotta contro la militarizzazione del territorio regionale e cittadino e per fare del Mediterraneo un mare di pace.[9] Dal 2007 ad oggi si sono susseguite le prese di posizione degli ecopacifisti di VAS contro l’ampliamento del Quartier Generale delle forze aeronavali della US Navy a Napoli-Capodichino (https://www.facebook.com/USNavalForcesEuropeAfrica/), con la collocazione, ancora una volta a Napoli, del nuovo comando militare USA relativo all’intero continente africano (AFRICOM).  Nel febbraio del 2009, infine, VAS ha lanciato ancora una volta un allarme sul rischio nucleare, in relazione allo scontro di due sommergibili nell’Atlantico, riproponendo pubblicamente la denuclearizzazione del porto di Napoli. [10]

Nell’aderire all’allora Coordinamento Campano per il No al Nucleare (C.C.N.N.), infine, VAS ha chiarito ulteriormente lo stretto legame che intercorre tra il c.d. “nucleare civile” e quello militare, facendo esplicito riferimento anche all’emergenza nucleare relativa alla presenza di natanti a propulsione atomica nel golfo di Napoli. [11]

Altra importante azione di VAS su questo terreno è stata, nel dicembre 2010, una richiesta ufficiale al Prefetto di Napoli, finalizzata ad avere accesso al Piano Provinciale di emergenza esterna dell’Area Portuale, relativo all’eventualità d’incidenti a natanti a propulsione nucleare, transitanti o alla fonda nella baia di Napoli. L’istanza, a firma di Guido Pollice, allora Presidente Nazionale di VAS – faceva seguito ad analoga richiesta del suddetto Comitato Pace, Disarmo e Smilitarizzazione – Campania, cui VAS aderiva a livello regionale, e ne ribadiva la legittimità, trattandosi di atti concernenti la sicurezza dei cittadini e la tutela dell’ambiente. Ancora una volta, infatti, VAS insisteva sulla necessità di trasparenza sui piani di emergenza elaborati e sulla verifica della loro effettiva incidenza ed efficacia.[12]

Prevedibilmente, la risposta della Prefettura di Napoli, dopo 15 giorni, fu evasiva e scontata: il richiedente avrebbe dovuto indicare di quali parti del piano provinciale vorrebbe copia, tenendo conto che parte del documento era stato “classificato” come soggetto al segreto militare. Ma la replica di VAS fu netta, affinché fosse chiaro che l’associazione e le altre organizzazioni della rete pacifista campana non si sarebbero fermate fino a quando la popolazione napoletana non avrà ricevuto – come le spetta per legge – un’informazione reale, completa ed esplicita sui rischi previsti e sulle misure di protezione civile previste per fronteggiarle.

2. Il pericolo nucleare sopra e sotto il ‘mare nostrum’

Apr. 2011- Manifestazione del CPDC al Porto di Napoli

Negli ultimi anni la presenza dei natanti a propulsione nucleare nel golfo di Napoli è diventata più discreta. Chi non è giovanissimo ricorda però che l’arrivo di una gigantesca portaerei statunitense nel porto è stata spesso accolta come un grande evento, quasi come un’esibizione. Migliaia di persone, fra cui studenti, facevano allora pazientemente la coda per visitare, stupiti, quelle centrali atomiche galleggianti, con i loro bei bombardieri allineati sopra… Eppure si tratta di una formidabile fabbrica di morte e, soprattutto, di una fonte di gravissimo rischio per la sicurezza e la salute di chi abita in quella città, che dal dopoguerra non si è mai liberata dall’ingombrante “protezione” dei cosiddetti Alleati, che continuano ad “occuparne” da allora il territorio ed il mare. Fra l’altro, come ricorda Alessandro Marescotti, responsabile di Peacelink:

I propulsori nucleari sono sottoposti al decreto legislativo 230/95 [13] relativo ai reattori nucleari in genere; tale normativa (che comporta un obbligo di informazione alle popolazioni e la definizione di un piano di emergenza nucleare) si applica quindi ad esempio a tutti i sottomarini statunitensi i quali sono tutti a propulsione nucleare; per le armi nucleari invece non vi è alcuna normativa che salvaguardi la popolazione e anzi le autorità militari Usa hanno l’ordine di non confermare e non smentire la presenza a bordo di tali armi… [14]

Il paradosso di un Paese che, con ben due referendum democratici, ha bandito il “nucleare civile” ma è costretto, suo malgrado, a convivere con armamenti e natanti nucleari è un evidente prova della follia militarista, di fronte alla quale ogni garanzia di trasparenza democratica risulta inesorabilmente cancellata. Ancor più paradossale è che:

… negli Stati Uniti, per ragioni di sicurezza, le unità militari a propulsione nucleare non sostano e non attraccano nei porti commerciali. E sempre per ragioni di sicurezza le navi commerciali non hanno propulsori nucleari a bordo. Un incidente nucleare può provocare la fuoriuscita di plutonio la cui radioattività perdura per millenni (si dimezza solo dopo 24 mila anni) provocando il cancro (il chimico Enzo Tiezzi ha scritto: “Un chilo di plutonio disperso nell’ambiente rappresenta il potenziale per 18 miliardi di cancro al polmone”). [15]

Eppure a noi italiani, e in particolare agli abitanti delle città di una dozzina di porti (Augusta, Brindisi, Cagliari, Castellammare di Stabia, Gaeta, La Maddalena, La Spezia, Livorno, Napoli, Taranto, Trieste, Venezia) tocca da decenni l’onere di ospitare questi scomodi visitatori, col rischio di trasformare quello che una volta veniva chiamato Mare Nostrum in un potenziale Mare Monstrum. Esagerazioni? Allarmismi dei soliti antimilitaristi? Purtroppo la realtà è più grave di quanto la si possa dipingere, visto che sappiamo bene cosa possiamo aspettarci dalla Protezione Civile in Italia, soprattutto se a mettere i bastoni fra le ruote della sua già discutibile organizzazione territoriale ci sono le forze armate e le secretazioni militari. Ma di che cosa stiamo parlando, quando lamentiamo l’insicurezza dei porti italiani?

Per sicurezza intendiamo l’applicazione di tutti quei sistemi tecnologici in grado di prevenire o rimediare ai possibili problemi che possono insorgere durante il funzionamento del reattore nucleare e che possono provocare gravi ripercussioni sulle persone e sull’ambiente. In campo civile esistono numerosi sistemi di sicurezza e di emergenza obbligatori, però su un sottomarino tutto questo non è fisicamente possibile, per ragioni di spazio e di funzionalità. Di conseguenza ci ritroviamo col paradosso che reattori nucleari che non otterrebbero la licenza in nessuno dei paesi che utilizzano l’energia atomica, circolano invece liberamente nei mari. Inoltre questi sottomarini affrontano condizioni operative pericolose per via del loro impiego militare anche in tempo di pace (esercitazioni, pattugliamento ecc.) che possono comportare altri incidenti (esplosione di siluri, collisioni, urti col fondale) dalle conseguenze catastrofiche per l’impianto nucleare a bordo. [16]

Fantascienza da esaltati antinuclearisti? No di certo, visto che correva l’anno 1968 quando si verificò il primo incidente del genere e, guarda caso, proprio nel porto di Napoli! Si trattava del sottomarino americano Scorpion, coinvolto il 15 aprile di quel fatidico anno in una tempesta, andando ad urtare la poppa contro una chiatta, che affondò. Fu ispezionato nello stesso porto. Esplose poche settimane dopo – il 22 maggio 1968 – nell’Atlantico al largo delle Azzorre, inabissandosi con il propulsore nucleare, due bombe atomiche e 99 uomini di equipaggio. Solo un mese prima lo stesso sottomarino era transitato per il porto di Taranto…  Le poche fonti informative disponibili, visto l’assordante silenzio che avvolge da sempre questi gravissimi eventi, riportano che qualcosa di simile si verificò nel mar Jonio anche sette anni dopo:

La notte del 22 settembre 1975, nello Jonio meridionale, la portaerei americana Kennedy si scontrò con l’incrociatore (sempre americano) Belknap. Scoppiò un incendio che giunse a pochi metri dalle testate nucleari dei missili Terrier e partì uno dei più alti livelli di SOS nucleare, denominato “broken arrow”. Ha commentato l’esperto di questioni militari William Arkin: “Se le fiamme avessero raggiunto i missili le possibilità sarebbero state due: o le testate atomiche sarebbero esplose con effetti facilmente immaginabili, oppure la nave sarebbe affondata a poche miglia dalle coste di Augusta, zona frequentata dai pescherecci italiani, con conseguenze ambientali molto gravi”.  […] Dell’SOS nucleare non si è saputo nulla fino al 1989 quando l’ammiraglio Eugene Carrol diffuse quelle che il Corriere del Giorno ha definito “agghiaccianti rivelazioni”: “Una catastrofe nucleare nello Ionio l’abbiamo sfiorata quattordici anni fa” (prima pagina del 26 maggio 1989) [17].

Uno degli altri casi di cui si abbia notizia risale al luglio del 2000, quando un sottomarino a propulsione nucleare della US Navy subì un’avaria nel porto di La Spezia. L’episodio fu subito coperto dal silenzio stampa, ad eccezione del quotidiano “Il Secolo XIX”.

Nel 2003 la Prefettura di Latina, Protezione Civile, diffuse, a richiesta, estratti del Piano di emergenza esterna relativo alla sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nella rada di Gaeta. (Revisione 2001). Questa città, infatti, è stata per decenni base operativa della 6^ Flotta della US Navy e nella sua rada attraccavano anche i sottomarini nucleari, ragion per cui le preoccupazioni dei cittadini e delle associazioni risultavano più che fondate. Secondo il documento (o meglio, le parti che ne sono state diffuse) le misure di sicurezza previste sarebbero in grado di “assicurare la protezione delle popolazioni“. Non era però dello stesso avviso Antonino Drago, docente di storia della fisica all’università di Napoli, che sottolineava invece la scarsa plausibilità scientifica del Piano.

Di fatto, il rapporto si ritaglia una ipotesi tecnologica di tutto di comodo: la fusione del nocciolo del reattore nucleare, senza che ci sia fuoriuscita di sostanze radioattive, se non per la incontinenza parziale della terza protezione (oltre quelle del rivestimento delle barre di combustibile e del pentolone o vessel), in questo caso lo scafo intero del sommergibile nucleare: il rivestimento esterno può avere qualche crepa e allora un po’ di gas potrebbe sfuggire all’esterno. Ma questo può avvenire solo in una primissima fase della fusione del nocciolo e non rappresenta affatto lo “incidente massimo ipotizzabile”, casomai quello quasi minimo. […] Come gli altri piani per le centrali civili, questi piani di emergenza dovevano essere revisionati dopo Chernobyl. Ma si è aspettato a lungo. Alla fine del 2001 il gioco di parole (“ipotesi credibile”) è stato ripetuto senza modifiche. D’altronde le autorità non avevano vie d’uscita: o rifiutare questi reattori nucleari su tutto il territorio nazionale dicendo “No” anche agli USA, o subire le conseguenze di un eventuale incidente con uno straccio di piano di emergenza scritto per nascondere la realtà [18].

Indipendentemente dalla validità scientifica delle ipotesi d’incidente in uno dei porti italiani che ospitano natanti a propulsione nucleare, il vero problema è quello della totale assenza di trasparenza in materia, che fa a pugni con l’esigenza di garantire alle popolazioni locali una corretta informazione sui rischi che corre e su come le autorità a ciò preposte pensano di fronteggiarli.  Eppure su questo il citato decreto legislativo 230/95 era stato esplicito, poiché agli articoli 129 e 130 parlava di “obbligo di informazione” nei confronti della popolazione, che avrebbe pertanto il diritto di essere informata senza neanche farne richiesta, visto che dovrebbe trattarsi di “informazioni…accessibili al pubblico, sia in condizioni normali, sia in fase di preallarme o di emergenza radiologica“.

1. La popolazione che rischia di essere interessata dall’emergenza radiologica viene informata e regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in caso di emergenza radiologica. 2. L’informazione comprende almeno i seguenti elementi: a) natura e caratteristiche della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull’ambiente; b) casi di emergenza radiologica presi in considerazione e relative conseguenze per la popolazione e l’ambiente; c) comportamento da adottare in tali eventualità; d) autorità ed enti responsabili degli interventi e misure urgenti previste per informare, avvertire, proteggere e soccorrere la popolazione in caso di emergenza radiologica. 3. Informazioni dettagliate sono rivolte a particolari gruppi di popolazione in relazione alla loro attività, funzione e responsabilità nei riguardi della collettività nonché al ruolo che eventualmente debbano assumere in caso di emergenza [19].

Un ulteriore episodio, denunciato anche da VAS, fu lo scontro di due sommergibili nell’Atlantico, avvenuto nel febbraio 2009, che riproponeva il problema della sicurezza delle popolazioni residenti nelle città sedi di porti in cui è consentito l’accesso di natanti nucleari. Appare dunque più che legittimo chiedersi che cosa succederebbe se dovesse verificarsi qualcosa di simile in un territorio densamente abitato come l’area metropolitana di Napoli. E infatti che cosa accadrebbe in caso d’incidente nucleare se lo è chiesto Angelica Romano, che si è soffermata proprio sulle conseguenze per la popolazione napoletana:

Napoli è una metropoli di oltre 3 milioni di persone, con una densità di 8.567,79 abitanti per kmq, altissima rispetto ad altre città. Come si potrebbe salvare da un pericolo nucleare? […] Per i reattori a basati sul plutonio…vi può essere una dispersione nell’ambiente di questo elemento, caratterizzato da potere cancerogeno e persistenza nell’organismo molto elevati. Naturalmente le conseguenze sull’ecosistema marino e su tutta la catena ecologico- alimentare a esso legata sono incalcolabili [20].

Ma allora che cosa bisognerebbe fare per garantire ai cittadini quanto meno la conoscenza preventiva del rischio che corrono e dei provvedimenti da adottare in caso di malaugurata emergenza nucleare? In ultima analisi, poi, è questo il vero problema oppure bisognerebbe, in modo assai più radicale, impedire l’accesso di qualunque natante a propulsione nucleare nei porti italiani, come peraltro già avviene in paesi come il Giappone, la Nuova Zelanda e perfino nelle principali porti civili degli stessi Stati Uniti d’America?

3. Emergenza nucleare: un Piano che va troppo piano

Dalla normativa vigente in Italia fin dal 1995, con successive modificazioni ed aggiornamenti, scaturisce per le amministrazioni locali l’obbligo di provvedere comunque ad una “informazione preventiva“. Da chi altri, del resto, i cittadini potrebbero avere notizia del rischio di una potenziale “emergenza radiologica” e delle misure predisposte per fronteggiarla? Eppure finora ben poco è trapelato di ciò che tutti pur avrebbero diritto di conoscere, stando alla legge italiana. Per molti anni gruppi e comitati aderenti alla rete associativa Peacelink si erano battuti perché fosse osservata questa prescrizione, ma solo all’inizio del 2000, finalmente, essa riuscì nel proprio intento di controinformazione.

La lunga lotta di PeaceLink per conoscere i piani di emergenza cominciò a febbraio dell’anno 2000 […] A settembre del 2000 la Prefettura di Taranto – dopo l’affondamento di un sottomarino nucleare russo, dopo l’intimazione di PeaceLink ai sensi di legge e alla vigilia di un incandescente consiglio comunale monotematico sul rischio nucleare – ci dette importanti informazioni ufficiali da cui emergeva che la città sarebbe stata evacuata in caso di grave incidente nucleare e di forte dispersione di radioattività. Fu una crepa aperta nel muro del silenzio. Poco dopo il prefetto di Taranto fu trasferito. [21]

Estratti del Piano di emergenza nucleare per il porto di Taranto, infatti, erano ormai consultabili sul sito di Peacelink. In particolare, nella premessa di quel documento era scritto che:

Scopo del presente piano è quello di salvaguardare, mediante l’adozione di idonee misure di sicurezza, l’incolumità delle popolazioni interessate dai pericoli delle radiazioni derivanti da eventuali incidenti ad unità militari a propulsione nucleare.  [22]

Il secondo caso di “disvelamento”, sia pur parziale, dei Piani di emergenza predisposti per i porti soggetti a transito e sosta di natanti nucleari fu quello, già citato, di Gaeta. Anche allora, però, il documento era stato ottenuto solo grazie alla mobilitazione dal basso. In entrambi i casi, comunque, non si capiva come le autorità responsabili pensassero di salvaguardare l’incolumità degli abitanti tacendo proprio su tali possibili emergenze e soprattutto sulla condotta da seguire nel caso di un incidente nucleare.

Nel documento reso noto dalla Prefettura di Taranto si affermava che il piano “verrà posto in atto automaticamente, a cura delle Autorità/Enti” a ciò preposti. Ma di quale improbabile “automatismo” si parlava? La verità è che le autorità in questione sapevano (e tuttora sanno) che non è possibile allertare un’intera popolazione civile senza averle fornito in anticipo uno straccio di “informazione preventiva” di cui, viceversa, ha pieno diritto.

Però, si ribatte, c’è il problema della segretezza da rispettare, quando si tratta di questioni che hanno una valenza militare… Ebbene, è un pretesto inaccettabile, visto che in altri paesi, europei e non, questo genere di piani sono già da anni di pubblico dominio. Eppure chi ci ha governato finora ha continuato ottusamente a trincerarsi dietro i soliti omissis e a classificare dei piani di protezione civile come se fossero documenti top secret, alla faccia dei principi elementari di trasparenza democratica e vanificando ogni tentativo di organizzare efficienti misure di difesa civile. Come osservava Vittorio Moccia a proposito a questa cappa assurda di segretezza, nemica dell’efficienza:

Le procedure d’emergenza del piano prevedono l’allontanamento dell’imbarcazione, su cui si è verificato l’incidente, entro un’ora, per evitare che le radiazioni investano le persone. Ma la ‘contaminazione del suolo’ (mare e fondali) resta comunque inevitabile. Per i cittadini è prevista l’evacuazione dell’area interessata e la loro sistemazione nelle scuole. Inoltre, il questore dovrebbe requisire, per l’assistenza sanitaria, gli alberghi e, per ‘esigenze di trasporto’, gli autobus. […] in pochi minuti dovrebbe essere somministrato a migliaia di bambini e di donne in gravidanza un prodotto per difendere la tiroide dalla nube nucleare…Tale prodotto non è in dotazione a nessuna scuola e la protezione civile ne sarebbe di fatto priva in caso di emergenza. Un’esplosione del reattore nucleare comporterebbe inoltre la dispersione di plutonio, la cui radioattività si dimezza in 24 mila anni. È infine previsto che tutte le informazioni da diramare agli organi d’informazione siano filtrate dall’ufficio stampa della Prefettura [23].

Chiunque viva a Napoli e ne conosca le drammatiche problematiche di vivibilità e di mobilità si rende che un piano d’emergenza, senza un’adeguata pubblicizzazione e preparazione preventiva dei diretti interessati, in una situazione di grave allarme come quella ipotizzata sarebbe destinato a sicuro fallimento. Basti pensare al quotidiano caos dei trasporti ed alla consueta disorganizzazione e scarsa comunicazione reciproca delle varie amministrazioni pubbliche per capire come un’emergenza improvvisa – peraltro del tutto sconosciuta nella sua natura e nelle sue caratteristiche dagli stessi cittadini – avrebbe scarse possibilità di essere gestita adeguatamente e rischierebbe di trasformarsi in una tragedia nella tragedia.

Ma come andavano già allora le cose fuori del nostro Paese?  Sicuramente meglio, anche se dove di queste cose si parlava già da anni non erano comunque state trovate soluzioni che andassero oltre una più efficiente gestione dell’emergenza nelle città che ospitavano nei loro porti natanti a propulsione nucleare. La risposta in termini di misure di protezione, infatti, restava affidata sostanzialmente alle autorità civili e militari, mentre le misure sanitarie – allora come ora – ricordano la vecchia canzone napoletana: “Pìgliate na pastiglia“…

4. Uno sguardo alla situazione di alcuni stati esteri

SPAGNA > Nel 2010 l’organismo competente in materia di protezione civile della Comunità Autonoma Valenciana approvò il “Piano di Emergenza Esterna del Porto di Valencia”, in ottemperanza dell’art. 16 del Real Decreto 1259/1999, relativo al “controllo dei rischi inerenti agli incidenti gravi nei quali siano presenti sostanze pericolose” ed in base al decreto n. 19 del 3.11.2009 del Presidente di quella “Generalitat”. [24] Anche in Spagna si notava reticenza e lentezza burocratica nel passaggio dalla norma nazionale all’attuazione a livello locale, tenuto anche conto dell’autonomia che era stata accordata ad alcuni territori come la regione valenciana o la Catalogna. [25]

FRANCIA > Nel 2010 si svolsero nella città di Toulon le esercitazioni nazionali di sicurezza civile. Il porto militare di Tolone è particolarmente ampio (250 ettari) ed ospita sottomarini nucleari, oltre alla portaerei nucleare francese Charles de Gaulle. Dal 2003 era stata istituita una commissione per l’informazione su questo sito militare, per “rispondere a tutte le domande relative all’impatto delle attività nucleari sulla salute e l’ambiente“. Essa era “composta da rappresentanti dell’amministrazione civile dello Stato, da quelli degli interessi economici e sociali, delle associazioni riconosciute di protezione dell’ambiente e delle collettività locali“. Ad ogni cittadino, in ogni caso, era possibile accedere alle informazioni del sito dedicato al “Piano Particolare d’Intervento (PPI Toulon)”, per cercarvi risposte alle più comuni domande in materia. [26]

REGNO UNITO > Era stato regolarmente aggiornato, dal 2001 al 2010, il “Portland Port Off-Site Reactor Emergency Plan”, il cui testo, completo di allegati e planimetrie, era già consultabile con facilità sul sito dedicato [27], a cura del Consiglio della Contea del Dorset. Il documento era molto chiaro sui rischi ipotizzabili di contaminazione diretta o indiretta del territorio e della sua popolazione, nonché d’inquinamento radioattivo delle acque marine. Seguivano le contromisure applicabili, tenuto conto che il raggio di rischio va da una zona rossa centrale (meno di 1 km) fino ad un anello esterno, compreso tra 1,5 e 10 km. da essa. Ad ogni ipotesi di rischio corrispondeva un intervento, suddiviso in base a 3 livelli, da quello strategico (gold) al tattico (silver) e all’operativo (bronze). Il piano era corredato da alcuni opuscoli divulgativi per i cittadini di Portland, uno dei quali (realizzato nel marzo 2010) affrontava l’emergenza radiologica in caso d’incidente nucleare che si fosse verificata in quel porto. Le indicazioni e raccomandazioni – sintetizzate nel motto: “Go in – Stay in – Tune in” – a dire il vero non sembrano particolarmente tranquillizzanti. Ai cittadini si riservava infatti un ruolo del tutto passivo, invitandoli a restare al chiuso e ad informarsi via radio, mentre la mobilitazione riguardava solo le organizzazioni a ciò preposte.

U.S.A. > La normativa statunitense in materia rinviava all’azione svolta dall’ U.S. National Nuclear Security Administration (NNSA). Secondo questo Ente federale, “la sicurezza ambientale nel funzionamento delle navi a propulsione nucleare degli USA costituirebbe la chiave per la loro accettazione in patria e all’estero“. Grazie a questo rigoroso controllo della radioattività, sempre secondo la NNSA, il programma avrebbe “registrato l’assenza di ogni effetto ambientale negativo derivante dalle operazioni delle navi da guerra statunitensi a propulsione nucleare“. Esse, pertanto, sarebbero state quindi “le benvenute in oltre 150 porti di più di 50 stati e dipendenze, così come nei porti degli Stati Uniti d’America” [28]. Ovviamente queste trionfalistiche dichiarazioni suonavano poco credibili, date le premesse. Per quanto riguardava i piani di emergenza nelle aree portuali interessate dal transito e/o dalla sosta delle U.S.naval nuclear-powered ships, invece, non si avevano notizie. Ciò che si sapeva era che il programma di monitoraggio svolto dal NNS. – in collaborazione con l’EP., l’Agenzia federale di protezione ambientale – consisteva nell’analizzare l’acqua, il sedimento, l’aria ed esemplari marini, allo scopo di verificare che non vi fossero effetti negativi per l’ambiente. Verifiche, inoltre, erano stati previste per il personale militare e civile impegnato nei natanti nucleari americani, cui erano stati garantiti controlli sanitari in base alle normative nazionali sull’esposizione alle radiazioni. Il resto, secondo le amministrazioni USA, appariva solo una questione di possibile allerta contro eventuali minacce terroristiche, la cui competenza era ovviamente dei “servizi di sicurezza”, e pertanto soggetta a segreto militare [29].

