‘Francesconomy’ fra alternativa e riformismo

Quando le rose non fioriscono…

Il titolo era davvero promettente: “L’economia di Francesco”. Volutamente ambiguo sul referente di quel nome impegnativo, che evocava sia il messaggio di purezza evangelica del santo di Assisi (città dove in marzo avrebbe dovuto svolgersi l’incontro), sia il magistero sociale ed eco-teologico dell’attuale Pontefice. Ed infatti gli stessi organizzatori dell’evento – a causa dell’emergenza sanitaria, realizzato online dal 19 al 21 novembre – hanno ritenuto che fosse opportuno puntualizzarlo:

«Francesco come il Santo di Assisi, esempio per eccellenza della cura degli ultimi della terra e di una ecologia integrale, e anche come Papa Francesco, che fin dall’Evangelii Gaudium e poi nella Laudato si’, ha denunciato lo stato patologico di tanta parte dell’economia mondiale invitando a mettere in atto un modello economico nuovo». [i]

L’iniziativa, svolta in streaming, è  stata però preceduta da un confronto di mesi, che ha coinvolto dodici gruppi di lavoro tematici, mobilitando duemila giovani attivisti, imprenditori ed economisti da tutto il mondo Essi/e hanno avuto l’opportunità di confrontarsi sui grandi temi dell’economia globale, ma principalmente sulle prospettive (profetiche, si è ribadito, non utopistiche…) d’un futuro caratterizzato da un’economia basata sulla giustizia, sulla solidarietà fraterna e sulla ‘cura’ del creato.

Ovviamente non si può che plaudire ad un colossale sforzo organizzativo finalizzato ad un obiettivo così nobile, proprio mentre stiamo vivendo un tempo cupo e deprimente, che rischia di farci affondare nella palude d’un presente distopico ed emergenziale, piuttosto che aprirci alla prospettiva d’un futuro caratterizzato dal cambiamento e da scelte alternative.

Date le premesse, pertanto, c’era d’aspettarsi un dibattito molto articolato e conclusioni profondamente innovative, se non rivoluzionarie.  Qualcosa però non ha convinto del tutto in questa kermesse virtuale e soprattutto nel documento-appello che ne è scaturito. Esso non appare esattamente quel ‘manifesto’ di un’economia alternativa che era supicabile scaturisse dalla mobilitazione mondiale di esperti, imprenditori innovativi e giovani attivisti.

Di esito deludente dell’evento, infatti, ha parlato uno di quelli che si aspettavano una svolta più radicale da un convegno ispirato al Poverello di Assisi e ad un Papa profondamente impegnato su temi inerenti giustizia, pace e tutela della ‘casa comune’.  Rocco Altieri – studioso della Nonviolenza, docente ed animatore della ‘Gandhi Edizioni’ di Pisa – ha espresso con amarezza le sue perplessità sia sul merito del Convegno (cioè sulle conclusioni cui è giunto), sia sul metodo adottato (scarsa apertura a visioni realmente alternative ed un’improntapiù accademica ed istituzionale che movimentista).

Avendo contattato in anticipo il Direttore scientifico, per illustrargli il suo punto di vista e donargli alcuni libri sull’economia nonviolenta editi dal Centro Gandhi, Altieri dice di averne constatato una certa chiusura, che ha reso impossibile un suo confronto diretto coi convegnisti. Ha comunque seguito ‘umilmente’ le varie fasi del convegno, ma scrive di aver avuto l’impressione non tanto di un’autentica svolta, quanto di un sapiente evento mediatico, condizionato da tesi piuttosto riformiste. Da qui un suo giudizio severo sull’iniziativa, per la delusione che le potenzialità che aveva sembrano essere state vanificate da una gestione che non lasciava spazio ad una reale critica dell’attuale modello di sviluppo e a quella prospettiva alternativa che pur traspariva dalle sue premesse ‘francescane’.

La ‘Francesca’ come la ‘Leopolda’?

