Come può cambiar la vita da Trieste in giù…

“E ritornammo a riveder… lo Sole”

Apprendiamo che «nella classifica sulla Qualità della vita nelle province italiane, pubblicata oggi dal ‘Sole 24 Ore’. Roma sale dal 32esimo al 13esimo posto, Firenze dal 27esimo all’11esimo. Dopo anni di progressivo peggioramento Napoli torna a scalare posizioni (una) collocandosi 90esima. Benevento è 86esima, Salerno ottantanovesima, Avellino 93esima e Caserta al centesimo posto. Ai primi tre posti in Italia ci sono in ordine Trieste, Milano, Trento, Aosta, Bolzano, Bologna, Pordenone, Verona, Udine, Treviso. Ultimo posto per Crotone, preceduta da Foggia e Trapani». (Napoli Today13.12.2021). 

La classifica – si spiega – analizza la qualità della vita a livello generale e in tal modo ci presenta una fotografia aggiornata dell’Italia, che ancora una volta evidenzia rilevanti differenze territoriali. Si conferma il ben noto divario sociale tra Nord e Sud, ma dall’indagine statistica emerge come virtuoso e particolarmente ‘vivibile’ soprattutto il Nord-Est e specificamente il Friuli. La rilevazione svolta dal Sole si basava su dati relativi a sei indicatori: ricchezza e consumi, affari e lavoro, demografia, società e salute, ambiente e servizi, giustizia e sicurezza, cultura e tempo libero. Si precisa inoltre che i 90 indicatori statistici su base provinciale, divisi nei sei ambiti richiamati, prevedevano al loro interno «28 parametri aggiornati al 2021 e una decina di “indici sintetici” (cioè che a loro volta aggregano più parametri)…» (la Repubblica – Napoli, 13.12.2021).

I media locali rilevano che Napoli – “passo dopo passo”… – nel 2021 ha guadagnato due posizioni, piazzandosi comunque al 90° posto in classifica, numero poco felice dalle nostre parti, in quanto ci ricorda “la paura” nella Smorfia. E, oggettivamente, non può non impaurire chi vive a Napoli il fatto che il divario tra la prima classificata, Trieste, e l’ex capitale del Sud ammonta a ben 64,57 punti sul massimo di 581 attribuiti: un gap di quasi il 10%. Per non parlare di Caserta, che si classifica 100a su 107, mentre le altre tre province campane oscillano tra l’86° posto di Benevento (-7), l’89° di Salerno (+4) e il 93° di Avellino (-9).

Ed appunto a una ‘smorfia’ viene spontaneo atteggiare il viso di fronte a questa ennesima, spietata, dimostrazione della sopravvivenza di due Italie che – a distanza da 160 anni dalla cosiddetta ‘unificazione’ – continuano a fronteggiarsi arcignamente, senza una reale integrazione.

Non accomodiamoci sul divario

Commenta Michela Finizio: «La nuova geografia provinciale del benessere, che va da Trieste a Crotone […] si candida a diventare una bussola per orientare investimenti e progetti del Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr). Una cartina di tornasole delle disuguaglianze, accentuate dalla pandemia, da cui è necessario partire per attuare in modo efficace le tre missioni trasversali del Piano: ridurre i divari territoriali e di genere e aumentare le opportunità per i giovani […]  Su novanta indicatori le ultime posizioni sono popolate in ben 57 casi da province del Sud o delle Isole…»(Lab24 – Il Sole 24 ore ).

Già il PNRR come occasione storica per “ridurre i divari territoriali”. Obiettivo più che auspicabile ma contraddetto dalla strisciante tendenza a sancire ancor più quei divari, utilizzando quella “autonomia differenziata” che si fa strada subdolamente ed invece andrebbe denunciata in quanto oggettivamente anticostituzionale. Ecco perché c’è chi, come Massimo Villone, nutre legittimi dubbi su un PNRR ‘riequilibratore’: «La necessità di un ripensamento sull’autonomia differenziata non si manifesta solo per la sanità. Per il Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR) le priorità variamente dichiarate – come transizione ecologica, digitalizzazione, giovani, donne, Mezzogiorno – richiedono la definizione di obiettivi strategici nazionali e la capacità di formulare e implementare politiche nazionali forti volte a realizzarli. Su questo va attentamente misurata la compatibilità delle autonomie, in specie se declinate come nel separatismo soft di Lombardia, Veneto e in buona misura anche Emilia-Romagna […] Si sente dire spesso, e autorevolmente, che dalla crisi […] deve uscire un’Italia nuova e diversa. È giusto. Ma dall’autonomia differenziata ex art. 116.3 può rivelarsi difficile, o persino impossibile, tornare indietro, per come è disegnata nella norma costituzionale. Se si attuasse in modo sbagliato nel corso dell’attuazione del PNRR, potrebbe bene essere la pietra tombale sul Piano». (il manifesto – 25.04.2021).

Dalle statistiche lo stato dell’arte

Certo, per chi vive a Napoli – come in qualsiasi città dell’Italia meridionale – leggere questi dati risulta davvero sgradevole. Il guaio è che non possiamo neppure prendercela con i criteri in esame, visto che in questo caso non si tratta di parametri esclusivamente economici (che pure ci sono, quali ricchezza e consumi, affari e lavoro), ma di una gamma abbastanza ampia di fattori, che vanno dalla sicurezza ai servizi, dall’ambiente alla cultura e al tempo libero. Negli scorsi anni si è discusso a lungo dell’affidabilità di queste rivelazioni statistiche e dell’esigenza di andare ben oltre il P.I.L., prendendo in esame diversi indicatori di benessere e puntando alla “sostenibilità” dello sviluppo (v.ricerca). Ovviamente questa ricerca, come ogni altra indagine, può essere ritenuta opinabile e/o parziale. Si possono anche nutrire forti dubbi sul fatto che a chi abita a Trieste sia garantito un livello di vita dieci punti superiore a quello di chi, puta caso, risiede nella città metropolitana di Napoli. Però dobbiamo ammettere che le cifre, soprattutto se scorporate nei sotto-indicatori – restano impietosamente chiare.