CANADA > La situazione del Canada era sottoposta alla normativa federale in materia, di cui si è avuta notizia visitando il sito del ministero canadese della Sanità, in particolare nelle pagine riguardanti il Federal Nuclear Emergency Plan [30]. In particolare, al punto 2.3.2 di questo documento, si affrontava il caso di “un evento che coinvolga navi che visitino il Canada o che transitino lungo le acque canadesi“. Un serio incidente ad un natante a propulsione nucleare era considerato equivalente a quello che potrebbe coinvolgere un impianto nucleare civile, sia pure con effetti meno estesi. In questo piano di emergenza, la Difesa Nazionale del Canada faceva riferimento ad una zona compresa tra 1 e 5 chilometri, ai fini di un’urgente azione protettiva nel territorio che circonda i porti interessati al passaggio di natanti nucleari. Ciò comportava immediate analisi di campioni di sostanze alimentari e di suolo, per procedere alle analisi necessarie ad assicurare la sicurezza della popolazione residente nelle vicinanze. Secondo la normativa canadese, i natanti nucleari avrebbero potuto visitare solo tre porti: uno della Nova Scotia e due della Columbia Britannica. In ogni caso, nessun natante era autorizzato a trasportare quantità significative di sostanze radioattive nei corsi d’acqua canadesi, sebbene non se ne escludesse la possibilità in futuro.

NUOVA ZELANDA > La legislazione neo-zelandese aveva previsto, con legge apposita, la creazione di una Nuclear Free Zone, al fine di “promuovere ed incoraggiare un contributo effettivo da parte della Nuova Zelanda all’essenziale processo di disarmo ed al controllo internazionale degli armamenti“, per citare il preambolo della stessa Legge. Da essa derivava che l’ingresso di natanti nucleari nelle acque neozelandesi era stato sottoposto ad una rigida e restrittiva autorizzazione del governo (art. 9), mentre quello nelle acque interne del Paese era stato del tutto vietato (art. 11) [31].

5. Che cosa si sarebbe dovuto fare?

Maggio 2022 – Blitz di protesta del CPDC davanti al Municipio di Napoli

Un efficace slogan che circolava un po’ di tempo fa tra gli antinuclearisti era: “Meglio attivi che radioattivi!”. Forse dovremmo tornare a questo semplice concetto di naturale e spontanea autodifesa, che nasce dalla consapevolezza che ognuno di noi ha da giocare una parte anche in questioni che sembrerebbero troppo grandi e complicate perché vi si possa svolgere un ruolo effettivo.

Di fronte alla degenerazione verticista ed autoritaria di stati in cui la democrazia sembra ormai ridotta quasi al solo esercizio del diritto di voto (fra l’altro in base a sistemi elettorali a dir poco discutibili, lasciando di fatto chi governa o amministra libero di fare qualsiasi scelta sulla nostra testa) dobbiamo dunque riprenderci quel pezzo di potere che spetta a tutti, cominciando dal diritto sacrosanto di protestare.

“Protestare per sopravvivere” (Protest and Survive), era infatti il titolo di un libro di Edward P. Thompson, che era circolato negli anni ’80. [32]. È questa la prima cosa da fare, se vogliamo cambiare le cose senza aspettare che siano gli altri a risolverci i problemi.  Già negli anni ’60 il più grande teorico italiano della nonviolenza, Aldo Capitini, aveva sottolineato la centralità per un’alternativa politica della diffusione di quel “potere di tutti” (omnicrazia), che fa di ogni cittadino un soggetto attivo e responsabile, realizzando il principio fondamentale di autogestione che Gandhi aveva definito a sua volta col termine indiano swaraj.

Il concetto chiave, purtroppo contraddetto dall’esperienza del nostro Paese, è allora che la “protezione civile” debba diventare sempre più parte di una più complessiva “difesa civile”. E quindi decentrata, autogestita in larga parte dalle comunità locali e capace di mobilitare efficacemente i soggetti direttamente interessati alle possibili emergenze, siano esse climatiche, sismiche, vulcaniche, meteorologiche o nucleari. Già dagli anni ’80, subito dopo il disastroso terremoto in Campania, il movimento pacifista regionale si era organizzato per richiedere dal basso una legge che istituisse una “protezione civile popolare”, coinvolgendo i giovani campani in un servizio civile alternativo a quello militare [33].

L’assurdo fu che quella proposta, avanzata dalla società civile e caldeggiata da alcune forze politiche, fu effettivamente approvata come legge, ma fu subito dopo vanificata. Pur di non attuarne le previsioni, infatti, il governo varò un provvedimento che esonerava dalla prestazione della naja – e quindi anche del servizio civile sostitutivo – tutti i giovani delle aree colpite dal sisma… Ciò che è successo dopo, con l’organizzazione sempre più centralizzata del servizio di protezione civile nazionale, è fin troppo evidente. Questo “corpo” è stato impiegato in emergenze reali e fittizie – come quella dei rifiuti in Campania, dopo ben 15 anni di commissariamento degli enti locali… – espropriando i cittadini ed abituandoli all’idea che la protezione civile fosse un ambito in cui impiegare anche le forze armate, militarizzando e verticalizzando in tal modo una fondamentale risorsa di autogestione del territorio e di difesa civile.

Ebbene, contro il pericolo nucleare – si tratti di centrali elettriche, di natanti a propulsione nucleare oppure di armi atomiche – i cittadini singoli, come le intere comunità locali interessate – hanno quindi il diritto ed il dovere di mobilitarsi per denunciare i rischi cui sono sottoposti e per opporsi a queste scelte perniciose.

Il primo passo, ovviamente, è ottenere il rispetto di quel diritto all’informazione che, almeno sulla carta, dovrebbe essere garantito anche in tali materie. Il secondo è quello di leggere con attenzione i documenti ottenuti dalle autorità competenti, condividendone il testo con tutti gli interessati e cercando di andare oltre il burocratese ed il gergo scientifico che avvolge questo genere di messaggi, forse proprio per impedirne la comprensione ai “non addetti ai lavori”.

Il terzo passo di questo percorso – nel quale sarebbe opportuno coinvolgere persone qualificate ed accedere anche a documentazioni alternative – è quello di demistificare asserzioni date per indiscutibili, in base alle quali si costruiscono le teorie e normative con le quali sono giustificate certe scelte.

Solo così è possibile costruire un credibile movimento di opposizione, che sappia mobilitare sempre più persone, una volta che la controinformazione sia circolata e che a tutti siano chiare le possibili alternative.

La presenza militare nel territorio campano non è inevitabile. Gli esempi d’ iniziative di vario tipo in altre città italiane e in altri paesi del mondo…dimostrano la possibilità di condizionare quella presenza, riuscendo, nei casi più fortunati, a far sloggiare l’inquilino militare. […] Non esistono dunque più alibi che impediscano ai napoletani di essere informati in merito al dettaglio di tali piani. A causa delle continue inadempienze sul tema nucleare… la Commissione Europea ha recentemente deferito l’Italia alla Corte di Giustizia… in quanto non ritiene che il paese abbia applicato efficacemente le norme Euratom in merito alla protezione della popolazione in caso di emergenza radiologica.  [34]

Già nel 2004, nel suo “decalogo per i porti a rischio nucleare, Alessandro Marescotti aveva opportunamente elencato alcune forme di mobilitazione diretta dei cittadini, che converrebbe adottare in questi casi e che riportiamo di seguito.

1) Digiuno cittadino… preparato in precedenza in modo da avere una durata adeguata alla “visita” dell’unità navale nucleare;

2) Comunicati stampa locali: presentazione delle ragioni del digiuno e richiesta di conoscenza del piano di emergenza nucleare; se esso fosse stato diffuso, diffusione della conoscenza del piano con comunicati stampa che evidenzino i rischi e le incongruenze.

3) …Richiesta alle autorità – Prefetto e Sindaco – di esercitazioni cittadine di evacuazione della città (ogni piano prevede l’evacuazione).

4) Diniego per ragioni di sicurezza, […] di attracco …. a unità navali con propulsione nucleare facendo esplicito riferimento alla non conoscenza o all’inadeguatezza del piano di emergenza e alla non effettuazione in precedenza di prove di evacuazione.

5) Trasparenza nucleare: richiesta alle autorità – ai fini della tutela della sicurezza della popolazione – di conoscere se siano presenti a bordo armi nucleari…

6) Comunicati stampa nazionali….

7) Richiesta e studio del piano di emergenza… in virtù del Decreto Legislativo 230/95…

8) Centro di documentazione: accedere agli archivi di www.peacelink.it sezione disarmo per prelevare l’elenco dei porti a rischio nucleare e delle unità navali che comportano questo rischio, inserirvi i piani di emergenza, sviluppare un dossier per ogni porto a rischio nucleare…

9) Conferenza stampa e archivio giornalisti: costruire una propria banca dati dei giornalisti più sensibili da contattare….

10) Costruire eventi nonviolenti che abbiano un impatto visivo e documentarli con le macchine fotografiche digitali; realizzare cartelloni colorati in giallo con il simbolo nero della radioattività e fotografarsi di fronte alle basi navali… [35]

Questi suggerimenti restano tuttora utili e noi di VAS, insieme con le altre realtà confluite nel Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio, abbiamo quindi continuato ad organizzarci, per rendere effettiva la lotta dal basso contro la piovra militarista e nuclearista, in difesa della salute e della sicurezza dei cittadini di Napoli e della Campania. Ma che cosa è successo dopo il 2011, l’anno in cui fu pubblicato il mio documento, finora riportato con qualche piccolo ritocco? [36].

6. Gli anni ’20, tra incidenti e rischi smentiti

Nel secondo decennio del XXI secolo non si sono registrate significative evoluzioni in materia di protezione delle popolazioni civili, per renderle consapevoli del rischio nucleare derivante dall’assurda presenza nelle acque di 12 porti italiani di svariati natanti militari a propulsione nucleare. Sebbene il 2011 – grazie al risultato del secondo referendum abrogativo di provvedimenti che cercavano di consentire nuovamente il nucleare civile – abbia costituito uno spartiacque in materia, non è però aumentata la sensibilità degli italiani in materia di nucleare militare.

Infatti, complice un’informazione inesistente sul rischio ambientale e sanitario derivante dall’esposizione di popolazioni civili al grave inquinamento nucleare nell’eventualità d’incidenti a portaerei e sottomarini militari, anche negli anni ’20 la situazione non ha registrato significativi cambiamenti.

Eppure alla fine del 2010 il Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri aveva già pubblicato su internet un documento che sintetizzava il “Piano Nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche”, in cui fra l’altro si ribadiva la necessità di “assicurare l’informazione pubblica sull’evoluzione dell’evento e sui comportamenti da adottare” [37].

Eppure in questo secondo decennio del 2000 – anche se con difficoltà – si era venuti a conoscenza di diversi incidenti a natanti a propulsione nucleare, l’ultimo dei quali (almeno di quelli conosciuti…) ha interessato nel 2021 il sottomarino statunitense USS Connecticut SS 20 che, impattato in una montagna subacquea non segnalata della regione indo-pacifica, si è arenato senza però subire danni al sistema di propulsione nucleare [38].

Già nel 2000 si era avuta notizia dell’incidente occorso al K-141 Kursk, un sottomarino russo a propulsione nucleare della Flotta del Nord. “Secondo l’inchiesta ufficiale, alle 11:28 locali (circa le 09:28 in Italia) qualcosa andò storto: uno dei siluri esplose dando il via a una serie di deflagrazioni a catena che aprirono uno squarcio nella prua. Il sottomarino si adagiò sul fondo del mare a 108 metri di profondità a ca. 135 km dalla base di Severomorsk” [39].

Ma appena tre anni fa, nel 2019, nel mare di Barents si è verificato un nuovo incidente con l’incendio del sottomarino nucleare russo Losharik, a causa del quale sono morti 14 marinai [40]. Dieci anni prima, nel 2009, si erano invece scontrati nell’Atlantico due sottomarini nucleari – l’inglese Vanguard e il francese Le Triomphant – col serio rischio di una fuga radioattiva e di considerevoli perdite umane, oltre che delle testate atomiche dei rispettivi missili [41]. Ancora un anno prima, nel 2008, sul Manifesto si era letto un altro caso.

Navigava da tre mesi nelle acque dell’Oceano pacifico, tra il Giappone, l’isola di Guam e le Hawaii, ma solo ieri si è saputo che lo «Uss Huston», sottomarino americano a propulsione nucleare, lasciava dietro di sé ‘piccole scie’ di materiale radioattivo. Perdite di entità ‘irrilevante’, ha subito minimizzato la marina statunitense, che tuttavia ammette di non essere in grado di quantificarle [42].

Già nel 2000 era toccato al governo italiano smentire l’assenza di reali situazioni di emergenza, in risposta all’interrogazione parlamentare relativa all’incidente al sottomarino nucleare britannico Tireless, che aveva subito un’avaria al largo della Sicilia, con conseguente fuoruscita del liquido di raffreddamento del reattore, ed era stato quindi dirottato a Gibilterra [43].

Si potrebbero citare parecchi altri casi simili, da quello del sottomarino statunitense scontratosi nel 2007 con una petroliera giapponese nel Golfo persico [44] e dell’omologo San Francisco USS 711, incagliatosi due anni prima a circa 420 km a sud dell’isola di Guam, nell’Oceano Pacifico [45], risalendo poi all’episodio dell’Uss Hartford, sottomarino nucleare americano gravemente danneggiato nel 2003 sui fondali dell’isola di Caprera [46] o allo strano caso del sommergibile Usa “catturato” nel 2001 dalle reti d’un peschereccio pugliese a 11 miglia dalla costa di Brindisi [47].

Rappresenterebbero comunque solo parte del problema, dal momento che le autorità militari, italiane e straniere, hanno molto probabilmente taciuto su altri episodi del genere oppure hanno minimizzato le gravità di quelli svelati. Il vero problema, d’altra parte, resta in ogni caso quello dell’informazione preventiva cui hanno diritto i cittadini potenzialmente interessati a tali emergenze, in modo da renderli coscienti dei pericoli derivanti dalla minacciosa presenza nei nostri mari di natanti a propulsione nucleare, soprattutto in periodi di crisi internazionali come quello che stiamo vivendo in Europa da circa un anno.

Non potrà verificarsi infatti un’efficace e diffusa mobilitazione popolare per smilitarizzare e denuclearizzare territori e mari del nostro Paese senza che sia stata fornita alla gente un’adeguata controinformazione per accrescerne la consapevolezza, abilitandola così a lottare per far valere il proprio diritto costituzionale alla sicurezza, alla salute e alla pace.

7. Piani di emergenza in Italia: il caso della Campania

Proprio in tale ottica l’associazione VAS – insieme colle altre realtà coordinate in Campania dal citato Comitato Pace e Disarmo – nel 2011 aveva puntato sull’acquisizione di documentazioni ufficiali, sia per informare i cittadini e renderli consapevoli sia del rischio nucleare che incombe da decenni sui porti civili di Napoli e Castellammare di Stabia, sia per pungolare le autorità che avrebbero dovuto attuare un piano di emergenza obbligatorio per legge, ma paradossalmente secretato e disatteso. Infatti – come già accennato – tra dicembre 2010 e gennaio 2011 VAS – in qualità di associazione nazionale di protezione ambientale – aveva formalmente richiesto alla Prefettura di Napoli copia del “Piano di Emergenza Esterna del Porto di Napoli” (P.E.E.P. Na.), approvato già nel 2006 [48]. Ne aveva però ottenuto solo una parziale documentazione, cioè l’allegato G9 (il “Piano particolareggiato per l’informazione della popolazione”, indicato con l’acronimo P.P.I.P.) [49].

Tale documento, rinviando all’art. 129 del D. Lgs. 230/95 che “prevede l’obbligo d’informazione alle popolazioni che possono essere interessate da emergenza radiologica”, specificava che “detta informazione deve essere fornita senza che ne venga fatta richiesta”, precisando inoltre che:

nelle more […] si è ritenuto che la competenza nella divulgazione dell’informazione sarà curata dai Sindaci interessati che, d’intesa con l’Unità di Crisi regionale Sanitaria, nonché delle autorità competenti, provvederanno a predisporre un progetto finalizzato per la popolazione, sulla base delle seguenti linee guida [50].

Non essendo stato fino ad allora attuato nessuno dei provvedimenti d’informazione preventiva previsti da quel Piano, sebbene i vertici dei due comuni fossero stati esplicitamente investiti di tale compito, nell’aprile del 2011 il Circolo locale dell’associazione VAS diffidò formalmente l’allora Sindaco di Napoli ad adempiere quanto previsto dall’all.to G9 al P.E.E.P., provvedendo quindi entro 90 giorni, d’intesa con l’Unità di Crisi regionale Sanitaria e altre autorità competenti, a predisporre un progetto per l’informazione della popolazione.

A distanza di oltre sei mesi da quella diffida, non essendoci stato alcun riscontro positivo (anche dopo che il Comitato Pace e Disarmo Campania (CPDC) aveva organizzato a luglio un’apposita assemblea cui era intervenuto un referente del nuovo Sindaco), VAS ha quindi presentato un esposto alla Procura della Repubblica, ipotizzando che il comportamento omissivo dell’A.C. di Napoli configurasse il reiterarsi di un vero e proprio reato.

Nell’aprile 2011, inoltre, lo stesso CPDC aveva svolto una significativa manifestazione di protesta per denunciare pubblicamente il rischio nucleare, inscenando un blitz ecopacifista alla Stazione Marittima di Napoli, esibendo allarmanti tute bianche e distribuendo volantini, in coincidenza con una cerimonia inaugurale cui erano intervenuti il cardinale arcivescovo, il presidente dell’autorità portuale napoletana, il presidente dell’Unione Industriali, quello della Camera di Commercio di Maddaloni ed il presidente di Terminal di Napoli [51]

Nell’ottobre 2012 – come si sottolineava in un comunicato ripreso dal quotidiano Il Mattino – VAS Napoli è tornato a denunciare l’inerzia colpevole delle autorità preposte, poiché – ancora una volta e in un breve lasso di tempo – si erano di nuovo materializzate nel Porto di Napoli ben due portaerei nucleari.

Dopo la ‘visita’ della portaerei nucleare francese “Charles De Gaulle” – si legge nel comunicato diffuso da Ermete Ferraro – è giunta a Napoli quella statunitense “Enterprise”, nota come immagine-simbolo dei “Top gun”. In entrambi i casi si tratta di enormi centrali nucleari galleggianti, che portano minaccia di morte e spiriti guerrafondai dove sono dirette, ma che provocano anche un giustificato allarme per il rischio atomico connesso alla loro presenza nel mare di città densamente popolate come Napoli, rinforzato purtroppo da episodi di recenti incidenti che hanno riguardato natanti a propulsione nucleare [52].

Ad ulteriore riprova della totale assenza di risposte istituzionali alle legittime proteste antinucleariste, appena un anno dopo, nel novembre del 2013, era ricomparsa nel porto di Napoli la portaerei USS Nimitz, una delle più grandi e micidiali al mondo, suscitando le reazioni indignate di VAS Napoli e del Comitato Pace e Disarmo Campania.  Quest’ultimo, il mese successivo, ha organizzato in Municipio una nuova assemblea pubblica contro la militarizzazione del territorio e la vendita di armi, con interventi di P. Alex Zanotelli, Angelica Romano, Ermete Ferraro, Flavia Lepre, Antonio Lombardi e Giovanni Sarubbi [53].

8. Porto di Napoli denuclearizzato? Ma anche no…

Ottobre 2015 – Conferenza stampa a Palazzo S. Giacomo sulla delibera che ‘denuclearizza’ il porto di Napoli

A questo punto è legittimo chiedersi a quale risultati abbiano portato quelle mobilitazioni ecopacifiste in Campania. Purtroppo dobbiamo ammettere che l’occupazione manu militari del territorio e del mare della nostra regione – della quale mi sono occupato in vari articoli e saggi [54] – è comunque proseguita pressocché indisturbata, senza che dal mondo della politica, della scienza e da parte degli stessi movimenti pacifisti si registrassero significative reazioni.

Viceversa, le pressioni esercitate sull’Amministrazione Comunale di Napoli – nell’assordante silenzio della Prefettura, della Regione e di altre autorità – hanno allora sortito un primo risultato, significativo sebbene insufficiente. Mi riferisco alla clamorosa decisione della Giunta de Magistris di approvare una delibera che, almeno simbolicamente, si opponeva al permanere del grave pericolo derivante dalla presenza nelle acque cittadine di natanti a propulsione nucleare.

Con la D.G. n. 609 del 25.09.2015, infatti, si era dichiarato esplicitamente che portaerei e sottomarini nucleari “costituiscono di per sé un potenziale pericolo anche per le popolazioni che risiedono nella Città Metropolitana di Napoli” e che essa “per l’alta densità demografica non può minimamente essere sottoposta al rischio di una possibile emergenza radiologica”, proclamando ufficialmente il Porto di Napoli “Area Denuclearizzata”, anche in nome della natura statutaria di “Città della Pace” del capoluogo campano [55].

“Questa delibera – ha spiegato il Sindaco di Napoli Luigi de Magistris in conferenza stampa – ha un valore altamente simbolico e politico. L’abbiamo approvata in questi giorni, proprio perché è in programma una grande esercitazione militare nel Golfo di Napoli. La nostra è una città che promuove la pace. Non si tratta solo di una battaglia simbolica e politica, ma anche di difesa del nostro territorio e della salute dei cittadini. Per questo vogliamo dare un segnale forte e chiediamo che anche l’Autorità Portuale si esprima nella stessa direzione. Napoli sarà sempre in prima linea nella costruzione di un’alternativa alle politiche di guerra, nonostante l’Italia sia il primo produttore in Europa di armi. Noi armamenti nucleari nel nostro Porto non ne vogliamo”. [56]

Il fatto che sette anni fa l’amministrazione della terza Città d’Italia si sia pronunciata nettamente su una questione politicamente spinosa è da considerare senz’altro un passo positivo, se non altro perché i media non poterono ignorare quella delibera e quindi ne divulgarono il contenuto innovativo [56]. Il problema è che si trattava sì d’un atto amministrativo d’importante valenza simbolica, però  senza rilevanti effetti pratici in assenza di un’interlocuzione istituzionale successiva con Prefettura, Autorità Portuale e con le stesse autorità militari, sia italiane sia ‘alleate’. Ancor più grave della mancata pressione sui suddetti interlocutori è apparsa poi l’assenza di un reale intervento comunale sul piano della controinformazione circa il rischio nucleare nei riguardi degli abitanti della Città metropolitana di Napoli, che sarebbe stato – e resta tuttora – d’indubbia competenza del Sindaco pro tempore.

In quanta considerazione fosse stata presa la delibera della Giunta de Magistris, del resto, è apparso a tutti con chiarezza solo un anno dopo. Nel giugno 2016, infatti, nelle acque territoriali di Napoli si è nuovamente materializzata un’enorme portaerei nucleare, la USS D. Eisenhower, provocando ancora una volta le reazioni indignate – ma solitarie – degli ecopacifisti [58].

Da allora – sebbene con maggiore discrezione e meno frequentemente – è proseguita indisturbata l’esibizione bellicosa di natanti a propulsione nucleare (e con armamenti atomici a bordo) nelle acque della nostra cosiddetta ‘Città di Pace’, soprattutto in coincidenza con esercitazioni navali congiunte della NATO.

Un caso eclatante è scoppiato quando, nell’aprile 2018, un sottomarino nucleare USA si è posizionato in rada, sollevando la reazione non solo degli antimilitaristi, ma anche del Sindaco de Magistris, che si è rivolto all’allora Comandante della Capitaneria di Porto, contrammiraglio Faraone.

“Ho appreso – scrive il primo cittadino – che lo scorso 20 marzo il sottomarino nucleare statunitense Uss John Warner è approdato nella rada della nostra città. Ho letto anche l’ordinanza n.17/2018 che lei ha emesso per le necessarie e correlate disposizioni di sicurezza e di navigazione. Desidero, a tal proposito, ribadire che il 23 settembre 2015 è stata approvata, su mia iniziativa, la delibera n.609 con la quale è stata dichiarata ‘area denuclearizzata’ il Porto di Napoli […] il primo cittadino chiude la nota a Faraone richiedendo di considerare, “per analoghe situazioni future”, che “la determinazione e la volontà menzionate” nell’atto comunale sono dirette “al non gradimento che navi di tale caratteristiche sostino o transitino nelle acque della nostra città” [59].

Altro episodio clamoroso si è verificato quattro anni dopo, nel maggio 2022, quando è ricomparsa nelle acque di Napoli la gigantesca portaerei USS Harry S. Truman, “attualmente in dispiegamento programmato nell’area di operazioni della sesta flotta in supporto alla sicurezza e alla stabilità marittima, anche allo scopo di rassicurare alleati e partner in Europa e Africa”, secondo la spiegazione entusiastica fornita dal quotidiano Il Mattino [60]. Benché il giornale riferisse infatti che sul lungomare molti napolitani avevano fotografato quella specie di… ‘Truman Show’, in effetti l’ennesimo mostro nucleare galleggiante non rassicurava nessuno, come opportunamente ribadito da Luigi de Magistris, commentando negativamente quella nuova esibizione muscolare della US Navy.

Le portaerei con armi di distruzione di massa non sono gradite, devono rappresentare il passato non il futuro del nostro pianeta. Il nostro mare è di pace, non di guerra” [61].