«Il richiamo ad Assisi è sempre suggestivo, ma ancora una volta quanto è distante lo spirito della povertà francescana. L’accorta regia degli economisti prodiani di Bologna, guidati dall’emerito prof. Stefano Zamagni, teorici del capitalismo ben temperato e delle privatizzazioni dei beni comuni, che tanto hanno fatto male all’Italia in questi anni, ha messo in scena un evento a due livelli. Quello centrale sotto i riflettori di Frate Fortunato dal Sacro Convento, trasmesso nelle varie lingue compresa la traduzione italiana, con esperti e giovani yuppie che vogliono conciliare innovazione, impresa, profitti e pace, ha richiamato, come mi ha suggerito il buon professore calabrese Antonio Gimigliano, l’atmosfera della celebre “Leopolda” […]. Non è forse un caso che il 4 ottobre 2020 sono stati approvati simbolo, nome e programma del nuovo partito “Insieme” per iniziativa del professor Stefano Zamagni, l’economista cattolico che è stato la grande star di Assisi». [ii]

Questa dura valutazione non è ispirata da spirito polemico, semmai dalla malinconica constatazione che i continui ed espliciti pronunciamenti di Papa Francesco sulla insostenibilità etica, politica ed ecologica del modello di sviluppo neo-capitalista sembrano ridotti ad autorevole ‘cornice’ d’un quadro preconfezionato, espressione d’imprenditorialità ‘illuminata’ più che della carica alternativa dei giovani e dell’esperienza di chi, da decenni, propone modelli alternativi di economia e di società.

Che non si tratti solo di una sgradevole sensazione sembra confermato dal tono cauto e moderato del documento partorito dalla tre giorni ‘assisiate’, pur arricchita dal contributo di autorevoli voci ‘fuori dal coro’, come Muhammad Yunus, Vandana Shiva e Leonardo Boff.

«Nei vari interventi che si sono succeduti per ore non abbiamo ascoltato una sola parola critica del modello economico dominante, non un solo cenno all’industria bellica e alla guerra. A un livello secondario, messi in sordina… sono stati relegati, non tradotti in italiano, gli interventi critici come quello del teologo francescano Leonardo Boff dal Brasile e di Vandana Shiva dall’India. Il bellissimo intervento finale di Papa Francesco ci è parso in perfetta sintonia con i discorsi sviluppati dai due grandi pensatori critici del Sud del mondo, non certo con la “fuffa” mielosa degli accademici italiani».[iii]

Il documento conclusivo – scritto addirittura “a nome dei giovani e dei poveri della Terra” – si limita infatti ad auspicare che siano le “grandi potenze mondiali e le grandi istituzioni economico-finanziarie” a “rallentare la loro corsa per lasciare respirare la Terra”. Si auspica inoltre che dalla “comunione mondiale delle tecnologie più avanzate” si giunga a produzioni sostenibili [e] “si superi la povertà energetica – fonte di disparità economica, sociale e culturale – per realizzare la giustizia climatica”. [iv]

Anche in tema di ‘custodia’ dei beni comuni – e soprattutto della ‘casa comune’ oggetto delle nitide analisi e proposte del Papa – non pare che si vada oltre un vago augurio che “sia posto al centro delle agende dei governi e degli insegnamenti nelle scuole, università, business school di tutto il mondo”. Evidentemente si confida che la riconversione economica ed ecologica della società scaturisca dalla conversione morale di chi invece ha finora difeso strenuamente l’assetto capitalistico, alla luce d’un pensiero sempre più unico, pervasivo ed intollerante verso ogni sorta di diversità, che Vandana Shiva negli anni ’90 aveva acutamente definito “monoculture della mente”. [v]

Altro che trasformazione dal basso e cambiamento di paradigma! Solo pie intenzioni, la cui effettiva attuazione sembrerebbe affidata alla ‘buona volontà’ di chi già regola il mondo…

Cambiamento, protagonismo dei poveri, impegno dei giovani

PAPA FRANCESCO JORGE MARIO BERGOGLIO

Nel suo messaggio a conclusione del Convegno, Papa Francesco ha usato espressioni molto più esplicite, rivolgendosi ai giovani come attori di un indispensabile cambiamento.

«Voi siete molto più di un “rumore” superficiale e passeggero che si può addormentare e narcotizzare con il tempo. Se non vogliamo che questo succeda, siete chiamati a incidere concretamente […] con intelligenza, impegno e convinzione, per arrivare al nucleo e al cuore dove si elaborano e si decidono i temi e i paradigmi […] Abbiamo bisogno di un cambiamento, vogliamo un cambiamento, cerchiamo un cambiamento […] Ogni sforzo per amministrare, curare e migliorare la nostra casa comune, se vuole essere significativo, richiede di cambiare «gli stili di vita, i modelli di produzione e di consumo, le strutture consolidate di potere che oggi reggono le società». Senza fare questo, non farete nulla».[vi]

L’esigenza espressa dai giovani di un profondo cambiamento, ha detto il Papa, non va ridotta a fastidioso ‘rumore’ di fondo, da sottovalutare o, peggio, ‘narcotizzare’. Eppure il documento finale del convegno – con tono più predicatorio che politico – si pone in modo soft verso l’attuale sistema socio-economico, formulando solo candidi auspici.