Nell’ambito “ambiente e servizi” – dove Oristano Trieste e Milano sono sul podio – Napoli scende di 28 punti e si colloca al 98° posto. Per fortuna nella classifica su “cultura e tempo libero” troviamo Napoli al 23° posto, con un +47 d’incremento.  L’altalena però la riguarda in negativo quando si tratta di “giustizia e sicurezza”, laddove precipita al penultimo posto, scendendo di 29 punti.

A buon intenditor…

Che dire? Sebbene la percezione di un comune cittadino napolitano non gli restituisca una così netta ed evidente sensazione di de-grado (etimologicamente parlando), ritengo che l’ennesima rilevazione statistica non possa e non debba lasciarci indifferenti ed inerti. Solo pochi mesi fa le varie forze politiche, in occasione delle elezioni amministrative – avevano provato a darsi alcune priorità programmatiche, in modo da risultare più credibili e magari vincenti. Eppure, fatta la dovuta tara a questo genere di classifiche, non sarebbe stato male se i nostri amministratori (e aspiranti tali) avessero dato uno sguardo meno superficiale e distratto alle cifre che peraltro emergevano fin troppo chiaramente già dalle precedenti indagini del Sole-24 ore.

Se a Napoli, nella raccolta differenziata, restiamo al 36% rispetto all’88% di Ferrara ci sarà un perché. Se la provincia di Napoli si trova al penultimo posto nel parametro “energia elettrica da fonti differenziate” – sebbene tra le prime classificate ci siano anche città meridionali come Brindisi, Matera e Lecce – qualcosa si sarà pure sbagliato. Se la “spesa sociale dei comuni” a Napoli è identificata con l’indice 34,17 a fronte del 225,34 di Trieste qualcosa evidentemente non ha funzionato…

Morale della favola: non commettiamo l’errore di scambiare le rilevazioni per rivelazioni, ma non facciamo neanche finta di non averne comprese le indicazioni. Le analisi e le diagnosi, si sa, non mancano mai. Ma ora è il momento di passare finalmente alle terapie, senza dimenticare che il primo passo è la prevenzione. E non solo quella sanitaria.

Piano di Ripresa…militar-industriale

Immagine dall’articolo sul ‘Recovery Plan armato’ della Rete Italiana Pace e Disarmo

Dopo l’esaltante euforia interpartitica dei trionfali esordi, sembra che l’entusiasmo per il Governissimo presieduto da Mario Draghi cominci a smorzarsi. A mano a mano che i nodi arrivano al pettine, mettendo in discussione l’adesione acritica che aveva contagiato sindacati movimenti e associazioni, inizia ad appannarsi l’immagine, brillante quanto artificiosa, dell’esecutivo ‘di salvezza nazionale’ o, per riferirsi alla crisi pandemica, di ‘salute pubblica’. I suoi pilastri – unità, competenza, efficienza, determinazione – si sono dimostrati piuttosto fragili, non tanto per i pur prevedibili terremoti all’interno d’una maggioranza eterogenea, quanto per le sue intrinseche contraddizioni. Eppure avevamo assistito ad un vero e proprio plebiscito di consensi, con manifestazioni di fiducia espresse dai vertici di Legambiente ma anche da buona parte della Confindustria, dalla Lega salviniana fino a larga parte di ciò che rimane della sinistra.

Insomma, sembrava che la ‘discontinuità’ fosse un requisito essenziale perché il nuovo governo producesse i frutti attesi, ma le novità registrate finora, quando ci sono, sembrano andare in ben altra direzione. Il piatto forte – sul quale peraltro era stata costruita la crisi del precedente governo – resta naturalmente il ‘Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza’, dalla cui gestione delle risorse finanziarie dipenderebbe l’uscita dal tunnel deprimente della crisi socio-sanitaria ed economica che continua a stringerci nella sua morsa. C’era sul tavolo una programmazione che evidenziava già criticità e contraddizioni, ma l’esecutivo Draghi le ha messe ancor più in luce, ficcando un po’ di tutto in quell’appetitoso calderone da 200 miliardi. Eppure qualcuno ha sostenuto che la positività del Piano Draghi rispetto a quello di Conte consisterebbe nella sua capacità di unire le riforme agli investimenti.

Fare attenzione a che razza di ‘riforme’ stanno preparando è il vero problema visto che da tempo la ‘Neolingua’ della politica ci ha abituato alla deformazione del senso delle parole, e quindi alla mistificazione dei concetti. Già dalla nomina dei ministri, parecchi si erano chiesti ad esempio se la persona più adatta a guidare l’auspicata ‘transizione ecologica’ fosse un vertice della nostra principale azienda che produce ed esporta armamenti. O se la persona più indicata a ricoprire il ruolo di Ministro dello Sviluppo Economico fosse un leghista ultraliberale e filo-atlantista. Lo ‘sviluppo’ perseguito da questo governo, in effetti, non ha molto a che vedere non solo con la sbandierata svolta ambientalista, ma anche con una visione globalmente alternativa del rapporto tra attività produttive, integrità del territorio e riequilibrio socio-economico.

Ecco che, con la pubblicazione del PNRR, ora tutto quanto appare piùchiaro. Da quell’atteso ed accattivante uovo di Pasqua spuntano diverse sgradevoli sorprese, che colpiscono anche i più fiduciosi. Infatti, come già era stato preannunciato da altri soggetti meno inclini ad inchinarsi preventivamente al governissimo Draghi, l’istruttiva lettura del suo ‘Piano’ ha portato a galla preoccupanti elementi che, nel mentre hanno poco a che vedere con la ‘resilienza’, indicano piuttosto che la sedicente ‘ripresa’ perseguita si riferisce in larga misura al meno ecologico e civile dei settori produttivi: quello che fa capo al complesso militar-industriale. Lo scrive chiaramente la Rete Italiana Pace e Disarmo (RIPD), lamentando fra l’altro che le sue proposte alternative sono rimaste del tutto inascoltate. «…una parte dei fondi del Recovery Plan verrebbe destinata per rinnovare la capacità e i sistemi d‘arma a disposizione dello strumento militare. Un tentativo …di lavaggio verde dell’industria delle armi […] Nel testo licenziato dalla Camera si raccomanda di “incrementare, considerata la centralità del quadrante mediterraneo, la capacità militare dando piena attuazione ai programmi di specifico interesse volti a sostenere l’ammodernamento e il rinnovamento dello strumento militare, promuovendo l’attività di ricerca e di sviluppo delle nuove tecnologie e dei materiali” […] Per il Senato “occorre, inoltre, promuovere una visione organica del settore della Difesa, in grado di dialogare con la filiera industriale coinvolta, in un’ottica di collaborazione con le realtà industriali nazionali, think tank e centri di ricerca”…». [i]

