Presidiare l'emergenza?

Che cosa emerge dall’emergenza?

L’emergenza sanitaria economica e sociale innescata dalla tremenda epidemia di coronavirus sta provocando ‘effetti collaterali’ di cui sarebbe grave non tener conto. Tra le conseguenze della progressiva paralisi dell’ordinarietà nel nostro Paese ci sono quelle di cui i media ci parlano incessantemente, che vanno dalle situazioni derivanti dalla forzata inerzia di interi nuclei familiari bloccati in casa, alle difficoltà quotidiane riguardanti le fasce deboli (anziani, bambini, disabili), ma anche ai crescenti problemi economici per famiglie monoreddito o dipendenti da lavori precari.  Si parla molto della pesante crisi economica che l’arresto delle attività produttive sta innescando ma, sia pur timidamente, si sta facendo strada anche qualche riflessione sugli effetti distorcenti che un perdurante clima emergenziale potrebbe avere sulla stessa democrazia.

La stragrande maggioranza dei commentatori, ma anche dei partecipanti alle interminabili chat dilaganti sul web e sul social, sono però concentrati sulle questioni igienico-sanitarie. Si discute particolarmente sui modi per fronteggiare i rischi di contagio, oppure di quelli di alienazione per il troppo repentino cambiamento delle abitudini quotidiane, caratterizzato dalla relazionalità capovolta di una vita improvvisamente concentrata sul dimenticato binomio casa-famiglia. C’è poi chi si preoccupa che il regime emergenziale sta limitando drasticamente i consumi – contraddicendo le abituali esortazioni a rincorrere la ‘crescita’ – e chi invece, più prosaicamente, vede a rischio consumi voluttuari che creano per di più dipendenza, come alcolici, sigarette, stupefacenti e giochi d’azzardo.

C’è un aspetto, però, al quale organi d’informazione e ‘forzati della tastiera’ non sembrano dare peso o, viceversa, sul quale si esprimono in modo insistente. Mi riferisco all’utilizzo delle forze armate in situazioni di emergenza, con funzioni estranee alla loro mission originaria, come quelle di protezione civile e di pubblica sicurezza. Tale subdola ma persistente tendenza a militarizzare la società va dall’ingombrante intervento di esponenti delle forze armate nelle istituzioni scolastiche al loro quasi abituale intervento per sciagure e catastrofi naturali o con funzione di monitoraggio ambientale del territorio. Ben pochi italiani ne sono davvero consapevoli e comunque pochi ne sembrano preoccupati, preferendo considerare i soldati, piazzati con mimetiche e mitra lungo le strade o davanti a monumenti e chiese, una rassicurante presenza protettiva.

Del resto, presidenti di regione e sindaci – con sconcertante spirito bipartisan – da tempo stanno invocando l’utilizzo delle forze armate per far rispettare ordinanze e decreti emanati e per reprimere le violazioni di tali provvedimenti restrittivi. Dal Lombardo-Veneto alla Sicilia, passando per Campania e Puglia, si sono alzate le voci di chi auspicava più soldati per le nostre strade ed il Governo – per nulla “insensibile a questo grido di dolore” – ha effettivamente deciso in tal senso, anche se in modo un po’ pasticciato.

«Cosa dovranno fare i soldati per le strade di Roma è tuttora un rebus. Come anche quali reparti saranno impiegati e se dovranno arrivare rinforzi da altre province per assicurare il controllo del territorio nella Capitale […] rimane tuttora da capire se sarà effettivamente richiesta […] la presenza degli uomini e delle donne dell’Esercito al fianco delle forze dell’ordine anche nelle verifiche quotidiane sugli spostamenti giustificati o meno dei cittadini per l’emergenza coronavirus. […] Prima di tutto perché i soldati non potrebbero denunciare chi esce di casa senza comprovato motivo, ma dovrebbero limitarsi a identificarlo, per poi richiedere l’intervento di una pattuglia di polizia, carabinieri, vigili urbani o Guardia di Finanza per poter completare la procedura.». [i]

Regole d’ingaggio e/o regole democratiche

L’insistenza con la quale amministratori, esponenti politici e semplici cittadini hanno sollecitato l’intervento dei militari per la repressione di chi infrange i divieti imposti dallo stato di emergenza è parzialmente giustificabile con la crescente preoccupazione per le gravi conseguenze di tali inadempienze per la salute pubblica.  Un effetto collaterale del clima ansiogeno scatenato dalla reclusione forzata e dall’angoscia per le troppe vittime del virus, infatti, è stato l’aumento della diffidenza reciproca, con l’affiorare di latenti istinti aggressivi e repressivi. Dalle truculente esternazioni di ‘governatori’ alle pesanti invettive sui social non emerge solo la richiesta di far rispettare le regole, ma spesso anche un’esplosione di violenza, per ora solo verbale, verso chi non si rassegna a sottomettersi alle disposizioni restrittive. Talvolta assistiamo effettivamente a pericolose trasgressioni, comportamenti irresponsabili ed atteggiamenti di sfida delle norme di sicurezza. Però non dovrebbe sfuggire a nessuna persona con normale spirito di osservazione che tali episodi si verificano di solito in aree cittadine popolari, degradate e da sempre abbandonate a se stesse. Non dovrebbe sfuggirci neppure che sta paurosamente crescendo, e non certo da oggi, il numero dei disoccupati, degli occupati in forma precaria, dei senza fissa dimora, dei nuclei familiari costretti a convivere in condizioni del tutto inadeguate e degli immigrati che utilizzano depositi e scantinati come abitazioni Tutti soggetti cui ripetere “restate a casa” sicuramente non basta. Sappiamo poi che spesso i quartieri popolari delle nostre metropoli sono lasciati in preda all’anarchia; che certi rioni sono notoriamente off limits per le forze dell’ordine e che la situazione di alcune periferie urbane era già esplosiva.  Ma è più facile auspicare sprangate, fustigazioni, fucilazioni e stragi con lanciafiamme o col napalm, come mi è capitato di leggere tra i commenti postati su un’insospettabile pagina facebook…