«Mai più si usino le ideologie economiche per offendere e scartare i poveri, gli ammalati, le minoranze e svantaggiati di ogni tipo, perché il primo aiuto alla loro indigenza è il rispetto e la stima delle loro persone: la povertà non è maledizione, è solo sventura, e responsabilità di chi povero non è; che il diritto al lavoro dignitoso per tutti, i diritti della famiglia e tutti i diritti umani vengano rispettati nella vita di ogni azienda […] e riconosciuti a livello mondiale con una carta condivisa che scoraggi scelte aziendali dovute al solo profitto e basate sullo sfruttamento dei minori e dei più svantaggiati;[…] si dia vita a nuove istituzioni finanziarie mondiali e si riformino, in senso democratico e inclusivo, quelle esistenti […] perché aiutino il mondo a risollevarsi dalle povertà, dagli squilibri prodotti dalla pandemia; si premi e si incoraggi la finanza sostenibile ed etica, e si scoraggi con apposita tassazione la finanza altamente speculativa e predatoria». [vii]

Insomma, più che aiutare i poveri e gli emarginati a liberarsi dallo sfruttamento e dallo ‘scarto’, si dovrebbe dar loro ‘rispetto e stima’, riconoscendone i diritti e ‘scoraggiando’ scelte economiche dettate dal ‘solo profitto’. Anche la finanza speculativa andrebbe più che altro ‘scoraggiata’, promovendo quella ‘etica’. Ma Papa Bergoglio ha usato parole molto più dure e radicali nei confronti del capitalismo, ammonendo anche a non cercare comode scorciatoie assistenzialistiche.

«Non basta puntare sulla ricerca di palliativi nel terzo settore o in modelli filantropici. Benché la loro opera sia cruciale, non sempre sono capaci di affrontare strutturalmente gli attuali squilibri che colpiscono i più esclusi e, senza volerlo, perpetuano le ingiustizie che intendono contrastare […] Occorre accettare strutturalmente che i poveri hanno la dignità sufficiente per sedersi ai nostri incontri […]E questo è molto più che assistenzialismo: stiamo parlando di una conversione e trasformazione delle nostre priorità e del posto dell’altro nelle nostre politiche e nell’ordine sociale». [viii]

Eppure non si sembra proprio che i poveri siano stati protagonisti d’un incontro dominato dall’intento di ribadire il ruolo centrale di una leadership aperta e illuminata.

«Le istituzioni nazionali e internazionali prevedano premi a sostegno degli imprenditori innovatori nell’ambito della sostenibilità ambientale, sociale, spirituale e, non ultima, manageriale perché solo ripensando la gestione delle persone dentro le imprese, sarà possibile una sostenibilità globale dell’economia». [ix]

Sostenibilità e irenica benevolenza o nuovo modello di sviluppo?

Vandana Shiva

Un termine problematico che affiora più volte nel documento finale di Assisi è ‘sostenibilità’.

 «Lo sviluppo sostenibile è un concetto fluido e nei due passati decenni sono emerse varie definizioni […] Sebbene ci sia un generale consenso sul fatto che lo sviluppo sostenibile richieda una convergenza fra i tre pilastri dello sviluppo economico, della giustizia sociale e della protezione ambientale, il concetto resta elusivo…» [x]

A definire ‘fluido’ ed ‘elusivo’ il concetto di sostenibilità è stato un documento elaborato da un organismo dell’ONU. Io aggiungerei che tale ambiguità lo rende anche fuorviante, per cui non posso che concordare con le osservazioni espresse da Rocco Altieri.

