Etimostorie #11: quando le parole prendono una certa…piega

È sorprendente, talvolta quasi incredibile come, nel tempo, da azioni banali e quotidiane siano derivati vocaboli tanto numerosi quanto differenti e a prima vista indipendenti per senso e forma. Pur rispondendo a norme linguistiche abbastanza precise, del resto, la magia dell’esplorazione etimologica del nostro lessico risiede proprio nel fascino esercitato della scoperta d’impreviste connessioni tra parole, che ci apre a considerazioni importanti sul piano logico-semantico, ma anche psico-sociale.

Prendiamo, ad esempio, uno degli atti più antichi che l’homo sapiens abbia storicamente compiuto per migliorare la propria esistenza quotidiana. Ricavare striscioline da fibre vegetali verdi o secche (es.: da canne, giunchi, stipe dei cereali, lino etc.) per poi intrecciarle tra loro e comporne rudimentali tessuti per ricoprirsi e fabbricare utensili, è infatti un’attività documentata fin dal Neolitico, quindi all’incirca dal 5° millennio avanti Cristo, sebbene per qualcuno sia iniziata molto tempo prima. [1]

E da questa primordiale forma di manualità artigianale parte anche questa mia breve ricerca su una prolifica famiglia di parole, riconducibili all’antica radice sanscrita il cui significato era appunto quello di: mischiare, collegare, intrecciare.

«…lat. PLI-CARE, che alla pari di PLEC-TERE trae dalla rad. PARK- = PRAK-, PLAK-, che è nel sscr. pŗ-ņa-k-mi (per prak-na-mi) mischio, collego (onde il senso d’intrecciare […] e il gr. plek-ô attorco, intreccio plégma canestro…» [2]

In principio, quindi, era il verbo PLICARE, che descriveva l’antichissima azione di piegare ed intrecciare fibre vegetali e animali per scopi domestici, solitamente affidata alle donne. Ebbene, da quel primordiale e materiale atto di PIEGARE (valacco plecà, prov. piegar, fr. plier, sp. llegar, port. pregar, chegar, ingl. ply) [3] sono scaturite altre e differenti forme verbali, grazie al solito meccanismo della modificazione preverbiale del verbo-base, mediante vari prefissi preposizionali. Basta anteporre al verbo originario le più comuni preposizioni latine, infatti, per dar vita a verbi di significato anche molto diverso, la cui origine resta ai più insospettabile.

AD- ha originato il verbo AD-PLICARE, da cui APPLICARE, APPLICARSI, indicante l’azione di apporre qualcosa sopra un’altra, accostare, far aderire, mettere in pratica, adattare e, in forma riflessiva, quelle di dedicarsi ad un compito. [4]

CUM- è la preposizione che denota sia gesti di unione e rapporti di compagnia, sia la sovrapposizione/composizione di elementi singoli. Da qui il verbo CUM-PLICARE, il cui significato prevalentemente negativo dipende dal fatto che complicare situazioni e relazioni è quasi sempre causa di problemi e conflitti, o quanto meno di difficoltà. Per non parlare dei sostantivi derivati da quel verbo, come complice o complotto, che evocano azioni illecite, delittuose o comunque segrete.

DIS-PLICARE ed EX-PLICARE (da cui dispiegare e spiegare), viceversa, richiamano azioni che fanno da antidoto al verbo precedente, rendendo situazioni e relazioni finalmente palesi, chiare, evidenti e comprensibili, mediante procedimenti di elaborazione logica che servono ad eliminare le ‘pieghe’ provocate da chi avrebbe invece interesse a mantenerci nell’oscurità e nell’ignoranza.