Sì, rinnovare, incrementare, promuovere, dialogare sarebbero bei verbi se si parlasse di sviluppare un’economia ecosostenibile, decentrata, alimentata da fonti energetiche rinnovabili, capace di mobilitare le risorse giovanili e di arrestare una globalizzazione selvaggia e senza scrupoli. Verbi ambigui ed ipocriti se invece si fa riferimento al turpe mercato delle armi, al progresso tecnologico applicata agli strumenti per uccidere e reprimere, a ‘filiere industriali’ che grondano sangue… Come osservano i commentatori della RIPD, l’ambito militare non viene coinvolto nel PRRR per alcuni aspetti collaterali del sistema di difesa nazionale previsti dal vecchio Piano, come il rafforzamento della sanità o l’efficienza energetica degli immobili. Il referente diretto ed esplicito di una fetta dei fondi europei è proprio l’industria finalizzata allo ‘strumento militare’, peraltro già ‘beneficiaria’ del 18% degli investimenti pluriennali 2017-2034. Ciò significa che il governo Draghi – dichiaratosi da subito europeista ma anche prode sostenitore della Nato – ritiene che la ‘ripresa’ dell’Italia si promuove anche favorendo il riarmo bellico.

A quanto pare – scrivono gli ‘Antimilitaristi Campani’ nel loro recente opuscolo – la pandemia: «…non ha fermato né i conflitti in corso, né la corsa agli armamenti. Anzi, lo stesso Covid-19 … viene utilizzato nella propaganda delle grandi potenze in concorrenza tra loro per il dominio dei mercati e delle aree d’influenza […] Anzi, la morsa di questa crisi sistemica sembra accelerare lo scontro e l’attivismo guerrafondaio…e l’unico settore economico che continua a crescere è quello delle armi […] Questa corsa agli armamenti rischia di portarci verso…un nuovo conflitto mondiale che, considerato l’enorme arsenale nucleare in dotazione a nove paesi (circa 14.465 testate), porterebbe l’umanità e il pianeta verso la catastrofe». [ii]  E proprio di questa visione intimamente guerrafondaia si alimenta la crescente militarizzazione del territorio e delle istituzioni civili, resa ancor più evidente anche dalla nomina a Commissario nazionale per l’emergenza sanitaria del generale Francesco Paolo Figliuolo, esperto di logistica militare ma ««anche ex-comandante delle forze Nato in Bosnia e nel Kosovo. Una presenza inquietante, unita a quella di un Capo della Protezione Civile Nazionale che non ha esitato a dichiarare: “Siamo in guerra, servono norme di guerra”. [iii]

Il Capo della Protezione Civile Nazionale, Curcio, ed il Commissario Emergenza Covid, gen. Figliuolo

Come si può tollerare che – dopo un anno – non solo si continua ad usare infelici metafore belliche per parlare di un virus, con espressioni da bollettini di guerra, ma addirittura la si evochi in modo così esplicito? Una spiegazione ce l’aveva già data Susan Sontag, quando scriveva: «La guerra è una delle poche attività umane a cui la gente non guarda in modo realistico; ovvero valutandone i costi o i risultati. In una guerra senza quartiere, le risorse vengono spese senza alcuna prudenza. La guerra è pura emergenza, in cui nessun sacrificio sarà considerato eccessivo […] Trattare una malattia come fosse una guerra ci rende ubbidienti, docili e, in prospettiva, vittime designate. I malati diventano le inevitabili perdite civili di un conflitto e vengono disumanizzate…» [iv] L’impiego deliberato di ‘strategie sanitarie’ fondate sulla militarizzazione della sanità, quindi, serve a renderci tutti più acritici ed acquiescenti, enfatizzando il ruolo delle forze armate a danno di quella stessa protezione civile di cui Fabrizio Curcio è il massimo esponente nazionale. Come scrivevo in una precedente nota, infatti: «…alla ‘mobilitazione’ delle forze armate in ogni loro versione possibile (poliziotti, necrofori, infermieri, medici, costruttori di strutture emergenziali, ricercatori, etc.), è corrisposta la pressante richiesta rivolta alla popolazione civile di restare sempre più immobili, possibilmente a casa propria, evitando qualsiasi attività e/o manifestazione sociale e collettiva …» [v]

Il solo modo per non farsi abbindolare da tale mistificante visione ‘mimetica’ delle politiche sanitarie, allora, è da un lato informarsi (anzi, contro-informarsi) e dall’altro rivendicare le libertà fondamentali, costituzionalmente garantite ad ogni cittadino, che nessun commissario a quattro stelle può azzerare col pretesto dell’emergenza sanitaria. Il secondo passo da fare è aprire gli occhi sul ‘pacco’ pasquale che il governo Draghi ha preparato agli Italiani. Il PNRR nasconde fra le sue righe una quota assurda d’investimenti nel settore non solo militare, ma anche bellico. «Infatti, le linee d’intervento dirette alla digitalizzazione della P.A., alla transizione verso l’industria 4.0, all’innovazione e digitalizzazione delle P.M.I, alle politiche industriali di filiera, ecc. hanno l’obiettivo di finanziare lo sviluppo e l’espansione di tecnologie in campi strategici (Cloud computing, Cyber-security, Artificial Intelligence, robotica, microelettronica…) per loro stessa natura ‘dual use’ militare-civile…» [vi]

Vediamo quindi che una larga fetta del PNRR, apparentemente rivolta alla ‘modernizzazione’ tecnologica del nostro apparato produttivo e delle telecomunicazioni, ha lasciato ampio spazio di manovra alla ricerca, produzione ed esportazione di strumenti di guerra, che vanno da aerei ed elicotteri ad idrogeno agli strumenti di spionaggio e controspionaggio come quelli per il monitoraggio satellitare o anche agli sviluppi della robotica o la digitalizzazione dei sistemi logistici per la Marina. Per contro, degli oltre 200 miliardi destinati dalla U.E. a finanziare l’ex ‘Recovery Plan’, soltanto 19,72 sono stati effettivamente destinati al comparto sanità, di cui meno di 8 all’assistenza sanitaria territoriale, sempre più depauperata da dissennate politiche privatistiche ed ospedaliere, le cui carenze sono state evidenziate drammaticamente dalla pandemia da Covid-19.

