Disastri ambientali vs spese militari

“Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri,
delle loro lance faranno falci;
una nazione non alzerà più la spada
contro un’altra nazione,
non impareranno più l’arte della guerra.” (Isaia, 2:4)

Torrenti di fango e fiumi di denaro

Il drammatico disastro ambientale registrato a Casamicciola d’Ischia, oltre che ampiamente ‘annunciato’ e prevedibile, è purtroppo l’ennesima prova di una sciagurata visione della spesa pubblica, che assurdamente privilegia ciò che distrugge gli ecosistemi rispetto a ciò che dovrebbe invece proteggerli, sanarli e promuoverli.

Non sono affermazioni ‘ideologiche’ ma semplice constatazione d’un allarmante quanto innegabile dato di fatto. Al netto delle reiterate e sacrosante proteste degli ambientalisti per il saccheggio del territorio, le speculazioni edilizie incrementate dai soliti condoni e l’assenza di una vera pianificazione urbanistica, è evidente che le priorità dei governi succedutisi in questi ultimi decenni non hanno premiato coi giusti investimenti la  prevenzione ed il risanamento del territorio, bensì accresciuto ulteriormente l’impatto antropico sugli ecosistemi, mascherandolo da incentivi allo sviluppo economico.

«Le risorse finanziarie stanziate dallo Stato per la spesa primaria per la protezione dell’ambiente e l’uso e gestione delle risorse naturali secondo il Disegno di legge di Bilancio ammontano a circa 6 miliardi di euro nel 2021 (cfr. Tavola 1 in Appendice), pari allo 0,9% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato. Le stesse registrano una flessione nel 2022 e nel 2023 (0,8% della spesa primaria complessiva del bilancio dello Stato)[i]

Secondo la stessa fonte, negli anni 2022 e 2023 tale spesa ambientale continua ad essere finalizzata in primo luogo alla “protezione e risanamento del suolo, delle acque del sottosuolo e di superficie” e alla “ricerca e sviluppo per la protezione dell’ambiente”, rispettivamente in misura del 38,0% e del 37,1%. Però si deduce dai dati che per questi due inderogabili impegni di uno stato civile l’Italia investe poco più di 4 miliardi e mezzo, a fronte di un impegno finanziario per la difesa armata quasi 7 volte superiore. Anche in questo caso non si tratta di illazioni personali, ma di dati ufficiali.

«Le spese finali del Ministero della difesa autorizzate dalla legge di bilancio per il 2022 sono pari a 25.956,1 milioni di euro, in termini di competenza, e rappresentano circa il 3 per cento delle spese finali del bilancio dello Stato […] Le spese autorizzate dalle varie leggi di bilancio dal 2016 in poi registrano un trend in crescita in termini assoluti, con un picco nel 2022, anno in cui le spese finali del Ministero della Difesa si avvicinano ai 26 miliardi di euro» [ii].

A scriverlo nero su bianco era l’Ufficio Studi della Camera dei Deputati, che peraltro pubblicava una tabella da cui si evinceva inoltre che la spesa per la ‘Difesa’ passerà da una percentuale sul bilancio generale del 3,3% nel 2022 al 3,4 previsto per il 2024. Si precisava inoltre che tali spese sono state incrementate nel corrente anno per quanto concerne quelle in conto capitale (22,3%), rispetto a quelle ‘correnti’ [iii]. Va precisato poi che la ‘struttura di previsione della Difesa’ è stata articolata su tre ‘missioni’, fra le quali quella denominata ‘Difesa e sicurezza del territorio’ assorbe addirittura il 93% del totale previsto (oltre 24 milioni). Da notare che di questa ingente massa di risorse la gran parte è stata destinata all’Arma dei Carabinieri, che da sola si è aggiudicata il 28,1% degli stanziamenti, a fronte del 9,3 della Marina o dell11,9 dell’Aeronautica.