L’impiego dei soldati per garantirci ‘law and order’, oltre a non suscitare reazioni allergiche sul piano democratico, è spesso considerato la vera soluzione per far rispettare la legge. Ma le cose – pur prescindendo da considerazioni di opportunità e di legittimità – stanno diversamente. Come sottolineava l’articolo citato, l’utilizzo delle forze armate con compiti di polizia non è affatto scontato e comunque dipende dalle ‘regole d’ingaggio’ stabilite per tali ‘missioni’. Quella più nota è iniziata quasi dodici anni fa ed è tuttora operativa. Secondo fonti ufficiali:

«Attualmente, risultano impiegati per l’Operazione “Strade Sicure” 7.050 donne e uomini dell’Esercito Italiano, che garantiscono una presenza capillare sul territorio nazionale contribuendo fattivamente alla realizzazione di un ambiente più sicuro. Tra gli obiettivi vigilati nell’ambito dell’Operazione rientrano siti istituzionali, luoghi artistici, siti diplomatici, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e della metropolitana, luoghi di culto e siti di interesse religioso, valichi di frontiera…». [ii] 

Un problema evidenziato nell’articolo è che le regole d’ingaggio per i militari impegnati in questo tipo di operazioni non li equiparano affatto ad agenti di polizia e carabinieri, che infatti spesso li affiancano. Come d’altronde precisava un documento dello stesso Ministero della Difesa:

«Al personale della Forze Armate, non appartenente all’Arma dei Carabinieri, è attribuita la qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza, con esclusione delle funzioni di Polizia giudiziaria». [iii] 

Ciò significa che esso può fermare, identificare e nel caso denunciare, ma non arrestare chi commette un reato. Inoltre, la nostra stessa esperienza c’insegna che i contingenti militari impiegati si limitano spesso ad un presidio armato fisso accanto ai loro mezzi blindati, ma di solito non effettuano un pattugliamento attivo. La loro presenza, insomma, appare un inutile spauracchio, ma non certo un’efficace soluzione per fronteggiare le trasgressioni che tanto ci allarmano.

Se 23.000 ‘sorveglianti’ vi sembran pochi…

Uno dei più esagitati propugnatori della presenza dell’esercito con funzioni di controllo in occasione dell’attuale emergenza sanitaria, è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Egli, infatti, non si è limitato a chiedere un rinforzo dei normali controlli di polizia, ma ha auspicato esplicitamente soluzioni drastiche e straordinarie:

«È arrivato il momento per chiudere tutto e militarizzare l’Italia […] Abbiamo chiesto l’invio di forze armate. Abbiamo avuto un primo risultato, 100 unità. Ancora poche. […] È indispensabile il controllo militare, con poteri eccezionali alle forze dell’ordine…» [iv]

Altri ‘governatori’ e sindaci – da regioni settentrionali alla Sicilia – hanno avanzato richieste simili, evitando almeno d’invocare lo stato di guerra, benché questa parola sia riecheggiata più volte – sia pur come metafora – per caratterizzare l’attuale emergenza sanitaria. Come scrive A. Leiss:

Ci siamo precipitati a definire la pandemia del coronavirus come una guerra, con i vocaboli derivati – la linea del fronte, gli eroi che rischiano la vita, l’esigenza di una disciplina di ferro, di un comando unico e di sanzioni severe per chi sgarra, mobilitando l’esercito. Ma abbiamo evocato un fantasma più che descritto la realtà. Un fantasma balordo. Non una cosa completamente infondata, ma rischiosa, pericolosamente imprecisa “. [v]

Ma, ritornando alla Campania, come stanno veramente le cose? Ho cercato di fare il punto della situazione a regionale, solo sommando i dati numerici disponibili in rete e questi sono i risultati.