Il solo settore dell’industria bellica, intanto, continua a macinare lauti profitti. Il Rapporto SIPRI pubblicato a dicembre 2020, infatti, riferisce che: «Le vendite di armi e servizi militari, da parte delle 25 società più grandi del settore, hanno totalizzato 361 miliardi di dollari nel 2019, l’8,5% in più rispetto al 2018 […] Tra queste, l’italiana ‘Leonardo’, in dodicesima posizione, che con 11,1 miliardi ha superato il colosso franco-tedesco Airbus […] L’Italia è il nono paese esportatore di armi e copre il 2,1% delle esportazioni globali. Durante i 30 anni di applicazione della legge 185/90, che regola l’export militare […] sono state autorizzate esportazioni di armi dall’Italia per un valore di circa 100 miliardi di euro […] Una riprova…che per l’industria militare italiana, che esporta il 70% della propria produzione, e per i governi che ne difendono gli interessi, ‘pecunia non olet’: se per fare profitti si devono fornire gli strumenti alla repressione interna, in barba ai sempre agitati diritti umani, oppure alimentare guerra, poco male!»[vii]

La voce dei movimenti pacifisti ed antimilitaristi italiani inizia a farsi sentire. Ancora sommessamente, ma cominciando a contrastare le bugie che hanno caratterizzato questa persistente fase di emergenza, caratterizzata da una visione centralista e decisionista del ruolo del governo, ma anche da una strisciante militarizzazione di quasi tutte le funzioni civili istituzionali. Anche la parte più attendista del movimento ambientalista italiano, di fronte alla realtà vera del PNRR, non ha potuto fare a meno di constatare che le scelte operate hanno ben poco a che fare con la sbandierata ‘transizione ecologica’. Infatti, non solo non si mette minimamente in discussione l’attuale modello di sviluppo, ma si insiste assurdamente sulla ripresa di quella ‘crescita’ che è alla base delle devastazioni ambientali e del saccheggio del territorio, con evidenti ripercussioni anche sanitarie oltre che sul clima. Ecco perché si rende necessario un raccordo ‘ecopacifista’ tra i due movimenti, ben sapendo che la principale fonte di consumo energetico, ma anche di disastroso impatto sull’ambiente, è legato al complesso militar-industriale. Quello che, secondo un tragico circolo vizioso, si nutre di risorse per fare le guerre che le potenze proclamano per accaparrarsene il controllo.

Ecco perché c’è bisogno di una mobilitazione ecopacifista per smascherare la visione buonista delle forze armate come garanti della sicurezza e perfino della salute dei cittadini. Bisogna proclamare con forza che il sistema militare è quanto di più estraneo ad una ‘transizione ecologica’, come ha giustamente fatto la Rete Italiana Pace e Disarmo nel suo recente comunicato: «La produzione e il commercio delle armi impattano enormemente sull’ambiente. Le guerre (oltre alle incalcolabili perdite umane) lasciano distruzioni ambientali che durano nel tempo. Ne consegue che la lotta al cambiamento climatico può avvenire solo rompendo la filiera bellica e che il lavoro per la pace è anche un contributo al futuro ecologico». [viii]   Il futuro dell’umanità e del nostro Pianeta, non può essere affidato nelle mani di chi è stato addestrato a fare la guerra, a considerare il territorio come qualcosa da controllare ‘manu militari’ e a degradare i beni naturali al livello di mere risorse di cui impadronirsi, anche a costo di morti e distruzione. No, non siamo in guerra e dobbiamo invece obiettare a chi vorrebbe imporci un modello militarizzato e centralistico di protezione civile e non ha mai accettato, benché ratificato anche a livello costituzionale, che la difesa può (e deve) essere soprattutto civile, popolare, non-armata e nonviolenta. [ix]

Note


[i]  Rete Italiana Pace e Disarmo, “Il Recovery Plan armato del governo Draghi: fondi UE all’industria militare” (01.04. 2021) >  https://retepacedisarmo.org/2021/il-recovery-plan-armato-del-governo-draghi-fondi-ue-allindustria-militare/

[ii]  Antimilitaristi Campani, Fermiamo la guerra, Napoli, 2021, pp. 6-7 (l’opuscolo, autoprodotto, è scaricabile online a questo indirizzo: https://mega.nz/file/iQwEQSBI#j8rOdXF7uJp76vgbrwfT6kXBNCVx2w9JwsF6dey2qLA  )

[iii] “Vaccini, Figliuolo e Curcio a Genova: “Siamo in guerra, servono norme di guerra” (29.03.2021), La Presse > https://www.lapresse.it/coronavirus/2021/03/29/figliuolo-e-curcio-a-genova-siamo-in-guerra-servono-norme-di-guerra/

[iv]  Susan Sontag, Malattia come metafora (1978), cit. in: Daniele Cassandro, “Siamo in guerra! Il coronavirus e le sue metafore”, Internazionale (22.03.2020) > https://www.internazionale.it/opinione/daniele-cassandro/2020/03/22/coronavirus-metafore-guerra

[v]  Ermete Ferraro, “Strategie sanitarie…” (02.03.2021), Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2021/03/02/strategie-sanitarie/

[vi]  Antimilitaristi Campani, Fermiamo la guerra, cit., p. 33

[vii]  Ibidem, pp. 37…41

[viii]  RIPD, “Il Recovery Plan armato del governo Draghi…”, cit.

