MAI PIU’ CHERNOBYL !

DSCN1596“Sognando Chernobyl…” – canta Adriano Celentano, facendo da colonna sonora alla manifestazione antinucleare di Napoli, intervallato da altre canzoni che vanno da “Times are Changing” del sempreverde Bob Dylan a “Chernobyl 10 anni dopo” di Pippo Pollina.
E’ sabato pomeriggio del 25 aprile: a Piazza del Gesù Nuovo a Napoli il “Comitato campano NO AL NUCLEARE” sta animandouna delle 17 iniziative italiane per il “Chernobyl Day”.
Manifestazioni analoghe si sono svolte, tra il 25 ed il 26 aprile, in 200 città del mondo, sia per commemorare le centinaia di migliaia di vittime della tragedia che colpì Chernobyl (Ucraina) esattamente 23 anni fa, a causa dell’esplosione di uno dei reattori di quella centrale nucleare, sia per lanciare un forte appello ai cittadini perché si mobilitino anche in Italia contro il nucleare.
Quel 26 aprile 1986, infatti, iniziò la più grande catastrofe tecnologica ed industriale di tutti i tempi: un disastro ambientale e socio-sanitario che non ha mai smesso di fare vittime e le cui inaudite ed irreversibili conseguenze per la salute colpiranno anche le prossime generazioni. 
“L’ex segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha stimato che più di 7 milioni di persone sono state gravemente colpite dalla catastrofe, mentre l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) persiste nel riconoscere la ridicola cifra di un cinquantina di vittime, coinvolgendo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in una scandalosa complicità con gli interessi dell’industria dell’energia atomica a minimizzare i rischi” – ha dichiarato Antonio D’Acunto, leader storico dell’ambientalismo napoletano e presidente onorario di VAS-Campania.
Il Comitato NO AL NUCLEARE – che ha una pagina internet su Facebook e di cui fanno parte varie componenti del movimento campano per l’alternativa eco-sociale – ha organizzato questo animato pomeriggio del 25 aprile anche come ideale prosecuzione delle manifestazioni per l’anniversario della Liberazione. 
DSCN1599 “La decisione di ignorare il referendum popolare che ha bandito il nucleare e di prendere unilateralmente accordi con la Francia per la costruzione di 4 nuove centraliha sottolineatoinfatti Tommaso Musicò, dell’ANPI Provincialeè grave anche perché va contro la volontà popolare, espressasi nel referendum contro il nucleare, ed è anticostituzionale, in quanto scavalca le prerogative riconosciute dalla Carta alle Regioni e agli enti locali.“ 
I 1500 volantini e le centinaia di adesivi antinucleari distribuiti dimostrano che i Napoletani non sono insensibili a questo appello, e la presenza in piazza di vari esponenti politici (fra cui il candidato delle sinistre per la presidenza della Provincia di Napoli, Tommaso Sodano, e l’Assessore provinciale all’Agricoltura e Protezione Civile, il verde Francesco E. Borrelli) indica una rinnovata attenzione a questa problematica, troppo a lungo esorcizzata. 
“Il Comitato continuerà a svolgere la sua azioni di controinformazione e di sensibilizzazione ha dichiarato Ermete Ferraro, responsabile nazionale VAS per l’ecopacifismo e membro del Comitato campano Pace e Disarmo – per impedire che l’oblio, la disinformazione e la menzogna consentano che vada avanti quello che abbiamo definito ‘l’imbroglio nucleare’. Vogliamo discutere con i cittadini e spiegargli che la scelta nucleare, oltre che gravemente rischiosa e strettamente connessa con l’escalation degli armamenti atomici, è anche profondamente inutile e dannosa, perché sottrae immani risorse al bilancio dello stato ed ostacola le uniche vere alternative energetiche, che sono il risparmio e l’utilizzo di fonti rinnovabili e pulite. “