IN-PLICARE cioè piegare dentro, avvolgere [5] – suggerisce ugualmente azioni poco positive, che presentano un soggetto implicato da altri in qualcosa che non nasce dalla propria volontà, coinvolgendolo in atti e situazioni spesso spiacevoli o pericolose. Anche l’accezione più positiva del verbo ‘implicare’, ad esempio quella logico-matematica sintetizzata dal connettivo ifà then [6] ), non prevede scelte autonome, bensì automatismi ed esiti obbligati, conseguenziali a scelte ed azioni precedenti. Una variazione semanticamente diversa dello stesso verbo è quella che ha generato il verbo impiegare ed il sostantivo impiego, col significato di utilizzo di qualcosa (un capitale, una risorsa…) o di qualcuno (ad esempio un lavoratore…) per ottenere un certo risultato.

Credo che generazioni di giovani che hanno ricercato ed atteso, spesso a lungo, proprio un buon impiego non abbiano affatto collegato tale destinazione produttiva con un mortificante atto di piegamento, sebbene per molte persone il lavoro impiegatizio abbia molto presto rivelato la sua natura subalterna e dipendente…

Concludendo: mi sembra che esplorare i vari significati del verbo PLICARE e suoi derivati possa risultare utile alla comprensione di procedimenti logici e psico-sociali che hanno caratterizzato l’esistenza umana. Un’esistenza troppo spesso travagliata, in cui alcuni sembrano malignamente darsi fare per COMPLICARE la vita degli altri e per IMPLICARE forzatamente il prossimo nei loro progetti, costringendoli così a fare di tutto per ESPLICARE/SPIEGARE la propria situazione, cercando spiegazioni e chiarimenti.

Del resto, la stessa radice semantica indica un’azione in cui piegarsi non è necessariamente un gesto di sottomissione o di rassegnazione, poiché storicamente ci parla del necessario adattamento umano all’ambiente fisico e sociale, non per subirlo passivamente ma per coglierne le risorse positive e modificarne gli aspetti negativi. Va ribadito, comunque, che scegliere di vivere da ‘piegati’ contraddice la natura libera e autonoma dell’essere umano, costringendolo a guardare in basso anziché alzare lo sguardo verso prospettive più elevate e dignitose.

La stessa evidente complessità del mondo moderno, peraltro, va accettata consapevolmente come una caratteristica evolutiva irrinunciabile, piuttosto che banalizzarla con atteggiamenti e comportamenti improntati invece ad impossibili semplificazioni e schematizzazioni della realtà. Stiamo attenti, però, a non confondere ciò che è per sua natura COMPLESSO con ciò che, viceversa, è stato volutamente COMPLICATO, dal momento che non si tratta per nulla di aggettivi sinonimi.

«Secondo Barenboim, riferendosi all’opera musicale: “Complesso è un miscuglio, un insieme di cose che possono essere anche molto semplici, ma che insieme generano qualcosa di nuovo e completamente diverso, da cui a volte non sai cosa aspettarti. Complicato è qualcosa di macchinoso e che non possiede nessuna logica interna”.» [7]

Morale della favola: applichiamoci, implichiamoci ed impieghiamoci pure, ma a condizione di non trasformare il nostro necessario piegarci alla realtà fisica e sociale in una preventiva – ed evidentemente deleteria – rinuncia a quella libertà di pensiero e di coscienza che è invece la nostra più grande ricchezza.

© 2023 Ermete Ferraro


[1] Cfr. https://www2.muse.it/perlascuola/documenti/scoperta_filo.pdf  – Vedi anche: https://alleyoop.ilsole24ore.com/2020/01/19/dalle-origini-delluomo-al-futuro-sostenibile-la-storia-sorprendente-dei-tessuti/

[2]  https://www.etimo.it/?term=piegare

[3] Ibidem

[4] Cfr. https://www.treccani.it/vocabolario/applicare/

[5] Cfr. https://www.treccani.it/vocabolario/implicare/https://www.garzantilinguistica.it/ricerca/?q=implicare

[6] Cfr. https://it.wikipedia.org/wiki/Implicazione_logica

[7]  https://www.elenabizzotto.it/non-sono-sinonimi-complesso-e-complicato/#:~:text=Complesso%20%C3%A8%20un%20miscuglio%2C%20un,non%20possiede%20nessuna%20logica%20interna.

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