UN CUOR SOLO E UN’ANIMA SOLA…

 
Oggi, 19 aprile, ricorrono vent’anni dal mio matrimonio con Anna. Solitamente, in questi casi, le mogli sono contente se il marito le porta a cena fuori o se organizza qualcosa di speciale. Anna no: mi ha solo fatto capire che ci teneva che fossimo presenti ad un incontro per le famiglie della nostra parrocchia, su all’Eremo dei Camadoli. Confesso di averla assecondata con scarso entusiasmo, ma devo ammettere che abbiamo trascorso una giornata molto particolare, in cui si sono sposate le fondamentali parole delle letture di questa II domenica di Pasqua con quelle di una profetessa del nostro tempo, Chiara Lubich, che del carisma dell’unità e dello spirito di famiglia ha saputo fare il motore del movimento dei Focolari.
Le parole degli Atti degli Apostoli tornavano, infatti, particolarmente a proposito, quando ricordano che i primi cristiani avevano: “…un cuor solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune […] Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno…”
Quando si leggono queste parole, la prima considerazione che sorge spontanea è, ovviamente, che due millenni dopo, di questa originaria “communio” dei credenti in Cristo purtroppo è rimasto molto poco, se c’è addirittura chi giunge a presentare la difesa della proprietà privata come una bandiera della civiltà cristiana, facendo finta di non capire che non è un caso se il numero dei “bisognosi” è in costante crescita, e che tutta la nostra società si muove, di fatto, in una logica del tutto opposta, risultando sempre più divisa, profondamente iniqua e sempre meno solidale.
E’ peraltro evidente che il “comunismo” dei primi cristiani aveva un’altra origine, che non è possibile rinnegare senza distruggere le fondamenta stesse della fede cristiana. La comunità (d’intenti, di beni e di servizi) nasceva infatti da una “con-cordia” di fondo, cioè da quella convinzione che, come scriveva Giovanni nella sua prima lettera: “…chiunque crede che Gesù è il Cristo, è nato da Dio; e chi ama colui che ha generato, ama anche chi da lui è stato generato […] Tutto ciò che è nato da Dio vince il mondo…”
Ma che significa oggi cercare di ritornare ad essere “un cuor solo e un’anima sola” ?  Che cosa comporta scegliere di ritornare a quella radicalità evangelica, che è ricerca di unità e di comunione con i fratelli come unica strada per giungere alla comunione con Dio Padre?
La risposta di Chiara Lubich è stata l’invito a “fare unità”, allargando i confini della nostra famiglia a tutti quelli che ci capita d’incontrare e che sono, quindi, il nostro prossimo. Non si tratta di dichiarazioni di principio o di principi astratti: dobbiamo prenderci sul serio come Cristiani e metterci al servizio di tutti, perché amare è proprio questo. Si tratta di una verità semplice quanto sconvolgente, con la quale bisogna fare i conti, lasciando che la rivoluzione dell’amore diventi qualcosa di concreto e di tangibile, in modo da “vincere il mondo” e le sue lusinghe materialistiche, individualistiche ed edonistiche.
Quella sessantina di persone – fra cui molte coppie – che hanno trascorso con noi questa strana festa di anniversario nel convento camaldolese testimoniano già l’impegno di una comunità parrocchiale che non si accontenta del consumismo religioso e che, sotto la guida del suo pastore, sta incamminandosi su questa strada di condivisione e di fraternità. Il pericolo è che star bene insieme possa trasformarsi in una scelta auto-gratificante ed auto-consolatoria, che chiuda il cerchio della “communio” intorno agli amici ed a coloro che la pensano come noi.
Al contrario, la sfida è quella di costruire questa comunità uscendo dalla logica ristretta del gruppo o della parrocchia, proprio per contagiare col nostro amore cristiano chi è molto diverso da noi o non accetta per nulla quel messaggio, se non è reso credibile da una testimonianza autentica e diretta. Lo stesso matrimonio – come più volte abbiamo riflettuto col nostro parroco – tradirebbe lo spirito cristiano se ci portasse a chiudere la “famiglia” come un recinto intorno ai nostri cari, quasi per proteggerla dal contagio di chi sta fuori. 
E’ esattamente il contrario: dobbiamo “fare unità” con chiunque ci sia “prossimo” e questo anniversario… “comunitario” è stato un modo di farne esperienza. 
 

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