’Missionari’ con elmetto e mimetica…

Ma se ai dati precedenti si aggiungono un miliardo e 397 milioni di euro – stanziati per il 2022 sul bilancio del Ministero dell’Economia e Finanze (MISE) – per le ‘missioni internazionali’ [iv] si arriva già ad un totale di 27miliardi e 353,6 milioni. Però lo stesso documento ricorda infine che a carico dello stesso MISE vanno attribuiti altri stanziamenti di competenza della Difesa, ed in particolare 4 capitoli che, riferendosi al programma 5 “Promozione e attuazione di politiche di sviluppo, competitività e innovazione di responsabilità sociale di impresa e movimento cooperativo”, finanziano in effetti l’ammodernamento della flotta navale ed alcuni programmi per il settore aeronautico militare (Eurofighter, Tornado, elicotteri ecc.) e per l’esercito (elicotteri, blindo Centauro ecc.).

«Il contributo complessivo di questi capitoli per il 2022– tutti relativi a spese di investimento – supera i 3 miliardi di euro, e si tratta di un importo rilevante, considerato che il totale delle spese in conto capitale del Ministero della Difesa assomma a 5,8 miliardi di euro. Si segnala, in merito, che una parte dei principali programmi di approvvigionamento dei sistemi d’arma gestiti dalla Difesa grava sullo stato di previsione del MISE, che gestisce i contributi destinati alle imprese nazionali coinvolte in questi programmi» [v]

Basta fare due conti e siamo già arrivati ad una spesa militare complessiva che supera i 30 miliardi di euro (pari a 82 milioni al giorno).  Perfino una fonte molto vicina al mondo dei militari, pur limitandosi alle cifre ufficiali spettanti al Min. Dif., ha riconosciuto senza problemi che: “per ciò che riguarda il Bilancio del Ministero della Difesa nel suo complesso, la dotazione finanziaria per il 2022 è pari a 25.956,1 milioni di euro; con un aumento 1.372,9 milioni rispetto ai 24.583,2 dello scorso anno. Praticamente, tutte le voci che la compongono risultano in crescita […] Non si ricorda nulla del genere nella storia recente…» [vi].

Per un progetto ecopacifista

Ebbene, pur volendo tralasciare il discorso di fondo dei movimenti pacifisti e antimilitaristi sulla necessità di arrestare questo fiume di denaro speso per alimentare il complesso militare-industriale e le guerre che produce, riconvertendolo per finalità civili e sociali e per il risanamento ambientale come proposto ad esempio dalla Campagna nazionale ‘Sbilanciamoci’ [vii], credo che qualche considerazione generale vada comunque fatta, se non altro da semplici cittadini italiani prima ancora che da attivisti nonviolenti.

  • Alimentare il vorace sistema militare italiano con una spesa totale di 30 miliardi di euro vuol dire spendere oltre 82 milioni al giorno per una ‘difesa’ esclusivamente armata e militarizzata, impermeabile alle normative e largamente aperta ad interventi di dubbia costituzionalità in ambito NATO e fuori del territorio nazionale.
  • Ad esempio, gli stessi 80 milioni (non per un giorno ma per l’intero anno) sono stati stanziati agli enti del terzo settore – per fronteggiare l’emergenza Covid 19. [viii]
  • Meno ancora di quegli 80 milioni (precisamente 77,468) sono stati previsti nel bilancio preventivo del Comune di Napoli – in tutto il 2023 – per il comparto denominato ‘Istruzione e diritto allo studio’ [ix].
  • Tenendo conto che il costo medio della costruzione di un ospedale oscilla tra 200 e 600 milioni di euro [x] , per realizzarli occorrerebbero quindi da 3 a 8 giorni di spesa per la ‘difesa’.
  • Considerando che uno dei preziosi escavatori che abbiamo visto impegnati per fronteggiare l’emergenza alluvionale di Casamicciola può costare circa 20.000 euro, è facile dedurre che con il costo di un solo blindato ‘Lince’ (quasi 1, 2 milioni di euro) se ne potrebbero acquistare ben 60, indubbiamente molto più utili e funzionali.

