“RISCATTO MEDITERRANEO” ?

RISCATTO MEDITERRANEOL’amico Alfio Rizzo, di VAS Lombardia, mi ha sollecitato a dare un mio contributo – sia pure da lontano – alla presentazione a Magenta (MI) del libro di Gianluca Solera dallo stimolante titolo “Riscatto Mediterraneo – Voci e luoghi di dignità e resistenza”. Purtroppo la distanza ed impegni precedenti mi hanno impedito di essere presente a quell’incontro e, inoltre, confesso che non conoscevo in precedenza né l’autore né il libro, per cui il mio modesto apporto avrebbe potuto essere riferito solo alle mie idee ed esperienze personali come ecopacifista meridionale.

Devo dire che, cercando notizie su internet, ho scoperto che tra Gianluca Solera e me ci sono alcuni interessanti punti in comune. Basta scorrerne la biografia sul suo sito web, ad esempio, per imbattersi in questa auto-presentazione: ”Sono per storia personale, esperienza professionale e impegno civile un uomo di frontiera, che ama dialogare, costruire ponti, affrontare crisi e conflitti senza pregiudizi, e portare la società in movimento nelle istituzioni.” (http://gianlucasolera.it/info/ ). Già questo me lo rende molto vicino, ma continuando la lettura ho scoperto anche altre analogie, come il suo impegno nei Verdi, la cultura cattolica di base, l’attivismo eco sociale ed ambientalista, l’adesione ai principi nonviolenti e, quindi, ad una visione ecopacifista di fondo.

Fatta questa premessa, vorrei però esplicitare ora il mio pensiero sulle questioni di cui si occupa il libro di Solera – di cui finora conosco solo la presentazione – cioè il tipo di “riscatto mediterraneo” cui stiamo assistendo in questi anni, nei quali si rincorrono convulsamente bagliori di “primavere arabe” ed una tragica escalation di conflitti armati e di militarizzazione di quello stesso Mediterraneo.

Scrive l’autore nell’introduzione:“Un viaggio nel Mediterraneo che ritorna al centro della Storia, perché tutto è cambiato dopo la Primavera araba, per noi e per loro. Una narrazione letteraria che racconta di coloro che hanno preso in mano il futuro, sfidando morte e ingiustizia. Con le rivoluzioni arabe e i movimenti contro crisi e austerità che le ha accompagnate, questa parte del mondo è diventato il fulcro del cambiamento, dove si sperimenta un nuovo progetto di civilizzazione. […] Un libro che invita a sperare che il futuro immaginato nelle piazze delle città del Mediterraneo sia l’inizio di un percorso sociale, culturale e politico comune. Più giusto, più onesto, più democratico, più creativo. Più mediterraneo.” (http://gianlucasolera.it/category/italiano/).

Credo che la posizione che emerge dal libro sia abbastanza articolata e risenta più della diretta esperienza dell’autore (che vive spesso al Cairo ed ha una formazione ‘internazionale’) che di una rigida posizione ideologica. La centralità ed importanza di quanto sta cambiando nella regione nordafricane ed in quella sud-europea ha indubbiamente una grande importanza e dovrebbe farci riflettere molto di più sugli scenari che si stanno aprendo. Ma è proprio per questo che, come ecopacifista, ho buttato giù alcune considerazioni generali.

Parlare di “primavere arabe” significa ricorrere ad una convenzione linguistica – e quindi anche ideologica – secondo la quale le popolazioni dei paesi del vicino e medio Oriente, accomunate dalla fede islamica pur nelle sue molte sfaccettature, si sarebbero liberate (oppure avrebbero cercato di farlo) da una situazione socio-politica di tipo autoritario, spesso con connotazioni di controllo militare del potere e/o d’integralismo religioso. Tali processi sarebbero stati avviati attraverso mobilitazioni popolari dal basso, auto dirette, nutrite da una legittima ribellione in difesa dei diritti civili e politici e/o per un’autonomia nazionale rispetto ad egemonie esterne. Purtroppo questo quadro è vero solo in parte. In molti casi, viceversa, le rivolte contro il dominio dispotico dei vari “raìs” e delle milizie che li affiancavano non sono state originate da spinte autonome, ma pesantemente influenzate da impulsi e finanziamenti da parte di soggetti esterni, interessati a modificare gli assetti geo-politici nello scacchiere mediorientale.