In Campania risultavano operativi (dati 2018): ca. 4.600 unità del personale della Guardia di Finanza; ca. 9.500 appartenente all’Arma dei Carabinieri; ca. 8.500 uomini della Polizia di Stato, per un totale di ca. 22.600 operatori di polizia giudiziaria (di cui 14.100 appartenenti ai due corpi militari (GdF e CC). Inoltre, da più di 11 anni sono stati distaccati solo in Campania, per l’operazione ‘Strade Sicure’, 900 unità operative appartenenti all’Esercito Italiano, con compiti di sorveglianza. Ad essi, da pochi giorni, si sono aggiunti altri 100 militari, in risposta alle pressanti istanze di De Luca, con un totale di ben 1.000 appartenenti alle forze armate con funzioni di ‘agenti di pubblica sicurezza’.  Non dimentichiamo poi che, nel solo Comune di Napoli, nel 2019 risultavano in servizio circa 2.000 operatori della Polizia Municipale (1.560 agenti + 450 fra dirigenti, funzionari, istruttori direttivi ecc.) e che anche la Città Metropolitana di Napoli gestisce un proprio Corpo di Polizia, l’entità del cui personale non risulta però verificabile. Ebbene, calcolando grosso modo che le unità di questi contingenti destinati alla città capoluogo oscillino tra un quinto ed un sesto del totale (visto che Napoli ha ca. 1.000.000 di abitanti sui quasi 6 complessivi, ma con molti più obiettivi sensibili e problematiche rispetto ad altre aree urbane), dividendo 23.500 per 5,5 otteniamo 4.272. Se a questo notevole contingente di finanzieri, carabinieri, agenti di P.S. e militari aggiungiamo pure i circa 2.000 agenti di polizia locale, solo per Napoli raggiungiamo la ragguardevole cifra di circa 6.300 persone potenzialmente impiegabili nel controllo e nella repressione delle violazioni alla legge, in larga parte con compiti non solo di ‘pubblica sicurezza’ ma anche di polizia giudiziaria. Proviamo adesso a rapportare questo numero alla popolazione napolitana ed otteniamo una ratio di 0,007 agenti per abitante. Ripetendo la stessa operazione per due metropoli con oltre 8 milioni e mezzo di abitanti e con un personale di forze di polizia che si aggira sulle 35.000 unità, come Londra e New York City, otteniamo invece un rapporto inferiore, cioè 0,004. Ma per qualcuno è sempre troppo poco…

Uniformi per garantire…l’uniformità?

Le misure adottate per l’attuale stato di emergenza – in parte ratificato da un Parlamento ormai quasi uscito di scena, lasciando campo libero e troppe responsabilità all’Esecutivo – hanno suscitato dubbi e preoccupazioni in alcuni giuristi e costituzionalisti. Qualcuno infatti si è chiesto, ad esempio, se le vigenti restrizioni siano conformi alle norme costituzionali e se questo regime straordinario non rischi di far saltare i delicati equilibri fra diritto alla salute ed alla sicurezza e tutti gli altri diritti previsti dalla Carta. Come ha osservato l’avvocato Nicola Canestrini:

«Alcune di queste misure hanno impattato pesantemente su diritti costituzionali […] Parliamo della libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 della Costituzione); di riunione (articolo 17 della Costituzione); di esercizio dei culti religiosi (articolo 19); di insegnamento (articolo 33); su garanzia e obbligo di istruzione (articolo 34). Le misure di contenimento possono incidere poi sulla libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma). Alcuni di questi diritti costituiscono senz’altro principi fondamentali dell’ordinamento, e possono quindi essere limitati ma mai abrogati […] …si ritiene che il bilanciamento dei beni costituzionalmente rilevanti abbia come parametro l’articolo 32 della Costituzione: la norma costituzionale indica la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo”, che tuttavia va in qualche modo contemperata con “l’interesse della collettività”…» [vi]

Data la delicatezza della situazione, allora, è davvero utile e legittimo l’intervento delle forze armate con compiti di tutela della salute e della sicurezza collettiva? A tal proposito, il noto penalista napolitano Domenico Ciruzzi si è espresso piuttosto criticamente:

«Mi chiedo: per quanto tempo dovremo ascoltare la cantilena mistificante che l’esercito serve per evitare che la gente scostumata esca di casa? Tutti convengono che più del 90 per cento degli italiani – e sicuramente dei napoletani – si è chiuso in casa e che i crimini sono di fatto quasi spariti. Polizia, carabinieri, Guardia di finanza sono pressoché disoccupati. Dunque, perché l’esercito? Per fare cosa? La verità è che tra uno-due mesi si temono le sommosse degli affamati […] …il governo ha il dovere istituzionale di anticipare gli eventi e non far finta di chiamare l’esercito per arginare quelli che non rispettano i divieti per poi, invece, usare astutamente i militari per sedare prevedibili rivolte…». [vii]

Non è un caso, inoltre, che un autorevole periodico come l’Espresso recentemente abbia così intitolato un suo articolo: “Coronavirus, esercito e forze dell’ordine in allarme: serve un piano contro caos e disordini[viii]. Non bisogna essere antimilitaristi per temere che una crescente militarizzazione possa preludere ad interventi repressivi, giustificandoli con lo stato di emergenza o, come qualcuno ha già iniziato a dire, di ‘guerra’ all’epidemia. La restrizione delle libertà personali, la sospensione di fatto del confronto democratico e l’adozione di misure eccezionali sono sintomi preoccupanti di una tendenza autoritaria che già da tempo stava affiorando nel nostro Paese. I patriottici richiami ad un’unità nazionale imposta 160 anni fa e mai davvero realizzata – per di più compromessa dalle tendenze centrifughe di chi reclama ‘autonomie differenziate’ per legittimare e rafforzare assurdi privilegi e diseguaglianze – sollecitano retoricamente un unanimismo nazionalista che potrebbe preannunciare l’imposizione di un pensiero unico ed un regime autoritario.

Mi auguro sinceramente che nessuno pensi davvero d’imporre l’uniformità e l’obbedienza passiva ricorrendo alle uniformi militari ed a metodi repressivi eccezionali. In ogni caso – per citare ancora Canestrini – facciamo attenzione a “non abbassare le difese immunitarie della Costituzione”, restando sempre, e nonostante tutto, cittadini vigili ed attivi.