Non voglio insistere su questo raffronto perché credo sia già chiaro che il tragico dissesto idrogeologico e gli altri gravi problemi ambientali del nostro Paese non hanno bisogno di dichiarazioni ipocrite né di opportunistiche proposte di collaborazione da parte delle strutture militari, ma di scelte chiare per una loro urgente riconversione. Non è infatti la protezione civile a dover fruire di mezzi e risorse umane della Difesa, bensì quest’ultima a dare spazio ad una componente civile, popolare e disarmata.

«Il sistema militare rappresenta in sé una minaccia all’ambiente anche quando non è ‘operativo’. È infatti evidente che il suo enorme impatto sulle risorse energetiche, sulle condizioni dell’aria dell’acqua e del suolo, sulla sicurezza e sulla salute delle comunità locali, che di fatto va a occupare, sottraendosi ad ogni controllo e al rispetto dei vincoli normativi vigenti» [xi].

Lo scrivevamo lo scorso anno noi del M.I.R., tratteggiando il nostro progetto ecopacifista, lo riconfermiamo tanto più oggi.  Lo facciamo non solo di fronte all’intollerabile devastazione ambientale provocata dalla/e guerra/e ma, nel piccolo,  anche al disastro che ha colpito ancora l’isola d’Ischia, risultato dello sfruttamento irresponsabile delle sue eccezionali risorse ambientali ma anche della responsabilità di chi continua a spendere denaro pubblico per un sistema di distruzione e di morte, sottraendo peraltro denaro indispensabile per proteggere e promuovere la vita, umana e naturale e per evitare la catastrofe ecologica.

NOTE


[i]  https://www.rgs.mef.gov.it/_Documenti/VERSIONE-I/Attivit–i/Bilancio_di_previsione/Ecobilancio/2021/Ecobilancio-dello-Stato-2021.pdf

[ii] https://www.camera.it/temiap/documentazione/temi/pdf/1255062.pdf?_1669488043663

[iii] Ibidem

[iv] Ibidem

[v] Ibidem

[vi]  https://www.analisidifesa.it/2022/02/il-bilancio-della-difesa-2022/#:~:text=Per%20ci%C3%B2%20che%20riguarda%20il,24.583%2C2%20dello%20scorso%20anno.

[vii] Cfr. https://sbilanciamoci.info/la-legge-di-bilancio-alternativa-della-campagna-sbilanciamoci/

[viii] Cfr. https://www.cantiereterzosettore.it/80-milioni-di-euro-agli-enti-del-terzo-settore-per-lemergenza-covid-19/

[ix] Cfr. Comune di Napoli, Bilancio Previsione 2022-24 https://www.comune.napoli.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/45473

[x] Cfr. https://www.cuneodice.it/attualita/cuneo-e-valli/il-costo-di-un-nuovo-ospedale-dai-180-ai-200-milioni-di-euro_15597.html  e https://baiadellaconoscenza.com/dati/argomento/read/230658-quanti-soldi-servono-per-costruire-un-ospedale

[xi] Movimento Internazionale della Riconciliazione, La colomba e il ramoscello. Un progetto ecopacifista, Torino, Ed. Gruppo Abele, 2021, p.55

© 2022 Ermete Ferraro

Etimostorie #8: VICO, VICOLO

 

I vicoli, si sa, costituiscono una caratteristica tipica non solo di Napoli e di altri borghi del meridione, ma anche di tante città italiane e di parecchie località al di fuori della nostra penisola. Ovviamente in quei casi assumono denominazioni differenti a seconda della rispettiva lingua, dai vocaboli inglesi alley e lane al francese ruelle, dallo spagnolo callejòn al tedesco Gasse, dal greco dromàki al russo perèulok, per non parlare dell’arabo ziquaq o del cinese hutòng. Quasi tutte le parole citate, comunque, alludono a una via piccola e stretta, così come peraltro spiegano il dizionario ‘Treccani’ (“s. m. [lat. vicŭlus, dim. di vicus. – Nel linguaggio corrente, e anche nella toponomastica ufficiale, nome dato a vie urbane di modeste dimensioni, soprattutto in larghezza“) e ‘Garzanti’ (“via molto stretta e di secondaria importanza, in un centro urbano dim. vicoletto, vicolino, pegg. Vicolaccio. Etimologia: ← dal lat. vicŭlu(m), dim. di vīcus; cfr. vico”).