«Leonardo Boff e Vandana Shiva hanno denunciato ancora una volta la falsa scientificità dell’economia accademica che separa l’economia dall’ecologia, che in realtà nella comune radice etimologica (dal greco oikos: casa) richiamano un’unica verità, la scienza della necessaria normazione della nostra casa comune. È stata l’economia moderna a determinare una frattura e una distorsione tra i due ambiti, considerando la natura solo come risorsa da sfruttare e ponendo come suo orizzonte la riproduzione del capitale, la mercificazione e lo scambio basato sul denaro, nella prospettiva della massimizzazione del profitto, dell’accumulazione del capitale e della crescita illimitata dei consumi». [xi]

Perseguire un modello di sviluppo alternativo è cosa ben diversa dal tentativo di razionalizzare ed umanizzare l’attuale modello capitalista. In tal modo non si mette davvero al centro la ‘casa comune’ e l’integrità del creato, ma si cerca piuttosto di ridurre i danni di uno sviluppo reso sinonimo di ‘crescita’, per attenuare la violenza strutturale d’un modello, predatorio ed iniquo. Scrive Altieri, citando l’economista gandhiano Kumarappa:

«Ogni regola umana che non segua il soffio e la vitalità della natura, che non rispetti l’equilibrio ecologico diverrà col tempo produttrice di violenza e di guerra. Il capitale, la mercificazione e lo scambio basato sul denaro hanno spinto gli uomini a dimenticare le condizioni fondamentali che rendono possibile l’esistenza sulla terra […] In questo senso l’economia rispettosa della natura diventa “permanente”, mentre quella parassitaria, praticata dall’economia moderna, è transeunte, senza futuro, perché distrugge le basi stesse della sua riproducibilità biologica» [xii]

Se dal documento finale non sembra emergere un’alternativa economica che vada oltre la spinta etica alla solidarietà ed alla condivisione, ancor meno vi si dice della prima causa di devastazione ambientale e di soppressione dei diritti umani: la guerra. Senza nemmeno citare l’alternativa della nonviolenza e della difesa civile e senz’armi, si fa ancora appello solo alla ‘buona volontà’: «Chiediamo infine l’impegno di tutti perché si avvicini il tempo profetizzato da…Isaia 2, 4. Noi giovani non tolleriamo più che si sottraggono risorse alla scuola, alla sanità, al nostro presente e futuro per costruire armi e per alimentare le guerre necessarie a venderle. Vorremmo raccontare ai nostri figli che il mondo in guerra è finito per sempre». [xiii] 

“Adelante, Pedro, con juicio, si puedes”

S’insiste sul ruolo ‘profetico’ dei giovani, chiamati ad impegnarsi e ad essere ‘insistenti’ nella loro richiesta, però all’orizzonte prospettato dall’incontro di Assisi non si profila nessuna rivoluzione disarmata, semmai un pacifismo un po’ vago. Al contrario, papa Francesco era stato molto esplicito in proposito, condannando la piaga della guerra e della corsa agli armamenti e ponendo la nonviolenza attiva come prospettiva.

«…oggi purtroppo siamo alle prese con una terribile guerra mondiale a pezzi […] questa violenza che si esercita “a pezzi”, in modi e a livelli diversi, provoca enormi sofferenze di cui siamo ben consapevoli: guerre in diversi Paesi e continenti; terrorismo, criminalità e attacchi armati imprevedibili; gli abusi subiti dai migranti e dalle vittime della tratta; la devastazione dell’ambiente […] grandi quantità di risorse sono destinate a scopi militari e sottratte alle esigenze quotidiane […] La costruzione della pace mediante la nonviolenza attiva è elemento necessario e coerente con i continui sforzi della Chiesa per limitare l’uso della forza attraverso le norme morali…» [xiv]

Questo pur prestigioso ed internazionale meeting di Assisi, dunque, non sembra aver aperto un capitolo davvero nuovo nell’impegno ecclesiale per dare concretezza effettiva al classico trinomio “giustizia, pace e integrità del creato”, terreno su cui già operavano da decenni varie organizzazioni cristiane, dai vari Uffici diocesani alle congregazioni religiose, soprattutto quelle ispirate proprio dallo spirito evangelico del Santo di Assisi.