Note:

[i] Rinaldo Frignani, “Coronavirus a Roma, soldati per i controlli ma non possono denunciare”, Corriere della Sera (Roma), 21.3.2020 > https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_21/coronavirus-roma-soldati-controlli-ma-non-possono-denunciare-2de8a292-6aea-11ea-b40a-2e7c2eee59c6.shtml?fbclid=IwAR18ecCDGlZw-tggU2ln8EphoIhXDmqiqNQScjAkgfwYPakHNVw60nFuES4&refresh_ce-cp

[ii]http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_nazionali/Pagine/Operazione-Strade-Sicure.aspx

[iii] Ministero della Difesa, Operazione Strade Sicure (fonte: Forze Armate, La Difesa, UTET) > https://www.difesa.it/Content/Pagine/StradeSicure-ForzeArmate-LaDifesa.aspx

[iv] http://www.napolitoday.it/cronaca/coronavirus-decreto-regione-de-luca.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&fbclid=IwAR0eJAhL9PpkVgARXlEQ3na0DDI1EA4d3yi-V0HzClQQBs1oI63tk8YRpEc

[vi] Alberto Leiss, “Il fantasma balordo della guerra”, il manifesto > 24.03.2020 > https://ilmanifesto.it/il-fantasma-balordo-della-guerra/?utm_source=Iscritti+web&utm_campaign=602e49ba0d-EMAIL_CAMPAIGN_2020_03_24_05_00&utm_medium=email&utm_term=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&goal=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&mc_cid=602e49ba0d&mc_eid=f3a0ad9d2b

[vii] Nicola Canestrini, “Non abbassiamo le difese immunitarie della Costituzione” > https://www.ildolomiti.it/politica/2020/coronavirus-lavvocato-canestrini-quanto-detto-da-fugatti-e-errato-sia-nel-metodo-che-nel-merito-non-abbassiamo-le-difese-immunitarie-della-costituzione  ed anche: “Coronavirus  non indebolisca le difese immunitarie dello stato di diritto”>    https://www.ilfaroonline.it/2020/03/19/coronavirus-non-indebolisca-le-difese-immunitarie-dello-stato-di-diritto/326129/

[vii] Domenico Ciruzzi, “Sostegno ai poveri più che l’esercito”, la Repubblica – Napoli

[vii] Vedi: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/03/13/news/coronavirus-esercito-polizia-1.345574?preview=true

Riforma ‘mimetica’ per religiosi con le stellette

Una ‘coronavirus’ sulla testa dei media

Nella mobilitazione mediatica per la terribile vicenda della pandemia di Coronavirus, l’attenzione degli organi d’informazione ne è stata monopolizzata, lasciando ben poco spazio ad altre notizie, sia interne sia dall’estero. L’interesse di lettori, ascoltatori, spettatori, internauti e frequentatori dei social si è quindi concentrato sulle pesanti limitazioni imposte alla cittadinanza per motivi di sicurezza e di tutela della salute pubblica, passando dall’iniziale atteggiamento disinvolto ad un timor panico vagamente paranoico. La forzata segregazione fra le mura domestiche di larga parte della popolazione italiana, infine, ha sconvolto equilibri, bioritmi e relazioni, portandoci a vivere di riflesso, a distanza e virtualmente, perfino ciò che ci sta capitando intorno, come se stessimo visionando un appassionante quanto sconvolgente film di fantascienza.

Eppure sarebbe bene se noi Italiani uscissimo dall’attuale torpore mentale e sociale e, pur nel rispetto delle prescrizioni (in alcuni casi imposte con tono vagamente poliziesco), ricominciassimo a guardare fuori dal bozzolo rassicurante del ‘rifugio antivirus’ nel quale ci stiamo rinchiudendo. Infatti intorno a noi le cose vanno avanti, nel bene ma spesso nel male, ed accampare la scusa dell’emergenza nella quale ci troviamo immersi per disinteressarsene appare un po’ meschino.  Le borse mondiali crollano; lavoratori già precari precipitano sempre più spesso nella disoccupazione; fronti di guerra restano aperti da molti anni ed altri rischiano di aprirsi; la gravissima crisi ambientale legata al riscaldamento globale non viene affatto affrontata, benché abbia già provocato milioni di morti ed altri ne provocherà; le spese militari continuano a crescere, insieme con i potenziali scenari di conflitto; decine di migliaia di militari di vari paesi, a guida USA, invadono l’Europa per inscenare una macroscopica esercitazione bellica ai confini della Russia…. E noi? Nel frattempo noi facciamo scorta di mascherine e amuchine, digitiamo messaggini sullo smartphone e cerchiamo di occupare l’eccessivo ‘tempo libero’ improvvisamente piovutoci addosso, riscoprendo anche criticità ed opportunità della convivenza familiare, dentro città dall’aspetto inquietante e spettrale.