[ix]  “Infatti l’articolo 8 della legge 106/2016 ribadisce un concetto importante sull’identità del Servizio civile universale “finalizzato, ai sensi degli articoli 52, primo comma, e 11 della Costituzione, alla difesa non armata della patria e alla promozione dei valori fondativi della Repubblica”. Ossia, nel solco delle precedenti normative (L.230/98 e L. 64/2001) e delle ripetute sentenze della Corte Costituzionale, anche questa riforma ribadisce che la difesa del Paese cammina (dovrebbe camminare) su due gambe: la difesa miliare e la difesa civile, non armata e nonviolenta” (Pasquale Pugliese, “Servizio civile come formazione alla difesa civile, non armata e nonviolenta. Per tutti”, in: Vita, 16.10.2016 > http://www.vita.it/it/blog/disarmato/2016/10/16/il-servizio-civile-come-formazione-alla-difesa-civile-non-armata-e-nonviolenta-per-tutti/3751/

© 2021 Ermete Ferraro


Presidiare l'emergenza?

Che cosa emerge dall’emergenza?

L’emergenza sanitaria economica e sociale innescata dalla tremenda epidemia di coronavirus sta provocando ‘effetti collaterali’ di cui sarebbe grave non tener conto. Tra le conseguenze della progressiva paralisi dell’ordinarietà nel nostro Paese ci sono quelle di cui i media ci parlano incessantemente, che vanno dalle situazioni derivanti dalla forzata inerzia di interi nuclei familiari bloccati in casa, alle difficoltà quotidiane riguardanti le fasce deboli (anziani, bambini, disabili), ma anche ai crescenti problemi economici per famiglie monoreddito o dipendenti da lavori precari.  Si parla molto della pesante crisi economica che l’arresto delle attività produttive sta innescando ma, sia pur timidamente, si sta facendo strada anche qualche riflessione sugli effetti distorcenti che un perdurante clima emergenziale potrebbe avere sulla stessa democrazia.

La stragrande maggioranza dei commentatori, ma anche dei partecipanti alle interminabili chat dilaganti sul web e sul social, sono però concentrati sulle questioni igienico-sanitarie. Si discute particolarmente sui modi per fronteggiare i rischi di contagio, oppure di quelli di alienazione per il troppo repentino cambiamento delle abitudini quotidiane, caratterizzato dalla relazionalità capovolta di una vita improvvisamente concentrata sul dimenticato binomio casa-famiglia. C’è poi chi si preoccupa che il regime emergenziale sta limitando drasticamente i consumi – contraddicendo le abituali esortazioni a rincorrere la ‘crescita’ – e chi invece, più prosaicamente, vede a rischio consumi voluttuari che creano per di più dipendenza, come alcolici, sigarette, stupefacenti e giochi d’azzardo.

C’è un aspetto, però, al quale organi d’informazione e ‘forzati della tastiera’ non sembrano dare peso o, viceversa, sul quale si esprimono in modo insistente. Mi riferisco all’utilizzo delle forze armate in situazioni di emergenza, con funzioni estranee alla loro mission originaria, come quelle di protezione civile e di pubblica sicurezza. Tale subdola ma persistente tendenza a militarizzare la società va dall’ingombrante intervento di esponenti delle forze armate nelle istituzioni scolastiche al loro quasi abituale intervento per sciagure e catastrofi naturali o con funzione di monitoraggio ambientale del territorio. Ben pochi italiani ne sono davvero consapevoli e comunque pochi ne sembrano preoccupati, preferendo considerare i soldati, piazzati con mimetiche e mitra lungo le strade o davanti a monumenti e chiese, una rassicurante presenza protettiva.

Del resto, presidenti di regione e sindaci – con sconcertante spirito bipartisan – da tempo stanno invocando l’utilizzo delle forze armate per far rispettare ordinanze e decreti emanati e per reprimere le violazioni di tali provvedimenti restrittivi. Dal Lombardo-Veneto alla Sicilia, passando per Campania e Puglia, si sono alzate le voci di chi auspicava più soldati per le nostre strade ed il Governo – per nulla “insensibile a questo grido di dolore” – ha effettivamente deciso in tal senso, anche se in modo un po’ pasticciato.

«Cosa dovranno fare i soldati per le strade di Roma è tuttora un rebus. Come anche quali reparti saranno impiegati e se dovranno arrivare rinforzi da altre province per assicurare il controllo del territorio nella Capitale […] rimane tuttora da capire se sarà effettivamente richiesta […] la presenza degli uomini e delle donne dell’Esercito al fianco delle forze dell’ordine anche nelle verifiche quotidiane sugli spostamenti giustificati o meno dei cittadini per l’emergenza coronavirus. […] Prima di tutto perché i soldati non potrebbero denunciare chi esce di casa senza comprovato motivo, ma dovrebbero limitarsi a identificarlo, per poi richiedere l’intervento di una pattuglia di polizia, carabinieri, vigili urbani o Guardia di Finanza per poter completare la procedura.». [i]

Regole d’ingaggio e/o regole democratiche

L’insistenza con la quale amministratori, esponenti politici e semplici cittadini hanno sollecitato l’intervento dei militari per la repressione di chi infrange i divieti imposti dallo stato di emergenza è parzialmente giustificabile con la crescente preoccupazione per le gravi conseguenze di tali inadempienze per la salute pubblica.  Un effetto collaterale del clima ansiogeno scatenato dalla reclusione forzata e dall’angoscia per le troppe vittime del virus, infatti, è stato l’aumento della diffidenza reciproca, con l’affiorare di latenti istinti aggressivi e repressivi. Dalle truculente esternazioni di ‘governatori’ alle pesanti invettive sui social non emerge solo la richiesta di far rispettare le regole, ma spesso anche un’esplosione di violenza, per ora solo verbale, verso chi non si rassegna a sottomettersi alle disposizioni restrittive. Talvolta assistiamo effettivamente a pericolose trasgressioni, comportamenti irresponsabili ed atteggiamenti di sfida delle norme di sicurezza. Però non dovrebbe sfuggire a nessuna persona con normale spirito di osservazione che tali episodi si verificano di solito in aree cittadine popolari, degradate e da sempre abbandonate a se stesse. Non dovrebbe sfuggirci neppure che sta paurosamente crescendo, e non certo da oggi, il numero dei disoccupati, degli occupati in forma precaria, dei senza fissa dimora, dei nuclei familiari costretti a convivere in condizioni del tutto inadeguate e degli immigrati che utilizzano depositi e scantinati come abitazioni Tutti soggetti cui ripetere “restate a casa” sicuramente non basta. Sappiamo poi che spesso i quartieri popolari delle nostre metropoli sono lasciati in preda all’anarchia; che certi rioni sono notoriamente off limits per le forze dell’ordine e che la situazione di alcune periferie urbane era già esplosiva.  Ma è più facile auspicare sprangate, fustigazioni, fucilazioni e stragi con lanciafiamme o col napalm, come mi è capitato di leggere tra i commenti postati su un’insospettabile pagina facebook…