Un altro giornale riferiva poi che l’ex sindaco ha precisato che la sua era stata una: “Delibera sicuramente simbolica, ma che evidenzia come la sovranità del nostro Paese sia limitata e che siamo subalterni alla NATO” [62].

9. “Meglio attivi che radioattivi…”: ecopacifismo e mobilitazioni popolari

Mag. 2022 – Delegazione in Municipio, guidata da p. Alex Zanotelli

Il mondo dell’informazione, come quelli della scienza e della politica, continuano a mostrare una sorta di reazione allergica verso qualsiasi argomentazione che abbia a che fare con le crescenti contestazioni nei confronti dell’invadenza militarista e dello strisciante bellicismo che negli ultimi anni sta ulteriormente contaminando – e condizionando pesantemente – l’opinione pubblica.

Come ho sottolineato di recente in alcuni articoli su questa risorgente cultura di guerra [63], il pericoloso connubio tra l’arrogante pretesa d’indiscutibili certezze scientifiche e l’autoritarismo di scelte politiche dettate dal complesso militare-industriale sta generando mostri. Ancor più insidiosa è l’ipocrisia di chi pretenderebbe di accreditare le forze armate quasi come un’organizzazione di protezione dell’ambiente, mentre in realtà il sistema militare, in pace prima ancora che in guerra, è uno dei principali fattori di devastazione ambientale, come sottolineavamo in un opuscolo curato nel 2021 dagli Antimilitaristi Campani.

Sono di per sé evidenti gli effetti distruttivi della guerra per gli esseri umani […] Meno conosciuti sono gli effetti devastanti della guerra e degli apparati militari sull’ambiente naturale  e sull’integrità degli ecosistemi […] La devastazione ambientale provocata dalle attività militari interessa anche molti paesi non coinvolti direttamente in attività belliche [tra cui] …la minaccia alla sicurezza e alla salute degli abitanti di città nelle quali si consentono impunemente il transito e l’ormeggio di natanti a propulsione nucleare […] L’ambiente è la vittima dimenticata della guerra e la natura è diventata essa stessa ‘un campo di battaglia’  [64]

La rete degli antimilitaristi campani con quella pubblicazione – nella quale si evidenziava anche la militarizzazione della sanità pubblica e l’irreggimentazione dell’informazione in occasione della pandemia – ha costituito un importante elemento dell’azione di denuncia delle complicità tra complesso militare-industriale e classe politica e della vergognosa subalternità del nostro Paese agli interessi degli Stati Uniti e alle bellicose strategie della NATO. Le stesse che consentono tuttora ai natanti a propulsione nucleare di approdare trionfalmente nel mare antistante popolose città italiane come Napoli, ma anche Cagliari, La Spezia, Taranto o Trieste, minacciandone la sicurezza, la salute e la pace.

Il 2021 è stato un anno importante anche perché il Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR Italia) ha pubblicato un testo fondamentale per il rilancio di queste battaglie. Infatti il libro “La colomba e il ramoscello ha come sottotitolo “un progetto ecopacifista” proprio per sottolineare che l’approccio che lo caratterizza è una visione più ampia, in cui pacifismo ed ecologismo finalmente si integrino in una proposta unitaria. Partendo dalla premessa che la crisi ambientale non può essere letta separatamente dall’accresciuta conflittualità internazionale, in quanto l’origine di entrambi va ricercata in quel modello di sviluppo energivoro iniquo e violento che consuma risorse per le guerre e scatena guerre per le risorse, il contributo del MIR è dunque uno stimolo a costruire, insieme, un’alternativa nonviolenta, antimilitarista ed ecopacifista.

Il sistema militare…per le sue gigantesche dimensioni, è fonte di pesanti conseguenze ambientali, connesse all’incredibile voracità di risorse e beni comuni […] La più grave impronta ambientale del sistema militare è comunque imputabile al devastante impatto delle operazioni belliche sul deterioramento climatico globale […] Ne deriva, sottolinea Elena Camino, che: “La ‘riservatezza’ sulle questioni militari…ha contribuito a tenere il pubblico all’oscuro dei grandissimi problemi che il moderno ‘approccio militare’ ai conflitti pone non solo alle comunità umane, ma agli equilibri (sempre più instabili) dell’ecosistema Terra [65]

Il quarto capitolo del libro, nel quale erano confluiti alcuni miei contributi precedenti [66], è dedicato appunto alla “prospettiva ecopacifista”, della quale si individuano sia le premesse teoriche (nonviolenza attiva, ecologia sociale, antimilitarismo, difesa civile…), sia le possibili strategie e le proposte prioritarie sul piano operativo, tra cui le vertenze contro il nucleare civile e militare assumono un’indubbia priorità ed evidenza.

Esistono questioni sulle quali si potrebbe da subito cercare la convergenza operativa delle organizzazioni ecologiste e di quelle pacifiste […] Tra le battaglie da menzionare c’è anche quella contro la presenza di natanti a propulsione nucleare in alcuni porti del nostro paese. Un altro terreno potrebbe essere il rischio ambientale [e sanitario] connesso all’inquinamento elettromagnetico generato da mostruosi apparati radar e per le telecomunicazioni, massicciamente presenti in basi e aeroporti militari e collocati in aree densamente urbanizzate [67].

Si tratta spesso di lotte nate sul territorio, all’interno delle comunità interessate ad operazioni di notevole impatto ambientale che suscitano un ovvio e prevedibile allarme, come appunto nel caso dell’installazione di formidabili impianti per telecomunicazioni militari a Niscemi, in Sicilia, contro cui si sono mobilitati a lungo i comitati NO MUOS’ [68]. Ma, come sempre, contro di esse si frappone non solo la consueta barriera della segretezza militare, ma anche la complicità di fonti ‘scientifiche’ abituate ad assecondare il potere con la loro pretesa autorevolezza.

La parola d’ordine, in questi casi, è negare tutto, banalizzando o ridicolizzando le lotte popolari come sollevazioni frutto solo d’ignoranza scientifica o di malafede politica. Si tratti di OGM, inquinamento elettromagnetico o rischio nucleare, insomma, le risposte istituzionali sono sempre state improntate alla pervicace negazione di qualsiasi pericolo, pretendendo che siano i contestatori a provare le loro accuse, quando viceversa essi invocano proprio l’applicazione del ‘principio di precauzione’, non a caso sempre più osteggiato o diluito nei suoi effetti da molti legislatori, anche a livello comunitario.  

 Il p. di p. è stato originariamente proposto per difendere l’ambiente, ma oggi sta diventando sempre più usato ogni qualvolta la pubblica opinione è preoccupata a causa dell’uso di nuove tecnologie. Le novità introdotte dal p. di p. sono, in primo luogo, il passaggio dell’onere della prova dalle autorità pubbliche ai proponenti le nuove attività; in secondo luogo, l’azione cautelativa che deve essere intrapresa prima di conseguire la certezza scientifica sulla correlazione tra causa ed effetto [69].

Ecco perché sulle battaglie ecopacifiste – come quella sulla denuncia del rischio per la popolazione civile derivante dai ‘porti nuclearizzati’ – cala spesso il silenzio, alimentato dalla connivenza dell’informazione ‘ufficiale’ e dall’atteggiamento sprezzante di una ‘Scienza’ troppo spesso asservita alle compatibilità politico-economiche dei decisori, da cui dipende per i finanziamenti.

10. Scienziati per la pace e comitati ecopacifisti

Presentazione del libro del MIR “La colomba e il ramoscello”, con Anna Savarese, Ermete Ferraro, Pio Russo Krauss e p. Alex Zanotelli (2022)

Per fortuna non sono mancati, anche nel caso del rischio nucleare nei nostri porti, alcuni autorevoli interventi scientifici che avvalorano le denunce degli attivisti ambientalisti e pacifisti. Ho precedentemente citato le osservazioni critiche di Antonino Drago, già docente di fisica alla Federico II di Napoli, [70], cui vanno ad aggiungersi quelle di Massimo Zucchetti, docente di Impianti nucleari al Politecnico di Torino e di Gianni Mattioli, già ordinario di Fisica alla Sapienza di Roma, sintetizzate in un articolo del 2013, in conclusione del quale leggiamo:

Per tutti gli approdi nucleari devono essere predisposti gli opportuni piani di emergenza esterna che obbligatoriamente devono essere comunicati alla popolazione. Al momento invece in Italia non è possibile per i cittadini essere informati (in violazione dell’articolo 129 del Decreto legislativo 230/1995) perché questi piani vengono classificati come “segreti”. Laddove i piani sono stati predisposti (con grande ritardo) come nel caso di Trieste, si scopre con stupore (sono occorsi anni per realizzarli) l’inconsistenza degli stessi: in caso di emergenza reale è davvero angosciante pensare che la vita di decine di migliaia di persone dipenderebbe da questi pezzi di carta contenenti disposizioni inattuabili. E proprio per la continuità di questi atteggiamenti antidemocratici posti in essere a danno della collettività e in aperta violazione della legislazione comunitaria, l’Italia è stata deferita nel giugno del 2006 alla Corte di Giustizia Europea [71].

Ed è stato proprio il professor Massimo Zucchetti che, in una dettagliata relazione, ha ribadito le cause ostative ad un’efficace prevenzione del rischio nucleare in relazione a natanti di natura militare, consistenti nel regime di segretezza che di per sé si oppone alla necessaria trasparenza dei controlli, così come la loro presenza in aree marine prospicienti città e metropoli, difficilmente proteggibili dalle perniciose conseguenze di seri incidenti nucleari

Nel caso di reattori nucleari a bordo di unità navali militari, molte di queste informazioni mancano o sono insufficienti. Quanto sarebbe necessario acquisire, conoscere, ispezionare ed accertare si scontra molto spesso con il segreto militare. Molte delle informazioni che sarebbe necessario ottenere da parte dell’autorità di controllo o di sicurezza mancano, sono inottenibili, oppure vengono trasmesse mediante comunicazioni da parte della Marina Militare o addirittura della US Navy, con una modalità di autocertificazione […] inaccettabile nel caso dell’analisi di sicurezza di un impianto nucleare […] La presenza…sul territorio di reattori nucleari necessita di una zona intorno ad essi nella quale non vi sia presenza di popolazione civile […] mentre è anche richiesta, in una fascia esteriore più ampia, una scarsa densità di popolazione. Ciò è necessario per ridurre le dosi collettive in caso di rilasci radioattivi, sia di routine che incidentali […] Normalmente, la fascia di rispetto ha raggio di 1000 metri e vi sono requisiti di scarsa densità di popolazione per un raggio di 10 km almeno intorno all’impianto. Nel caso di reattori nucleari a bordo di unità navali militari, questi requisiti non possono venire rispettati, dato che molti dei porti si trovano in aree metropolitane densamente popolate. I punti di attracco e di fonda delle imbarcazioni militari sono, in alcuni casi, posti a distanze minime dall’abitato. Anche qui, in ogni caso, l’effettiva ubicazione di questi reattori non è determinabile, in quanto i punti suddetti sono coperti ancora una volta da segreto militare. [72]

A questo punto, l’unica conclusione possibile – come ribadiva Zucchetti – è che dovrebbero essere interdetti sempre e comunque transito e sosta di portaerei e sottomarini nucleari nelle acque prospicienti i porti delle città italiane. Evidenza scientifica che va al di là di ogni pur legittima posizione di principio, fondata sul ripudio delle attività militari e di guerra e/o sulla protezione dell’ambiente naturale e urbano da ulteriori e gravi fonti di inquinamento.

Purtroppo la realtà fattuale sembra andare in ben altra direzione, soprattutto a causa della ribadita subalternità politica ed economica del nostro Paese nei confronti degli Stati Uniti e delle strategie di quella ‘Alleanza Atlantica’ che da decenni grava come un giogo insopprimibile sulla nostra indipendenza. Bisogna osservare comunque che l’auspicata “Difesa Europea”, lungi dall’infrangere quella dipendenza, andrebbe semmai a sovrapporsi ad essa, in quanto obbedisce alle stesse logiche perverse del complesso militare-industriale, come si rilevava in un documentato opuscolo pubblicato dall’ENAAT nel 2021.

L’industria degli armamenti e della sicurezza ha svolto un ruolo chiave nella creazione, nello sviluppo e nell’importanza delle politiche militari e di sicurezza dell’UE. La militarizzazione dell’UE è stata aiutata dall’uso estensivo da parte dell’industria di think tank, lobbisti e cosiddetti “esperti” legati al settore della sicurezza, mentre è stata accolta favorevolmente dalle politiche dei funzionari delle istituzioni europee e degli Stati membri. Questo processo dimostra che l’UE è impegnata nei preparativi bellici a livello politico, industriale e materiale, preparandosi a qualsiasi forma di conflitto futuro. L’UE sta contribuendo ad aumentare sostanzialmente la spesa militare e ad intensificare la corsa agli armamenti globale, uno sviluppo che minaccia di sospendere l’apparente sostegno dell’UE alla costruzione di una pace alternativa e alla lotta contro cause profonde dei conflitti. [73]

Per comprendere quanto poco sia cambiato il quadro relativo a questa problematica, basti pensare che nell’ultimo anno – il 2022 appena concluso – a Napoli si sono verificati, a distanza di soli sei mesi, altri due episodi di minacciosa presenza di natanti nucleari nelle acque interne del golfo di Napoli, per di più in un preoccupante clima di guerra. Il 10 maggio, infatti, i quotidiani hanno dato notizia della presenza e sosta della prima gigantesca portaerei statunitense.

La portaerei americana Uss Harry S. Truman è arrivata nel Golfo di Napoli e l’opinione pubblica si divide: mentre centinaia di napoletani si accalcano sul lungomare per fotografare il gigante dei mari, fortezza armata fiore all’occhiello della Marina a stelle e strisce, altrettanti utenti su Twitter criticano le manovre nei mari italiani. Poche settimane fa, per l’esattezza il 23 aprile, la stessa Truman, gioiello classe Nimitz aveva fatto una tappa nel porto di Trieste. “Sosta tecnica operativa”, era stata la motivazione ufficiale dopo un periodo di due mesi di esercitazioni nel Basso Adriatico e nello Jonio con l’aviazione militare greca. Il tutto però avveniva mentre l’escalation della guerra in Ucraina stava iniziando a mostrare la vera entità del conflitto. Non più locale, ma potenzialmente mondiale. Con l’Italia, dunque, di nuovo a ricoprire un ruolo-chiave al confine tra Europa occidentale ed orientale, e nel cuore del Mediterraneo. [74]

Ovviamente è scattata la reazione del Comitato Pace e Disarmo Campania, che lo stesso giorno haimprovvisato un blitz in di protesta davanti al Municipio di Napoli, diramando un comunicato stampa dopo il mancato accoglimento della richiesta di incontro con Sindaco Manfredi:

…per protestare contro la presenza da stamane nel porto di Napoli della portaerei statunitense a propulsione nucleare U.S.S.Truman che – come si evince dall’Ordinanza n. 40/2022 della Capitaneria – vi stazionerà fino al prossimo 16 maggio, determinando fra l’altro il divieto di transito e sosta da parte di qualsiasi altra nave, nel raggio di 1300 metri […] Padre Alex Zanotelli, a nome dei manifestanti, ha chiesto un incontro col sindaco Manfredi, per ricordargli che quella delibera è tuttora in vigore e che – come responsabile della salute e sicurezza della cittadinanza – è tenuto a informarla ed a sollecitare l’attuazione del relativo Piano di Emergenza, assurdamente ancora secretato. […] il portavoce del Sindaco è poi sceso ad incontrare la delegazione del Comitato, che gli ha esposto i motivi per i quali l’A.C. dovrebbe intervenire, per far rispettare la delibera citata, ma soprattutto per informare i Napoletani del grave rischio sanitario e ambientale derivante dall’impropria presenza in rada di natanti nucleari, soprattutto in un periodo così delicato e drammatico [75].

Non si è fatto attendere poi il commento dell’ex Sindaco, che – nel silenzio dell’attuale primo cittadino sulla vicenda – ha dichiarato a sua volta:

Non ci piegammo al razzismo di Stato di guerra e aprimmo i porti, per ubbidire alla Costituzione di fronte alle illegalità del potere – prosegue l’ex sindaco di Napoli – La nostra città è oggi aperta alle sorelle e ai fratelli ucraini, come a tutte le persone che hanno bisogno di aiuto e pace. Nello statuto della città di Napoli inserimmo in maniera indelebile: ‘città di pace’. Le portaerei con armi di distruzione di massa non sono gradite, devono rappresentare il passato non il futuro del nostro pianeta. Il nostro mare è di pace, non di guerra”, ha concluso de Magistris [76].

Anche un articolo dell’Huffington Post ha sottolineato che, in questa circostanza, “De Luca e Manfredi si tengono a distanza” [77], frase interpretabile in vario modo sia in riferimento alla loro assenza al ricevimento ufficiale della US Navy, sia in relazione al loro imbarazzato silenzio su una situazione che, dopo 25 anni di battaglie politiche e perfino legali, sembra tuttora che non interessi ai vertici della Città Metropolitana e della Regione più densamente popolate.

11. Il panorama internazionale dell’informazione

Maggio 2021 – Attivisti protestano a Tromsø contro sottomarino nucleare

In questi ultimi due anni l’opposizione ecopacifista all’ingombrante e pericolosa presenza nei porti civili di natanti nucleari sembra però aver contagiato anche altre realtà di movimento, a livello internazionale ma anche in Italia.

In Australia, ad esempio, nel 2021 l’autorevole organizzazione Friends of the Earth – Amici della Terra ha fatto appello alle comunità ed ai sindacati “nelle città portuali e nei cantieri navali australiani ad auto-dichiararsi ‘zone libere dal nucleare’ e a porre ‘divieti verdi’ alla manutenzione, alla costruzione e a qualsiasi industria marittima relativa alle navi a propulsione nucleare” [78].

Negli stessi USA, diverse metropoli costiere hanno continuato ad opporsi alla presenza nei loro porti di natanti a propulsione nucleare ed appena un anno fa (il 9 dicembre 2021) “Il Consiglio Comunale di New York City ha adottato un provvedimento legislativo che invita a disinvestire dalle armi nucleari, istituisce un comitato responsabile della programmazione e delle politiche relative allo status di New York come zona priva di armi nucleari e invita il governo degli Stati Uniti aderire al Trattato sulla proibizione delle armi nucleari (TPNW)” [79].

Nel Regno Unito non si registrano particolari mobilitazioni, ma è stato pubblicizzato il “piano di emergenza radiologica per il porto di Southampton” [80], un aggiornamento per il triennio 2020-2023 che però non va oltre i soliti banali consigli da seguire in caso di pericolo di esposizione alle radiazioni ionizzanti in seguito ad un incidente nucleare.

In Norvegia, a maggio 2021 si è registrata la vivace protesta di attivisti della città di Tromsø, nel cui porto aveva attraccato il sottomarino nucleare USS New Mexico, visita giudicata “non benvenuta” per cui “diversi politici locali e numerosi cittadini hanno protestato contro il sottomarino e la decisione del governo norvegese di consentire l’attracco di natanti a propulsione nucleare” [81].

La Spagna, già da parecchi anni interessata da proteste di comitati civici e ambientalisti contro i natanti nucleari, ha recentemente registrato un nuovo episodio riguardante la sicurezza di Gibilterra, dove nel settembre 2022 è attraccato il sottomarino statunitense USS Florida, appena cinque mesi dopo un analogo episodio che riguardava l’omologo USS Georgia.

Verdemar-Ecologistas en Acción ha chiesto che il sottomarino attualmente attraccato a Gibilterra, l’USS Florida, “se ne vada e smetta di mettere a rischio nucleare lo Stretto di Gibilterra”. Inoltre, ha ricordato che non è la prima volta che questa nave approda sullo Scoglio […] In una nota, gli ecologisti hanno invitato le navi da crociera attraccate davanti a questa “bomba galleggiante”, a lasciare il porto di Gibilterra “per il rischio che si comporta trovarsi accanto a un manufatto di queste caratteristiche” […] Verdemar calcola che, dal 2001, sono transitati per Gibilterra più di cento sottomarini a propulsione nucleare [82].

Per quanto riguarda la Grecia, è del 2019 l’interessante dossier “Navi nucleari e ambiente”, curato da Konstantinos I. Delimbasis, che si concludeva con un allarme sul poco noto rischio ambientale relativo ai relitti di sottomarini nucleari.

Ma al di là delle armi nucleari, l’eredità della Guerra Fredda si annida, in una forma ben più insidiosa, negli scafi dei sottomarini in decomposizione sui moli della Russia nordoccidentale, nei cimiteri dei reattori di Hanford, Washington, e nel Golfo di Sheda, nel Mare di Kara, nelle tombe liquide dei sottomarini nucleari andati perduti e in tutti i mari del mondo dove un tempo operavano o operano sottomarini e navi a propulsione nucleare. [83]

In Brasile, più che l’opposizione antinuclearista, a frapporsi alla costruzione di sottomarini nucleari sembra che siano il clima bellico di questo periodo e i dubbi sul necessario avanzamento tecnologico in materia, per cui quel progetto… rischierebbe di naufragare.

Nel caso del Brasile, lo strumento deterrente più desiderato è il sottomarino a propulsione nucleare. Il problema è che questo progetto affronta dei rischi e potrebbe fallire. Gli ostacoli esistevano prima. Con la guerra, sono diventati più grandi […] Il sottomarino a propulsione nucleare convenzionale Álvaro Alberto (SCPN) è il fiore all’occhiello di Prosub, un programma multimiliardario ad alto impatto lanciato nel 2008 […] Ma nel caso del sottomarino nucleare, l’instabilità delle risorse si unisce alla sfida tecnologica di sviluppare un reattore che si adatti perfettamente – e in sicurezza – all’interno della nave, sottoposta ad alta pressione e turbolenze di ogni tipo. E l’industria brasiliana, come rivelò all’epoca l’ammiraglio Olsen, non è in grado di fornire queste tecnologie critiche [84].

In Giappone, anche recentemente si sono registrate proteste ecologiste contro il rischio derivante dalla presenza nel porto di Yokosuka di altre portaerei nucleari USA, come riferito da una fonte locale:

Fermare l’homeport di Yokosuka per le portaerei a propulsione nucleare – Estensione dell’ormeggio della base n. 12 di Yokosuka della Marina degli Stati Uniti, interruzione del piano di manutenzione. Per raggiungere questo obiettivo, tutti noi conosceremo i fatti, pensiamo ai problemi causati dall’homeport di Yokosuka della portaerei a propulsione nucleare, al piano di estensione e manutenzione dell’attracco n. 12, nonché ai problemi causati dal portaerei come l’inquinamento acustico.・Discutere attivamente e mirare a diffondere tra i cittadini. Le navi nucleari sono centrali nucleari galleggianti e, poiché si muovono sul mare, sono ancora più pericolose delle centrali nucleari ! ( https://cvn.jpn.org/ )

Come si vede, pur tenendo conto che ciò che è riscontrabile sui media è ovviamente solo la punta dell’iceberg rispetto all’effettiva consistenza del problema, si registra un po’ dovunque l’opposizione non solo al riarmo atomico, ma anche alla presenza di navi militari a propulsione nucleare nei porti civili. Purtroppo al coro delle proteste ecopacifiste mancano alcune voci autorevoli, fra cui quelle delle principali organizzazioni ambientaliste italiane e della stessa Greenpeace, sul cui sito internazionale non compare nessuna iniziativa specificamente diretta alla denuncia del rischio nei porti nuclearizzati [85].

Eppure si tratta di una questione destinata a sempre nuovi sviluppi e che quindi dovrebbe preoccupare molto di più l’opinione pubblica, sia pur poco informata. Viceversa, a parte la documentazione fornita da PeaceLink sulle pagine del suo sito dedicate specificamente al disarmo [86], sul rischio ambientale da ‘nucleare militare’ si discute troppo poco. Una lodevole eccezione sono gli articoli di Antonio Mazzeo, che è più volte tornato sull’argomento, sottolineando l’assurdità di una minaccia alla pace e alla sicurezza di cui tuttora pochi sono informati.

I dati statistici sugli incidenti a reattori nucleari navali sono inquietanti: negli ultimi quarant’anni si sono avute ben oltre un centinaio di emergenze radiologiche a unità di Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna e Francia. “Ricerche in corso dimostrano la correlazione fra la presenza di sommergibili a propulsione nucleare e la concentrazione di elementi radioattivi alfa-emettitori in matrici biologiche marine […] Ancora oggi però alcuni dei porti “nuclearizzati” sono sprovvisti di specifici piani di emergenza oppure essi risultano secretati. Quando si è avuto accesso ai piani, sono state segnalate numerose e poco rassicuranti disparità nelle soluzioni adottate [87].

12. Rilanciare le vertenze ecopacifiste, con la controinformazione e l’opposizione popolare

Il rilancio delle mobilitazioni ecopacifiste, in Italia, è diventato un obiettivo perseguito in particolare dall’associazione nazionale di protezione ambientale Verdi Ambiente e Società (VAS) e dal Movimento Internazionale della Riconciliazione (MIR Italia), che recentemente hanno aperto il dibattito sul tema con contributi propri, ma anche stimolando altre realtà ecologiste e pacifiste ad unirsi e collaborare anche su questo terreno.