Sono state oscurate anche notizie di portata sicuramente minore, ma che in altri momenti ci avrebbero quanto meno incuriosito. Una di queste – scoperta casualmente smanettando su internet – riguarda il nuovo status giuridico di una categoria di cui già poco si parlava anche prima e della quale solitamente si sa poco o nulla.  Il Consiglio dei Ministri, su proposta del ministro degli Esteri Di Maio e di quello della Difesa Guerini, ha approvato il disegno di legge di ratifica dell’intesa tra lo Stato italiano e la Chiesa Cattolica in materia di “assistenza spirituale alle Forze Armate”. Certamente non è l’evento del secolo, ma neppure una notizia così insignificante da non meritare menzione sui quotidiani e notiziari nazionali. A parlarne infatti sono stati solo per la CEI l’Agensir ed il quotidiano Avvenire e, sul versante governativo, Report Difesa, come se si trattasse di un banale accordo o transazione fra istituzioni ecclesiastiche e civili, che poco o punto ci riguarda. Eppure questo atto dell’esecutivo riforma, dopo ben 60 anni, lo status giuridico dei cappellani militari, normato dalla legge n. 502 del 1961 [i] e finora mai messo in discussione. Quando due anni fa ci fu un timido tentativo di entrare nel merito.[ii] il missionario padre Alex Zanotelli aveva però lanciato un accorato appello affinché finalmente cessasse: “questo scandaloso connubio fra Forze Armate e Chiesa”. [iii]

L’assordante silenzio sui cappellani militari

Ma ecco che, sbucando come un coniglio dal cappello, i cappellani sono tornati ad interessare l’azione del Governo, sebbene la notizia dell’intesa sia rimasta confinata fra gli ‘addetti ai lavori’, dando per scontato che si tratta di problemi che non interessano la gente comune. Eppure – soltanto sul versante ‘civile’ della questione – già nel 2016 alcune inchieste ci avevano informati che il costo che lo Stato si accollava per mantenere un paio di centinaia di preti-soldati era tutt’altro che indifferente.

«Nel complesso…l’assistenza spirituale alle Forze armate costa alle casse pubbliche circa 20 milioni: tutti soldi, si badi bene, aggiuntivi rispetto al miliardo di euro che già annualmente entra nelle casse della Cei ed è usato in gran parte proprio per il sostentamento del clero. Ma se lo stipendio di un prete è sui mille euro, un cappellano come tenente parte dal doppio e a fine carriera, da colonnello, può superare i 5mila.» [iv]

Limitare la questione del ruolo dei cappellani militari al solo aspetto economico sarebbe però riduttivo. Senza scomodare le taglienti parole di don Lorenzo Milani nella sua famosa lettera del 1965 a loro indirizzata [v], bisogna infatti ricordare che si tratta infatti di una vicenda che presenta delicati risvolti etico-religiosi, cui l’attuale riforma – incentrata com’è sulla spending review più che su motivazioni morali – risponde purtroppo molto parzialmente.  Zanotelli, nel citato appello di due anni fa, ribadiva invece con chiarezza la natura dell’opposizione di parte del mondo cattolico al ruolo svolto dai ‘preti con le stellette’, dichiarandolo:

«…in chiaro contrasto con il magistero di Papa Francesco contro la guerra e in favore della nonviolenza attiva. Ma è in contrasto soprattutto con il Vangelo perché l’Intesa integra i cappellani nelle Forze Armate d’Italia sempre più impegnate a fare guerra “ovunque i nostri interessi vitali siano minacciati”, come recita il Libro Bianco della Difesa della Ministra Pinotti. […] E per fare questo, c’è bisogno di armarsi fino ai denti, arrivando a spendere lo scorso anno in Difesa 25 miliardi di euro, pari a 70 milioni di euro al giorno. Tutto questo è in profondo contrasto con quanto ci ha insegnato Gesù. Per cui diventa una profonda contraddizione avere sacerdoti inseriti in tali strutture». [vi]

In un recente articolo anch’io avevo sottolineato gli aspetti più grotteschi di un regime legislativo che finora collocava i sacerdoti con funzioni di assistenza religiosa ai militari su un piedistallo dorato, dotandoli di una diocesi autonoma e, parallelamente, incorporandoli a tutti gli effetti nei ranghi gerarchici delle forze armate. Ciò, peraltro, ha consentito non solo le sconcertanti figure di sacerdoti e prelati con le stellette, ma anche la celebrazione e pubblicizzazione sulla rivista ufficiale dell’Ordinariato Militare per l’Italia [vii] di liturgie e cerimoniali in cui s’intrecciano talari e mimetiche, “croce e moschetto”, avvalorando di fatto, col richiamo al biblico “Signore degli Eserciti”, un blasfemo “Esercito del Signore”. [viii] 

Ma in che cosa consiste esattamente l’intesa fra Stato e Chiesa ratificata circa un mese fa con il varo del Disegno di Legge proposto da Di Maio e Guerini? È stato davvero superato l’impasse che nel 2018 aveva bloccato il governo Gentiloni, limitando la riforma al solo aspetto economico? La risposta è solo in parte positiva, anche se qualcosa sembrerebbe essersi mosso sullo scivoloso terreno del rapporto fra le gerarchie ecclesiastiche e quelle militari. Che non si tratti di una rivoluzione lo lascia intendere il fatto che di tale intesa si sia dichiarato soddisfatto l’Ordinario Militare. Ciò significa che anche adesso – al di là della riduzione della spesa dello Stato italiano su questo capitolo – non si andati nella direzione auspicata da chi avrebbe invece voluto un netto segnale di discontinuità col passato.