«Il richiamo ossessivo che si è fatto nel convegno di Assisi agli obiettivi dello “sviluppo sostenibile” appare ambiguo e retorico, è un evidente ossimoro che fantastica mirabolanti rimedi tecnologi e manageriali per mantenere in realtà in piedi l’economia parassitaria e predatoria del capitalismo dominante…» [xv]

Si può essere più o meno d’accordo col severo giudizio espresso da Rocco Altieri, ma è difficile negare la delusione per il fatto che le indiscutibili potenzialità dell’iniziativa siano state vanificate da una sua conduzione moderata e poco disponibile a lasciarsi contagiare dal vento del nuovo e dell’alternativa. Non c’è dubbio che esperienze di economia solidale e partecipativa debbano essere parte del progetto del cambiamento auspicato dal Papa, ma è evidente che da sole non bastano, per cui rischiano di lasciare inalterata la realtà attuale, come ha sottolineato un teorico della trasformazione economica come Roberto Mancini.

«Quale contributo danno simili esperienze alla nascita di un’altra economia? Molti dei loro protagonisti sono consapevoli… del pericolo di realizzare delle nicchie economiche di qualità dei prodotti e di equità nelle relazioni intersoggettive, ma sempre all’interno del sistema vigente. In tal modo l’economia solidale sarebbe un’oasi che riconferma il predominio del deserto capitalista, per cui da essa non potrebbe venire alcuna spinta propulsiva…. verso il cambiamento del sistema». [xvi]

L’economia di Francesco – quello del XIII secolo come l’attuale papa – è un progetto molto più ardito e complesso, che la kermesse assisiate rischia di banalizzare, arginandola nei limiti dell’esortazione alla ‘prudenza’ ed al ‘giudizio’ del manzoniano Cancelliere Ferrer.

Ma, come leggiamo nel Vangelo: “Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai di dove viene e dove va” (Gv, 3:8). E non basta certo un prestigioso convegno per ingabbiarlo.


Note

[i] https://francescoeconomy.org/it/comitato/

[ii] Rocco Altieri, “L’economia di Francesco e la costruzione della pace”, editoriale del 22.11.2020, Il Dialogo > https://www.ildialogo.org/cEv.php?f=http://www.ildialogo.org/editoriali/autorivari_1606021775.htm

[iii] Ibidem

[iv] Citazioni dal documento: The Economy of Francesco, Final Statement and Common Commitment > https://francescoeconomy.org/it/final-statement-and-common-commitment/

[v] Vandana Shiva, Monocultures of the Mind, London, New Jersey, Zed Books Ltd, 1993 (Trad. italiana: Monoculture della mente. Biodiversità, biotecnologia e agricoltura «Scientifica», Torino, Boringhieri, 1995)

[vi] “The Economy of Francesco. Il Papa ai giovani: niente scorciatoie, sporcatevi le mani” , Avvenire (21.11.2020) > https://www.avvenire.it/economia/pagine/the-economy-of-francesco-messaggio-del-papa

[vii] Vedi documento finale cit.

[viii]https://www.repubblica.it/cronaca/2020/11/21/news/papa_francesco_non_siamo_condannati_a_un_economia_che_e_solo_profitto_-275261230/

[ix] Documento finale, cit.

[x] Sustainable Development –from Bruntland to Rio 2012, Background Paper for consideration by the High Level Panel on Global Sustainability, 19 September 2010 – Prepared by John Drexhage and Deborah Murphy, International Institute for Sustainable Development (IISD), U.N. (September 2010), p. 2 > http://www.un.org/wcm/webdav/site/climatechange/shared/gsp/docs/GSP16_Background%20on%20Sustainable%20Devt.pdf

[xi] Rocco Altieri, editoriale cit.

[xii] Ibidem – Circa il riferimento all’economista gandhiano, v. Joseph C. Kumarappa, Economia di condivisione. Come uscire dalla crisi mondiale, Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2011 (Quaderno Satyagraha n. 20)

[xiii] Documento finale, cit.

[xiv] Papa Francesco, La nonviolenza: stile di una politica per la pace, Giornata Mondiale della Pace 2017 > http://www.vatican.va/content/francesco/it/messages/peace/documents/papa-francesco_20161208_messaggio-l-giornata-mondiale-pace-2017.html

[xv] V. editoriale cit.