Certo, l’espressione “primavere arabe” evoca in me  – da vecchio nonviolento – un istintivo consenso nei confronti di rivoluzioni che, oltre ad essere frutto della crescita di una coscienza popolare diffusa e di una ricerca di un comune interesse, siano anche ispirate ai principi del rifiuto della violenza armata e, quindi, al ricorso a tecniche di resistenza nonviolenta, di disobbedienza civile, di creazione di organi di autogestione in alternativa ai governi autoritari in carica. Questo è effettivamente successo in vari casi (dai tempi dell’Iran a quelli delle prime rivolte egiziane) ma non mi sembra il genere di trasformazione in atto nella maggioranza degli stati islamici per i quali si è continuato ad usare tale termine. Elementi di tipo etnico, tribale, confessionale (es. conflittualità tra sunniti e sciiti), economico e politico (nel senso d’influenze legate a schieramenti ed alleanze esterne agli interessi specifici di una determinata popolazione/stato) hanno condizionato alcune “rivolte spontanee”, così come i traffici palesi e nascosti di armamenti ne hanno armato il braccio operativo, annullando la loro autenticità popolare e spegnendo sul nascere esperienze di resistenza nonviolenta o comunque non armata.

primavera arabaPerché si possa davvero parlare di “primavere arabe”, da un punto di vista ecopacifista, penso sarebbe necessario che tali insurrezioni-rivoluzioni rispondessero a dei criteri caratteristici di una visione complessivamente democratica, ma anche ecologista e pacifista. L’autonomia energetica, il rispetto della diversità biologica ma anche di quella culturale, il rifiuto del militarismo, la tutela dei diritti umani fondamentali, la ricerca di modalità partecipative, federaliste e autogestionarie di governo, per fare alcuni esempi, non dovrebbero essere pertanto delle variabili indipendenti per valutare positivamente questi movimenti. Viceversa, modelli di potere verticisti, autoritari, militaristi, etero-diretti e del tutto indifferenti agli equilibri ecologici mi sembrano poco consoni ad una logica di autentico sviluppo e di alternativa socio-politica.

La visione espressa nelle passate “Feste della Biodiversità” di Napoli – e che come VAS Campania stiamo continuando a portare avanti – pone l’accento su almeno tre elementi fondamentali:   (a) lo spostamento del baricentro verso una solidarietà effettiva dei paesi delle due sponde del Mediterraneo (superando l’attuale visione “carolingia” dell’Europa e focalizzando attenzione verso il Sud);  (b) il rilancio delle battaglie per salvaguardare realmente la biodiversità, con le connesse problematiche climatiche ed energetiche;    (c) la progressiva liberazione del Mediterraneo dalla pesante ipoteca del controllo militare da parte della NATO, ma anche il superamento di un’anacronistica conflittualità fra mondo ‘occidentale’ e paesi islamici, in nome di una solidarietà fondata sul rifiuto di ogni integralismo e militarismo, pur nel rispetto – e addirittura della valorizzazione – delle diversità culturali e linguistiche. Io stesso mi sono interessato di questi aspetti, soffermandomi su di essi soprattutto in chiave di “ecologia linguistica” e di analisi critica del “pensiero unico” che la globalizzazione ha indotto, provocando quelle che Vandana Shiva chiamava “monoculture della mente”.

Uno dei problemi strettamente connessi a questa visione alternativa della solidarietà euro-mediterranea – in chiave socio-culturale ma anche ecopacifista – credo che sia quello del “colonialismo energetico” di cui – nel silenzio generale – si stanno rendendo responsabili gli stati leader europei (come la Germania) oltre a superpotenze come gli USA. Da ambientalisti, ovviamente, siamo tutti molto favorevoli ad una rapida e vasta espansione delle energie rinnovabili ed in particolare di quella solare. Viceversa, operazioni neocoloniali come quella dello sfruttamento dei deserti nord-africani con megaimpianti stranieri, per accaparrarsi quantitativi enormi di energia solare captata con campi fotovoltaici, pannelli a concentrazione o con sistemi di solare termodinamico, dovrebbero invece incontrare la ferma opposizione di chi non pensa che sostituire il sole al petrolio possa essere un modo diverso per sfruttare i paesi africani, utilizzando fra l’altro metodiche contrarie al principio dell’autonomia energetica dei territori e reti elettriche sempre più lunghe ed energeticamente ‘dispersive’.