Ho già citato l’articolo del 2004, il saggio del 2011 ed il “Manuale” del 2014 che VAS ha pubblicizzato proprio per confrontarsi con altri soggetti dell’arcipelago ecopacifista italiano, fra cui Green Cross Italia e Legambiente. Va sottolineato poi che il circolo metropolitano VAS di Napoli è sempre stato in prima linea su queste problematiche e che la rivista bimestrale dell’Associazione, grazie al suo impegno, ha riconosciuto recentemente uno spazio particolare alle vertenze ecopacifiste, ospitandovi una rubrica specifica [88].

Per quanto riguarda il MIR Italia, lo spirito di nonviolenza attiva che anima dal 1952 la sezione italiana dell’International Fellowship of Reconciliation – IFOR ha ispirato da sempre le battaglie pacifiste contro il nucleare civile e militare, grazie soprattutto ai fondamentali ed autorevoli contributi di Antonino Drago e di Giuliana Martirani. Oltre alla pubblicazione da parte del Gruppo Abele di Torino nel 2021 del citato libro del MIR La colomba e il ramoscello- Un progetto ecopacifista [89], l’anno seguente, il Centro Gandhi di Pisa è stato l’editore del ‘manuale’ di Ermete Ferraro, intitolato Grammatica ecopacifista – Ecolinguistica e linguaggi di pace [90].

In questo libro… confluiscono riflessioni e proposte già presentate negli anni passati, ma anche approfondimenti e ricerche più recenti, come quella sul ruolo della ricerca ecolinguistica nel processo di coscientizzazione sul rapporto fra ecologismo e pacifismo, ma anche nella diffusione di un modo di comunicare non più antropocentrico ed attento alla tutela della diversità culturale [91].

Un positivo elemento di novità, in quest’ultimo anno, è stato l’accresciuto interesse di un’organizzazione come Pax Christi Italia nei confronti della paradossale situazione politica che vorrebbe i porti italiani sempre più chiusi alle operazioni umanitarie per soccorrere i migranti (che fuggono spesso proprio da devastazioni ambientali e micidiali conflitti armati), nel mentre restano del tutto aperti ai traffici marittimi finalizzati all’esportazione di armamenti anche in teatri di guerra ed al transito ed alla sosta di pericolosi natanti a propulsione nucleare, peraltro spesso con armamenti atomici a bordo. Lo scorso novembre 2022, infatti, nell’ambito dell’iniziativa “Fari di Pace”, Pax Christi ha organizzato a Napoli una manifestazione al Porto, che aveva tra gli obiettivi proprio quella della sicurezza dei cittadini nei riguardi della presenza di natanti nucleari.

Si deve all’impegno di Pax Christi Napoli l’evento dello scorso 19 novembre con la marcia dal porto verso il centro storico della città, con arrivo nella cattedrale dove il vescovo Battaglia ha espresso una forte condivisione dell’istanza dell’iniziativa racchiudibile nello slogan “porti aperti ai migranti e chiusi alle armi” […] Di solito… le marce della pace scontano il pregiudizio di essere retoriche e generiche. Quella di Napoli come quella di Genova del 2 aprile sono state, invece, molto precise nel chiedere il mancato transito di carichi di armi a Genova e il divieto di attracco nel porto di Napoli di navi e sommergibili nucleari o che trasportano armi nucleari [92].

Tocca adesso ai vari soggetti coordinati dal Comitato Pace e Disarmo Campania – cui, fra gli altri, aderiscono le sedi napolitane di VAS, del MIR e della stessa Pax Christi – rilanciare con forza la vertenza ecopacifista per la denuclearizzazione del porto, da subito, per la pubblicizzazione del Piano di Emergenza nucleare di cui finora la cittadinanza della terza metropoli italiana è stata colpevolmente tenuta all’oscuro.

Un’insopportabile reticenza e resistenza istituzionale di cui è stata fornita un’ulteriore prova – a pochi giorni dalla manifestazione pubblica promossa da Pax Christi e dagli autorevoli appelli per il disarmo lanciati dall’arcivescovo Battaglia, da don Renato Sacco e da P. Alex Zanotelli [93] – con l’approdo a Napoli di un secondo natante nucleare, salutato quasi festosamente da certa stampa.

La portaerei statunitense George H.W. Bush, con a bordo l’equipaggio del Carrier Strike Group 10, è arrivata nel Golfo di Napoli per una sosta programmata in porto ieri, lunedì 28 novembre. «La visita rappresenta un’importante opportunità per le relazioni tra Italia e Stati Uniti d’America, con una centralità per la città di Napoli», dichiara il sindaco di Napoli Gaetano Manfredi. «L’esperienza del soggiorno dei marinai, in questo periodo in cui Napoli ha molto da offrire in termini culturali a quanti la visitano per la prima volta – aggiunge Manfredi – sarà certamente di grande interesse e particolarmente attrattiva per il numeroso equipaggio del Csg George H.W. Bush [94].

Il principale interlocutore delle proteste e proposte degli attivisti ecopacifisti, quindi, sarà nel 2023 proprio il primo cittadino del capoluogo partenopeo, che incredibilmente si era detto particolarmente soddisfatto dell’arrivo della portaerei americana, visto come occasione per cementare le relazioni tra Stati Uniti e Italia, e addirittura “per rafforzare ulteriormente i rapporti tra i due paesi e lavorare insieme in nome dei valori condivisi di pace e sicurezza” [95].  Nel nuovo anno, dunque, continua la battaglia antimilitarista e nonviolenta “a propulsione antinucleare” che gli attivisti locali stanno portando avanti ormai da 25 anni, senza ‘se’ e senza ‘ma’.

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 NOTE

[1] “Pericolo nucleare a Nisida – Sottomarini nucleari nelle acque dell’isola” – ROMA/Giornale di Napoli, 20.05.’96 e “Sottomarini a Nisida” (com. stampa di E. Ferraro) – ROMA/Giornale di Napoli, 22.05.’96

[2]  http://it.wikipedia.org/wiki/Antonino_Drago_%28pacifista%29   

[3] Antonino Drago, Difesa popolare nonviolenta, Torino, E.G.A., 2006. Vedi anche: Ermete Ferraro, “La resistenza napoletana e le Quattro Giornate: un caso storico di difesa civile e popolare”, in: AA.VV., Una strategia di pace: la difesa civile nonviolenta (pp.89-95), Bologna: FuoriTHEMA, 1993

[4] “I VAS: rischio nucleare. Via la portaerei ‘Enterprise’!”, Il Mattino, 06.06.’01; “Rischio nucleare nel porto di Napoli”, La Verità, 06.06.’01; “Emergenza nucleare nel golfo. L’Enterprise adesso fa paura”, Cronache di Napoli, 06.06.’01; “Via le portaerei nucleari”, Roma/Giornale di Napoli, 28.06.’01

[5] “Rischio nucleare: la portaerei lascia oggi il golfo di Napoli. Gli ambientalisti contro l’Enterprise “, Roma/Giornale di Napoli, 12.02.’04; “I VAS chiedono che venga allontanata la portaerei ‘Truman’ dal porto di Napoli”, Roma/Giornale di Napoli, 06.07.’04

[6] Ermete Ferraro, “Quale ecopacifismo? Ecologia, conservazionismo, ecologismo e ambientalismo” in: “Biodiversità a Napoli”, supplemento a Verde Ambiente, Roma, E.V.A. (XX, 2, marzo-aprile 2004), pp. 21-27

[7] Cfr. http://www.paxchristinapoli.it  

[8] Cfr. http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2073.html   Nel 2008 il Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del Territorio – Campania ha pubblicato un testo fondamentale su queste tematiche: Napoli chiama Vicenza – Disarmare i territori, costruire la pace (a cura di Angelica Romano), quaderno Satyagraha n. 14,  Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2008,  http://www.peacelink.it/libri/index.php?id=12 )

[9] Ermete Ferraro, “Il signornò degli ecopacifisti, www.vasonline.it  (marzo 2007); idem, “Una scomoda verità”, www.vasonline.it  (ago.2007); idem, “Una mobilitazione ecopacifista per togliere le basi alla guerra”,  http://napoli.indymedia.org  (marzo 2009)

[10] Ermete Ferraro, “La protesta dei VAS Napoli: porto, via le navi nucleari”, Il Napoli (26 nov. 2007); Idem, “AFRICOM: un altro migliaio di militari USA…”, www.proletaria.it  (dic. 2008); Idem,”No Africom!” commento postato da E.F, www.napoli.indymedia.com  (dic. 2008); Idem, “AFRICOM: la posizione dei VAS” www.retecivicanapoli.org  (mar. 2008); Idem e A. D’Acunto,”Oscuro scontro di 2 sommergibili nucleari, francese ed inglese, nell’Atlantico: un drammatico allarme per Napoli ed il suo Golfo”, http://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_2449.html (feb. 2009); Idem, “Porti nuclearizzati? No grazie!”, http://napoli.indymedia.org:8383/node/7447  (feb. 2009); mag. 2010 > “Base US Navy di Napoli: chiuderà?”, www.vasonlus.it  (mag. 2009).

[11] Visita: http://www.laciviltadelsole.org  e http://www.facebook.com/?ref=home#!/group.php?gid=62693432041  – Su nucleare e pace visita anche il sito web di Antonio D’Acunto (http://www.terraacquaariafuoco.it ).

[12] Ermete Ferraro, “Sicurezza nucleare nel porto di Napoli”, http://napoli.indymedia.org/node/14391  (7 dic.2010)

[13] http://www.salute.gov.it/ipocm/resources/documenti/D_lgs_230-95.pdf

[14] Alessandro Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare, 5.5.2004, https://www.peacelink.it/disarmo/a/4769.html

[15] ibidem

[16] http://www.progettohumus.it/nucleare.php?name=porti

[17] “Il rischio nucleare nei porti italiani…” cit.  http://www.peacelink.it/tematiche/disarmo/porti.shtml

[18] 9 Agosto 2003 > Rita Bittarelli > Gaeta. Piano di emergenza nucleare. Antonino Drago: «Documento senza alcuna validità scientifica, pieno di “credenze” e di strafalcioni» http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf

[19] D. Lgs. 230/95 cit. – art. 130

[20] Angelica Romano, “Rischio nucleare”, in Napoli chiama Vicenza, cit., p. 29

[21] ANSA 2005-06-10  http://www.tarantosociale.org/tarantosociale/a/11592.html

[22] http://www.peacelink.it/disarmo/docs/80.pdf  (in particolare pp. 14-17)

[23] Vittorio Moccia, “Che si può fare?”, in Napoli chiama Vicenza cit., pp.120-121

[24] http://www.iustel.com/v2/diario_del_derecho/noticia.asp?ref_iustel=1046576

[25] http://www.bcn.es/bombers/es/quisom_funcions.html

[26]  http://www.ppitoulon.net/index.html – Il piano attuale, pubblicato sul sito della Prefécture du Var, è invece consultabile all’indirizzo https://www.var.gouv.fr/IMG/pdf/PPI_20FEV_version_portail_internet_cle58e482.pdf

[27] http://www.dorsetforyou.com/media.jsp?mediaid=146764&filetype=pdf

[28] http://nnsa.energy.gov/ourmission/poweringnavy#hq

[29] Jonathan Medalia, Terrorist Nuclear Attacks on Seaports: Threat and Response, CRS reports for Congress, Jan. 2005, http://www.fas.org/irp/crs/RS21293.pdf

[30] http://www.hc-sc.gc.ca/hc-ps/pubs/ed-ud/fnep-pfun-1/plan-planification-eng.php#waters

[31] Cfr. Andreas Reitzig, New Zealand’s Ban on Nuclear Propelled Ships Revisited, Auckland Univ., 2005  http://www.kuratrading.com/PDF/NuclearBan.pdf

[32] Edward P. Thompson, Protestare per sopravvivere, Napoli, Pironti, 1982

[33] Cfr. Ermete Ferraro e Luigi Bucci, “Servizio civile e protezione popolare”, in: Il Tetto, XVIII, N. 103 – Napoli, gen.-feb. 1981 (pp. 39-48)

[34] V. Moccia, “Che si può fare?”, cit., p. 119-123

[35] A. Marescotti, Decalogo per i porti a rischio nucleare, cit.

[36] Ermete Ferraro, A propulsione antinucleare – 15 anni di lotte ecopacifiste di VAS per la sicurezza dei cittadini e la denuclearizzazione del Golfo di Napoli, Napoli, VAS, 2011, https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_7655.html

[37] Dip. Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Piano Nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche, a c. dott. Sergio Mancioppi e ing. Valeria Palmieri, 01.12.2010, https://www.isprambiente.gov.it/contentfiles/00007500/7554-piano-nazionale-dr.-mancioppi.pdf

[38] “Incidente del sottomarino nucleare USA, ecco con cosa si era scontrato”, Notizie Scientifiche.it,02.11.21, https://notiziescientifiche.it/incidente-del-sottomarino-nucleare-usa-ecco-con-cosa-si-era-scontrato/. Cfr. anche: https://www.panorama.it/Tecnologia/difesa-aerospazio/collisione-pacifico-sommergibile-nucleare-usa-coinnecticut

[39] http://www.rainews.it/archivio-rainews/media/15-anni-fa-la-tragedia-del-sottomarino-Kursk-2f3b2dee-664a-4c83-be58-7ab7943db14b.html

[40] https://www.rainews.it/archivio-rainews/articoli/sommergibile-russia-incendio-marinai-morti-a69d6c0b-ebac-43f7-86b8-ca9bcf4b85ac.html – Cfr. anche F. Iannuzzelli, “Fuoco a bordo del sottomarino nucleare segreto Losharik” (04.7.2019), https://www.peacelink.it/disarmo/a/46654.html

[41] “Collisione fra sottomarini nucleari” (16.02.2009), La Repubblica, http://www.repubblica.it/2009/02/sezioni/esteri/collisione-sottomarini/collisione-sottomarini/collisione-sottomarini.html

[42] Junko Terao, “Sottomarino Usa accende la battaglia antinucleare” (03.08.2008), fonte: il Manifesto, https://www.peacelink.it/disarmo/a/26988.html

[43] “L’incidente al sottomarino a propulsione nucleare Tireless. La risposta del ministro Martino” (30.11.2004), https://www.peacelink.it/disarmo/a/15091.html

[44] https://www.peacelink.it/disarmo/a/19940.html

[45] https://www.peacelink.it/disarmo/a/8510.html

[46] Corriere della Sera 17/11/03, https://www.peacelink.it/disarmo/a/2342.html

[47] il Manifesto (20.07.2001), https://www.peacelink.it/disarmo/a/1314.html

[48] Prefettura di Napoli – Prot. Civile, Piano di Emergenza Esterna per la sosta di unità navali a propulsione nucleare nei Porti di Napoli e C.mare di Stabia porto  (2006),  http://www.prefettura.it/FILES/AllegatiPag/1221/PEE_NAVI_NUCLEARI_2006.pdf

[49] Piano Particolareggiato per l’Informazione della Popolazione (Linee guida) – All. G9 al PEEPNa,  https://www.peacelink.it/disarmo/docs/3724.pdf

[50] ivi, p. 2

[51] In data 06.04.2011 sono apparsi articoli su: la Repubblica, ROMA- Giornale di Napoli e Napoli Village. Cfr. anchela galleria fotografica sulla manifestazione in https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/indices/index_95.html  Cfr. anche https://contropiano.org/news/ambiente-news/2011/06/12/napoli-arriva-la-portaerei-nucleare-usa-g-bush-e-non-dovrebbe-01894

[52] Il Mattino, 21.10.2012.  Cfr. http://www.vascampania.net/archivio-notizie-2.html

[53] Leggi resoconto su I fatti di Napoli (12.12.2013), http://www.ifattidinapoli.it/articolo.php?id=56ebc9d04cdf6959208b6884

[54] Cfr. in proposito i seguenti articoli, pubblicati nel tempo sul mio blog: (2012) https://ermetespeacebook.blog/2012/07/17/prove-tecniche-di-buon-vici-nato/https://ermetespeacebook.blog/2012/09/03/far-waste-ovvero-anche-la-nato-produce-munnezza/ ; https://ermetespeacebook.blog/2012/09/03/far-waste-ovvero-anche-la-nato-produce-munnezza/ ; (2015) https://ermetespeacebook.blog/2015/07/28/nato-per-combattere/ ; (2021) https://ermetespeacebook.blog/2021/12/31/giugliano-provincia-di-natoli /  ; (2022) https://ermetespeacebook.blog/2022/02/18/born-to-kill-nato-per-uccidere/

[55] Cfr. testo della D.G. n. 609/2015 con oggetto “Dichiarazione di ‘Area Denuclearizzata’ del Porto di Napoli”, https://www.comune.napoli.it/flex/FixedPages/IT/Delibere.php/L/IT

[56] “Il Porto di Napoli dichiarato area denuclearizzata: ‘Noi città di pace’ ”, https://www.napolitoday.it/politica/porto-napoli-area-denuclearizzata.html

[57]  Cfr. gli articoli apparsi allora sui quotidiani locali: https://napoli.repubblica.it/cronaca/2015/10/01/foto/napoli_il_sindaco_dichiara_il_porto_area_denuclearizzata_tweet_contro_il_governo-124081266/1/ ; https://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/15_settembre_30/porto-diventa-zona-denuclearizzata-giunta-comune-approva-delibera-51a44c68-6761-11e5-88dc-bbf708990735.shtml?refresh_ce-cp ; https://www.teleischia.com/20036/denuclearizzato-il-porto-di-napoli-vittoria-degli-ecopacifisti/

[58] “Basta nucleare nel Porto di Napoli”, Contropiano (20.06.2016), https://contropiano.org/regionali/campania/2016/06/20/basta-nucleare-nel-porto-napoli-080632

[59] “Sottomarino nucleare Usa in rada. De Magistris: ‘Il porto di Napoli è un’area denuclearizzata’.”, Ag. St. DIRE (16.04.2018), https://www.dire.it/16-04-2018/193111-sottomarino-nucleare-usa-in-rada-de-magistris-il-porto-di-napoli-e-unarea-denuclearizzata/  Cfr. anche https://www.stylo24.it/de-magistris-contrario-sommergibile-porto-napoli/

[60] “Napoli, la portaerei Truman arriva nel Golfo: folla sul lungomare per fotografarla”, IL MATTINO (10.05.2022), https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/portaerei_truman_golfo_di_napoli_oggi_le_ultime-6680261.html?refresh_ce

[61] ibidem

[62] “Portaerei nel porto di Napoli, de Magistris: “La nostra è una città di pace”, Napoli Today (10.05.2022), https://www.napolitoday.it/cronaca/portaerei-truman-proteste.html

[63] Cfr., tra gli altri, alcuni miei saggi pubblicati sul sito di academia.ed : https://www.academia.edu/37811619/Credere_rinverdire_e_combatterehttps://www.academia.edu/42327562/Presidiare_lemergenza_Ermete_Ferrarohttps://www.academia.edu/43188396/FENOMENOLOGIA_DELLO_STRUMENTO_MILITARE_Esercito_italianohttps://www.academia.edu/44126545/IL_MILITARISMO_ETERNO_Ermete_Ferrarohttps://www.academia.edu/71001713/CAMALEONTI_CON_LE_STELLETTE_Le_forze_armate_tra_conformismo_atlantico_e_trasformismo_ambientalista 

[64] Antimilitaristi Campani (a cura di), Fermiamo la guerra, Napoli 2021, scaricabile da: https://coordinamenta.noblogs.org/files/2021/03/Opuscolo-Antimilitaristi-Campani.pdf  Cfr. anche l’articolo che ne sintetizza il contenuto: “Fermiamo la guerra, una ricerca del Comitato antimilitaristi campani”, Mosaico di Pace (27.08.2021), https://www.mosaicodipace.it/index.php/rubriche-e-iniziative/rubriche/approfondimenti/documenti/2517-fermiamo-la-guerra-una-ricerca-del-comitato-antimilitaristi-campani e quello apparso (14.03.2021) sul sito di PeaceLink https://www.peacelink.it/pace/a/48361.html

[65] Movimento Internazionale della Riconciliazione, La colomba e il ramoscello – Un progetto ecopacifista, Torino, Edizioni Gruppo Abele, 2021, pp.58-61.

[66] Cfr. Ermete Ferraro, L’ulivo e il Girasole – Manuale per un progetto di coordinamento delle iniziative ecopacifiste di VAS, Napoli, VAS aps, 2014, https://issuu.com/ermeteferraro/docs/manuale_ecopacifismo_vas_2_83d43f9735930d

[67] MIR, La colomba e il ramoscello, cit., p. 88

[68] Cfr. il sito ufficiale del Coordinamento dei comitati NO MUOS, che da anni lotta contro l’installazione e la messa in funzione delle antenne USA a Niscemi (Sicilia) ed in particolare la pagina https://www.nomuos.info/cose-il-muos/. V. anche il libro che ne ripercorre la battaglia: T. Adam, Un anno di lotte, Villaggio Maori, 2014, anche in versione e-book: https://www.lafeltrinelli.it/no-muos-anno-di-lotte-ebook-adam-t/e/9788898119240

[69] “Precauzione, principio di”, di Maurizio Iaccarino, Enciclopedia Italiana – VII Appendice (2007), Treccani, https://www.treccani.it/enciclopedia/principio-di-precauzione_%28Enciclopedia-Italiana%29/

[70] Antonino Drago. “Documento senza alcuna validità scientifica, pieno di “credenze” e di strafalcioni”, in Rita Bittarelli, “Gaeta. Piano di emergenza nucleare” (29.08.2003), Latina, Parvapolis, http://www.parvapolis.it/a-16534/cronaca/gaeta-piano-di-emergenza-nucleare-antonino-drago-documento-senza-alcuna-validitscientifica-pieno-di-credenze-e-di-strafalcioni/

[71] Cfr. Gianni Lannes, “Italia: mari e porti a stelle e strisce” (18/08/2013), Arianna Editrice, https://www.ariannaeditrice.it/articolo.php?id_articolo=45930

[72] Massimo Zucchetti, Sosta di unità navali militari a propulsione nucleare nei porti italiani: dall’esame dei Piani di emergenza esterna una semplice conclusione (s.d.), https://www.peacelink.it/disarmo/docs/877.pdf

[73] ENAAT – Rosa Luxemburg Stiftung, A Militarised Union – Understanding and confronting the militarization of rhe European Union, Brussels, 2021, p.79 (La versione online, anche in italiano, è scaricabile da: https://www.rosalux.eu/en/article/1981.a-militarised-union.html 

[74] “Truman, la portaerei nucleare Usa è a Napoli. Sospetti e accuse: “Colonia Italia, cosa significa” (10.05.2022), Libero quotidiano, https://www.liberoquotidiano.it/video/italia/31534229/truman-portaerei-nucleare-americana-napoli-sospetti-italia-colonia-nato.html Vedi anche il servizio di Rai News: https://www.rainews.it/video/2022/05/le-immagini-della-portaerei-americana-truman-nel-golfo-di-napoli-74314cec-fa58-4771-a317-f075000e111d.htm e l’articolo https://napoli.repubblica.it/cronaca/2022/05/10/news/la_portaerei_truman_giunta_nel_golfo_di_napoli-348919874/

[75] Cfr. comunicato stampa CPDC del 10.05.2022, https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_12961.html – Un video della manifestazione, cui ha partecipato anche Ferraro a nome di VAS e MIR Napoli, è su: https://www.larena.it//media/video/la-portaerei-usa-truman-a-napoli-sit-in-del-apos-comitato-pace-e-disarmo-apos-1.9402170 . Dell’iniziativa del CPDC ha riferito anche Sky Tg24: https://tg24.sky.it/napoli/2022/05/10/portaerei-uss-truman-napoli           

[76] “Al porto di Napoli la Truman, portaerei militare degli Stati Uniti”, nell’art. cit. di Sky Tg24

[77] F. Olivo, “La portaerei Truman nel golfo di Napoli, con tanto di cerimonia. De Luca e Manfredi si tengono a distanza” (12.05.2022), Huffington Post, https://www.huffingtonpost.it/politica/2022/05/12/news/diventa_un_caso_la_portaerei_truman_nel_golfo_di_napoli_de_luca_e_manfredi_assenti_al_ricevimento-9379374/

[78] “Nuclear subs: bad for people, planet & peace” (16.09.2021), https://www.foe.org.au/nuclearsubs_bad_for_people_planet_peace . Sulla programmazione della presenza di natanti nucleari in Australia cfr. l’opuscolo Nuclear powered warships visit planning: https://www.arpansa.gov.au/research/radiation-emergency-preparedness-and-response/visits-by-nuclear-powered-warships

[79] “New York City joins ICAN Cities Appeal” (10.12.2021), ICAN, https://www.icanw.org/new_york_city_joins_ican_cities_appeal