[xvi] Roberto Mancini, Trasformare l’economia – Fonti culturali, modelli alternativi, prospettive politiche, Milano, Franco Angeli, 2014, p. 232-233

L’inverno di san Martino

Da Marte a Martino

“Se passa un cavaliere con un pennacchio rosso /sull’elmo è san Martino, senza mantello indosso…”. Questi ingenui versi di Renzo Pezzani ci parlano – come in altre poesie filastrocche e proverbi – d’un santo spesso evocato dalle tradizioni popolari, ma in realtà poco conosciuto. Chi, infatti, non ha ripetuto i versi carducciani che ricordano la festa contadina in suo onore (“La nebbia a gli irti colli / piovigginando sale…”), o non ha visto almeno un’immagine che ritrae il santo cavaliere nel gesto di condividere il suo mantello con un mendicante infreddolito?  È appena passato l’11 novembre, data che ne commemora la sepoltura ed indissolubilmente legata alla ‘estate di san Martino’, entrata da secoli nella cultura popolare iberofona e francofona, ma presente anche in quella anglosassone.E poi, per uno come me, che vive da sempre a Napoli, la cui collina è dominata dalla splendida facciata della Certosa di san Martino, questo nome suona particolarmente familiare. Ma chi era veramente questo personaggio un po’ fiabesco?

Le narrazioni agiografie raccontano d’un bambino nato nel 316 d.C. in una cittadina della Pannonia (attuale Ungheria) ad un fiero tribuno della legione dei conquistatori romani, che lo aveva chiamato Martino, in onore del dio della guerra. Già da piccolo si era trasferito in Italia, a Pavia, dove al padre era stato assegnato un podere, in quanto veterano. Pochi anni dopo, in forza dell’editto imperiale del 331, fu reclutato in una Schola militare, diventando anche lui un cavaliere a tutti gli effetti. Inviato in Gallia, fece parte della Guardia Imperiale, svolgendovi mansioni di ordine pubblico più che strettamente militari, in quanto il circitor era spesso impegnato in ronde notturne. Fu proprio durante una di esse che, nel rigido inverno del 335, il giovane Martino si sarebbe imbattuto nel mendicante seminudo al quale, secondo l’antica leggenda, avrebbe donato metà del suo bianco mantello di cavaliere.

«All’età di 18 anni, quando donò metà del suo mantello al povero di Amiens, la notte seguente, Cristo gli apparve rivestito di quello stesso mantello: fu allora che decise di farsi battezzare. Terminato il periodo obbligatorio di servizio militare, a 25 anni lasciò l’esercito e si recò a Poitiers dal Vescovo Ilario».[i]

Martino, uno dei santi più venerati nel mondo occidentale, è ricordato principalmente per quel generoso gesto condivisione, ma di solito molto meno si sa dell’austera vita monastica intrapresa dopo la conversione e della sua intrepida battaglia contro l’eresia ariana, condotta dapprima a fianco di Ilario, il santo vescovo di Poitiers e, dopo il 371, come vescovo di Tours, nella regione centrale della Loira. Quasi forzato a questo incarico da clero e fedeli che lo avevano scelto come loro pastore, continuò comunque a vivere come prima la sua rigorosa vita monacale di preghiera condivisione ed evangelizzazione, lontano da onori ed occupazioni mondane e costantemente attento ai più poveri e derelitti.

«Per san Martino, amico stretto dei poveri, la povertà non è un’ideologia, ma una realtà da vivere nel soccorso e nel voto. Marmoutier, al termine del suo episcopato, conta 80 monaci, quasi tutti provenienti dall’ aristocrazia senatoria, che si erano piegati all’ umiltà e alla mortificazione. San Martino morì l’8 novembre 397 a Candes-Saint-Martin, dove si era recato per mettere pace fra il clero locale. Ai suoi funerali, che si celebrarono l’11 novembre, assistettero migliaia di monaci e monache. I nobili san Paolino (355-431) e Sulpicio Severo, suoi discepoli, vendettero i loro beni per i poveri: il primo si ritirò a Nola, dove divenne Vescovo, il secondo si consacrò alla preghiera».[ii]

Dalla ‘cappella’ ai… ‘cappellani’

Perché questa lunga premessa? A che cosa può servire, oggi, il ricordo di un nobile e santo personaggio vissuto oltre 1620 anni fa? Pochi sanno che alla storia del cosiddetto ‘apostolo delle Gallie’ – patrono dei re di Francia ma venerato devotamente in tanti altri paesi – è direttamente legata una parola neolatina che sentiamo ancora risuonare: ‘cappella’. Essa designava in origine il celeberrimo mantello di san Martino (la piccola ‘cappa’, divisa in due ma miracolosamente tornata integra), una reliquia custodita poi dai sovrani merovingi e carolingi nell’oratorio reale, per questo motivo chiamato ‘cappella’. Tale nome fu utilizzato in seguito per designare non solo gli oratori domestici dei palazzi nobiliari, ma anche chiesette cittadine e rurali, dove ufficiavano sacerdoti denominati appunto ‘cappellani’.