Eppure, etimologicamente parlando, i ‘vicoli’ non nascono come stradine strette e tortuose, ma come veri e propri agglomerati comunitari, con una loro specifica natura sul piano toponomastico, lavorativo o identitario. Infatti i vicoli, come sanno bene i Napolitani [i] , oltre alle consuete intitolazioni a noti personaggi, hanno assunto spesso denominazioni legate talvolta alla provenienza geografica degli abitanti (es. vico Cinesi, Rua Toscana, Rua Catalana, vico Venafro, vico Egiziaca, vico Trinità degli Spagnoli etc.); attestano caratteristiche naturalistiche e geologiche (es. vico Fico, Palma, Pero, Pergole, Rose, Quercia, Limoncello, Melofioccolo, Mortelle, Noce, Nocelle, Tiglio, Olivella, Pignasecca, Marina, Molo vecchio, Ponte, Sedile di Porto, Gravina, Petraio, Grotta vecchia…) oppure richiamano mestieri ed attività che anticamente li caratterizzavano (es. Calzolai, Lammatari, Impagliafiaschi, Scassacocchi, Panettieri, Scoppettieri, Scopari, Chiavettieri, Figurari, Giubbonari, Tarallari, Tessitori, Tinellari, Ventaglieri, ma anche: Forno, Zabatteria, Gabella, Pallonetto, Molino, Spezieria, Vetriera etc.).[ii]  

Come si vede, in una prospettiva storica i vicoli sono stati una sorta di villaggi urbani, di aggregazioni comunitarie i cui abitanti si sentivano uniti da legami specifici. Non è certo un caso che nella Napoli antica, i residenti in certe aree della polis greco-romana si riunissero in 12 fratrìe, termine ellenico che rinviava appunto a legami parentali e/o a divisioni sociali di tipo clanistico all’interno della stessa tribù [iii].

Ma da dove derivano la parola ‘vicolo’ e ‘vico’? Certo, chi ha studiato il greco al liceo classico ha maggiori possibilità di scoprire le radici etimologiche di molte parole italiane di uso comune. C’è però un limite a tale conoscenza pregressa, poiché – come capita anche nel latino – la pronuncia dei vocaboli ellenici che ci è stata insegnata si è modificata nel tempo, rendendo così meno evidenti alcune somiglianze. Basti pensare al grafema β, comunemente letto come /b/ sebbene, anche nel greco moderno, si pronunci sempre /v/, oppure al grafema η, usato come se fosse solo una /e/ stretta e non una /i/, ragion per cui lo stesso nome della prima lettera è solitamente letto come ‘béta’ mentre dovrebbe essere pronunciato ‘vìta’.  Se aggiungiamo poi che alcuni segni grafici del greco antico sono scomparsi dalla grafia comune di quello ‘classico’, pur essendo avvertiti dai parlanti, si comprende che ci troviamo di fronte ad un altro piccolo ostacolo alla comprensione. È il caso del digamma (dal greco antico δίγαμμον o δίγαμμα (maiuscolo Ϝ, minuscolo ϝ), un grafema usato nella fase più arcaica.