Smilitarizzare i cappellani? No, grazie…

«Il testo […] permetterà anche un notevole risparmio alla casse dello Stato, grazie ad alcuni accorgimenti tecnici […] e al contenimento degli stipendi (oggi lo stipendio medio è di circa 1500 euro). La normativa individua le funzioni svolte dai cappellani a favore dei militari cattolici e delle rispettive famiglie, nonché i mezzi e gli strumenti che sono messi a loro disposizione per l’assolvimento delle funzioni stesse; delinea, inoltre, lo stato giuridico dei cappellani come figura autonoma rispetto all’organizzazione militare, stabilendo che hanno piena libertà di esercizio del loro ministero e che risiedono in una delle sedi di servizio loro assegnate, ma accedono ai gradi militari per assimilazione, senza che questo comporti identificazione con la struttura e l’organizzazione militare. “Si evidenzia – nota il governo – che il cappellano non può esercitare poteri di comando o direzione e avere poteri di amministrazione nell’ambito delle Forze armate; non porta armi e indossa, di regola, l’abito ecclesiastico proprio, salvo situazioni speciali… [ix]

Dal positivo commento del quotidiano della CEI – simile peraltro a quelli di altri giornali cattolici ed ai comunicati della stessa Difesa [x] – si discosta nettamente la nota critica su Adista dello stesso Luca Kocci, il quale osserva:

Una svolta all’orizzonte? Per niente. E, al di là dell’invito ad indossare di più la talare e il clergyman e meno la divisa e la mimetica, tutto resta come prima, o quasi: i cappellani militari rimangono preti-soldati con i gradi – l’aspetto maggiormente contestato da Pax Christi, dalle Comunità di Base e da Noi Siamo Chiesa, che da anni portano avanti una battaglia per la smilitarizzazione dei cappellani militari – e vengono pagati dallo Stato, in quanto militari a tutti gli effetti. E appare risibile la sottolineatura che i cappellani «accedono ai gradi militari per assimilazione, senza che questo comporti identificazione con la struttura e l’organizzazione militare»: se hanno i gradi, fanno automaticamente parte della struttura militare, per non farne parte dovrebbero essere completamente smilitarizzati.» [xi]

Insomma, l’impressione è che, ancora una volta – citando il classico motto del Principe di Salina del ‘Gattopardo’ – qualcuno ha pensato: «Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi».  In effetti, se prescindiamo dalla positiva circostanza che “i cappellani militari verranno quindi caratterizzati più nettamente per le loro funzioni pastorali, con piena libertà di esercizio del relativo ministero, che per la militarità, tanto che di regola indosseranno l’abito ecclesiastico e non più l’uniforme” [xii], e che la spesa annua dello Stato per i cappellani militari con la riforma potrebbe ridursi ad una decina di milioni, non sembra che si sia giunti a recidere davvero il nodo fondamentale della questione.  Il fatto stesso che non se ne sia discusso per nulla, evitando ogni confronto con posizioni più critiche, come quelle ripetutamente espresse da Pax Christi, dal missionario comboniano Zanotelli o dallo storico esponente nonviolento Antonino Drago [xiii], derubrica oggettivamente questo decreto governativo a provvedimento burocratico-amministrativo, lasciando aperta la questione etico-religiosa di fondo [xiv]. Ecco perché non mi resta che concludere ripetendo quanto avevo già affermato:

«…Cristo, Principe della Pace (Is. 9:5), non può essere ridotto al ruolo di luogotenente del veterotestamentario “Adonai Shebaoth” e dunque è necessario che chi sceglie la nonviolenza – cristiana prima ancora che gandhiana – si dissoci pubblicamente da ogni forma di riabilitazione della guerra e di chi la prepara ed attua…» [xv]


Note:

[i] Per il testo della Legge 1° giugno 1961, n. 512 (“Stato giuridico, avanzamento e trattamento economico del personale dell’assistenza spirituale  alle Forze armate dello Stato”),  cfr. http://www.ordinariatomilitare.it/diocesi/legislazione/civile/legge-512/; http://www.edizionieuropee.it/LAW/HTML/22/zn46_08_286.html  e https://www.olir.it/documenti/legge-01-giugno-1961-n-512/

[ii] Luca Kocci, “Tutto come prima: i cappellani militari li paga lo stato”, il manifesto (11.02.2018) > https://ilmanifesto.it/tutto-come-prima-i-cappellani-militari-li-paga-lo-stato/

[iii] Alex Zanotelli, “No ai 10 milioni di euro dello Stato per i cappellani militari”, MicroMega (16.03.2018) > http://temi.repubblica.it/micromega-online/no-ai-10-milioni-di-euro-dello-stato-per-i-cappellani-militari-appello-al-papa-di-padre-zanotelli/

[iv] Paolo Fantauzzi, “Quanto ci costi cappellano: ecco gli stipendi d’oro dei preti militari”, l’Espresso (02.05.2016) > https://espresso.repubblica.it/attualita/2016/04/27/news/quanto-ci-costi-cappellano-gli-stipendi-d-oro-dei-preti-militari-1.262896

[v] Don Lorenzo Milani,” L’obbedienza non è più una virtù”, Libreria Editrice Fiorentina, 1965 > https://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/milani/l_obbedienza_non_e_piu_una_virtu/html/milani_d.htm

[vi] Zanotelli, op. cit.