[80] Radiation emergency in the Port of Southampton – Information for people living in the 5km Outline Planning Zone (Nov. 2020- Nov. 2023), https://www.southampton.gov.uk/media/jprpcfrw/130-1-emergency-planning-resident-finalx_tcm63-434545.pdf

[81] Stefan Leimer, “Update: US nuclear submarine docks near Tromsø” (06.05.2021), Polar Journal, https://polarjournal.ch/en/2021/05/06/nuclear-submarines-near-tromsoe-in-the-future/ Cfr. anche: https://worldbeyondwar-org.translate.goog/sv/activists-in-norway-protest-proposed-docking-of-nuclear-submarines-in-tromso/? _x_tr_sl=sv&_x_tr_tl=it&_x_tr_hl=it&_x_tr_pto=sc

[82] Alonso Palacios, “El submarino nuclear USS Florida, una fortaleza con misiles Tomahawk, atraca en Gibraltar” (30.09.2022), El Debate, https://www.eldebate.com/espana/defensa/20220930/submarino-uss-florida-fortaleza-nuclear-misiles-crucero-atraca-gibraltar_63192.html

[83] Konstantinos I. Delimbasis, Ο πόλεμος της σιωπήςΠυρηνοκίνητα σκάφη & περιβάλλον (La guerra del silenzio – “Navi nucleari e ambiente” – 22.06.2019), AMBIENTE ED ENERGIA, https://www.e-telescope.gr/science/environment/nuclear-submarines-environment

[84] Roberto Maltchik – O Globo ,“Construção de submarino nuclear da Marinha Brasileira corre risco de naufragar” (12.03.2022), https://www.naval.com.br/blog/2022/03/12/construcao-de-submarino-nuclear-da-marinha-brasileira-corre-risco-de-naufragar/

[85] Cfr. il sito web di Greenpeace Int’l: https://www.greenpeace.org/international/

[86] L’ultimo articolo in proposito sul sito di PeaceLink è stato: Gianmarco Catalano, “Due sottomarini nucleari presenti all’esercitazione Dynamic Manta. Rischio atomico e mancata informazione dei cittadini” (25.02.2022), https://www.peacelink.it/disarmo/a/49007.html

[87] Antonio Mazzeo, “Porti ed aeroporti italiani ad alto rischio nucleare”, in: La contaminazione cancerogena dell’apparato militare in Italia (2018), Academia.edu, https://www.academia.edu/41543128/La_contaminazione_cancerogena_dellapparato_militare_in_Italia  

[88] Oltre agli articoli apparsi su fino al 2021 Verde Ambiente” negli scorsi anni (a cura di Giorgio Nebbia, Guido Pollice, Antonio D’Acunto ed Ermete Ferraro) sulla nuova edizione della rivista Ermete Ferraro cura la rubrica: “Cara…pace – Riflessioni ecopacifiste” > https://www.verdiambientesocieta.it/la-nostra-rivista/?fbclid=IwAR2r_YgAtp-naNAEgidB7hbeK4NmzdqfQllj9DRkAKmj0K06iH2A5ljkOBE

[89] Cfr. anche l’articolo di G. Mancuso: https://www.pressenza.com/it/2021/11/un-progetto-ecopacifista-presentazione-del-libro-la-colomba-e-il-ramoscello/

[90] Ermete Ferraro, Grammatica ecopacifista – Ecolinguistica e linguaggi di Pace, Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2022

[91] Ivi, p. 23-24

[92] Carlo Cefaloni, “Napoli, un faro di pace che non si spegne” (22.11.2022), Roma, Città Nuova, https://www.cittanuova.it/napoli-un-faro-pace-non-si-spegne/?ms=003&se=005

[93] Cfr. https://www.vitawebtv.it/fari-di-pace-a-napoli-le-guerre-scoppiano-perche-ci-sono-strutture-mezzi-e-strumenti-che-le-rendono-possibili/ ,  https://www.vitawebtv.it/fari-di-pace-a-napoli-le-guerre-scoppiano-perche-ci-sono-strutture-mezzi-e-strumenti-che-le-rendono-possibili/   e https://www.ilmattino.it/cultura/periferie/fari_di_pace_la_marcia_di_pax_christi_da_savona_ad_altamura_fa_tappa_napoli-7060750.html

[94] “La portaerei George Bush è arrivata nel Golfo di Napoli: «Importante opportunità per la relazione tra Italia ed America»” (29.11.2022), Il Mattino, https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/portaerei_bush_statiunitid_america_napoli_golfo-7082713.html?refresh_ce [95] Federico Garau,” A Napoli arriva la portaerei nucleare H.W. Bush, ecco perché (29.11.2022), Il Giornale, https://www.ilgiornale.it/news/cronaca-locale/napoli-arriva-portaerei-nucleare-hw-bush-ecco-perch-2090324.html Anche in questa circostanza VAS e MIR Napoli hanno protestato con un comunicato stampa: https://www.pacedisarmo.org/pacedisarmo/articles/art_12965.html

© 2023 Ermete Ferraro

VAXTRUPPEN…

Leggere sui giornali gli articoli relativi alle ‘strategie sanitarie’ [i] adottate dal governo italiano in materia di lotta al Covid-19 risulta estremamente istruttivo per chi si occupi di ‘analisi critica del discorso’ o, comunque, abbia una minima sensibilità nei confronti delle modalità comunicative dei media. È da oltre un anno e mezzo, infatti, che la pandemia da cui stiamo tentando di uscire viene presentata come una sorta di epico scontro tra il malvagio ed insidioso virus coronato (con tutte le sue trasformistiche mutazioni) ed una task force politico-tecnico-scientifica impegnata strenuamente e indefessamente nel contrastarlo e sconfiggerlo.

Il fatto è che il linguaggio bellico ha talmente intriso la narrazione di questa gravissima crisi sanitaria (con le sue conseguenze anche sul piano sociale, economico e politico) che a chi dovrebbe fare informazione sembra ormai quasi impossibile utilizzare un lessico medico o, quanto meno, di divulgazione scientifica degli aspetti preventivi e terapeutici dell’epidemia virale. Da quando al vertice della prode squadra è stato messo un generale di corpo d’armata, con tanto di penna sul cappello e medaglie al petto, indubbiamente si è rafforzata l’impronta militarista della crociata anti-covid.

Uno dei suoi punti centrali, inoltre, è stato l’evidente orientamento a colpire, oltre e forse più che il virus, tutti/e coloro che non condividono l’idea che la vaccinazione di massa sia l’unica via per uscire dalla crisi pandemica o che, comunque, non ritengono una sufficiente garanzia le esternazioni delle autorità sanitarie nazionali ed internazionali. L’andamento ondivago e contraddittorio delle dichiarazioni dei soloni di turno, d’altronde, non era certo il modo migliore per rassicurare i cittadini, che continuano a nutrire legittimi dubbi su tante questioni, che vanno dai rischi collaterali all’opportunità di vaccinare anche i ragazzi, dall’efficacia temporale dei vaccini alla validità e positività di un mix vaccinale.

Eppure, sfogliando le pagine del quotidiano il Mattino, [ii] tutti i dubbi in proposito appaiono inesistenti o pretestuosi, di fronte al ‘dovere’ di sottoporsi alla vaccinazione. A proposito di tono militarista, già in prima pagina il giornale ci parla di un piano per trovare i disertori”. Basta voltar pagina per trovarsi davanti, a corredo del titolo dell’articolo di taglio alto di seconda, la fiera espressione La battaglia contro il Covid. In terza pagina poi ci s’informa che è in corso un’iniziativa pubblicitaria, con spot su televisioni e social, trionfalmente denominata: “Coi vaccini vinciamo”: “Una campagna che, mentre prosegue quella vaccinale, chiederà ai cittadini di veicolare un messaggio di rinascita, attraverso un gesto simbolico: il segno della ‘V’ di Vaccino e di Vittoria”. [iii]   Sulla stessa pagina campeggia un articolo che riferisce della conferenza stampa di Draghi sulla “libertà di scelta” relativa ai richiami vaccinali, dove però si riferisce anche del monito lanciato dal generalissimo Figliuolo, secondo il quale occorre “…cercare in maniera attiva gli over 60… ad oggi ne mancano circa 2,8 milioni all’appello” [iv], L’autore dell’articolo, forse preoccupato che il tono non fosse abbastanza marziale, ha così chiosato: “Una nutrita schiera di renitenti con cui, in tutta evidenza, qualcosa non sta funzionando […] Il punto quindi è che quasi tre milioni di persone vanno cercate, trovate e in certi casi convinte a ricevere il vaccino contro il Covid…”.    Non si parla ancora di ‘rastrellamenti’ casa per casa, ma poco ci manca.  Due pagine dopo, su ‘Il Mattino’ si continua a battere sullo stesso tasto. In questo caso è Gigi Di Fiore che nel suo articolo scrive preoccupato di una “fuga dai vaccini”, commentando che “Ai no vax si sono aggiunti i boh vax.[v]

Ma è nella cronaca di Napoli che il quotidiano raggiunge il vertice della retorica bellica. L’articolo di Ettore Mautone sulla “lotta al Covid” già nel titolo lancia addirittura un appello a “Stanare i disertori”. Si riferisce che anche la Regione Campania sta pianificando una vera e propria strategia “per reclutare i dispersi […] Azioni da mettere in campo…per reclutare chi non si è ancora vaccinato tra gli over 60”. [vi]   L’approccio militarista agli interventi di contrasto alla pandemia da Covid-19, dunque, non solo continua ma si consolida. L’insoddifazione delle autorità governative e regionali per non aver conseguito del tutto gli obiettivi che si erano prefissati, infatti, sembra sfogarsi in modo stizzoso quanto autoritario su coloro che non hanno obbedito disciplinatamente alle loro direttive. Ecco, allora, che nel miglior caso vengono qualificati come ‘dispersi’, mentre in quello di rifiuto palese come ‘renitenti’ e perfino ‘disertori’. Questi ‘fuggiaschi’ andrebbero a tutti i costi ‘convinti’, ‘reclutati’ e, se necessario, ‘stanati’ da dove si nascondono, facendosi forti dell’art. 32 della Costituzione, in base al quale: “Nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Ma, a quanto pare, nulla sembra fermare le ‘VaxTruppen’ del generale Figliuolo. A meno che il buon senso, le elementari norme di democrazia ed il rispetto delle persone non abbiano la meglio sulla loro ridicola arroganza e sul vergognoso atteggiamento subalterno dei media.


[i] Ermete Ferraro (2021), “Strategie sanitarie…”, il Dialogo, 03.03.2021 > https://www.ildialogo.org/elezioni/dibattito_1614758540.htm

[ii]   Cfr. IL MATTINO, ediz. Di Napoli, 19.06.2021 >

[iii]  “Col vaccino vinciamo”: ecco gli spot su tv e social, ivi, p. 3

[iv]  Francesco Malfetano, “Richiami, libertà di scelta. Draghi: ma io farò il mix”, ivi, p. 3

[v]  Gigi Di Fiore, “Napoli, fuiga dai vaccini. La Regione chiude 2 hub”, ivi, p. 5

[vi]  Ettore Mautone, “Vaccini, canali social e medici di famiglia ‘Stanare i disertori’ “, ivi, p. 22


© 2021 ERMETE FERRARO

Piano di Ripresa…militar-industriale

Immagine dall’articolo sul ‘Recovery Plan armato’ della Rete Italiana Pace e Disarmo

Dopo l’esaltante euforia interpartitica dei trionfali esordi, sembra che l’entusiasmo per il Governissimo presieduto da Mario Draghi cominci a smorzarsi. A mano a mano che i nodi arrivano al pettine, mettendo in discussione l’adesione acritica che aveva contagiato sindacati movimenti e associazioni, inizia ad appannarsi l’immagine, brillante quanto artificiosa, dell’esecutivo ‘di salvezza nazionale’ o, per riferirsi alla crisi pandemica, di ‘salute pubblica’. I suoi pilastri – unità, competenza, efficienza, determinazione – si sono dimostrati piuttosto fragili, non tanto per i pur prevedibili terremoti all’interno d’una maggioranza eterogenea, quanto per le sue intrinseche contraddizioni. Eppure avevamo assistito ad un vero e proprio plebiscito di consensi, con manifestazioni di fiducia espresse dai vertici di Legambiente ma anche da buona parte della Confindustria, dalla Lega salviniana fino a larga parte di ciò che rimane della sinistra.

Insomma, sembrava che la ‘discontinuità’ fosse un requisito essenziale perché il nuovo governo producesse i frutti attesi, ma le novità registrate finora, quando ci sono, sembrano andare in ben altra direzione. Il piatto forte – sul quale peraltro era stata costruita la crisi del precedente governo – resta naturalmente il ‘Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza’, dalla cui gestione delle risorse finanziarie dipenderebbe l’uscita dal tunnel deprimente della crisi socio-sanitaria ed economica che continua a stringerci nella sua morsa. C’era sul tavolo una programmazione che evidenziava già criticità e contraddizioni, ma l’esecutivo Draghi le ha messe ancor più in luce, ficcando un po’ di tutto in quell’appetitoso calderone da 200 miliardi. Eppure qualcuno ha sostenuto che la positività del Piano Draghi rispetto a quello di Conte consisterebbe nella sua capacità di unire le riforme agli investimenti.

Fare attenzione a che razza di ‘riforme’ stanno preparando è il vero problema visto che da tempo la ‘Neolingua’ della politica ci ha abituato alla deformazione del senso delle parole, e quindi alla mistificazione dei concetti. Già dalla nomina dei ministri, parecchi si erano chiesti ad esempio se la persona più adatta a guidare l’auspicata ‘transizione ecologica’ fosse un vertice della nostra principale azienda che produce ed esporta armamenti. O se la persona più indicata a ricoprire il ruolo di Ministro dello Sviluppo Economico fosse un leghista ultraliberale e filo-atlantista. Lo ‘sviluppo’ perseguito da questo governo, in effetti, non ha molto a che vedere non solo con la sbandierata svolta ambientalista, ma anche con una visione globalmente alternativa del rapporto tra attività produttive, integrità del territorio e riequilibrio socio-economico.

Ecco che, con la pubblicazione del PNRR, ora tutto quanto appare piùchiaro. Da quell’atteso ed accattivante uovo di Pasqua spuntano diverse sgradevoli sorprese, che colpiscono anche i più fiduciosi. Infatti, come già era stato preannunciato da altri soggetti meno inclini ad inchinarsi preventivamente al governissimo Draghi, l’istruttiva lettura del suo ‘Piano’ ha portato a galla preoccupanti elementi che, nel mentre hanno poco a che vedere con la ‘resilienza’, indicano piuttosto che la sedicente ‘ripresa’ perseguita si riferisce in larga misura al meno ecologico e civile dei settori produttivi: quello che fa capo al complesso militar-industriale. Lo scrive chiaramente la Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD), lamentando fra l’altro che le sue proposte alternative sono rimaste del tutto inascoltate. «…una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo …di lavaggio verde dell’industria delle armi […] Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali” […] Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”…». [i]

Sì, rinnovare, incrementare, promuovere, dialogare sarebbero bei verbi se si parlasse di sviluppare un’economia ecosostenibile, decentrata, alimentata da fonti energetiche rinnovabili, capace di mobilitare le risorse giovanili e di arrestare una globalizzazione selvaggia e senza scrupoli. Verbi ambigui ed ipocriti se invece si fa riferimento al turpe mercato delle armi, al progresso tecnologico applicata agli strumenti per uccidere e reprimere, a ‘filiere industriali’ che grondano sangue… Come osservano i commentatori della RIPD, l’ambito militare non viene coinvolto nel PRRR per alcuni aspetti collaterali del sistema di difesa nazionale previsti dal vecchio Piano, come il rafforzamento della sanità o l’efficienza energetica degli immobili. Il referente diretto ed esplicito di una fetta dei fondi europei è proprio l’industria finalizzata allo ‘strumento militare’, peraltro già ‘beneficiaria’ del 18% degli investimenti pluriennali 2017-2034. Ciò significa che il governo Draghi – dichiaratosi da subito europeista ma anche prode sostenitore della Nato – ritiene che la ‘ripresa’ dell’Italia si promuove anche favorendo il riarmo bellico.

A quanto pare – scrivono gli ‘Antimilitaristi Campani’ nel loro recente opuscolo – la pandemia: «…non ha fermato né i conflitti in corso, né la corsa agli armamenti. Anzi, lo stesso Covid-19 … viene utilizzato nella propaganda delle grandi potenze in concorrenza tra loro per il dominio dei mercati e delle aree d’influenza […] Anzi, la morsa di questa crisi sistemica sembra accelerare lo scontro e l’attivismo guerrafondaio…e l’unico settore economico che continua a crescere è quello delle armi […] Questa corsa agli armamenti rischia di portarci verso…un nuovo conflitto mondiale che, considerato l’enorme arsenale nucleare in dotazione a nove paesi (circa 14.465 testate), porterebbe l’umanità e il pianeta verso la catastrofe». [ii]  E proprio di questa visione intimamente guerrafondaia si alimenta la crescente militarizzazione del territorio e delle istituzioni civili, resa ancor più evidente anche dalla nomina a Commissario nazionale per l’emergenza sanitaria del generale Francesco Paolo Figliuolo, esperto di logistica militare ma ««anche ex-comandante delle forze Nato in Bosnia e nel Kosovo. Una presenza inquietante, unita a quella di un Capo della Protezione Civile Nazionale che non ha esitato a dichiarare: “Siamo in guerra, servono norme di guerra”. [iii]

Il Capo della Protezione Civile Nazionale, Curcio, ed il Commissario Emergenza Covid, gen. Figliuolo

Come si può tollerare che – dopo un anno – non solo si continua ad usare infelici metafore belliche per parlare di un virus, con espressioni da bollettini di guerra, ma addirittura la si evochi in modo così esplicito? Una spiegazione ce l’aveva già data Susan Sontag, quando scriveva: «La guerra è una delle poche attività umane a cui la gente non guarda in modo realistico; ovvero valutandone i costi o i risultati. In una guerra senza quartiere, le risorse vengono spese senza alcuna prudenza. La guerra è pura emergenza, in cui nessun sacrificio sarà considerato eccessivo […] Trattare una malattia come fosse una guerra ci rende ubbidienti, docili e, in prospettiva, vittime designate. I malati diventano le inevitabili perdite civili di un conflitto e vengono disumanizzate…» [iv] L’impiego deliberato di ‘strategie sanitarie’ fondate sulla militarizzazione della sanità, quindi, serve a renderci tutti più acritici ed acquiescenti, enfatizzando il ruolo delle forze armate a danno di quella stessa protezione civile di cui Fabrizio Curcio è il massimo esponente nazionale. Come scrivevo in una precedente nota, infatti: «…alla ‘mobilitazione’ delle forze armate in ogni loro versione possibile (poliziotti, necrofori, infermieri, medici, costruttori di strutture emergenziali, ricercatori, etc.), è corrisposta la pressante richiesta rivolta alla popolazione civile di restare sempre più immobili, possibilmente a casa propria, evitando qualsiasi attività e/o manifestazione sociale e collettiva …» [v]

Il solo modo per non farsi abbindolare da tale mistificante visione ‘mimetica’ delle politiche sanitarie, allora, è da un lato informarsi (anzi, contro-informarsi) e dall’altro rivendicare le libertà fondamentali, costituzionalmente garantite ad ogni cittadino, che nessun commissario a quattro stelle può azzerare col pretesto dell’emergenza sanitaria. Il secondo passo da fare è aprire gli occhi sul ‘pacco’ pasquale che il governo Draghi ha preparato agli Italiani. Il PNRR nasconde fra le sue righe una quota assurda d’investimenti nel settore non solo militare, ma anche bellico. «Infatti, le linee d’intervento dirette alla digitalizzazione della P.A., alla transizione verso l’industria 4.0, all’innovazione e digitalizzazione delle P.M.I, alle politiche industriali di filiera, ecc. hanno l’obiettivo di finanziare lo sviluppo e l’espansione di tecnologie in campi strategici (Cloud computing, Cyber-security, Artificial Intelligence, robotica, microelettronica…) per loro stessa natura ‘dual use’ militare-civile…» [vi]

Vediamo quindi che una larga fetta del PNRR, apparentemente rivolta alla ‘modernizzazione’ tecnologica del nostro apparato produttivo e delle telecomunicazioni, ha lasciato ampio spazio di manovra alla ricerca, produzione ed esportazione di strumenti di guerra, che vanno da aerei ed elicotteri ad idrogeno agli strumenti di spionaggio e controspionaggio come quelli per il monitoraggio satellitare o anche agli sviluppi della robotica o la digitalizzazione dei sistemi logistici per la Marina. Per contro, degli oltre 200 miliardi destinati dalla U.E. a finanziare l’ex ‘Recovery Plan’, soltanto 19,72 sono stati effettivamente destinati al comparto sanità, di cui meno di 8 all’assistenza sanitaria territoriale, sempre più depauperata da dissennate politiche privatistiche ed ospedaliere, le cui carenze sono state evidenziate drammaticamente dalla pandemia da Covid-19.

Il solo settore dell’industria bellica, intanto, continua a macinare lauti profitti. Il Rapporto SIPRI pubblicato a dicembre 2020, infatti, riferisce che: «Le vendite di armi e servizi militari, da parte delle 25 società più grandi del settore, hanno totalizzato 361 miliardi di dollari nel 2019, l’8,5% in più rispetto al 2018 […] Tra queste, l’italiana ‘Leonardo’, in dodicesima posizione, che con 11,1 miliardi ha superato il colosso franco-tedesco Airbus […] L’Italia è il nono paese esportatore di armi e copre il 2,1% delle esportazioni globali. Durante i 30 anni di applicazione della legge 185/90, che regola l’export militare […] sono state autorizzate esportazioni di armi dall’Italia per un valore di circa 100 miliardi di euro […] Una riprova…che per l’industria militare italiana, che esporta il 70% della propria produzione, e per i governi che ne difendono gli interessi, ‘pecunia non olet’: se per fare profitti si devono fornire gli strumenti alla repressione interna, in barba ai sempre agitati diritti umani, oppure alimentare guerra, poco male!»[vii]

La voce dei movimenti pacifisti ed antimilitaristi italiani inizia a farsi sentire. Ancora sommessamente, ma cominciando a contrastare le bugie che hanno caratterizzato questa persistente fase di emergenza, caratterizzata da una visione centralista e decisionista del ruolo del governo, ma anche da una strisciante militarizzazione di quasi tutte le funzioni civili istituzionali. Anche la parte più attendista del movimento ambientalista italiano, di fronte alla realtà vera del PNRR, non ha potuto fare a meno di constatare che le scelte operate hanno ben poco a che fare con la sbandierata ‘transizione ecologica’. Infatti, non solo non si mette minimamente in discussione l’attuale modello di sviluppo, ma si insiste assurdamente sulla ripresa di quella ‘crescita’ che è alla base delle devastazioni ambientali e del saccheggio del territorio, con evidenti ripercussioni anche sanitarie oltre che sul clima. Ecco perché si rende necessario un raccordo ‘ecopacifista’ tra i due movimenti, ben sapendo che la principale fonte di consumo energetico, ma anche di disastroso impatto sull’ambiente, è legato al complesso militar-industriale. Quello che, secondo un tragico circolo vizioso, si nutre di risorse per fare le guerre che le potenze proclamano per accaparrarsene il controllo.

Ecco perché c’è bisogno di una mobilitazione ecopacifista per smascherare la visione buonista delle forze armate come garanti della sicurezza e perfino della salute dei cittadini. Bisogna proclamare con forza che il sistema militare è quanto di più estraneo ad una ‘transizione ecologica’, come ha giustamente fatto la Rete Italiana Pace e Disarmo nel suo recente comunicato: «La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico». [viii]   Il futuro dell’umanità e del nostro Pianeta, non può essere affidato nelle mani di chi è stato addestrato a fare la guerra, a considerare il territorio come qualcosa da controllare ‘manu militari’ e a degradare i beni naturali al livello di mere risorse di cui impadronirsi, anche a costo di morti e distruzione. No, non siamo in guerra e dobbiamo invece obiettare a chi vorrebbe imporci un modello militarizzato e centralistico di protezione civile e non ha mai accettato, benché ratificato anche a livello costituzionale, che la difesa può (e deve) essere soprattutto civile, popolare, non-armata e nonviolenta. [ix]

Note


[i]  Rete Italiana Pace e Disarmo, “Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all’industria militare” (01.04. 2021) >  https://retepacedisarmo.org/2021/il-recovery-plan-armato-del-governo-draghi-fondi-ue-allindustria-militare/

[ii]  Antimilitaristi Campani, Fermiamo la guerra, Napoli, 2021, pp. 6-7 (l’opuscolo, autoprodotto, è scaricabile online a questo indirizzo: https://mega.nz/file/iQwEQSBI#j8rOdXF7uJp76vgbrwfT6kXBNCVx2w9JwsF6dey2qLA  )

[iii] “Vaccini, Figliuolo e Curcio a Genova: “Siamo in guerra, servono norme di guerra” (29.03.2021), La Presse > https://www.lapresse.it/coronavirus/2021/03/29/figliuolo-e-curcio-a-genova-siamo-in-guerra-servono-norme-di-guerra/

[iv]  Susan Sontag, Malattia come metafora (1978), cit. in: Daniele Cassandro, “Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore”, Internazionale (22.03.2020) > https://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2020/03/22/coronavirus-metafore-guerra

[v]  Ermete Ferraro, “Strategie sanitarie…” (02.03.2021), Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2021/03/02/strategie-sanitarie/

[vi]  Antimilitaristi Campani, Fermiamo la guerra, cit., p. 33

[vii]  Ibidem, pp. 37…41

[viii]  RIPD, “Il Recovery Plan armato del governo Draghi…”, cit.