 L’ultimo punto che vorrei ribadire è quello relativo alla salvaguardia del Mediterraneo e della sua impareggiabile biodiversità da ogni forma di inquinamento e compromissione ecologica. Le recenti proteste di VAS contro le assurde e pericolose operazioni di “distruzione” in mare di grossi quantitativi di agenti chimici tolti alla Siria, o anche contro le navi cariche di scorie nucleari che solcano il “Mare Nostrum” e di cui non si hanno notizie precise (vedi il caso La Spezia) sono alcuni esempi di azioni nelle quali tutta la nostra Associazione dovrebbe forse sentirsi più attivamente coinvolta e partecipe. Lo stesso discorso si potrebbe fare per il serio rischio ambientale e socio-sanitario connesso al gran numero di natanti militari a propulsione nucleare (portaerei, incrociatori, sottomarini…) che solcano il Mediterraneo ed approdano indisturbati nei nostri porti civili. In questo senso, mi sembra opportuno rilanciare la battaglia (di democrazia prima che ecologica) per rendere trasparenti i piani di emergenza, già obbligatori per legge. Ma bisogna anche lottare per impedire questo incredibile traffico di micidiali centrali nucleari galleggianti in un Paese che per due volte ha respinto il nucleare civile ma subisce passivamente il dominio di un complesso militare-industriale che minaccia la sicurezza e la stessa pace.

Spero che Gianfranco Solera trovi un po’ di tempo per leggere queste mie osservazioni e, peraltro, sono certo che egli condivida gran parte delle preoccupazioni che ho manifestate. Ecco perché mi riprometto di leggere quanto prima il suo libro, che ha senz’altro il merito di puntare l’attenzione al contesto mediterraneo al quale – perfino in periodo di elezioni europee – sembra invece che noi italiani non sappiamo prestare la dovuta attenzione, preferendo guardare a Berlino ed a Bruxelles piuttosto che all’altra sponda del Mare Nostrum.

© 2014 Ermete Ferraro https://ermeteferraro.wordpress.com 

MA CHI CI DEPURERÁ DALLE SCORIE NUCLEARI…?

nave nucl

 Non c’è quasi nessuno ormai che non associ una marca di acque minerali, che pretendevano di depurare l’organismo dalle scorie , all’accattivante slogan che ne esalta i mirabolanti risultati grazie all’affascinante immagine della sua testimonial, che si dichiara “…pulita dentro e bella fuori”. Il solo fatto di riuscire a provocare nei suoi consumatori la produzione di “tanta plin plin” , comunque, pare che non sia bastato ad evitare a quella ditta l’accusa di ricorrere ad una pubblicità ingannevole.

Ma allora che cosa dovremmo dire noi quando sedicenti Autorità pretendono di farci digerire dichiarazioni reticenti e rassicurazioni ancora più improbabili sulla totale sicurezza delle operazioni di transito e carico su una nave inglese ormeggiata a La Spezia di ben tre TIR di scorie nucleari destinate chissaddove?  Beh, in quel caso non si tratta certo di “pubblicità”. Anzi, potremmo coniare l’accusa di “non-pubblicità ingannevole”, visto che l’inganno dell’opinione pubblica risiede proprio nella volontà che anima Lorsignori di continuare a secretare, e quindi ad occultare, informazioni che invece riguardano la sicurezza dei cittadini e dei territori interessati da rischi specifici, come quello nucleare.

Solo una quarantina di giorni fa alcuni carichi di agenti chimici provenienti dalla Siria – che avrebbero dovuto essere ‘distrutti’ in pieno mare Mediterraneo, non lontano dalle cose italiane e dalle isole greche – sono stati disinvoltamente introdotti nel porto di Gioia Tauro e lì caricati su una nave militare. Ebbene, di fronte alle reazioni comprensibilmente allarmate di sindaci ed organizzazioni ambientaliste l’unica risposta è stata che tutto era sotto controllo e che non c’era motivo di preoccuparsi….!