[vii] Vedi: http://www.ordinariatomilitare.it/category/bonus-miles-christi/  e

[viii] Cfr. Ermete Ferraro, “Pregare per l’unità dei cappellani militari?”, Ermete’s Peacebook (30.01.2020) >  https://ermetespeacebook.blog/2020/01/30/pregare-per-lunita-dei-cappellani-militari/

[ix] Mimmo Muolo, “Cappellani militari: il governo vara il ddl”, Avvenire, 15.02.2020 >  https://www.avvenire.it/attualita/pagine/cappellani-militari-il-governo-vara-il-ddl

[x] Cfr. anche: https://www.agensir.it/quotidiano/2020/2/14/cappellani-militari-governo-approva-disegno-di-legge-sullassistenza-spirituale-alle-forze-armate/ e http://www.reportdifesa.it/difesa-accordo-stato-italiano-e-vaticano-sul-nuovo-status-dei-cappellani-militari-non-indosseranno-piu-luniforme/

[xi] Luca Kocci, “Cappellani militari: pronta una nuova legge. Ma è come quella vecchia”, Adista Notizie n° 9 del 07/03/2020 > https://www.adista.it/articolo/63015

[xii] Report Difesa, cit.

[xiii] Cfr.: http://serenoregis.org/2012/07/19/nonviolenza-come-politica-di-fede-antonino-drago/  (2012)

[xiv] Sul tema è utile la lettura di: Enrico Peyretti, “Un segno di contraddizione

DOSSIER CAPPELLANI MILITARI >  https://www.chiesadituttichiesadeipoveri.it/dossier-cappellani-militari/

[xv] Ferraro, op. cit.

Generali e ammiragli come modelli? No, grazie!

Il Sindaco de Magistris col Gen. Vittiglio

DICONO CHE L’EPIDEMIA di Coronavirus avrebbe offuscato altre questioni importanti per il nostro Paese e per la nostra Città, monopolizzando l’attenzione dei media.  Del resto, non si può negare che gli organi d’informazione siano spesso reticenti circa vicende assai poco simpatiche, come i tragici avvenimenti ai confini tra Turchia e Grecia o l’arrivo in Italia di altre 50 testate nucleari, trasferite alla base USAF di Aviano (PN) proprio dalla base turca di Incirlik.  Ma non bisogna generalizzare, visto che alcuni giornali riportano notizie poco significanti, come quelle riguardanti le ottime relazioni che intercorrono tra i vertici della NATO e le nostre massime cariche istituzionali, a livello sia nazionale sia locale.  Il primo caso è quello della ‘breve’ pubblicata in Cronaca di Napoli del quotidiano Il Mattino di giovedì 5 marzo 2020, dalla quale apprendiamo che:

«Il sindaco di Napoli Luigi de Magistris ha incontrato a Palazzo San Giacomo il generale Antonio Vittiglio nuovo Capo di Stato Maggiore del Comando della Nato di stanza a Lago Patria al quale ha rivolto i migliori auguri di buon lavoro nel prestigioso incarico. Il primo cittadino ha poi donato al Generale il crest ufficiale della città che l’alto ufficiale ha molto gradito».  [i]

Qualora vi dica poco o nulla il nome del generale chiamato a guidare lo stato maggiore del Comando NATO competente per l’Europa sud-orientale e per l’Africa, un altro organo d’informazione online, Quasimezzogiorno, specifica che:

«…il Generale di Corpo d’Armata Antonio Vittiglio ha assunto la carica di Capo di Stato Maggiore e la qualifica di Capo del Command Element dell’Unione Europea. Inoltre, dal settembre del 2018 al 02 settembre del 2019, ha ricoperto l’incarico di Vice Comandante presso il Comando NATO ad Istanbul in Turchia (Nato Rapid Deployable Corps – Turkey) dove ha preso parte alla preparazione e validazione futura sia del Comando di Corpo d’Armata Turco e sia della sua Brigata VJTF (L), prendendo parte alla pianificazione e alla preparazione per la certificazione per l’NRF-L (Nato Response Force Land) 2020 e al processo per il raggiungimento nel 2021 della FOC (Full Operational Capability) per la nuova struttura del Comando Turco della NATO….» [ii].

Insomma, mentre la frontiera dalla Turchia alla Grecia risulta tutt’altro che accogliente nei confronti d’una grande quantità di sventurati profughi siriani, dalla Turchia all’Italia invece arriva senza ostacoli un po’ di tutto, dai generali alle bombe atomiche… E poiché noi Napolitani siamo tradizionalmente molto accoglienti, il nostro Sindaco – mettendo da parte bandane arancioni ed arcobaleno – ha ritenuto suo dovere accogliere con tutti gli onori il generale Vittiglio, augurandogli buon lavoro (proprio così…) ed omaggiandolo con lo stemma della “Città di Pace” di cui è primo cittadino. Magari gli sarà sfuggito che quello scudo giallo-rosso è l’antico stemma di uno dei Sedili di Napoli, quello del Popolo, e soprattutto che non è affatto vero che tutto il popolo napolitano sia felice e soddisfatto dell’occupazione militare di cui i ‘Liberatori’ alleati ci gratificano da quasi 70 anni. O, peggio, questo è stato ritenuto un particolare insignificante e comunque ininfluente.