[ix]  “Infatti l’articolo 8 della legge 106/2016 ribadisce un concetto importante sull’identità del Servizio civile universale “finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica”. Ossia, nel solco delle precedenti normative (L.230/98 e L. 64/2001) e delle ripetute sentenze della Corte Costituzionale, anche questa riforma ribadisce che la difesa del Paese cammina (dovrebbe camminare) su due gambe: la difesa miliare e la difesa civile, non armata e nonviolenta” (Pasquale Pugliese, “Servizio civile come formazione alla difesa civile, non armata e nonviolenta. Per tutti”, in: Vita, 16.10.2016 > http://www.vita.it/it/blog/disarmato/2016/10/16/il-servizio-civile-come-formazione-alla-difesa-civile-non-armata-e-nonviolenta-per-tutti/3751/

© 2021 Ermete Ferraro


STRATEGIE SANITARIE…

A forza di parlare di “guerra al Covid” – ossessivamente definito “nemico invisibile” dai cui insidiosi attacchi bisogna ad ogni costo ‘difendersi’ – a guidare l’epica crociata contro il Coronavirus il Presidente del Consiglio, una volta liquidato Domenico Arcuri, ha chiamato uno che di guerre se ne intende ed ha una notevole esperienza sul campo. Se non altro quello di battaglia…

«Il premier Mario Draghi ha nominato il generale di Corpo d’armata Francesco Paolo Figliuolo nuovo Commissario straordinario per l’emergenza Covid-19. […] Il nuovo commissario è un uomo con una grande esperienza sul campo: è stato comandante delle Forze armate in Kosovo, comandante del contingente nazionale in Afghanistan […] Il generale Francesco Paolo Figliuolo, originario di Potenza, ha maturato esperienze e ricoperto molteplici incarichi nella Forza Armata dell’Esercito, interforze e internazionale. Ha ricoperto l’incarico di Capo Ufficio Generale del Capo di Stato Maggiore della Difesa, dal 7 novembre 2018 è Comandante Logistico dell’Esercito. In ambito internazionale ha maturato esperienza come Comandante del Contingente nazionale in Afghanistan, nell’ambito dell’operazione Isaf e come Comandante delle Forze Nato in Kosovo (settembre 2014 – agosto 2015)» [i]

Del resto, Draghi aveva già dichiarato di voler di “mobilitare tutte le energie su cui possiamo contare ricorrendo alla protezione civile, alle forze armate, ai tanti volontari[ii], utilizzando quel verbo ‘mobilitare’ che, non a caso, è riferito ad azioni belliche o comunque a minacce alla sicurezza nazionale. E allora chi poteva ricoprire questo incarico meglio di un alto ufficiale degli Alpini, già Comandante della Brigata Taurinense, formatore alla Scuola di Applicazione di Torino nonché esperto di pianificazione operativa e dell’addestramento in ambito NATO presso il Joint Command South di Verona?  Chi ha comandato il contingente italiano in Afghanistan (2004-2005) ed è stato al vertice anche delle forze NATO in Kosovo (2014-2015), sembra aver ragionato il nostro premier, ha i titoli per guidare la controffensiva contro il “nemico invisibile” che tante vittime ha già fatto…  

«Ci è stato detto che eravamo in guerra e i medici e gli infermieri erano in prima linea o in trincea. Sono state usate espressioni tipiche delle chiamate alle armi e appelli alla mobilitazione, anzi all’immobilità, di massa. Ogni sera ci siamo ritrovati davanti alla tv per il quotidiano bollettino della Protezione Civile. In varie occasioni si è affermato che un pericolo di tale portata richiedeva l’adozione di misure restrittive e di sorveglianza tipiche di situazioni di emergenza, come la guerra o il terrorismo.»[iii]

Già. Perché alla ‘mobilitazione’ delle forze armate in ogni loro versione possibile (poliziotti, necrofori, infermieri, medici, costruttori di strutture emergenziali, ricercatori, etc.), è corrisposta la pressante richiesta rivolta alla popolazione civile di restare sempre più immobili, possibilmente a casa propria, evitando qualsiasi attività e/o manifestazione sociale e collettiva. Ed infatti, ad eccezione della produzione di armamenti, si è fermata praticamente qualunque attività produttiva e commerciale, amplificando però a dismisura i bisogni indotti da tale emergenza, come quello di connessioni a distanza e di vendite online, con la conseguente proliferazione della distribuzione e consegna a domicilio.

«Quella contro la Covid-19 è una guerra, il virus è un serial killer, un nemico invisibile e l’emergenza un’esplosione silenziosa. Infermieri e medici sono i nostri eroi, ma anche ancore o pirati e quello che stanno affrontando è un mare in tempesta. Le metafore che hanno animato la comunicazione della pandemia durante la fase 1 hanno certamente avuto effetti sull’immaginario collettivo […] Il giornalista di “Internazionale” Daniele Cassandro segnala che “l’emergenza Covid-19 è quasi ovunque trattata con un linguaggio bellico: si parla di trincea negli ospedali, di fronte del virus, di economia di guerra”. La metafora bellica è stata quella maggiormente utilizzata per raccontare la fase 1 della pandemia, anche se non sono mancate riflessioni, critiche e perplessità».[iv]

Ma questo cupo ed allarmante scenario di guerra sembra andare a genio a quasi tutte le forze politiche italiane, a giudicare dalle prime reazioni alla nomina del generale Figliuolo a Commissario anti-Covid.  Il capo leghista Salvini, infatti, ha salutato la scelta con un marziale: “Grazie, presidente Draghi. Missione compiuta[v] ed anche Giorgia Meloni, leader di Fratelli d’Italia, si è associata con un grato augurio al nuovo Commissario: “Buon lavoro al generale Francesco Paolo Figliuolo per questo importante e delicato incarico[vi]. Il comprensibile giubilo della destra, peraltro, è stato ampiamente condiviso anche in altri settori del Parlamento. Oltre alle congratulazioni espresse dal forzista Tajani, infatti, manifestazioni di apprezzamento sono venute dalla senatrice PD (ed ex ministra della difesa) Pinotti, che ha dichiarato: “Buon lavoro al nuovo Commissario straordinario per l’emergenza Covid19, Generale Figliuolo, che abbiamo ascoltato in Commissione Difesa e di cui abbiamo apprezzato efficienza e capacità”. [vii]  Sullo stesso tono il commento del ministro della difesa Guerrini (anch’egli PD), il quale ha sottolineato che la nomina del Gen. Francesco Paolo Figliuolo è: «frutto di un lavoro costante portato avanti con grande e impeccabile professionalità da inizio emergenza […] Le Forze Armate sono a disposizione del Paese fin dall’inizio dell’emergenza e continueranno ad esserlo». [viii]

Del resto, di che cosa dovremmo meravigliarci? L’Italia è lo strano Paese dove, dalla destra alla sedicente sinistra, s’invoca l’unità nazionale, s’inneggia all’europeismo ed all’atlantismo e, soprattutto, dove da un lato è stato nominato ministro della Transizione Ecologica un esperto manager dell’industria bellica ‘Leonardo Aerospace’ e, dall’altro, un battagliero esponente PD come Minniti è stato chiamato a guidare una fondazione che si occuperà di sviluppare programmi internazionali nei settori dell’aerospazio, della difesa e della sicurezza, per conto della stessa onnipotente azienda. L’Italia è lo Stato in cui – in nome della pandemia che insidierebbe anche la nostra sicurezza – un’ampia fetta delle risorse del Next Generation E.U (ben 236 milioni di quei fondi straordinari) sarà destinata al complesso militare industriale, naturalmente in nome della modernizzazione, della digitalizzazione e della transizione ecologica… Beh, sicuramente una transizione è già in corso. Quella dal civile al militare: un processo che da anni tocca, in modo strisciante ma evidente, tutti i settori della nostra vita quotidiana, dalla scuola alla sanità, dalla tutela della sicurezza e dell’ordine pubblico alla stessa protezione civile.

Tra i pochi a scandalizzarsi per questa ulteriore svolta ‘mimetica’ c’è Mao Valpiana, presidente del Movimento Nonviolento, che ha dichiarato:

«… non ce l’ho con i militari. Ce l’ho con il militarismo. Ed è questo che mi preoccupa nella scelta del generale Figliuolo come commissario straordinario all’emergenza Covid. Egli viene scelto come comandante nel campo della logistica militare e per aver riorganizzato la “sanità con le stellette” con task force mobili e ospedali da campo. In buona sostanza il governo militarizza il piano vaccinale, riconoscendo alle forze armate maggior efficacia rispetto alla protezione civile, cui istituzionalmente dovrebbero essere affidati compiti primari di tutela della comunità nazionale…» [ix]  

Ed effettivamente ci vuole un bel po’ di distrazione (anche di stanziamenti in bilancio…) per non accorgersi che al progressivo smantellamento della Protezione Civile (cui sono destinati solo 6 miliardi) è corrisposta la crescita di ruoli ed investimenti nella difesa militare, ai cui 26 miliardi previsti si aggiungono i fondi straordinari del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza.  La scelta come Commissario anti-Covid d’un vertice delle forze armate italiane, per di più strettamente connesso con la catena di comando della NATO, è quindi un’ulteriore dimostrazione di quanto essa risponda a logiche politiche e per nulla ‘tecniche’. Il presidente Draghi, d’altronde, solo pochi giorni fa, al Vertice europeo aveva dimostrato oltre ogni ragionevole dubbio la nostra convinta e tenace fede atlantica, tanto da guadagnarsi – da parte di Valerio Valentini del ‘Foglio’- il grazioso soprannome di “Mario, l’americano”. [x]

Eppure, invece di scandalizzarsi, sempre più commentatori politici ritengono che ciò sia non solo normale, ma addirittura auspicabile. Per lorsignori, infatti, sarebbe un segnale che finalmente si torna a sentire la presenza autorevole e rassicurante dello ‘Stato’. Quale sia la natura di questo stato, però, evitano prudentemente di specificarlo. Brecht ebbe ad affermare: “Beati i popoli che non hanno bisogno di eroi“.  A noi basterebbe non aver bisogno di professionisti della guerra per far funzionare strutture e servizi civili, soprattutto se l’ingombrante presenza delle forze armate nella società va di pari passo col progressivo smarrimento dell’ordinaria dinamica democratica, in un quadro internazionale allarmante dal punto di vista strategico.

Svegliarsi dal sonno che ottenebra la ragione, prima che sia troppo tardi, sarebbe dunque non solo augurabile ma indispensabile. Non lasciarsi imbonire da stupide serie televisive tipo ‘La Caserma’ o dalla retorica degli spot trionfalistici sui ‘servitori della patria’ che garantiscono la nostra sicurezza, la salute ed il futuro del Paese sarebbe allora davvero necessario. In un paese democratico, il fatto che un alto ufficiale sia chiamato a dirigere piani sanitari e di protezione civile non dovrebbe essere considerato così normale ed insignificante. A meno che non si sia già deciso di affidarsi ‘toto corde’ a chi sarà pure esperto di azioni belliche, ma ha da fronteggiare un ‘nemico’ ben più complesso ed imprevedibile, che non ha paura dei blindati né rispetto per stellette e decorazioni.


[i] Nicoletta Cottone, “Il generale Figliuolo è il nuovo commissario straordinario per l’emergenza Covid. Via Arcuri”, Il Sole24ore, 1 marzo 2021 > https://www.ilsole24ore.com/art/il-generale-figliuolo-e-nuovo-commissario-strordinario-l-emergenza-covid-via-arcuri-ADHq01MB

[ii] Ibidem

[iii] Francesca Modena, “Perché è meglio non parlare di “guerra” al coronavirus, spiegato da Susan Sontag”, Wired.it, 1  dicembre 2020 > https://www.wired.it/attualita/media/2020/12/01/retorica-guerra-coronavirus-susan-sontag/?refresh_ce=

[iv]  C. Gatteschi, F. Ierardi  (a cura di), “Le metafore della pandemia come veicolo di comunicazione: rischi e potenzialità sulle aspettative e sul comportamento individuale e collettivo”, Agenzia Regionale Sanità (ARS) Toscana, 11 maggio 2020 > https://www.ars.toscana.it/2-articoli/4328-metafore-fasi-pandemia-coronavirus-comunicazione-rischi-potenzialit%C3%A0-comportamento-individuale-collettivo.html

[v] Cfr. “Draghi sostituisce Arcuri, il generale Figliuolo è il nuovo Commissario all’emergenza Covid”, la Repubblica, 1 marzo 2021 > https://www.repubblica.it/cronaca/2021/03/01/news/figliuolo_nuovo_commissario_emergenza_covid-289765397/

[vi] Ibidem

[vii]  Ibidem

[viii] “Draghi sostituisce Arcuri: il generale Paolo Figliuolo nuovo commissario emergenza Covid”, TG COM 24, 1 Marzo 2021 > https://www.tgcom24.mediaset.it/cronaca/covid-via-arcuri-draghi-nomina-generale-figliuolo-nuovo-commissario_29298415-202102k.shtml

[ix]  Mao Valpiana, “Le truppe del generale”, Azione Nonviolenta, 2 marzo 2021 > https://www.azionenonviolenta.it/le-truppe-del-generale/

[x] Valerio Valentini, “Draghi cuce tra Macron e la Nato. Il ruolo nuovo dell’Italia, in asse con Whashington”, il Foglio, 27 febbraio 2021, p. 1-3 > https://www.ilfoglio.it/politica/2021/02/27/news/draghi-ricuce-tra-macron-e-la-nato-il-nuovo-ruolo-dell-italia-in-asse-con-washington-1945251/

 © 2021 Ermete Ferraro

GOVERNISSIMO ME…

E così Draghi ce l’ha fatta. Tomo tomo, il Governatore per eccellenza è riuscito a mettere insieme tutto ed il contrario di tutto. Con la paterna benedizione del Presidente della Repubblica – e grazie alla genialata dell’ineffabile leader di Italia Viva e Vegeta – Draghi sta dando vita, appunto, al suo personale governissimo, con quasi tutti dentro. C’è chi lo ha chiamato di ‘salvezza nazionale’, anche se non è chiaro da chi o cosa dovrebbero salvare la nostra amata nazione tutti i partiti presenti in parlamento, che ora si affollano in maggioranza, eccezion fatta, paradossalmente, per i nazionalisti di Fratelli d’Italia. Erano mesi che ci sentivamo raccomandare che per sconfiggere il maledetto virus bisogna in primo luogo evitare gli assembramenti. Eppure a non mantenere auspicabili distanze di sicurezza e ad assembrarsi indecorosamente come ‘minions’ plaudenti, sono stati proprio quei politici che dovevano darci l’esempio…

La seconda regola anti-Covid era quella d’indossare la mascherina. In questo caso, però, non possiamo rimproverare nulla alla nostra classe politica. Bisogna ammettere che tutti quelli che hanno partecipato alle consultazioni hanno accuratamente celato il loro vero volto dietro la maschera sterile della ‘responsabilità’, facendo a gara ad esaltare la statura da statista del premier del governissimo ‘di salute pubblica’. Tutti allineati e coperti, da Salvini ai residui di quella che una volta si chiamava sinistra, rigorosamente in abito scuro e mascherina patriottica, con sovrano sprezzo del pericolo di smentirsi clamorosamente, confidando forse nella smemoratezza di quel ‘popolo’ di cui pur si riempiono la bocca.

Le norme anti-pandemia prescrivono di lavarsi le mani frequentemente. Ma, anche in questo caso, non possiamo imputare nulla ai nostri rappresentanti in parlamento, dal momento che quasi tutti se ne sono ampiamente lavate le mani. Tanto, a risolvere i nostri problemi, vecchi e nuovi, penserà comunque il prodigioso ‘Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza’. Anche se qualsiasi coperta, si sa, non può essere tirata da tutte le parti, senza finire per scoprire qualcuno. E poi non dimentichiamo che c’è pure il MES, sulla cui prossima e indispensabile venuta ogni giorno profetizzano i MESsia di turno, gridando nel deserto di qualsiasi opposizione, o quanto meno dubbio, sulla sua effettiva provvidenzialità.

E intanto Draghi, sornione eppure accattivantissimo verso gli interlocutori, si prepara a varare il suo esecutivo, lasciando intendere che decide solo lui nomi e ruoli al suo interno, mescolando tecnocrati e teste d’uovo con esponenti politici. Ovviamente qualche contentino, il professor Governissimo me, doveva pur concederlo alla folla di partiti acclamanti alle sue porte, che agitava ramoscelli d’ulivo o, nel caso di Renzi, di palma made in Arabia. Uno dei più clamorosi premi di consolazione graziosamente concessi dal premier è stata l’istituzione del ‘Ministero della Transizione Ecologica’, che ha magicamente sbloccato le resistenze del grillo straparlante e dei suoi seguaci, che hanno gridato al miracolo. Beh, se si tiene conto che a concedere questo preteso ‘presidio ambientalista’ è stato uno dei più potenti esponenti di quella economia capitalista che ha massacrato e sta ancora massacrando l’ambiente, se non di un miracolo si tratta quanto meno di qualcosa di sorprendente…

Peccato che quella stessa operazione, nella Francia macroniana abbia fatto clamorosamente fiasco, mostrandosi per quello che era: una foglia (verde, ok) posta pudicamente sopra le vergogne di uno sviluppo predatorio e di una crescita irresponsabilmente illimitata. Più che altro una penosa ‘transazione ecologica’, che può accontentare gli ambientalisti da salotto e gli im-prenditori del greenwashing, ma che non ha proprio nulla della ‘transizione’ verso un modello di sviluppo alternativo. Cosa ancora più evidente se si considera che non esiste conversione ecologica che non comprenda anche una riconversione delle spese militari in investimenti civili per risanare l’ambiente, anche per difenderlo dai suoi veri nemici: lo sfruttamento delle risorse e delle persone e la devastazione provocata dalle guerre e dalla loro folle preparazione.

Ma Supermario sa bene che cosa può concedere e cosa no. Tracciando il perimetro della sua ingombrante maggioranza e qualificandola come ‘europeista’ ed ‘atlantista’ non ha certamente parlato a caso. L’Europa carolingia che non si smentisce mai (si tratti di migranti o di esportazione di armi), sta infatti perseguendo da molti anni la visione di una ‘difesa comune’, che però non sarebbe affatto sostitutiva dei lacci onerosi che ci vincolano alla NATO, ma addirittura aggiuntiva ed integrativa dell’indiscutibile patto atlantico. In piena pandemia, ad esempio, la Germania della nostra cara Angela nel 2021 spenderà nel settore della difesa ben 53 miliardi, ossia il 3% in più dell’anno precedente. Come se il Covid si contrastasse con missili e carrarmati.

A dire il vero, anche in Italia una bella fetta del PNRR (un piano che, più che la ripresa dopo una crisi insita nell’anglicismo ‘Recovery’, sembra evocare i ‘ricoveri’ di bellica memoria…) sarà destinata – ma evitando discretamente di nominarla – proprio ad investimenti nel settore della difesa. Si tratta di 236 milioni che si aggiungono al già previsto stanziamento per il periodo 2021-2017 di oltre un miliardo e mezzo. E questo in un Paese che già spende per le forze armate più di 26 miliardi del proprio bilancio ed impegna 5.560 nostri ‘missionari armati’ in ben 34 operazioni internazionali. Peccato che di questo i media nostrani preferiscono non parlare, impegnati come sono ad elogiare Mario Draghi e il suo ‘governissimo me’.

(C) 2021, Ermete Ferraro

Tintinnar di sciabole e medaglie…

photo by Master Sergeant Florian Fergen, German Air Force)

Città Metropolitana di Natoli?

Pochi lo hanno saputo, ma la Città Metropolitana di Napoli ha avuto un grande onore. Nientedimeno il Comandante Supremo della NATO in Europa è stato infatti ospite, giovedì 11 giugno, del Comando Alleato del Sud Europa, che ha la sua avveniristica sede a Giugliano, nei pressi del Lago Patria, caro già al celeberrimo stratega romano Scipione l’Africano. [i]

Qualcuno potrebbe chiedersi come mai di un simile evento non si trovi traccia sui quotidiani né nei media radiotelevisivi, ma non dobbiamo dimenticare la lodevole discrezione dei vertici militari dell’Alleanza, dettata – oltre che da ovvi motivi di sicurezza – dalla ben nota modestia di quegli alti ufficiali statunitensi e dal fatto che, quando essi visitano una base NATO, più che in visita ufficiale all’estero, si sentono praticamente…a casa propria.

L’unico organo d’informazione che riporta la notizia è il sito del Joint Forces Command Naples, con una laconica news intitolata: “SACEUR visita il JFC Naples”. [ii] Per i non addetti ai lavori, SACEUR è l’acronimo di Supreme Allied Commander Europe (Comandante Supremo Alleato per l’Europa) e designa il vertice dello SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers Europe), il Quartier-generale Supremo delle Forze Alleate in Europa, con sede in Belgio. [iii]

A questo punto sorge spontanea una domanda: come tale pezzo grosso della NATO ha voluto gratificarci della sua presenza? Dal comunicato pubblicato dal citato sito Natoletano in effetti riceviamo una risposta parziale. Infatti, oltre ad informarci che:

Il Gen. Todd. D. Wolters…ha visitato la JFCNP” e che “durante la sua visita, Wolters ha ricevuto un aggiornamento sull’importante lavoro della Hub del Sud della Direzione Strategica della NATO…un forum che collega alleati, partners ed esperti in materia, per comprendere e superare le sfide alla sicurezza nel continente africano ed in Medio Oriente

l’’articolo non fornisce molti altri chiarimenti. [iv] Naturale discrezione e prudente riservatezza, direte. Fatto sta che la presenza a Napoli del pluridecorato generalissimo Wolters [v] non trova una esplicita spiegazione oltre la precisazione che la visita – la prima del Comandante Supremo della NATO in Europa al Comando Alleato delle Operazioni (ACO) – avrebbe dovuto svolgersi a metà marzo, ma è stata rinviata a causa della pandemia di Coronavirus. Si cita l’incontro col Comandante del JFC, l’Amm. James G. Foggo III (i due alti ufficiali figurano nelle due immagini fotografiche a corredo della nota), ma probabilmente al vertice militare era presente anche un importante esponente della difesa italiana.

A.C.O.  & C.O.I. nel dopo COVID.

Il Gen. C.A. Luciano Portolano [vi] (già Capo di Stato Maggiore del JFC di Giugliano-Lago Patria, comandante della Brigata Sassari dell’E.I. e della missione ONU in Libano UNIFIL), da settembre 2019 è il Comandante del C.O.I. (Comando operativo di vertice interforze), organismo alle dirette dipendenze del Capo di stato maggiore della difesa, “che esercita la pianificazione, il coordinamento e la direzione delle operazioni militari delle forze armate italiane, e sulle esercitazioni interforze e multinazionali e tutte le attività ad esse collegate”. [vii]  Voci di corridoio ipotizzavano la sua presenza, per ricevere l’ennesima alta onorificenza dalle mani del SACEUR, ma purtroppo il comunicato stampa non ne fa menzione… 

Non ci vuole però molta fantasia per immaginare di cosa abbiano discusso il Comandante Europeo della NATO e quello del fronte sud-europeo ed africano dell’Alleanza. E non è difficile ipotizzare quale sarebbe stato il contributo alla discussione del Comandante del vertice interforze italiano, se fosse stato inserito in tale ‘Gotha’ strategico. I già precari equilibri geopolitici dell’area mediterraneo-africana e del vicino Oriente, infatti, non sono stati certamente migliorati dagli sconvolgimenti socio-economici dovuti alla grave pandemia.

Oltre alla NATO a trazione USA – sempre più impaziente ed esigente nei confronti dei propri ‘associati’ – si deve tener conto dell’effervescenza militarista della Francia, dei passi verso una difesa comune europea ‘parallela’ all’Alleanza atlantica, ma anche dell’interventismo turco, delle forzature imposte da Israele e della permanente polemica statunitense con la Cina. Tutti scenari di crisi che – al di là della visita di cortesia – devono aver indotto il generale Wolters a verificare di persona quanto la NATO sia effettivamente ‘pronta’ a rispondere ad un’escalation della tensione, soprattutto sul versante meridionale e mediorientale.