E ora che dal porto ligure è partita per destinazione ignota una nave fantasma carica di scorie nucleari – dopo che esse sono state fatte transitare per la città e vi sono state caricate alla chetichella – ecco che di nuovo le solite “autorità competenti” continuano a lanciare messaggi rassicuranti, sebbene con tono un po’ infastidito dall’imprevista ed indesiderata pubblicità che alcuni media hanno dato a questa sconcertante operazione.

“Nel giro di poche ore la motonave viene stipata di un carico ignoto, che poi si scoprirà essere composto da “sostanze fissili non irraggiate per usi civili provenienti da un deposito nazionale”. Lasciatosi alle spalle il golfo alle prime luci dell’alba la Pacific Egret riprende il largo, ignara della scia di ansie, polemiche, scontri e provvedimenti politici che segue al suo arrivo nel porto spezzino. La rotta porta la nave battente bandiera inglese verso lo Stretto di Gibilterra. Un percorso monitorato dal segnale Ais (Automatic identification system). Nel corso della notte scorsa, però, esattamente alle 3.30, dopo aver superato le colonne d’Ercole, il segnale emesso dalla Pacific Egret improvvisamente si tace. Dove saranno finiti la nave e il suo carico?” (http://www.cittadellaspezia.com/La-Spezia/Attualita/La-nave-fantasma-svanita-dopo-le-153457.aspx ).

La citata ricostruzione, contenuta in un articolo pubblicato sul quotidiano online “Città della Spezia”, sembra dimostrare che sulle rassicurazioni ufficiali si può fare ben poco affidamento. La segretezza invocata ed il palese imbarazzo della prefettura, infatti, non sono stati certamente dissipati dalle dichiarazioni successive, nelle quali si banalizza l’accaduto, parlando cripticamente di “sostanze fissili non irraggiate per usi civili provenienti da un deposito nazionale”. Come a dire: “Ma di cosa vi preoccupate? Si tratta di ‘normali’ operazioni, non c’è nulla di strano né d’insolito…”.

Come ci comunica il quotidiano online “Lettera 43: “Nella nota si legge anche che «l’operazione è avvenuta nel totale rispetto della normativa nazionale e internazionale. Gli obblighi di informazione vanno garantiti nei confronti della popolazione interessata solo nel caso di incidente che comporti una emergenza radiologica». (http://www.lettera43.it/cronaca/la-spezia-container-con-scorie-non-irraggiate_43675124157.htm ).

Tutto chiaro? Nulla di cui allarmarsi, allora? Eh no, purtroppo: queste tardive dichiarazioni risultano, tra l’altro, in contraddizione con l’atteggiamento reticente del prefetto Giuseppe Forlani che, interpellato dal Secolo XIX : “ lascia(va) il compito di un’algida risposta al capo di Gabinetto: «La prefettura non ha intenzione di comunicare nulla su questa questione». Punto e basta, non sono ammesse repliche.” (http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2014/03/05/AQA1LM0B-industriali_carico_spezia.shtml ).

Ma poi, se la lingua italiana ha ancora un senso, che diavolo significa che gli obblighi d’informazione andrebbero garantiti alla popolazione interessata esclusivamente “nel caso di incidente che comporti una emergenza radiologica”. Se davvero non c’era nessun pericolo, perché mai quel carico era protetto – riferisce il quotidiano ligure – da uno spiegamento di “…uomini vestiti come astronauti che si muovono nel buio, di vigili del fuoco richiamati fuori dal turno quando già riposavano, della digos che sorveglia, dei mezzi della Marina militare disseminati a protezione tutt’intorno…” (ibidem).

Ma, come cantava Bob Dylan, ancora una volta “risposta non c’è” o meglio, per citare l’originale, “sta soffiando nel vento”. Peccato che si tratti del vento dell’inganno, della mancanza di rispetto per la sicurezza dei cittadini e dell’ambiente. Un vento che solleva muri di polvere e che cerca di spazzare via il diritto all’informazione preventiva ed alla trasparenza di operazioni ad alto rischio.

Insomma, una volta di più le nostre poco autorevoli Autorità si sono dimostrate poco pulite dentro e per niente belle fuori, alimentando la comprensibile diffidenza della gente verso istituzioni la cui priorità non sembra essere proprio la sicurezza e la salute della collettività.

E poi, dalle “scorie radioattive” chi accidenti ci depurerà?  Quello che è certo è che a tranquillizzarci non basterà il “plin plin” delle dichiarazioni ufficiali…

© 2014 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com)