L’impiego dei soldati per garantirci ‘law and order’, oltre a non suscitare reazioni allergiche sul piano democratico, è spesso considerato la vera soluzione per far rispettare la legge. Ma le cose – pur prescindendo da considerazioni di opportunità e di legittimità – stanno diversamente. Come sottolineava l’articolo citato, l’utilizzo delle forze armate con compiti di polizia non è affatto scontato e comunque dipende dalle ‘regole d’ingaggio’ stabilite per tali ‘missioni’. Quella più nota è iniziata quasi dodici anni fa ed è tuttora operativa. Secondo fonti ufficiali:

«Attualmente, risultano impiegati per l’Operazione “Strade Sicure” 7.050 donne e uomini dell’Esercito Italiano, che garantiscono una presenza capillare sul territorio nazionale contribuendo fattivamente alla realizzazione di un ambiente più sicuro. Tra gli obiettivi vigilati nell’ambito dell’Operazione rientrano siti istituzionali, luoghi artistici, siti diplomatici, porti, aeroporti, stazioni ferroviarie e della metropolitana, luoghi di culto e siti di interesse religioso, valichi di frontiera…». [ii] 

Un problema evidenziato nell’articolo è che le regole d’ingaggio per i militari impegnati in questo tipo di operazioni non li equiparano affatto ad agenti di polizia e carabinieri, che infatti spesso li affiancano. Come d’altronde precisava un documento dello stesso Ministero della Difesa:

«Al personale della Forze Armate, non appartenente all’Arma dei Carabinieri, è attribuita la qualifica di Agente di Pubblica Sicurezza, con esclusione delle funzioni di Polizia giudiziaria». [iii] 

Ciò significa che esso può fermare, identificare e nel caso denunciare, ma non arrestare chi commette un reato. Inoltre, la nostra stessa esperienza c’insegna che i contingenti militari impiegati si limitano spesso ad un presidio armato fisso accanto ai loro mezzi blindati, ma di solito non effettuano un pattugliamento attivo. La loro presenza, insomma, appare un inutile spauracchio, ma non certo un’efficace soluzione per fronteggiare le trasgressioni che tanto ci allarmano.

Se 23.000 ‘sorveglianti’ vi sembran pochi…

Uno dei più esagitati propugnatori della presenza dell’esercito con funzioni di controllo in occasione dell’attuale emergenza sanitaria, è stato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. Egli, infatti, non si è limitato a chiedere un rinforzo dei normali controlli di polizia, ma ha auspicato esplicitamente soluzioni drastiche e straordinarie:

«È arrivato il momento per chiudere tutto e militarizzare l’Italia […] Abbiamo chiesto l’invio di forze armate. Abbiamo avuto un primo risultato, 100 unità. Ancora poche. […] È indispensabile il controllo militare, con poteri eccezionali alle forze dell’ordine…» [iv]

Altri ‘governatori’ e sindaci – da regioni settentrionali alla Sicilia – hanno avanzato richieste simili, evitando almeno d’invocare lo stato di guerra, benché questa parola sia riecheggiata più volte – sia pur come metafora – per caratterizzare l’attuale emergenza sanitaria. Come scrive A. Leiss:

Ci siamo precipitati a definire la pandemia del coronavirus come una guerra, con i vocaboli derivati – la linea del fronte, gli eroi che rischiano la vita, l’esigenza di una disciplina di ferro, di un comando unico e di sanzioni severe per chi sgarra, mobilitando l’esercito. Ma abbiamo evocato un fantasma più che descritto la realtà. Un fantasma balordo. Non una cosa completamente infondata, ma rischiosa, pericolosamente imprecisa “. [v]

Ma, ritornando alla Campania, come stanno veramente le cose? Ho cercato di fare il punto della situazione a regionale, solo sommando i dati numerici disponibili in rete e questi sono i risultati.

In Campania risultavano operativi (dati 2018): ca. 4.600 unità del personale della Guardia di Finanza; ca. 9.500 appartenente all’Arma dei Carabinieri; ca. 8.500 uomini della Polizia di Stato, per un totale di ca. 22.600 operatori di polizia giudiziaria (di cui 14.100 appartenenti ai due corpi militari (GdF e CC). Inoltre, da più di 11 anni sono stati distaccati solo in Campania, per l’operazione ‘Strade Sicure’, 900 unità operative appartenenti all’Esercito Italiano, con compiti di sorveglianza. Ad essi, da pochi giorni, si sono aggiunti altri 100 militari, in risposta alle pressanti istanze di De Luca, con un totale di ben 1.000 appartenenti alle forze armate con funzioni di ‘agenti di pubblica sicurezza’.  Non dimentichiamo poi che, nel solo Comune di Napoli, nel 2019 risultavano in servizio circa 2.000 operatori della Polizia Municipale (1.560 agenti + 450 fra dirigenti, funzionari, istruttori direttivi ecc.) e che anche la Città Metropolitana di Napoli gestisce un proprio Corpo di Polizia, l’entità del cui personale non risulta però verificabile. Ebbene, calcolando grosso modo che le unità di questi contingenti destinati alla città capoluogo oscillino tra un quinto ed un sesto del totale (visto che Napoli ha ca. 1.000.000 di abitanti sui quasi 6 complessivi, ma con molti più obiettivi sensibili e problematiche rispetto ad altre aree urbane), dividendo 23.500 per 5,5 otteniamo 4.272. Se a questo notevole contingente di finanzieri, carabinieri, agenti di P.S. e militari aggiungiamo pure i circa 2.000 agenti di polizia locale, solo per Napoli raggiungiamo la ragguardevole cifra di circa 6.300 persone potenzialmente impiegabili nel controllo e nella repressione delle violazioni alla legge, in larga parte con compiti non solo di ‘pubblica sicurezza’ ma anche di polizia giudiziaria. Proviamo adesso a rapportare questo numero alla popolazione napolitana ed otteniamo una ratio di 0,007 agenti per abitante. Ripetendo la stessa operazione per due metropoli con oltre 8 milioni e mezzo di abitanti e con un personale di forze di polizia che si aggira sulle 35.000 unità, come Londra e New York City, otteniamo invece un rapporto inferiore, cioè 0,004. Ma per qualcuno è sempre troppo poco…