Infatti il COVID – che assomiglia sinistramente alla sigla di un comando interforze – anziché indebolirla, ha addirittura rafforzato l’epidemia militarista e guerrafondaia che serpeggia in Europa, contagiando anche la nostra beneamata Italia. Abbiamo infatti appreso che tra i primi provvedimenti del governo italiano per la ‘ripresa’ c’è proprio… l’aumento delle spese militari.

L’Italia rinforza le sue missioni nella lotta al terrorismo islamico. Aumenta in maniera significativa lo schieramento nel cuore dell’Africa, mettendolo tutto nelle mani dei francesi. Potenzia il contingente anti-Isis in Iraq, mandando anche una batteria di missili per contrastare “l’assertività iraniana”. Un cambiamento rilevante per la nostra politica estera, che ci vede diventare protagonisti nei due fronti più caldi del pianeta, mimetizzato tra le righe e i tecnicismi in lingua inglese delle 649 pagine del Decreto Missioni appena approvato dal governo […] La lunga introduzione al Decreto presenta un caposaldo: “Il destino dell’Europa è il destino del Mediterraneo”. [viii]

Ripresa (delle ostilità) e ripartenza (delle missioni militari)

Il Ministro della difesa Guerini visita il C.O.I. (a dx. il gen. Portolano) Fonte: MinDif.

Il resoconto di Gianluca di Feo su la Repubblica è illuminante ed evita i soli equilibrismi verbali di quando si trattano questioni militari. Dalla stessa fonte, poi, apprendiamo che, se il primo fronte è quello arabo anti-terrorismo, il secondo obiettivo dell’attivismo NATO è quello nord-africano, grazie allo ‘stimolo’ francese e turco, che punta ad intervenire anche nella guerra fra le fazioni libiche in cerca di supremazia.

“Per questo ci muoviamo potenziando due poli di alleanza. Quello con la Francia, con il coinvolgimento in Sahel. E quello con gli Stati Uniti, facendoci carico di un maggior impegno in Iraq anche in funzione anti-iraniana. Il disegno, non esplicitato, è quello di ottenere in cambio il sostegno di questi due Paesi nell’affrontare il cuore del nostro interesse nazionale: la Libia…”. [ix]

Del resto, a mobilitarsi in questi giorni era stato già il Segretario Generale dell’Alleanza Atlantica, Jens Stoltemberg, che l’8 giugno aveva lanciato un bellicoso appello nel vertice del Consiglio Atlantico, una sorta di piano decennale delle future guerre.

La NATO deve continuare ad essere forte militarmente, essere più unita politicamente ed assumere un più ampio approccio globale. Per questo si deve continuare a investire nelle forze armate e in moderni sistemi militari. Rafforzare politicamente la NATO significa utilizzare l’Alleanza quale forum di discussione e, quando necessario, agire e affrontare le questioni che minano la sicurezza, operando più strettamente con i partner per difendere i nostri valori in un mondo dove cresce la competizione globale”. [x]

Come osserva Antonio Mazzeo, si sta profilando una NATO pluri-interventista e sovra-ordinata rispetto alla difesa europea, che ricomincia ad utilizzare la micidiale parola ‘deterrenza’ e inquadra i fenomeni migratori in atto come una minaccia alla ‘stabilità’ dei confini. Ecco perché anche il vecchio ‘leone’ di san Marco, che campeggia sul vessillo del comando sud-europeo di Napoli, ricomincia a ruggire minacciosamente. Ma se i ‘domatori’ che dovrebbero controllarne l’aggressività sono il generale Wolters e l’ammiraglio Foggo…beh, ci sono buoni motivi per preoccuparsi.

Note


[i] Sul Comando NATO di Lago Patria, cfr. altri precedenti articoli sul mio blog, fra cui: https://ermetespeacebook.blog/2012/04/30/lago-patria-un-preoccupante-neo-nato/ del 2012; https://ermetespeacebook.blog/2015/07/28/nato-per-combattere/ del 2015 e, specificamente su Scipione l’Africano: https://ermetespeacebook.blog/2011/12/26/ingrata-patria/ , del 2011.

[ii] Vedi: https://jfcnaples.nato.int/newsroom/news/2020/saceur-visits-jfc-naples

[iii] Vedi: https://shape.nato.int/saceur

[iv] Vedi art. cit. sul sito JFC Naples (trad. mia)

[v] Visita: https://shape.nato.int/saceur/biographies

[vi] Visita: https://www.difesa.it/SMD_/COI/Pagine/IlComandante.aspx

[vii] Cfr.: https://it.wikipedia.org/wiki/Comando_operativo_di_vertice_interforze  e https://www.difesa.it/SMD_/COI/Pagine/default.aspx

[viii] https://www.repubblica.it/esteri/2020/06/08/news/lotta_al_terrorismo_italia_missioni_all_estero-258667012/?ref=search&fbclid=IwAR1pauJkNCrFcoZ3B0tRHRuU9sJ-WjZApe_gYQaWh2pbqKkIZUix_9GN63U

[ix] Ibidem

[x] https://antoniomazzeoblog.blogspot.com/2020/06/daqui-al-2030-faremo-la-nato-ancora-piu.html?fbclid=IwAR1GjEImwL_-pJ2Wu1Mc6GRUgib53fDfNrt27NcGi91AGnkYhXzNI1yyV8M

© 2020 Ermete Ferraro

Presidiare l'emergenza?

Che cosa emerge dall’emergenza?

L’emergenza sanitaria economica e sociale innescata dalla tremenda epidemia di coronavirus sta provocando ‘effetti collaterali’ di cui sarebbe grave non tener conto. Tra le conseguenze della progressiva paralisi dell’ordinarietà nel nostro Paese ci sono quelle di cui i media ci parlano incessantemente, che vanno dalle situazioni derivanti dalla forzata inerzia di interi nuclei familiari bloccati in casa, alle difficoltà quotidiane riguardanti le fasce deboli (anziani, bambini, disabili), ma anche ai crescenti problemi economici per famiglie monoreddito o dipendenti da lavori precari.  Si parla molto della pesante crisi economica che l’arresto delle attività produttive sta innescando ma, sia pur timidamente, si sta facendo strada anche qualche riflessione sugli effetti distorcenti che un perdurante clima emergenziale potrebbe avere sulla stessa democrazia.

La stragrande maggioranza dei commentatori, ma anche dei partecipanti alle interminabili chat dilaganti sul web e sul social, sono però concentrati sulle questioni igienico-sanitarie. Si discute particolarmente sui modi per fronteggiare i rischi di contagio, oppure di quelli di alienazione per il troppo repentino cambiamento delle abitudini quotidiane, caratterizzato dalla relazionalità capovolta di una vita improvvisamente concentrata sul dimenticato binomio casa-famiglia. C’è poi chi si preoccupa che il regime emergenziale sta limitando drasticamente i consumi – contraddicendo le abituali esortazioni a rincorrere la ‘crescita’ – e chi invece, più prosaicamente, vede a rischio consumi voluttuari che creano per di più dipendenza, come alcolici, sigarette, stupefacenti e giochi d’azzardo.

C’è un aspetto, però, al quale organi d’informazione e ‘forzati della tastiera’ non sembrano dare peso o, viceversa, sul quale si esprimono in modo insistente. Mi riferisco all’utilizzo delle forze armate in situazioni di emergenza, con funzioni estranee alla loro mission originaria, come quelle di protezione civile e di pubblica sicurezza. Tale subdola ma persistente tendenza a militarizzare la società va dall’ingombrante intervento di esponenti delle forze armate nelle istituzioni scolastiche al loro quasi abituale intervento per sciagure e catastrofi naturali o con funzione di monitoraggio ambientale del territorio. Ben pochi italiani ne sono davvero consapevoli e comunque pochi ne sembrano preoccupati, preferendo considerare i soldati, piazzati con mimetiche e mitra lungo le strade o davanti a monumenti e chiese, una rassicurante presenza protettiva.

Del resto, presidenti di regione e sindaci – con sconcertante spirito bipartisan – da tempo stanno invocando l’utilizzo delle forze armate per far rispettare ordinanze e decreti emanati e per reprimere le violazioni di tali provvedimenti restrittivi. Dal Lombardo-Veneto alla Sicilia, passando per Campania e Puglia, si sono alzate le voci di chi auspicava più soldati per le nostre strade ed il Governo – per nulla “insensibile a questo grido di dolore” – ha effettivamente deciso in tal senso, anche se in modo un po’ pasticciato.

«Cosa dovranno fare i soldati per le strade di Roma è tuttora un rebus. Come anche quali reparti saranno impiegati e se dovranno arrivare rinforzi da altre province per assicurare il controllo del territorio nella Capitale […] rimane tuttora da capire se sarà effettivamente richiesta […] la presenza degli uomini e delle donne dell’Esercito al fianco delle forze dell’ordine anche nelle verifiche quotidiane sugli spostamenti giustificati o meno dei cittadini per l’emergenza coronavirus. […] Prima di tutto perché i soldati non potrebbero denunciare chi esce di casa senza comprovato motivo, ma dovrebbero limitarsi a identificarlo, per poi richiedere l’intervento di una pattuglia di polizia, carabinieri, vigili urbani o Guardia di Finanza per poter completare la procedura.». [i]

Regole d’ingaggio e/o regole democratiche

L’insistenza con la quale amministratori, esponenti politici e semplici cittadini hanno sollecitato l’intervento dei militari per la repressione di chi infrange i divieti imposti dallo stato di emergenza è parzialmente giustificabile con la crescente preoccupazione per le gravi conseguenze di tali inadempienze per la salute pubblica.  Un effetto collaterale del clima ansiogeno scatenato dalla reclusione forzata e dall’angoscia per le troppe vittime del virus, infatti, è stato l’aumento della diffidenza reciproca, con l’affiorare di latenti istinti aggressivi e repressivi. Dalle truculente esternazioni di ‘governatori’ alle pesanti invettive sui social non emerge solo la richiesta di far rispettare le regole, ma spesso anche un’esplosione di violenza, per ora solo verbale, verso chi non si rassegna a sottomettersi alle disposizioni restrittive. Talvolta assistiamo effettivamente a pericolose trasgressioni, comportamenti irresponsabili ed atteggiamenti di sfida delle norme di sicurezza. Però non dovrebbe sfuggire a nessuna persona con normale spirito di osservazione che tali episodi si verificano di solito in aree cittadine popolari, degradate e da sempre abbandonate a se stesse. Non dovrebbe sfuggirci neppure che sta paurosamente crescendo, e non certo da oggi, il numero dei disoccupati, degli occupati in forma precaria, dei senza fissa dimora, dei nuclei familiari costretti a convivere in condizioni del tutto inadeguate e degli immigrati che utilizzano depositi e scantinati come abitazioni Tutti soggetti cui ripetere “restate a casa” sicuramente non basta. Sappiamo poi che spesso i quartieri popolari delle nostre metropoli sono lasciati in preda all’anarchia; che certi rioni sono notoriamente off limits per le forze dell’ordine e che la situazione di alcune periferie urbane era già esplosiva.  Ma è più facile auspicare sprangate, fustigazioni, fucilazioni e stragi con lanciafiamme o col napalm, come mi è capitato di leggere tra i commenti postati su un’insospettabile pagina facebook…

L’impiego dei soldati per garantirci ‘law and order’, oltre a non suscitare reazioni allergiche sul piano democratico, è spesso considerato la vera soluzione per far rispettare la legge. Ma le cose – pur prescindendo da considerazioni di opportunità e di legittimità – stanno diversamente. Come sottolineava l’articolo citato, l’utilizzo delle forze armate con compiti di polizia non è affatto scontato e comunque dipende dalle ‘regole d’ingaggio’ stabilite per tali ‘missioni’. Quella più nota è iniziata quasi dodici anni fa ed è tuttora operativa. Secondo fonti ufficiali:

«Attualmente, risultano impiegati per l’Operazione “Strade Sicure” 7.050 donne e uomini dell’Esercito Italiano, che garantiscono una presenza capillare sul territorio nazionale contribuendo fattivamente alla realizzazione di un ambiente più sicuro. Tra gli obiettivi vigilati nell’ambito dell’Operazione rientrano siti istituzionali, luoghi artistici, siti diplomatici, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e della metropolitana, luoghi di culto e siti di interesse religioso, valichi di frontiera…». [ii] 

Un problema evidenziato nell’articolo è che le regole d’ingaggio per i militari impegnati in questo tipo di operazioni non li equiparano affatto ad agenti di polizia e carabinieri, che infatti spesso li affiancano. Come d’altronde precisava un documento dello stesso Ministero della Difesa:

«Al personale della Forze Armate, non appartenente all’Arma dei Carabinieri, è attribuita la qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza, con esclusione delle funzioni di Polizia giudiziaria». [iii] 

Ciò significa che esso può fermare, identificare e nel caso denunciare, ma non arrestare chi commette un reato. Inoltre, la nostra stessa esperienza c’insegna che i contingenti militari impiegati si limitano spesso ad un presidio armato fisso accanto ai loro mezzi blindati, ma di solito non effettuano un pattugliamento attivo. La loro presenza, insomma, appare un inutile spauracchio, ma non certo un’efficace soluzione per fronteggiare le trasgressioni che tanto ci allarmano.

Se 23.000 ‘sorveglianti’ vi sembran pochi…

Uno dei più esagitati propugnatori della presenza dell’esercito con funzioni di controllo in occasione dell’attuale emergenza sanitaria, è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Egli, infatti, non si è limitato a chiedere un rinforzo dei normali controlli di polizia, ma ha auspicato esplicitamente soluzioni drastiche e straordinarie:

«È arrivato il momento per chiudere tutto e militarizzare l’Italia […] Abbiamo chiesto l’invio di forze armate. Abbiamo avuto un primo risultato, 100 unità. Ancora poche. […] È indispensabile il controllo militare, con poteri eccezionali alle forze dell’ordine…» [iv]

Altri ‘governatori’ e sindaci – da regioni settentrionali alla Sicilia – hanno avanzato richieste simili, evitando almeno d’invocare lo stato di guerra, benché questa parola sia riecheggiata più volte – sia pur come metafora – per caratterizzare l’attuale emergenza sanitaria. Come scrive A. Leiss:

Ci siamo precipitati a definire la pandemia del coronavirus come una guerra, con i vocaboli derivati – la linea del fronte, gli eroi che rischiano la vita, l’esigenza di una disciplina di ferro, di un comando unico e di sanzioni severe per chi sgarra, mobilitando l’esercito. Ma abbiamo evocato un fantasma più che descritto la realtà. Un fantasma balordo. Non una cosa completamente infondata, ma rischiosa, pericolosamente imprecisa “. [v]

Ma, ritornando alla Campania, come stanno veramente le cose? Ho cercato di fare il punto della situazione a regionale, solo sommando i dati numerici disponibili in rete e questi sono i risultati.

In Campania risultavano operativi (dati 2018): ca. 4.600 unità del personale della Guardia di Finanza; ca. 9.500 appartenente all’Arma dei Carabinieri; ca. 8.500 uomini della Polizia di Stato, per un totale di ca. 22.600 operatori di polizia giudiziaria (di cui 14.100 appartenenti ai due corpi militari (GdF e CC). Inoltre, da più di 11 anni sono stati distaccati solo in Campania, per l’operazione ‘Strade Sicure’, 900 unità operative appartenenti all’Esercito Italiano, con compiti di sorveglianza. Ad essi, da pochi giorni, si sono aggiunti altri 100 militari, in risposta alle pressanti istanze di De Luca, con un totale di ben 1.000 appartenenti alle forze armate con funzioni di ‘agenti di pubblica sicurezza’.  Non dimentichiamo poi che, nel solo Comune di Napoli, nel 2019 risultavano in servizio circa 2.000 operatori della Polizia Municipale (1.560 agenti + 450 fra dirigenti, funzionari, istruttori direttivi ecc.) e che anche la Città Metropolitana di Napoli gestisce un proprio Corpo di Polizia, l’entità del cui personale non risulta però verificabile. Ebbene, calcolando grosso modo che le unità di questi contingenti destinati alla città capoluogo oscillino tra un quinto ed un sesto del totale (visto che Napoli ha ca. 1.000.000 di abitanti sui quasi 6 complessivi, ma con molti più obiettivi sensibili e problematiche rispetto ad altre aree urbane), dividendo 23.500 per 5,5 otteniamo 4.272. Se a questo notevole contingente di finanzieri, carabinieri, agenti di P.S. e militari aggiungiamo pure i circa 2.000 agenti di polizia locale, solo per Napoli raggiungiamo la ragguardevole cifra di circa 6.300 persone potenzialmente impiegabili nel controllo e nella repressione delle violazioni alla legge, in larga parte con compiti non solo di ‘pubblica sicurezza’ ma anche di polizia giudiziaria. Proviamo adesso a rapportare questo numero alla popolazione napolitana ed otteniamo una ratio di 0,007 agenti per abitante. Ripetendo la stessa operazione per due metropoli con oltre 8 milioni e mezzo di abitanti e con un personale di forze di polizia che si aggira sulle 35.000 unità, come Londra e New York City, otteniamo invece un rapporto inferiore, cioè 0,004. Ma per qualcuno è sempre troppo poco…

Uniformi per garantire…l’uniformità?

Le misure adottate per l’attuale stato di emergenza – in parte ratificato da un Parlamento ormai quasi uscito di scena, lasciando campo libero e troppe responsabilità all’Esecutivo – hanno suscitato dubbi e preoccupazioni in alcuni giuristi e costituzionalisti. Qualcuno infatti si è chiesto, ad esempio, se le vigenti restrizioni siano conformi alle norme costituzionali e se questo regime straordinario non rischi di far saltare i delicati equilibri fra diritto alla salute ed alla sicurezza e tutti gli altri diritti previsti dalla Carta. Come ha osservato l’avvocato Nicola Canestrini:

«Alcune di queste misure hanno impattato pesantemente su diritti costituzionali […] Parliamo della libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 della Costituzione); di riunione (articolo 17 della Costituzione); di esercizio dei culti religiosi (articolo 19); di insegnamento (articolo 33); su garanzia e obbligo di istruzione (articolo 34). Le misure di contenimento possono incidere poi sulla libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma). Alcuni di questi diritti costituiscono senz’altro principi fondamentali dell’ordinamento, e possono quindi essere limitati ma mai abrogati […] …si ritiene che il bilanciamento dei beni costituzionalmente rilevanti abbia come parametro l’articolo 32 della Costituzione: la norma costituzionale indica la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo”, che tuttavia va in qualche modo contemperata con “l’interesse della collettività”…» [vi]

Data la delicatezza della situazione, allora, è davvero utile e legittimo l’intervento delle forze armate con compiti di tutela della salute e della sicurezza collettiva? A tal proposito, il noto penalista napolitano Domenico Ciruzzi si è espresso piuttosto criticamente:

«Mi chiedo: per quanto tempo dovremo ascoltare la cantilena mistificante che l’esercito serve per evitare che la gente scostumata esca di casa? Tutti convengono che più del 90 per cento degli italiani – e sicuramente dei napoletani – si è chiuso in casa e che i crimini sono di fatto quasi spariti. Polizia, carabinieri, Guardia di finanza sono pressoché disoccupati. Dunque, perché l’esercito? Per fare cosa? La verità è che tra uno-due mesi si temono le sommosse degli affamati […] …il governo ha il dovere istituzionale di anticipare gli eventi e non far finta di chiamare l’esercito per arginare quelli che non rispettano i divieti per poi, invece, usare astutamente i militari per sedare prevedibili rivolte…». [vii]

Non è un caso, inoltre, che un autorevole periodico come l’Espresso recentemente abbia così intitolato un suo articolo: “Coronavirus, esercito e forze dell’ordine in allarme: serve un piano contro caos e disordini[viii]. Non bisogna essere antimilitaristi per temere che una crescente militarizzazione possa preludere ad interventi repressivi, giustificandoli con lo stato di emergenza o, come qualcuno ha già iniziato a dire, di ‘guerra’ all’epidemia. La restrizione delle libertà personali, la sospensione di fatto del confronto democratico e l’adozione di misure eccezionali sono sintomi preoccupanti di una tendenza autoritaria che già da tempo stava affiorando nel nostro Paese. I patriottici richiami ad un’unità nazionale imposta 160 anni fa e mai davvero realizzata – per di più compromessa dalle tendenze centrifughe di chi reclama ‘autonomie differenziate’ per legittimare e rafforzare assurdi privilegi e diseguaglianze – sollecitano retoricamente un unanimismo nazionalista che potrebbe preannunciare l’imposizione di un pensiero unico ed un regime autoritario.

Mi auguro sinceramente che nessuno pensi davvero d’imporre l’uniformità e l’obbedienza passiva ricorrendo alle uniformi militari ed a metodi repressivi eccezionali. In ogni caso – per citare ancora Canestrini – facciamo attenzione a “non abbassare le difese immunitarie della Costituzione”, restando sempre, e nonostante tutto, cittadini vigili ed attivi.


Note:

[i] Rinaldo Frignani, “Coronavirus a Roma, soldati per i controlli ma non possono denunciare”, Corriere della Sera (Roma), 21.3.2020 > https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_21/coronavirus-roma-soldati-controlli-ma-non-possono-denunciare-2de8a292-6aea-11ea-b40a-2e7c2eee59c6.shtml?fbclid=IwAR18ecCDGlZw-tggU2ln8EphoIhXDmqiqNQScjAkgfwYPakHNVw60nFuES4&refresh_ce-cp

[ii]http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_nazionali/Pagine/Operazione-Strade-Sicure.aspx

[iii] Ministero della Difesa, Operazione Strade Sicure (fonte: Forze Armate, La Difesa, UTET) > https://www.difesa.it/Content/Pagine/StradeSicure-ForzeArmate-LaDifesa.aspx

[iv] http://www.napolitoday.it/cronaca/coronavirus-decreto-regione-de-luca.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&fbclid=IwAR0eJAhL9PpkVgARXlEQ3na0DDI1EA4d3yi-V0HzClQQBs1oI63tk8YRpEc

[vi] Alberto Leiss, “Il fantasma balordo della guerra”, il manifesto > 24.03.2020 > https://ilmanifesto.it/il-fantasma-balordo-della-guerra/?utm_source=Iscritti+web&utm_campaign=602e49ba0d-EMAIL_CAMPAIGN_2020_03_24_05_00&utm_medium=email&utm_term=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&goal=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&mc_cid=602e49ba0d&mc_eid=f3a0ad9d2b

[vii] Nicola Canestrini, “Non abbassiamo le difese immunitarie della Costituzione” > https://www.ildolomiti.it/politica/2020/coronavirus-lavvocato-canestrini-quanto-detto-da-fugatti-e-errato-sia-nel-metodo-che-nel-merito-non-abbassiamo-le-difese-immunitarie-della-costituzione  ed anche: “Coronavirus  non indebolisca le difese immunitarie dello stato di diritto”>    https://www.ilfaroonline.it/2020/03/19/coronavirus-non-indebolisca-le-difese-immunitarie-dello-stato-di-diritto/326129/

[vii] Domenico Ciruzzi, “Sostegno ai poveri più che l’esercito”, la Repubblica – Napoli

[vii] Vedi: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/03/13/news/coronavirus-esercito-polizia-1.345574?preview=true

Riforma ‘mimetica’ per religiosi con le stellette

Una ‘coronavirus’ sulla testa dei media

Nella mobilitazione mediatica per la terribile vicenda della pandemia di Coronavirus, l’attenzione degli organi d’informazione ne è stata monopolizzata, lasciando ben poco spazio ad altre notizie, sia interne sia dall’estero. L’interesse di lettori, ascoltatori, spettatori, internauti e frequentatori dei social si è quindi concentrato sulle pesanti limitazioni imposte alla cittadinanza per motivi di sicurezza e di tutela della salute pubblica, passando dall’iniziale atteggiamento disinvolto ad un timor panico vagamente paranoico. La forzata segregazione fra le mura domestiche di larga parte della popolazione italiana, infine, ha sconvolto equilibri, bioritmi e relazioni, portandoci a vivere di riflesso, a distanza e virtualmente, perfino ciò che ci sta capitando intorno, come se stessimo visionando un appassionante quanto sconvolgente film di fantascienza.

Eppure sarebbe bene se noi Italiani uscissimo dall’attuale torpore mentale e sociale e, pur nel rispetto delle prescrizioni (in alcuni casi imposte con tono vagamente poliziesco), ricominciassimo a guardare fuori dal bozzolo rassicurante del ‘rifugio antivirus’ nel quale ci stiamo rinchiudendo. Infatti intorno a noi le cose vanno avanti, nel bene ma spesso nel male, ed accampare la scusa dell’emergenza nella quale ci troviamo immersi per disinteressarsene appare un po’ meschino.  Le borse mondiali crollano; lavoratori già precari precipitano sempre più spesso nella disoccupazione; fronti di guerra restano aperti da molti anni ed altri rischiano di aprirsi; la gravissima crisi ambientale legata al riscaldamento globale non viene affatto affrontata, benché abbia già provocato milioni di morti ed altri ne provocherà; le spese militari continuano a crescere, insieme con i potenziali scenari di conflitto; decine di migliaia di militari di vari paesi, a guida USA, invadono l’Europa per inscenare una macroscopica esercitazione bellica ai confini della Russia…. E noi? Nel frattempo noi facciamo scorta di mascherine e amuchine, digitiamo messaggini sullo smartphone e cerchiamo di occupare l’eccessivo ‘tempo libero’ improvvisamente piovutoci addosso, riscoprendo anche criticità ed opportunità della convivenza familiare, dentro città dall’aspetto inquietante e spettrale.