L’Amm. James G. Foggo III insignito del titolo di ‘Commendatore della Repubblica Italiana

LA SECONDA NOTIZIA, ancora una volta riguardante i vertici della NATO, oltre che sul sito web del Comando J.F.C. Naples [iii] è apparsa anche sul Daily World Italia, un giornale telematico pubblicato a Civitavecchia, dal quale apprendiamo che:

«L’Ammiraglio James Foggo, Comandante del Comando Interforze Alleato di Napoli e delle Forze Navali USA in Europa e Africa è stato insignito del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana. L’alta onorificenza è stata consegnata dal Generale di Squadra Aerea Roberto Corsini, Consigliere del Presidente della Repubblica Italiana per gli Affari Militari, nel corso di una cerimonia tenutasi al Comando JFC Naples il 17 febbraio 2020. L’Ordine al Merito (OMRI) è un prestigioso riconoscimento della Repubblica italiana.  L’Ammiraglio Foggo ne è stato insignito per decisione del Presidente della Repubblica Italiana e Capo dell’Ordine, Sua Eccellenza Sergio Mattarella». [iv]

L’articolo riferisce le espressioni di gratitudine e le dichiarazioni dell’Ammiraglio responsabile della NATO per l’Europa e l’Africa, il quale, citando legami parentali risalenti alla seconda guerra mondiale, non ha mancato di sottolineare che «…questo ci ricorda da quanto tempo e con quanto impegno i nostri due paesi, uniti, si ergano a difensori della libertà[v]  Ecco, appunto. Quella “difesa della libertà” che – per citare la celebre frase pronunciata dal don Vito Corleone de Il Padrino – per noi Italiani continua ad essere “un’offerta che non si può rifiutare”. [vi]  I due organi d’informazione (ma il secondo è solo la traduzione italiana del primo) ci rendono edotti che l’onorificenza è conferita a personaggi

ritenuti meritevoli della gratitudine della Repubblica per il loro straordinario contributo all’integrazione e al coinvolgimento o per l’impegno profuso dai loro enti di appartenenza nell’ambito civile, culturale e professionale della Repubblica.”

A questo punto, forse immaginando che qualche lettore possa chiedersi cosa mai il vertice alleato abbia fatto di tanto importante per ricevere la commenda, si precisa che:

L’Ammiraglio Foggo è stato ritenuto meritevole della onorificenza per avere dato prova di eccezionale sensibilità, generosità ed impegno a favore della Repubblica Italiana e dei suoi cittadini.” [vii]  

Sinceramente continuo a non capire a quali manifestazioni di generosità ed impegno civico si riferisse l’articolo a proposito dell’ammiraglio della U.S. Navy, di cui è anche il Comandante nell’area euro-africana, controllata dalla 6^ Flotta. [viii]  Ma forse insistere su questo punto potrebbe sembrare inopportuno, visto che l’amm. James G. Foggo III è già stato insignito, oltre che di numerose decorazioni e di medaglie ad onor militare, anche di riconoscimenti civili come la prestigiosa Legion d’Honneur francese, che ora potrà sfoggiare insieme con le insegne di Commendatore al merito della Repubblica Italiana.

A questo punto, di fronte a tale indecoroso atteggiamento di subalternità verso i più alti vertici dell’Alleanza Atlantica in Italia – ringraziati ed omaggiati come se davvero ci stessero rendendo un insostituibile ed indispensabile servizio – non ci resta…”che piangere” – verrebbe da dire, citando il noto film con Benigni e Troisi. E invece no. Per me e tanti altri, non resta che demistificare, denunciare ed opporsi all’incalzante militarizzazione della società e della cultura, che passa anche per la retorica esaltazione di alti ufficiali delle forze armate. Da una Repubblica che costituzionalmente “ripudia la guerra” e da un Comune che si dichiara statutariamente “Città di Pace” non dovremmo aspettarci una  profluvie di omaggi rivolti a chi, al di là della retorica sulla NATO come ‘scudo’ della nostra libertà e sicurezza, si occupa di pianificare ed attuare operazioni belliche. Infatti, come peraltro è esplicitamente dichiarato nella pagina iniziale dello stesso sito web del JFC Naples, la sua attivazione:

«…era parte della trasformazione della NATO volta ad adattare la struttura militare alleata alle sfide operative di una guerra di coalizione, così da fronteggiare le minacce emergenti del nuovo millennio…» [ix]

Ebbene, se nel XIV secolo il titolo di “commendatore” indicava chi proteggesse o sostenesse gli altri, oggi di questi “commendatori” con greca e stellette e di quel genere di ‘protezioni’  faremmo invece volentieri a meno…


Note

[i] https://www.ilmattino.it/napoli/cronaca/napoli_luigi_de_magistris_nato_lago_patria-5093093.html

[ii] https://www.quasimezzogiorno.org/news/il-generale-vittiglio-nuovo-capo-di-stato-maggiore-del-joint-force-command-naples/

[iii] https://jfcnaples.nato.int/newsroom/news/2020/admiral-james-foggo-awarded-the-title-of–commendatore–of-the-order-of-merit-of-the-italian-republic-

[iv] http://www.dailyworditalia.com/comando-jfc-naples-lammiraglio-james-foggo-commendatore-dellordine-al-merito-della-repubblica-italiana/

[v] Ibidem

[vi] Cfr. https://aforismi.meglio.it/frase-film.htm?id=9c9a

[vii] www.dailyworlditalia.com , cit.

[viii] https://www.c6f.navy.mil/about-us/our-leaders/adm-foggo/

[ix] https://jfcnaples.nato.int/page5714813.aspx (traduzione mia)