Uniformi per garantire…l’uniformità?

Le misure adottate per l’attuale stato di emergenza – in parte ratificato da un Parlamento ormai quasi uscito di scena, lasciando campo libero e troppe responsabilità all’Esecutivo – hanno suscitato dubbi e preoccupazioni in alcuni giuristi e costituzionalisti. Qualcuno infatti si è chiesto, ad esempio, se le vigenti restrizioni siano conformi alle norme costituzionali e se questo regime straordinario non rischi di far saltare i delicati equilibri fra diritto alla salute ed alla sicurezza e tutti gli altri diritti previsti dalla Carta. Come ha osservato l’avvocato Nicola Canestrini:

«Alcune di queste misure hanno impattato pesantemente su diritti costituzionali […] Parliamo della libertà di circolazione, soggiorno ed espatrio (articolo 16 della Costituzione); di riunione (articolo 17 della Costituzione); di esercizio dei culti religiosi (articolo 19); di insegnamento (articolo 33); su garanzia e obbligo di istruzione (articolo 34). Le misure di contenimento possono incidere poi sulla libertà di iniziativa economica (articolo 41, primo comma). Alcuni di questi diritti costituiscono senz’altro principi fondamentali dell’ordinamento, e possono quindi essere limitati ma mai abrogati […] …si ritiene che il bilanciamento dei beni costituzionalmente rilevanti abbia come parametro l’articolo 32 della Costituzione: la norma costituzionale indica la tutela della salute come “fondamentale diritto dell’individuo”, che tuttavia va in qualche modo contemperata con “l’interesse della collettività”…» [vi]

Data la delicatezza della situazione, allora, è davvero utile e legittimo l’intervento delle forze armate con compiti di tutela della salute e della sicurezza collettiva? A tal proposito, il noto penalista napolitano Domenico Ciruzzi si è espresso piuttosto criticamente:

«Mi chiedo: per quanto tempo dovremo ascoltare la cantilena mistificante che l’esercito serve per evitare che la gente scostumata esca di casa? Tutti convengono che più del 90 per cento degli italiani – e sicuramente dei napoletani – si è chiuso in casa e che i crimini sono di fatto quasi spariti. Polizia, carabinieri, Guardia di finanza sono pressoché disoccupati. Dunque, perché l’esercito? Per fare cosa? La verità è che tra uno-due mesi si temono le sommosse degli affamati […] …il governo ha il dovere istituzionale di anticipare gli eventi e non far finta di chiamare l’esercito per arginare quelli che non rispettano i divieti per poi, invece, usare astutamente i militari per sedare prevedibili rivolte…». [vii]

Non è un caso, inoltre, che un autorevole periodico come l’Espresso recentemente abbia così intitolato un suo articolo: “Coronavirus, esercito e forze dell’ordine in allarme: serve un piano contro caos e disordini[viii]. Non bisogna essere antimilitaristi per temere che una crescente militarizzazione possa preludere ad interventi repressivi, giustificandoli con lo stato di emergenza o, come qualcuno ha già iniziato a dire, di ‘guerra’ all’epidemia. La restrizione delle libertà personali, la sospensione di fatto del confronto democratico e l’adozione di misure eccezionali sono sintomi preoccupanti di una tendenza autoritaria che già da tempo stava affiorando nel nostro Paese. I patriottici richiami ad un’unità nazionale imposta 160 anni fa e mai davvero realizzata – per di più compromessa dalle tendenze centrifughe di chi reclama ‘autonomie differenziate’ per legittimare e rafforzare assurdi privilegi e diseguaglianze – sollecitano retoricamente un unanimismo nazionalista che potrebbe preannunciare l’imposizione di un pensiero unico ed un regime autoritario.

Mi auguro sinceramente che nessuno pensi davvero d’imporre l’uniformità e l’obbedienza passiva ricorrendo alle uniformi militari ed a metodi repressivi eccezionali. In ogni caso – per citare ancora Canestrini – facciamo attenzione a “non abbassare le difese immunitarie della Costituzione”, restando sempre, e nonostante tutto, cittadini vigili ed attivi.


Note:

[i] Rinaldo Frignani, “Coronavirus a Roma, soldati per i controlli ma non possono denunciare”, Corriere della Sera (Roma), 21.3.2020 > https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/20_marzo_21/coronavirus-roma-soldati-controlli-ma-non-possono-denunciare-2de8a292-6aea-11ea-b40a-2e7c2eee59c6.shtml?fbclid=IwAR18ecCDGlZw-tggU2ln8EphoIhXDmqiqNQScjAkgfwYPakHNVw60nFuES4&refresh_ce-cp

[ii]http://www.esercito.difesa.it/operazioni/operazioni_nazionali/Pagine/Operazione-Strade-Sicure.aspx

[iii] Ministero della Difesa, Operazione Strade Sicure (fonte: Forze Armate, La Difesa, UTET) > https://www.difesa.it/Content/Pagine/StradeSicure-ForzeArmate-LaDifesa.aspx

