Un vocabolario Napoletano-Italiano per i ‘figli del popolo’

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UNA CLASSE ELEMENTARE DEL PRIMO NOVCENTO

Devo alla cortese segnalazione di un’amica se sono venuto a conoscenza di un prezioso esempio di sincera attenzione alla lingua napolitana ed ai ragazzi che ne facevano uso. Si tratta infatti di un raro volumetto datato 1910, edito dalla casa editrice Paravia e curato da un docente che si era adoperato per offrire un indispensabile strumento linguistico comparativo a coloro che frequentavano le scuole ‘primarie e secondarie inferiori’.[i]

Siamo nel primo decennio del XX secolo. L’unificazione politica della penisola italiana era stata realizzata solo una quarantina di anni prima e le scuole pubbliche del nuovo Regno d’Italia avevano più che mai bisogno di strumenti – sillabari, manuali, sussidiari, grammatiche – per affrontare la non facile opera di ‘italianizzazione’ di milioni di bambini e ragazzi, per i quali l’unica forma espressiva erano i propri idiomi regionali, normalmente solo parlati e declinati nelle rispettive numerose varianti locali.[ii]

Molto si è scritto e si è detto sulla colonizzazione de facto del Mezzogiorno d’Italia e sui gravi guasti apportati da una forzata piemontesizzazione di un territorio per secoli autonomo, sovrano, ricco di culture originali e, per tanti aspetti, addirittura più sviluppato e ricco del borioso Nord. Fiumi d’inchiostro sono stati versati sulle cause e sugli effetti della c.d. questione meridionale e sull’impatto negativo che questa indiscutibile nuova dominazione ha provocato su un meridione già di per sé diviso e problematico, deresponsabilizzato e reso subalterno da chi pretendeva d’imporgli un modello socio-culturale estraneo, mentre ne svalutava i valori e ne mortificava l’indipendenza.

Sappiamo bene che larga parte di questo processo è stato veicolato dall’imposizione di standard linguistici rigorosamente unitari, esaltando la lingua italiana e riducendo le parlate regionali a mere varianti, volgari e scorrette, dell’unico idioma comune nazionale.

Il supponente disprezzo per i dialetti locali e l’utilizzo della scuola pubblica come uno strumento per sgrossare l’espressione orale e scritta degli alunni/e fornendo come mezzo di comunicazione quella che, di fatto, era per loro una lingua straniera è un aspetto su cui altri si sono opportunamente soffermati, sottolineando che quest’azione richiedeva un insegnamento rigidamente normativo e sostanzialmente autoritario.

Tutto ciò premesso, d’altra parte, è stata per me una piacevole sorpresa scorrere le pagine di questo ingiallito manualetto, scritto oltre un secolo fa da Gaetano Ceraso, la cui prima edizione era stata pubblicata sotto gli auspici (per citare l’autore,”sotto l’autorevole protezione”) dell’allora Ministro della Pubblica Istruzione, il famoso psichiatra Leonardo Bianchi.

Vocabolari che traducessero l’universo culturale e specificamente verbale della lingua napolitana in quella italiana, soprattutto in quel periodo, non erano certo numerosi. Nel 1887 era già stato pubblicato quello curato da Raffaele Andreoli [iii] e, ancor prima dell’unificazione, era stato dato alle stampe il “Vocabolario domestico Napolitano—Italiano compilato da Giuseppe Gargano[iv].

L’esigenza che spingeva Gaetano Ceraso a pubblicare il suo libro appare però di tipo eminentemente pratico in quanto, per usare la sua stessa espressione, “risponde ad un vero e sentito bisogno dell’epoca nostra” .[v]

Si trattava in effetti d’una necessità di ordine educativo-didattico, ispirata dagli stessi Programmi ufficiali del Ministero della P.I., che: “…raccomandano costantemente lo speciale riguardo alle forme dialettali che sono le più frequenti; ed è tanto grande l’importanza che si annette a questo indispensabile mezzo di arricchimento per raggiungere la cortigiana favella che in sull’Arno avanza certamente in bellezza e dignità tutti i dialetti d’Italia…” [vi].

Alle nostre orecchie questo richiamo alla ‘cortigiana favella’ fiorentina ed alla sua speciale ‘bellezza e dignità’ suona senz’altro retorico e anche un po’ servile. Se si legge con un po’ di attenzione, però, risulta chiaro che, per Ceraso, il ‘riguardo’ alle forme dialettali riservato dalla regia scuola unitaria non è lo strumento d’una forzata rieducazione linguistica degli alunni, bensì un ‘mezzo di arricchimento’ lessicale in sé.

Lo stesso Italiano da insegnare, del resto, non sembra affatto posto su un ideale podio come ‘lingua’ contrapposta ai volgari e corrotti ‘dialetti’, ma piuttosto considerato il più ‘degno’ tra i vari dialetti della nostra penisola.