Il fatto è che questo termine fa scattare un campanello d’allarme negli antimilitaristi come me, evocando indirettamente l’istituzione dei ‘cappellani militari’, particolarmente potente nel nostro Paese. 

«L’Ordinariato militare per l’Italia è una circoscrizione personale della Chiesa cattolica, assimilata ad una diocesi ed equiparata ad un ufficio dello Stato; ha giurisdizione su tutti i militari delle forze armate italiane (Esercito, Marina militare, Aeronautica, Carabinieri, insieme alla Guardia di Finanza, in quanto corpo di polizia ad ordinamento militare), sui loro familiari conviventi e sul personale civile in servizio presso le forze armate”. [iii]

Attenzione: non stiamo parlando solo di ministri del culto addetti al servizio spirituale nei confronti del personale militare – come si verifica per altre realtà nazionali e denominazioni religiose – bensì di una vera e propria corporazione, riconosciuta sia come organo giurisdizionale dalle forze armate italiane, sia come diocesi autonoma dalla Chiesa Cattolica. Non si tratta semplicemente del ministero religioso esercitato nei confronti del personale militare, ma di una potente organizzazione gerarchica, le cui radici lontane affondano nella tradizione che, iniziata con i ‘sacerdoti castrensi’ dell’imperatore Costantino e seguita da quella dei ‘monaci-cavalieri’ medievali, s’interruppe con la Rivoluzione Francese ma fu ripristinata dalla Restaurazione e, in tempi recenti, ratificata dai concordati che regolano i rapporti fra Chiese e Stati.

«La giurisdizione dell’Ordinario militare è personale, ordinaria, propria ma cumulativa con quella del Vescovo Diocesano. Così i cappellani hanno diritti e doveri dei Parroci e giurisdizione cumulativa con le parrocchie locali. Il Presbiterio è formato da sacerdoti concessi da Vescovi Diocesani e Superiori Religiosi, ma prevede altresì l’erezione di un Seminario proprio con alunni da promuovere ai Sacri Ordini per l’Ordinariato militare […] L’Ordinariato Militare in Italia è regolato dagli accordi concordatari tra la Santa Sede e lo Stato Italiano, dalla legge statuale che disciplina il servizio di assistenza spirituale alle Forze armate, dalla Costituzione apostolica Spirituali ‘Militum curae’, dagli Statuti, dal Codex Iuris Canonici per quanto non viene espressamente stabilito nelle prescritte disposizioni ».[iv]

Ebbene, fra i Patroni dei corpi militari – dalla Beata Vergine Maria agli arcangeli Michele e Gabriele, fino a martiri ed altri santi, come Sebastiano, Giorgio, Marco, Maurizio, Giovanni da Capistrano etc. –compare ovviamente il nostro Martino di Tours, nominato d’ufficio patrono della Fanteria, sebbene nella sua vita precedente la conversione fosse un cavaliere. Ma non è certamente questa la contraddizione più grave…

Croci e stellette: l’insostenibile pesantezza d’un compromesso

In due miei precedenti articoli [v]avevo già affrontato la spinosa questione della compatibilità dello spirito evangelico – caratterizzato dalla fraternità, dall’amore anche per i nemici e dalla designazione come ‘beati’ dei costruttori di pace – con un’organizzazione integrata, di fatto, nella logica autoritaria, gerarchica ed indiscutibilmente violenta delle forze armate, e per di più resa parzialmente ‘autocefala’ all’interno della Chiesa Cattolica. A tal proposito, credo opportuno citare di nuovo le parole del missionario comboniano padre Alex Zanotelli, il quale sottolineava proprio come si tratti di un’istituzione:

«…in chiaro contrasto con il magistero di Papa Francesco contro la guerra e in favore della nonviolenza attiva. Ma è in contrasto soprattutto con il Vangelo perché l’Intesa integra i cappellani nelle Forze Armate d’Italia sempre più impegnate a fare guerra “ovunque i nostri interessi vitali siano minacciati”, come recita il Libro Bianco della Difesa della Ministra Pinotti. […] E per fare questo, c’è bisogno di armarsi fino ai denti, arrivando a spendere lo scorso anno in Difesa 25 miliardi di euro, pari a 70 milioni di euro al giorno. Tutto questo è in profondo contrasto con quanto ci ha insegnato Gesù. Per cui diventa una profonda contraddizione avere sacerdoti inseriti in tali strutture».[vi]