Sono state oscurate anche notizie di portata sicuramente minore, ma che in altri momenti ci avrebbero quanto meno incuriosito. Una di queste – scoperta casualmente smanettando su internet – riguarda il nuovo status giuridico di una categoria di cui già poco si parlava anche prima e della quale solitamente si sa poco o nulla.  Il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro degli Esteri Di Maio e di quello della Difesa Guerini, ha approvato il disegno di legge di ratifica dell’intesa tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica in materia di “assistenza spirituale alle Forze Armate”. Certamente non è l’evento del secolo, ma neppure una notizia così insignificante da non meritare menzione sui quotidiani e notiziari nazionali. A parlarne infatti sono stati solo per la CEI l’Agensir ed il quotidiano Avvenire e, sul versante governativo, Report Difesa, come se si trattasse di un banale accordo o transazione fra istituzioni ecclesiastiche e civili, che poco o punto ci riguarda. Eppure questo atto dell’esecutivo riforma, dopo ben 60 anni, lo status giuridico dei cappellani militari, normato dalla legge n. 502 del 1961 [i] e finora mai messo in discussione. Quando due anni fa ci fu un timido tentativo di entrare nel merito.[ii] il missionario padre Alex Zanotelli aveva però lanciato un accorato appello affinché finalmente cessasse: “questo scandaloso connubio fra Forze Armate e Chiesa”. [iii]

L’assordante silenzio sui cappellani militari

Ma ecco che, sbucando come un coniglio dal cappello, i cappellani sono tornati ad interessare l’azione del Governo, sebbene la notizia dell’intesa sia rimasta confinata fra gli ‘addetti ai lavori’, dando per scontato che si tratta di problemi che non interessano la gente comune. Eppure – soltanto sul versante ‘civile’ della questione – già nel 2016 alcune inchieste ci avevano informati che il costo che lo Stato si accollava per mantenere un paio di centinaia di preti-soldati era tutt’altro che indifferente.

«Nel complesso…l’assistenza spirituale alle Forze armate costa alle casse pubbliche circa 20 milioni: tutti soldi, si badi bene, aggiuntivi rispetto al miliardo di euro che già annualmente entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il sostentamento del clero. Ma se lo stipendio di un prete è sui mille euro, un cappellano come tenente parte dal doppio e a fine carriera, da colonnello, può superare i 5mila.» [iv]

Limitare la questione del ruolo dei cappellani militari al solo aspetto economico sarebbe però riduttivo. Senza scomodare le taglienti parole di don Lorenzo Milani nella sua famosa lettera del 1965 a loro indirizzata [v], bisogna infatti ricordare che si tratta infatti di una vicenda che presenta delicati risvolti etico-religiosi, cui l’attuale riforma – incentrata com’è sulla spending review più che su motivazioni morali – risponde purtroppo molto parzialmente.  Zanotelli, nel citato appello di due anni fa, ribadiva invece con chiarezza la natura dell’opposizione di parte del mondo cattolico al ruolo svolto dai ‘preti con le stellette’, dichiarandolo:

«…in chiaro contrasto con il magistero di Papa Francesco contro la guerra e in favore della nonviolenza attiva. Ma è in contrasto soprattutto con il Vangelo perché l’Intesa integra i cappellani nelle Forze Armate d’Italia sempre più impegnate a fare guerra “ovunque i nostri interessi vitali siano minacciati”, come recita il Libro Bianco della Difesa della Ministra Pinotti. […] E per fare questo, c’è bisogno di armarsi fino ai denti, arrivando a spendere lo scorso anno in Difesa 25 miliardi di euro, pari a 70 milioni di euro al giorno. Tutto questo è in profondo contrasto con quanto ci ha insegnato Gesù. Per cui diventa una profonda contraddizione avere sacerdoti inseriti in tali strutture». [vi]

In un recente articolo anch’io avevo sottolineato gli aspetti più grotteschi di un regime legislativo che finora collocava i sacerdoti con funzioni di assistenza religiosa ai militari su un piedistallo dorato, dotandoli di una diocesi autonoma e, parallelamente, incorporandoli a tutti gli effetti nei ranghi gerarchici delle forze armate. Ciò, peraltro, ha consentito non solo le sconcertanti figure di sacerdoti e prelati con le stellette, ma anche la celebrazione e pubblicizzazione sulla rivista ufficiale dell’Ordinariato Militare per l’Italia [vii] di liturgie e cerimoniali in cui s’intrecciano talari e mimetiche, “croce e moschetto”, avvalorando di fatto, col richiamo al biblico “Signore degli Eserciti”, un blasfemo “Esercito del Signore”. [viii] 

Ma in che cosa consiste esattamente l’intesa fra Stato e Chiesa ratificata circa un mese fa con il varo del Disegno di Legge proposto da Di Maio e Guerini? È stato davvero superato l’impasse che nel 2018 aveva bloccato il governo Gentiloni, limitando la riforma al solo aspetto economico? La risposta è solo in parte positiva, anche se qualcosa sembrerebbe essersi mosso sullo scivoloso terreno del rapporto fra le gerarchie ecclesiastiche e quelle militari. Che non si tratti di una rivoluzione lo lascia intendere il fatto che di tale intesa si sia dichiarato soddisfatto l’Ordinario Militare. Ciò significa che anche adesso – al di là della riduzione della spesa dello Stato italiano su questo capitolo – non si andati nella direzione auspicata da chi avrebbe invece voluto un netto segnale di discontinuità col passato.

Smilitarizzare i cappellani? No, grazie…

«Il testo […] permetterà anche un notevole risparmio alla casse dello Stato, grazie ad alcuni accorgimenti tecnici […] e al contenimento degli stipendi (oggi lo stipendio medio è di circa 1500 euro). La normativa individua le funzioni svolte dai cappellani a favore dei militari cattolici e delle rispettive famiglie, nonché i mezzi e gli strumenti che sono messi a loro disposizione per l’assolvimento delle funzioni stesse; delinea, inoltre, lo stato giuridico dei cappellani come figura autonoma rispetto all’organizzazione militare, stabilendo che hanno piena libertà di esercizio del loro ministero e che risiedono in una delle sedi di servizio loro assegnate, ma accedono ai gradi militari per assimilazione, senza che questo comporti identificazione con la struttura e l’organizzazione militare. “Si evidenzia – nota il governo – che il cappellano non può esercitare poteri di comando o direzione e avere poteri di amministrazione nell’ambito delle Forze armate; non porta armi e indossa, di regola, l’abito ecclesiastico proprio, salvo situazioni speciali… [ix]

Dal positivo commento del quotidiano della CEI – simile peraltro a quelli di altri giornali cattolici ed ai comunicati della stessa Difesa [x] – si discosta nettamente la nota critica su Adista dello stesso Luca Kocci, il quale osserva:

Una svolta all’orizzonte? Per niente. E, al di là dell’invito ad indossare di più la talare e il clergyman e meno la divisa e la mimetica, tutto resta come prima, o quasi: i cappellani militari rimangono preti-soldati con i gradi – l’aspetto maggiormente contestato da Pax Christi, dalle Comunità di Base e da Noi Siamo Chiesa, che da anni portano avanti una battaglia per la smilitarizzazione dei cappellani militari – e vengono pagati dallo Stato, in quanto militari a tutti gli effetti. E appare risibile la sottolineatura che i cappellani «accedono ai gradi militari per assimilazione, senza che questo comporti identificazione con la struttura e l’organizzazione militare»: se hanno i gradi, fanno automaticamente parte della struttura militare, per non farne parte dovrebbero essere completamente smilitarizzati.» [xi]

Insomma, l’impressione è che, ancora una volta – citando il classico motto del Principe di Salina del ‘Gattopardo’ – qualcuno ha pensato: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».  In effetti, se prescindiamo dalla positiva circostanza che “i cappellani militari verranno quindi caratterizzati più nettamente per le loro funzioni pastorali, con piena libertà di esercizio del relativo ministero, che per la militarità, tanto che di regola indosseranno l’abito ecclesiastico e non più l’uniforme” [xii], e che la spesa annua dello Stato per i cappellani militari con la riforma potrebbe ridursi ad una decina di milioni, non sembra che si sia giunti a recidere davvero il nodo fondamentale della questione.  Il fatto stesso che non se ne sia discusso per nulla, evitando ogni confronto con posizioni più critiche, come quelle ripetutamente espresse da Pax Christi, dal missionario comboniano Zanotelli o dallo storico esponente nonviolento Antonino Drago [xiii], derubrica oggettivamente questo decreto governativo a provvedimento burocratico-amministrativo, lasciando aperta la questione etico-religiosa di fondo [xiv]. Ecco perché non mi resta che concludere ripetendo quanto avevo già affermato:

«…Cristo, Principe della Pace (Is. 9:5), non può essere ridotto al ruolo di luogotenente del veterotestamentario “Adonai Shebaoth” e dunque è necessario che chi sceglie la nonviolenza – cristiana prima ancora che gandhiana – si dissoci pubblicamente da ogni forma di riabilitazione della guerra e di chi la prepara ed attua…» [xv]


Note:

[i] Per il testo della Legge 1° giugno 1961, n. 512 (“Stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell’assistenza spirituale  alle Forze armate dello Stato”),  cfr. http://www.ordinariatomilitare.it/diocesi/legislazione/civile/legge-512/; http://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/22/zn46_08_286.html  e https://www.olir.it/documenti/legge-01-giugno-1961-n-512/

[ii] Luca Kocci, “Tutto come prima: i cappellani militari li paga lo stato”, il manifesto (11.02.2018) > https://ilmanifesto.it/tutto-come-prima-i-cappellani-militari-li-paga-lo-stato/

[iii] Alex Zanotelli, “No ai 10 milioni di euro dello Stato per i cappellani militari”, MicroMega (16.03.2018) > http://temi.repubblica.it/micromega-online/no-ai-10-milioni-di-euro-dello-stato-per-i-cappellani-militari-appello-al-papa-di-padre-zanotelli/

[iv] Paolo Fantauzzi, “Quanto ci costi cappellano: ecco gli stipendi d’oro dei preti militari”, l’Espresso (02.05.2016) > https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/04/27/news/quanto-ci-costi-cappellano-gli-stipendi-d-oro-dei-preti-militari-1.262896

[v] Don Lorenzo Milani,” L’obbedienza non è più una virtù”, Libreria Editrice Fiorentina, 1965 > https://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/milani/l_obbedienza_non_e_piu_una_virtu/html/milani_d.htm

[vi] Zanotelli, op. cit.

[vii] Vedi: http://www.ordinariatomilitare.it/category/bonus-miles-christi/  e

[viii] Cfr. Ermete Ferraro, “Pregare per l’unità dei cappellani militari?”, Ermete’s Peacebook (30.01.2020) >  https://ermetespeacebook.blog/2020/01/30/pregare-per-lunita-dei-cappellani-militari/

[ix] Mimmo Muolo, “Cappellani militari: il governo vara il ddl”, Avvenire, 15.02.2020 >  https://www.avvenire.it/attualita/pagine/cappellani-militari-il-governo-vara-il-ddl

[x] Cfr. anche: https://www.agensir.it/quotidiano/2020/2/14/cappellani-militari-governo-approva-disegno-di-legge-sullassistenza-spirituale-alle-forze-armate/ e http://www.reportdifesa.it/difesa-accordo-stato-italiano-e-vaticano-sul-nuovo-status-dei-cappellani-militari-non-indosseranno-piu-luniforme/

[xi] Luca Kocci, “Cappellani militari: pronta una nuova legge. Ma è come quella vecchia”, Adista Notizie n° 9 del 07/03/2020 > https://www.adista.it/articolo/63015

[xii] Report Difesa, cit.

[xiii] Cfr.: http://serenoregis.org/2012/07/19/nonviolenza-come-politica-di-fede-antonino-drago/  (2012)

[xiv] Sul tema è utile la lettura di: Enrico Peyretti, “Un segno di contraddizione

DOSSIER CAPPELLANI MILITARI >  https://www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/dossier-cappellani-militari/

[xv] Ferraro, op. cit.

Babbo Natale…a 12 stellette

Santa Claus a cavallo di un missile?

A Natale, si sa, sono tutti più buoni e si scambiano auguri di pace. Il 6 dicembre, poi, si festeggia san Nicola, nato a Patara di Licia (Turchia) 270 anni dopo Cristo e morto nel 343 a Myra (Turchia), di cui era stato proclamato vescovo. Chi è che non conosce questo grande santo di cui tantissimi portano il nome, venerato in particolare a Bari ma caro a milioni di cattolici ed ortodossi? In effetti, quello che si ricorda senz’altro di più è la sua mutazione genetica mercantile, che ha trasformato il barbuto episcopo bizantino, protettore dei bambini, nel nordico, panciuto, rossovestito e ridanciano Santa Claus, il Babbo Natale dispensatore di doni. Eppure nel clima pacioso ed i cori natalizi si è inserita una nota stonata. Proprio il 6 dicembre, infatti, il Parlamento Europeo ha riservato ai Napolitani un dono molto meno piacevole, avendo organizzato presso il simbolo stesso della città, l’angioino Castel Nuovo, una pomposa manifestazione dal titolo: “Stati generali dello Spazio, della Difesa e della Sicurezza: le prossime sfide per l’industria europea”. [i]  Il titolo dell’evento era già un programma. Si trattava infatti di un segnale rivolto non solo al poco pacifico complesso militare-industriale – che distribuisce ovunque morte e devastazioni – ma anche ai titubanti partners europei, spingendo per un’alleanza militare sempre più stretta, ma per nulla alternativa alla NATO, i cui 70 anni d’altronde erano stati retoricamente festeggiati a Londra solo tre giorni prima.

«Politica, industria e forze armate riunite a Napoli […] Un appuntamento che ha permesso di fare il punto sulla strada da percorrere per rafforzare le capacità e il ruolo dell’Italia in questi settori. All’evento […] hanno preso parte, tra gli altri, il Presidente del Parlamento Europeo, David Sassoli, i Ministri dell’Istruzione, Università e Ricerca, Lorenzo Fioramonti, e delle Infrastrutture e dei Trasporti, Paola De Micheli. Presenti, inoltre, il Presidente della Commissione Affari Costituzionali del Parlamento UE, Antonio Tajani, il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, il Sottosegretario di Stato alla Difesa, Giulio Calvisi, il Vice Sindaco di Napoli, Enrico Panini e il Presidente dell’AIAD, Guido Crosetto». [ii]

Altro che Santa Claus col pesante sacco dei regali sulle spalle! Al Maschio Angioino sono arrivati nientemeno che i vertici del Parlamento Europeo, insieme con tre ministri e due sottosegretari del Governo nazionale, che l’Amministrazione di quella Napoli, dichiarata statutariamente ‘Città di Pace’ (eppure in trepidante attesa di ospitare la Scuola Militare Europea a Pizzofalcone) ha accolto con grande soddisfazione. L’autorevole delegazione politica era in compagnia degli industriali consorziati nell’AIAD (Federazione delle Aziende italiane per l’Aerospazio, la Difesa e la Sicurezza) [iii]  il cui presidente è Guido Crosetto (già sottosegretario alla difesa nel governo Berlusconi IV e cofondatore di Fratelli d’Italia) e godeva della sponsorizzazione dell’Agenzia Spaziale europea e dell’Agenzia Spaziale italiana. Dulcis in fundo, era presente anche il generale Claudio Graziano, presidente del Comitato militare dell’U.E., che non ha svolto un intervento ma non ha mancato di rilasciare dichiarazioni ai media, ribadendo che:

«Una difesa unica…è assolutamente vitale per gli interessi della Unione Europea, per gli interessi dell’Europa, anche per gli interessi della NATO […] (esiste una) cooperazione vitale tra la NATO e l’Unione Europea, che su dimensioni diverse garantiscono la sicurezza. E se l’U.E. vuole una strategia autonoma è anche per sostenere la NATO…». [iv]

Un’autonomia (strategica) differenziata?

Enrico Panini, l’emiliano Vicesindaco di Napoli, non si è voluto limitare ad un rituale indirizzo di benvenuto, a nome del Sindaco di una “città felice e orgogliosa di ospitarli”, per cui ha dichiarato:

«…si è trattato di un evento straordinario [perché] l’Europa deve unire le forze per far fronte alle sfide che ha davanti, anche in termini di autonomia strategica. L’Europa deve rafforzare una propria indipendenza in tecnologie strategiche per la difesa e la sicurezza e una capacità autonoma nel settore dello spazio, collocandosi nel più ampio contesto transatlantico e nel futuro partenariato con il Regno Unito». [v]

Nel suo equilibrismo politichese è risultato un po’ ambiguo l’intervento del Ministro della Difesa Lorenzo Guerini (già portavoce e vicesegretario del PD ed ex presidente del COPASIR, l’organo di controllo sui servizi segreti) per il quale:

«…un “Paese importante …che intende giocare un ruolo…protagonista” non può fare a meno di perseguire “…un continuo adeguamento e ammodernamento dello strumento militare […] Va detto al Paese che non siamo chiamati a immaginare una crescita nel settore della difesa perché costretti da accordi internazionali ma perché muove una esigenza di carattere nazionale. […] Dobbiamo dirlo chiaramente, abbiamo fissato come obiettivo il raggiungimento della media dei paesi europei alleati. Un paese serio si mette in cammino per far sì che ci sia una gradualità di crescita di risorse in questo settore». [vi]

A questo punto un dubbio nasce spontaneo: vogliamo diventare ‘protagonisti’ della difesa, per decidere autonomamente, o dobbiamo adeguarci, anche se gradualmente, all’imposizione di chi pretende un aumento delle spese militari almeno al 2% del PIL? Guerini sposa la linea secondo la quale una difesa unita europea servirebbe a sostenere l’Alleanza Atlantica. Una specie di autonomia differenziata giallo-rosa in salsa grigioverde?

Del resto, il proverbio “Franza o Spagna, purché se magna” – attribuito al fiorentino Francesco Guicciardini – sembrerebbe andare a genio ai nostri top managers del settore cyber-aero-spaziale, preoccupati unicamente di aumentare le commesse grazie a pretese minacce alla ‘sicurezza’ ed al generale clima di guerra che sempre più si respira. Il vero scopo della sceneggiata napolitana promossa dalla U.E., del resto, era proprio quello di rassicurarli che tutto sta andando proprio come essi auspicano, e che quindi il loro micidiale core business è garantito.

«Le industrie hanno mostrato di essere già pronte ad una comune politica europea nella difesa e nella sicurezza – ha proclamato Franco Benigni, a.d. di Elettronica[…] da realizzarsi nel pieno rispetto del sistema di alleanze multilaterali transatlantiche e mirato al raggiungimento di una leadership europea nel complesso delle tecnologie digitali. Perché questo avvenga la collaborazione industriale dovrà agganciare l’evoluzione politica della Difesa europea». [vii]   Sulla stessa lunghezza d’onda anche Alessandro Profumo, già banchiere ed ora a.d. di Leonardo Aerospace, Defence and Security:

«I fondi della Difesa saranno dedicati alla ricerca e allo sviluppo di capacità. Laddove dovesse esserci un taglio, si taglierà la capacità del nostro Paese a stare al passo col mondo. Non si intacca il profilo nazionale ma la capacità nel nostro insieme di mantenere il passo dei grandi competitori nel mondo […] La domanda che come Europa dobbiamo porci è se vogliamo o no avere un’indipendenza strategica. L’ Europa deve essere inserita nel quadro del sistema Nato. Non siamo competitivi ma cooperativi rispetto alla Nato, ma avere capacità’ autonome rimane estremamente importante». [viii]

‘Star Wars’…a dodici stelle?

Al coro dell’ambiguo doppiogiochismo militare-industriale si è aggiunto Giulio Saccoccia, presidente dell’Agenzia Spaziale Italiana, il quale ha sottolineato che va potenziato il ruolo “fondamentale di indipendenza strategica” assunto dell’Europa:

«Oggi parliamo di UE, di quello che in maniera complementare e sinergica può fare nel settore spazio e sono decisioni che prendiamo come un continente forte, un insieme di nazioni che vogliono avere una strategia indipendente da altri, ma anche di supporto alla strategia globale spaziale […] Nell’ambito dello spazio l’Italia ha un ruolo importantissimo in Europa, è uno dei pochi Paesi al mondo che opera in tutta la filiera, dall’accesso allo spazio al trasporto spaziale, con tutte le sue applicazioni, come l’osservazione della Terra, le telecomunicazioni, la navigazione e l’esplorazione». [ix]

Ancora una volta si parla di una strategia che mirerebbe al raggiungimento della indipendenza, senza però svincolarsi dal ruolo di ‘supporto’ a quella ‘globale’ ed inoltre prefigurando implicitamente scenari che – vista la sede in cui sono fatte certe affermazioni – non riguardano solo innocue esplorazioni dello spazio, bensì evocano inquietanti scenari da guerre stellari reaganiane.

In questo quadro generale così poco rassicurante c’è da chiedersi anche quale fosse il senso della presenza agli Stati Generali di Difesa Sicurezza e Spazio di due ministri apparentemente fuori contesto, come il titolare del MIUR, Lorenzo Fioramonti, e quella delle Infrastrutture e Trasporti, la democrat Paola De Micheli.  Quest’ultima, nel suo intervento, ha elegantemente glissato sulla parola-chiave ‘difesa’, soffermandosi sull’importanza della ricerca spaziale per motivi ambientali, la cyber-sicurezza e perfino al…turismo spaziale.

«Su questo tema il Mit trasmette un forte impulso, anche in termini di designazione delle priorità, così come per l’accesso allo spazio, da perseguire in forma più autonoma ancorché nel contesto della collaborazione europea e quindi in modo da realizzare i piani governativi relativamente agli spazioporti e ai voli suborbitali”. Non servirà solo al turismo spaziale (settore comunque di interesse), ma anche per rilevantissime attività di ricerca e di formazione. «L’accesso autonomo allo Spazio da parte dell’Italia […] sarà una delle priorità del dicastero, in collaborazione con la Difesa e l’ASI”.[x]

Del ministro Lorenzo Fioramonti non sono rintracciabili dichiarazioni ufficiali, ma la sua presenza – ufficialmente ascrivibile alla ‘R’ di ‘ricerca ‘ nell’acronimo del suo dicastero – sembra alludere al sempre più invadente ruolo che la ‘difesa’ sta giocando in Italia nell’ambito della pubblica istruzione. La crescente ed ingombrante presenza dei militari nelle scuole e di intere classi scolastiche in visita a basi, poligoni ed altre amene strutture del genere, infatti, è un preoccupante segnale della diffusione della propaganda e della retorica guerrafondaia fra i giovani italiani, ma anche di un’insinuante quanto opportunistica promozione, specie al Sud, di attività occupazionali legate alla c.d. ‘difesa’ e alla ricerca per scopi militari.

Insomma, la nostra Napoli – Città di Pace – avrebbe fatto volentieri a meno di questa trionfalistica kermesse, che ha testimoniato il sempre maggiore legame fra politica, industria e forze armate. E la sua Amministrazione, bifronte come Giano, avrebbe fatto bene a non dare un’altra prova di ambiguità politica, strizzando l’occhio ora al movimento pacifista, ora alla ‘bastardata’ della Scuola Militare Europea a Pizzofalcone.[xi]


[i] V. articolo su Napoli Today >https://www.napolitoday.it/eventi/stati-generali-spazio-sicurezza-difesa-napoli-6-dicembre-2019.html

[ii] V. réportage su Analisi Difesa > https://www.analisidifesa.it/2019/12/riuniti-a-napoli-gli-stati-generali-di-difesa-sicurezza-e-spazio/?fbclid=IwAR1meAycr54n18qGUw4AW02vr0CnRIY-Qt5QOx1BtAmH8eyi00igl43V7Go

[iii] Cfr. sito web AIAD > http://www.aiad.it/it/aiad_vertice.wp

[iv] Intervista a cura di Vista > https://youtu.be/SuPfyX51JsY

[v] https://www.facebook.com/search/top/?q=enrico%20panini%20vicesindaco&epa=SEARCH_BOX

[vi] V. art. cit. su Analisi Difesa

[vii] Ibidem

[viii] Ibidem

[ix]  Ibidem

[x] L. Romano, “Così l’Italia punta in alto…”, (6.12.19) Formiche > https://formiche.net/2019/12/infrastrutture-spazio-italia-paola-de-micheli/

[xi] Cfr. A. Di Costanzo, “Napoli, scuola militare nella caserma Bixio: i pacifisti attaccano de Magistris” (23.1.19), la Repubblica –Napoli > https://napoli.repubblica.it/cronaca/2019/01/23/news/napoli_scuola_militare_nella_caserma_bixio_i_pacifisti_attaccano_de_magistris-217228391/