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LEONARDO BIANCHI

Continuando a leggere l’avvertenza di Ceraso ai suoi lettori, ci s’imbatte poi in una citazione tratta dai suddetti Programmi ministeriali che incrina un po’ la nostra comprensibile diffidenza:

L’esempio prima, la regola poi: è questo il vecchio aforisma pedagogico in ogni caso applicabile; dalla correzione degli errori comuni e specialmente dialettali, che sono i più frequenti, il maestro faccia pervenire gli alunni alla conoscenza chiara delle regole e procuri che queste si fermino bene nella mente facendo sì che gli alunni stessi le applichino ad una serie di esempi loro proposti, o meglio da essi trovati”. [vii]

Sicuramente siamo ancora lontani da una didattica attiva ed interattiva dell’educazione linguistica, ma direi che lo siamo ancor più da un insegnamento cattedratico e meramente normativo. Si fa esplicito riferimento al principio in base al quale l’esempio precede la regola e si invitano gli insegnanti a ribadire le norme linguistiche non in maniera fredda e puramente mnemonica, ma sollecitando gli scolari a partecipare in prima persona alla ricerca degli esempi.

L’aspetto che m’interessa di più, inoltre, è che da questo vocabolarietto non trasuda affatto la spocchia di chi pretenderebbe d’imporre la lingua egemone a dei subalterni, ma una sincera e direi cordiale attenzione alle espressioni tipiche del Napolitano, che l’autore dimostra di ben conoscere e praticare. Insegnare l’Italiano, in questa prospettiva, non sembra derivare dall’esigenza colonialista di sradicare l’espressione del popolo napolitano, semmai dall’intento di procedere da essa verso una conoscenza linguistica più articolata e soprattutto comune. E questo perché, come scriveva Ceraso: “…non è possibile conoscere tutta quanta la virtù della lingua se non studiando e cercando l’idioma del popolo; e frugando in esso si troverà il vero e natio vocabolo per ogni necessità del pensiero con vantaggio della brevità e della chiarezza…”. [viii]

Sinceramente sarei ben contento se queste affermazioni fossero contenute in un testo attuale di educazione linguistica, dove semmai si riserva un distratto capitoletto ai ‘dialetti d’Italia’, più per doverosa completezza del manuale che per un effettivo convincimento dell’utilità di un approfondimento di ciò che Ceraso chiamava ‘idioma del popolo’.

Il ‘vero e natio vocabolo per ogni necessità del pensiero’ è quello che l’antropologia culturale e l’ecologia linguistica ci hanno insegnato a considerare un patrimonio originale e prezioso da studiare e salvaguardare. Il persistente disinteresse – o peggio disprezzo – per gli idiomi regionali e dialettali – a distanza di 107 anni dalla pubblicazione del vocabolario di Ceraso – ci mostra viceversa quanta strada bisogna ancora percorrere per affermare la piena dignità di una lingua come il Napolitano.

Un’ultima osservazione che mi viene spontanea scorrendo il testo di Ceraso riguarda la sua lodevole insistenza sull’importanza della ricerca etimologica, a partire da quella sui sinonimi e dalla volontà di stabilire i necessari legami logici fra famiglie lessicali. Anche in questo caso egli cita le raccomandazioni dei Programmi ministeriali:

Il Maestro esperto può anche …esercitare gli alunni nella ricerca dei sinonimie dei derivati, riuscendo da un lato molto dilettevole anche ai giovinetti di scoprire , tra parole e parole, parentele cui essi non avrebbero mai pensato; questa ricerca fatta con abilità conduce gli alunni a trovare, colla guida del maestro, famiglie di vocaboli, le quali abbiano qualche estensione.” [ix]

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IL TESTO DI R. ANDREOLI

Anche in questo caso, se si considera quanto poco nelle scuole italiane ci si soffermi  tuttora sulla ricerca etimologica e sull’individuazione di famiglie lessicali e campi semantici, penso che le indicazioni che emergono da questo vecchio testo dovrebbero indurci a fare di più e meglio in direzione di un’educazione linguistica meno normativa e più ancorata allo studio degli usi linguistici ed al rispetto per gli idiomi avvertiti come antecedenti rispetto alla lingua nazionale.

E’ una questione di civiltà ma, ancor di più, di democrazia e di apertura mentale.

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[i] Gaetano Ceraso, Vocabolario napoletano-italiano e dizionarietto dei sinonimi: preceduti da un cenno storico sull’origine di Napoli, per gli alunni delle scuole primarie e secondarie inferiori, approvato dalle Commissioni previnciali schostiche di Napoli e Salerno, Torino-Roma, Paravia, 1910 (III ediz.).

[ii] Vedi: Tullio de Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 2017 . Cfr. anche: ANPI Lissone,  La funzione della scuola dopo l’Unità d’Italia > http://anpi-lissone.over-blog.com/article-la-funzione-della-scuola-dopo-l-unita-d-italia-67260283.html .

[iii] Raffaele Andreoli, Vocabolario Napoletano-Italiano, Trino-Roma, G.B. Paravia, 1887 > https://www.librerianeapolis.it/libri-84159/34-dialetto/4281-vocabolario-napoletano-italiano-raffaele-andreoli

[iv] Giuseppe Gargano, Vocabolario domestico Napolitano-Italiano, Napoli, N. Pasca, 1841 > https://books.google.fr/books?id=519JAAAAMAAJ&printsec=frontcover#v=onepage&q&f=false

[v] G. Ceraso, op. cit., “Al lettore”, s.p.

[vi]   Ibidem

[vii]  Ibidem

[viii] Ibidem

[ix]  Ibidem