Tornando al nostro Martino di Tours, la contraddizione più stridente sicuramente non è quella che l’Esercito Italiano e quello francese lo abbiano impropriamente dichiarato patrono dell’arma della Fanteria, ma piuttosto che si tratta d’un grottesco capovolgimento del senso della sua storia. Quello che il padre legionario aveva chiamato ‘piccolo Marte’, dopo il forzato servizio militare – svolto peraltro con modalità più che altro ‘civili’ e con fraterno spirito di condivisione – si era convertito al cristianesimo, lasciando oneri ed onori delle armi e dedicandosi esclusivamente all’evangelizzazione, alla carità ed alla preghiera. Ma non si era trattato solo di rinnegare l’istituzione militare e l’imperialismo romano. Le fonti agiografiche [vii]ci raccontano di uno zelante catecumeno e missionario, poi di un umile e rigoroso monaco e infine di una persona che accetta di diventare vescovo solo per spirito di servizio, espungendo dal suo incarico ogni sovrastruttura autoritaria, mondana e gerarchica.

«Martino assolve le funzioni episcopali con autorità e prestigio, senza però abbandonare le scelte monacali. Va a vivere in un eremo solitario, a tre chilometri dalla città. […] Se da un lato rifiuta il lusso e l’apparato di un dignitario della Chiesa, dall’altra Martino non trascura le funzioni episcopali. A Tours, dove si reca per celebrare l’officio divino nella cattedrale, respinge le visite di carattere mondano. Intanto si occupa dei prigionieri, dei condannati a morte; dei malati e dei morti, che guarisce e resuscita».[viii]

Ecco perché, dopo 16 secoli, ricordare Martino come marziale cavaliere ed acclamato vescovo, quindi, significa far torto alla sua vera santità, radicata nel messaggio evangelico della carità fraterna, del magistero dell’esempio e del rifiuto di ogni potere che non fosse servizio. Ricordarlo oggi come il santo patrono di granatieri, bersaglieri, alpini, paracadutisti e lagunari è quanto meno improprio, così come lo stridente ossimoro originato dal mettere insieme il Vangelo di Cristo, Principe della Pace, e la gerarchica organizzazione di chi mescola disinvoltamente croci e stellette, clergyman e mostrine, rosari e medaglie…


Note

[i] “San Martino, il vescovo che con il dono del mantello fece rifiorire l’estate”, Famiglia Cristiana (11.11.2020) > https://m.famigliacristiana.it/articolo/san-martino-il-vescovo-che-con-il-dono-del-mantello-fece-fiorire-l-estate.htm

[ii] Ibidem

[iii] “Ordinariato militare per l’Italia” in Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Ordinariato_militare_per_l%27Italia

[iv] “Storia dell’Ordinariato”, in Ordinariato Militare per l’Italia > http://www.ordinariatomilitare.it/diocesi/storia/storia-dellordinariato/

[v] Cfr. Ermete Ferraro, “Pregare per l’unità dei cappellani militari?” (30.01.2020), Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2020/01/30/pregare-per-lunita-dei-cappellani-militari/  e, Idem, “Riforma ‘mimetica’ per religiosi con le stellette” (15.03.2020), Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2020/03/15/riforma-mimetica-per-religiosi-con-le-stellette/

[vi] Alex Zanotelli, “No ai 10 milioni di euro dello Stato per i cappellani militari”, MicroMega (16.03.2018) > http://temi.repubblica.it/micromega-online/no-ai-10-milioni-di-euro-dello-stato-per-i-cappellani-militari-appello-al-papa-di-padre-zanotelli/

[vii] Fra le fonti più antiche: Severo Sulpicio, Vita Martini  e Venanzio Fortunato, Vita di S. Martino di Tours; fra le agiografie più recenti, troviamo quella scritta da san Giovanni Bosco (Torino, 1855) >  http://www.donboscosanto.eu/oe/vita_di_san_martino_vescovo_di_tours.php

[viii] Cristina Siccardi, “San Martino di Tours”, Santi e Beati > http://www.santiebeati.it/dettaglio/25050