La lettera rappresentava l’approssimante labiovelare sonora /w/. Il suo nome originale è sconosciuto, ma era verosimilmente chiamata ϝαῦ (/waw/ […] Un esempio è la parola ἄναξ (ànax, “re”) trovata nell’Iliade, che all’origine era probabilmente ϝάναξ (corrispondente al *wànaks, scritto wa-na-ku-su, delle tavolette micenee in lineare B) […] Altre evidenze insieme ad un’analisi filologica dimostrano che οἶνος era in precedenza ϝοῖνος *wòinos (confronta il lat. vinum (pronuncia antica /winom/) e l’ingl. wine)” [iv].

Si comprende allora evidente che da vocaboli greci come οἶκος (òikos > casa) o οἶνος (òinos > vino) appare meno trasparente l’etimologia di quelli italiani se non si tiene conto del ‘digamma’ che li precedeva e della pronuncia /i/ dell’originario dittongo /oi/. Viceversa, nella dizione *wìcos e *wìnos è agevole scorgere l’affinità con le nostre parole ‘vico’ e ‘vino’. Del resto, basta consultare un dizionario etimologico per scoprire che ‘vicolo’ ha una stretta parentela col primo dei due vocaboli greci citati, in quanto il concetto di ‘casa’ (per i popoli antichi ma anche per molti Napolitani di oggi…) si estendeva all’esterno delle mura domestiche, soprattutto nel caso di case popolari di ridotte dimensioni come i ‘bassi’, comprendendo parte dell’ambiente esterno, strada compresa.

“Il greco moderno dice abitualmente spiti per ‘casa’, ma tutta la famiglia di òikos, oikìa, coi suoi derivati e composti, è largamente rappresentata: da notare oikogéneia (famiglia), noikokyra (padrona di casa), voikiàzo (affittare) […] vicus, propriamente ‘villaggio’, da cui poi villa, intesa come dimora extra-cittadina…La radice è poi la stessa dell’italiano ‘vicino’, ‘vicolo’ e derivati…”. [v]  

Non è quindi un caso che ‘vico’ non indichi solo una stradina angusta all’interno delle città antiche (si pensi ai vicoletti che discendono direttamente dagli sténopoi della Neapolis greca), ma anche l’elemento toponomastico distintivo di borghi e cittadine (ad es. Vico Equense, Vico pisano, Vico del Gargano etc.). Il vicolo, dunque, era e spesso resta il luogo distintivo del rapporto coi ‘vicini’, una casa allargata a parenti ed amici, coi quali si condivideva, oltre alla condizione socio-economica, un’affinità lavorativa e spesso perfino espressiva (si pensi ai ‘dialetti’ tipici di un ristretto territorio). 

Non dobbiamo dimenticare però che dal greco antico οἶκος (pronunciato ‘ìkos’) sono derivati altri importanti vocaboli moderni, con la differenza che il dittongo /oi/ è stato letto latinamente come /e/. Pensiamo solo a parole come ‘economia’ ed ‘ecologia’, spesso contrapposte ma di cui andrebbe invece riscoperta la comune radice. Se infatti la prima è la regola per amministrare e stabilire una regola (nomìa) alla ‘casa’ nel senso ampio prima chiarito, l’eco-logìa ci riporta invece all’ambiente naturale, quella “casa comune” alla cui “cura” ci ha richiamato appassionatamente papa Francesco, a partire dalla sua fondamentale enciclica “Laudato si’ “. [vi]  Dalla ricerca di un giusto equilibrio tra esigenze umane ed equilibri ecologici, pertanto, dipende il perseguimento dell’obiettivo di quella “economia ecologica” di cui Kenneth Boulding è stato un capostipite. 