UN CUOR SOLO E UN’ANIMA SOLA…

 
Oggi, 19 aprile, ricorrono vent’anni dal mio matrimonio con Anna. Solitamente, in questi casi, le mogli sono contente se il marito le porta a cena fuori o se organizza qualcosa di speciale. Anna no: mi ha solo fatto capire che ci teneva che fossimo presenti ad un incontro per le famiglie della nostra parrocchia, su all’Eremo dei Camadoli. Confesso di averla assecondata con scarso entusiasmo, ma devo ammettere che abbiamo trascorso una giornata molto particolare, in cui si sono sposate le fondamentali parole delle letture di questa II domenica di Pasqua con quelle di una profetessa del nostro tempo, Chiara Lubich, che del carisma dell’unità e dello spirito di famiglia ha saputo fare il motore del movimento dei Focolari.
Le parole degli Atti degli Apostoli tornavano, infatti, particolarmente a proposito, quando ricordano che i primi cristiani avevano: “…un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune […] Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno…”
Quando si leggono queste parole, la prima considerazione che sorge spontanea è, ovviamente, che due millenni dopo, di questa originaria “communio” dei credenti in Cristo purtroppo è rimasto molto poco, se c’è addirittura chi giunge a presentare la difesa della proprietà privata come una bandiera della civiltà cristiana, facendo finta di non capire che non è un caso se il numero dei “bisognosi” è in costante crescita, e che tutta la nostra società si muove, di fatto, in una logica del tutto opposta, risultando sempre più divisa, profondamente iniqua e sempre meno solidale.
E’ peraltro evidente che il “comunismo” dei primi cristiani aveva un’altra origine, che non è possibile rinnegare senza distruggere le fondamenta stesse della fede cristiana. La comunità (d’intenti, di beni e di servizi) nasceva infatti da una “con-cordia” di fondo, cioè da quella convinzione che, come scriveva Giovanni nella sua prima lettera: “…chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato […] Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo…”
Ma che significa oggi cercare di ritornare ad essere “un cuor solo e un’anima sola” ?  Che cosa comporta scegliere di ritornare a quella radicalità evangelica, che è ricerca di unità e di comunione con i fratelli come unica strada per giungere alla comunione con Dio Padre?
La risposta di Chiara Lubich è stata l’invito a “fare unità”, allargando i confini della nostra famiglia a tutti quelli che ci capita d’incontrare e che sono, quindi, il nostro prossimo. Non si tratta di dichiarazioni di principio o di principi astratti: dobbiamo prenderci sul serio come Cristiani e metterci al servizio di tutti, perché amare è proprio questo. Si tratta di una verità semplice quanto sconvolgente, con la quale bisogna fare i conti, lasciando che la rivoluzione dell’amore diventi qualcosa di concreto e di tangibile, in modo da “vincere il mondo” e le sue lusinghe materialistiche, individualistiche ed edonistiche.
Quella sessantina di persone – fra cui molte coppie – che hanno trascorso con noi questa strana festa di anniversario nel convento camaldolese testimoniano già l’impegno di una comunità parrocchiale che non si accontenta del consumismo religioso e che, sotto la guida del suo pastore, sta incamminandosi su questa strada di condivisione e di fraternità. Il pericolo è che star bene insieme possa trasformarsi in una scelta auto-gratificante ed auto-consolatoria, che chiuda il cerchio della “communio” intorno agli amici ed a coloro che la pensano come noi.
Al contrario, la sfida è quella di costruire questa comunità uscendo dalla logica ristretta del gruppo o della parrocchia, proprio per contagiare col nostro amore cristiano chi è molto diverso da noi o non accetta per nulla quel messaggio, se non è reso credibile da una testimonianza autentica e diretta. Lo stesso matrimonio – come più volte abbiamo riflettuto col nostro parroco – tradirebbe lo spirito cristiano se ci portasse a chiudere la “famiglia” come un recinto intorno ai nostri cari, quasi per proteggerla dal contagio di chi sta fuori. 
E’ esattamente il contrario: dobbiamo “fare unità” con chiunque ci sia “prossimo” e questo anniversario… “comunitario” è stato un modo di farne esperienza. 
 

UNA QUARESIMA PER RISORGERE…

 
E’ difficile condividere con dei non credenti lo spirito della Quaresima, uscendo dai luoghi comuni e dalle banalità che avvolgono solitamente una delle manifestazioni più evidenti della religiosità popolare, e quindi di quel ritualismo che spesso costituisce il sostituto di un’autentica religiosità.
E’ difficile, talvolta, dialogare perfino con quelli che si dicono Cristiani, ma considerano il periodo quaresimale solo come uno dei periodi preparatori alle grandi festività dell’anno liturgico; una specie di parentesi oscura – con connotazioni vagamente medievali – che consentono di far risplendere ancor di più la gioia e la festa per la Resurrezione.
Eppure senza Quaresima la stessa Pasqua non avrebbe senso. Senza passione e morte non ci sarebbe risurrezione. Se ne stanno tragicamente accorgendo, sulla propria pelle, i nostri fratelli e sorelle di quell’Abruzzo sconvolto dal sisma, che in pochi attimi ha azzerato vite, famiglie, case, attività, beni e patrimoni, aprendo davanti a loro un vero e proprio baratro di annientamento e, in certi casi, di disperazione e di rabbia.
Ma attenzione: questo non significa che il male del mondo (violenze, stragi, disoccupazione, fame, guerre…) sia in qualche modo da considerarsi un bene, in quanto consentirebbe, per contrasto, di apprezzare la bontà, il lavoro, il benessere o la pace. Credo che si debba stare attenti a non banalizzare anche il male, riducendolo ad uno dei termini di un eterno conflitto, come ad esempio ipotizzato da alcune religioni come quella di Zoroastro o da deformazioni dello stesso cristianesimo.
Già nell’Antico Testamento, del resto, sventure lutti ed altre disgrazie e malattie venivano scaricate sul capo del pio e felice Giobbe proprio per metterne duramente alla prova la fede, in una sorta di “scommessa” tra il Padreterno e il Diavolo. Ma non mi pare che questo voglia comunicarci che “i mali” siano il contrario del bene e della beatitudine, ma piuttosto che quella che ci viene proposta non è una fede facile ed appagante, bensì una scelta che comporta difficoltà e sofferenze.
Come scrivevo oltre un anno fa su questo blog, a proposito delle “beatitudini”: “ la "buona notizia" di Gesù Cristo è resa efficacemente in questa apparentemente paradossale chiave di lettura, l’unica che ci può indurre ad aspettarci serenamente ciò che nessuno mai si augurerebbe e che, è bene chiarirlo, non diventa automaticamente buono solo perché può fungere da strumento della nostra santificazione. Il discorso di Cristo non è affatto l’esaltazione della sofferenza patita né può in alcun modo giustificare coloro che affliggono il loro prossimo e  lo lasciano  nella fame e nella sete, oppure che fanno le guerre e perseguitano chi gli è d’intralcio. […] Il programma alternativo di questo regno è tanto semplice quanto assurdo per la nostra mentalità: dobbiamo diventare: "poveri in spirito", cioè umili, ma anche "miti", "misericordiosi", "puri di cuore", "operatori di pace". Attenzione: nessuno dice che dobbiamo andarci a cercare masochisticamente afflizioni, sofferenze, disprezzo, diffamazioni ed insulti, ma il guaio è che sappiamo bene che chi decide di imboccare la "porta stretta" di Gesù, seguendolo su questa difficile strada, ha ottime probabilità di tirarsi addosso, una dopo l’altra, queste spiacevoli conseguenze…”.
di erferraro Inviato su Senza categoria Contrassegnato da tag