“L’economia è un termine antichissimo che indica le norme che regolano quanto avviene in una casa (ecos), in una comunità, sotto forma di scambi di beni e di denaro fra gli abitanti; l’ecologia, una parola inventata appena un secolo e mezzo fa, indica come si svolgono i rapporti fra gli occupanti di una comunità biologica, di un ecosistema, che può andare da un piccolo stagno all’enorme mare, all’intero pianeta Terra. […] Boulding è stato instancabile nel “predicare”, direi, la necessità di un cambiamento nelle regole dell’economia; compatibile con i vincoli ecologici della Terra…”. [vii]

In passato, a proposito delle specificità di Napoli, si è parlato spesso di “economia del vicolo”, alludendo ad un sistema produttivo di sopravvivenza, arcaico e solidaristico, localizzato nella parte più antica e povera della città (il c.d. ‘ventre di Napoli’) e caratterizzato da piccole attività artigianali, di autoproduzione e di scambio, nonché spesso da traffici illeciti o ai limiti della legalità. Ma l’etimologia comune di queste due parole (vicolo ed economia), ci spinge a fare qualche opportuna riflessione.

Senza lasciarsi attrarre da tentazioni folkloristiche e nostalgie passatiste, infatti, uno dei modi per cambiare davvero l’economia, invertendo la tendenza che l’ha resa l’opposto di un atteggiamento e comportamento ecologico, credo sia proprio il recupero della dimensione locale, minore, egualitaria, solidaristica e comunitaria del vivere. Un’esistenza dai modi e dai ritmi più lenti, più profondi e più dolci, come suggeriva Alex Langer [viii] , contrapponendo questa formula a quella olimpica (ma anche economica) sintetizzata nel noto slogan “altius, citius, fortius”.

Non bisogna tornare alla tradizionale (e tautologica) ‘economia del vicolo’, ma sicuramente dobbiamo invertire la rotta e recuperare una visione realmente alternativa, sobria, ecologica e di condivisione, come ci hanno indicato autori come lo statunitense Lester R. Brown [ix], l’indiano Joseph C. Kumarappa [x] ed il nostro Francesco Gesualdi [xi]. La cura della ‘casa comune’ dell’umanità non può prescindere da nuovi rapporti sociali ed economici che le restituiscano una dimensione conviviale, fondata sul bene comune e sul rispetto degli ecosistemi naturali, come ha giustamente sottolineato anche Roberto Mancini [xii].

Solo così l’òikos che abitiamo potrà tornare ospitale (spiti) e accogliente, garantendo un futuro alle prossime generazioni ma anche un presente meno drammatico alla nostra.


[i]   https://it.wikipedia.org/wiki/Fratria ed anche https://cosedinapoli.com/culture/__trashed/ Cfr. https://cosedinapoli.com/culture/vie-vicoli-e-vicoletti/

[ii]   Cfr. Stradario_del_Comune_di_Napoli_ordinato_per_Toponimi_aggiornato_al_2_12_2019.pdf

[iii]  https://cosedinapoli.com/culture/vie-vicoli-e-vicoletti/     

[iv]  https://it.wikipedia.org/wiki/Digamma

[v]  https://www.corsi.univr.it/documenti/OccorrenzaIns/matdid/matdid735966.pdf

[vi]  Cfr. https://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20150524_enciclica-laudato-si.html   e  https://www.vaticannews.va/it/papa/news/2018-05/papa-francesco-enciclica-laudato-si-ecologia-creato.html

[vii]  Giorgio Nebbia, Kenneth Boulding, padre dell’economia ambientale, 2010 > http://www.fondazionemicheletti.it/nebbia/sm-3176-kenneth-boulding/  . Fra le ultime opere di K. Boulding v. Towards a New Economics: Critical Essays on Ecology, Distribution, and Other Themes, Edward Elgar, 1992.

[viii]  Vedi  https://www.alexanderlanger.org/it/1044/4506

[ix]  Cfr. Eco-economy, Una nuova economia per la Terra, Roma, Editori Riuniti, 2002

[x]  Cfr. Economia di condivisione. Come uscire dalla crisi mondiale, Pisa, Centro Gandhi Edizioni, 2011

[xi]  Cfr.  Sobrietà. Dallo spreco di pochi ai diritti di tutti, Milano, Feltrinelli, 2010

[xii]  Cfr. Trasformare l’economia. Fonti culturali, modelli alternativi, prospettive politiche, Milano. Franco Angeli, 2014

© 2022 Ermete Ferraro