UNA QUARESIMA…(segue)

Di fronte alle sciagure “naturali”, come i disastri causati dal terremoto, ma soprattutto di fronte ai disastri direttamente provocati dall’uomo, come quello ecologico o la spaventosa crisi finanziaria che sta affliggendo milioni di persone, è legittimo chiedersi allora se essi possano essere letti anche come “segni dei tempi”. Non come tragedie da esorcizzare ma, al contrario, come drammatici appelli ad un cambiamento troppo rinviato e mai realizzato.
Un interessante dossier pubblicato sul numero di aprile del mensile cattolico Il Messaggero di sant’Antonio, dal titolo “La Chiesa italiana di fronte alla crisi” , si sofferma proprio sulle disastrose conseguenze economiche e sociali che la crisi della finanza mondiale ha avuto ed avrà ancora sull’esistenza quotidiana di tantissime persone. Questo periodo fosco e doloroso, d’altra parte, viene considerato da quasi tutte le organizzazioni del laicato cattolico impegnato nel sociale come “al contempo una difficoltà ed un’opportunità”, in quanto ci offre l’occasione per riflettere sull’assurdo modello di sviluppo in cui siamo imprigionati e per rilanciare un’alternativa etica di sviluppo più sobrio, giusto e solidale.
Cambiare stile di vita e rimettere al centro l’etica evangelica non è, ovviamente, qualcosa che scaturisca automaticamente dalla crisi attuale. E’ però un’occasione da non perdere per riconsiderare le nostre priorità e per ripensare al bene comune ed ai valori veri, che non sono quelli quotabili in borsa…
Ebbene, questa Quaresima c’interpella nuovamente, chiedendoci quella “metanoia” indispensabile ad un cambiamento da cui possiamo aspettarci solo la conferma di aver aderito ad una religione che non ci assicura la felicità a buon mercato, ma piuttosto la beatitudine di chi sa che seguire Gesù significa amare, servire, dare senza attenderci nulla in cambio.
Chi vuole conservare la propria vita la perderà – egli ci ha ammonito –  e noi sappiamo bene che se cercassimo di conservare a tutti i costi il nostro stile di vita potremmo solo accelerare la catastrofe ecologica ed alimentare i conflitti bellici, mettendo così in discussione anche la nostra stessa sopravvivenza.
Per non continuare a svendere la nostra salvezza in cambio di 30 danari, abbiamo solo un’alternativa: cambiare radicalmente strada, per far uscire la Parola di Dio da quel sepolcro di convenzioni, accomodamenti e compromessi entro cui l’abbiamo troppo a lungo seppellita, imbalsamando la fede al punto da farne, come i farisei, una ritualità vuota quanto ipocrita.
Lasciamo ad altri la pasqua dei coniglietti e delle uova di cioccolato, che ormai non ci riservano più neppure una vera sorpresa. Per chi crede, Pasqua era e resta un “passaggio”, un cambiamento profondo che non possiamo più rinviare e che ci richiede fede autentica, speranza solida, ma soprattutto amore vero, capace di produrre frutti di giustizia di pace e di solidarietà.   
di erferraro Inviato su Senza categoria Contrassegnato da tag