[iv] http://www.napolitoday.it/cronaca/coronavirus-decreto-regione-de-luca.html?utm_source=newsletter&utm_medium=email&fbclid=IwAR0eJAhL9PpkVgARXlEQ3na0DDI1EA4d3yi-V0HzClQQBs1oI63tk8YRpEc

[vi] Alberto Leiss, “Il fantasma balordo della guerra”, il manifesto > 24.03.2020 > https://ilmanifesto.it/il-fantasma-balordo-della-guerra/?utm_source=Iscritti+web&utm_campaign=602e49ba0d-EMAIL_CAMPAIGN_2020_03_24_05_00&utm_medium=email&utm_term=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&goal=0_1006d401fe-602e49ba0d-184824111&mc_cid=602e49ba0d&mc_eid=f3a0ad9d2b

[vii] Nicola Canestrini, “Non abbassiamo le difese immunitarie della Costituzione” > https://www.ildolomiti.it/politica/2020/coronavirus-lavvocato-canestrini-quanto-detto-da-fugatti-e-errato-sia-nel-metodo-che-nel-merito-non-abbassiamo-le-difese-immunitarie-della-costituzione  ed anche: “Coronavirus  non indebolisca le difese immunitarie dello stato di diritto”>    https://www.ilfaroonline.it/2020/03/19/coronavirus-non-indebolisca-le-difese-immunitarie-dello-stato-di-diritto/326129/

[vii] Domenico Ciruzzi, “Sostegno ai poveri più che l’esercito”, la Repubblica – Napoli

[vii] Vedi: https://espresso.repubblica.it/plus/articoli/2020/03/13/news/coronavirus-esercito-polizia-1.345574?preview=true

‘SUDYAGRAHA’: per la riscossa nonviolenta del Sud

Fare rumore…conviene?

“Che fai rumore qui / E non lo so se mi fa bene / Se il tuo rumore mi conviene / Ma fai rumore, sì / Che non lo posso sopportare / Questo silenzio innaturale…”.  Le parole del ritornello della canzone cantata da Diodato, vincitrice a Sanremo, mi sono improvvisamente venute in mente al termine del Convegno che si è svolto a Portici sabato 15 febbraio, organizzato dal Coordinamento Sud di Pax Christi. Il tema dell’incontro era suggestivo quanto originale: “Italia del Nord-Italia del Sud. Storia Giustizia Nonviolenza”. Lo definisco ‘originale’ perché anche all’interno dei movimenti pacifisti e nonviolenti operanti nel nostro Paese purtroppo non è facile trovare riferimenti al conflitto esistente fra quelle due Italie cui si fa cenno nel titolo, su cui si è preferito lasciar cadere un imbarazzato silenzio. Ed è proprio quel “silenzio innaturale” che, come altri pacifisti meridionali, anch’io ormai “non lo posso sopportare”. Ecco perché mi sembra necessario “far rumore” benché, come nella canzone, molti sembrano scettici sul fatto che questo rumore “ci fa bene” e, soprattutto, che “ci conviene”. Anche nel corso dell’incontro, infatti, qualcuno ha espresso dubbi sull’apertura da parte di Pax Christi di questo nuovo fronte di conflitto, sospettando che possa risultare ‘divisivo’. Obiezione comprensibile, ma che nasce dalla mancata consapevolezza che non è possibile operare divisione laddove l’unità – contrariamente a quanto ci si è fatto credere per un secolo e mezzo – non c’è mai stata davvero.

Facciamo benissimo ad occuparci della repressione contro Curdi e Palestinesi, come di quella nei confronti dei nativi amerindi oppure dei Rohingya. È cosa buona e giusta attivarsi per tutte le minoranze oppresse e per tutte le vittime del vecchio e nuovo colonialismo, nella consapevolezza che la Nonviolenza gandhiana – fine e mezzo al tempo stesso – è nata proprio come strategia alternativa nella lotta degli Indiani per la loro indipendenza ed autonomia.  Risulta però strano che un secolo e mezzo di conquista coloniale e sfruttamento del Sud della nostra penisola abbia invece lasciato molti teorici ed attivisti dei movimenti di liberazione quanto meno silenti, se non del tutto indifferenti. Ovviamente ci sono state e ci sono nobili eccezioni, come quella di Aldo Capitini, Danilo Dolci o Giuliana Martirani. Fra l’altro, il merito del convegno di Portici è di Antonio Lombardi, che a questa problematica ha dedicato un libro e da anni si sta battendo per quella “educazione alla identità e liberazione nonviolenta del Sud” che è alla base di un processo di ‘decolonizzazione’, mentale prima ancora che economica, dei meridionali. Eppure sembra evidente che dovremmo andare oltre, passando dall’attenzione alle sporadiche voci profetiche d’un riscatto nonviolento del Sud ad una riflessione più ampia, diffusa e condivisa, dalla quale l’arcipelago dei pacifisti, antimilitaristi e nonviolenti possa trarre un progetto complessivo da portare avanti, nel nome della riconciliazione ma, prioritariamente, della verità e della giustizia che ne sono la precondizione.

«Un popolo che subisce la colonizzazione mentale e viene educato all’oblio di sé è un popolo perduto. Educare all’identità, allora, significa partecipare a una straordinaria forma di difesa nonviolenta, è afferrare una poderosa tenaglia per spezzare la catena della sottomissione […] per andare verso una comunità consapevole della propria storia e del proprio valore, pronta a lottare per la dignità e l’equità, rifiutando di collaborare con la pesante emarginazione che la opprime a partire dalla conquista del 1860.» [i]

Catene da cui liberarsi o preziosi monili ?

Ma per “spezzare le catene della sottomissione” (e soprattutto per recidere quelle che, come si osservava nel libro citato, gli stessi oppressi paradossalmente spesso considerano monili preziosi…) c’è bisogno di una preventiva maturazione della coscienza da parte di comunità che continuano a vivere la propria subalternità come colpa o condanna del fato. I due interventi che, in quel convegno, hanno preceduto quello di Antonio Lombardi erano quindi altrettanto importanti. Il primo, di Vincenzo Gulì, studioso di storia del Mezzogiorno, si occupava di tracciare la “storia di una nascita”, ossia gli eventi passati che hanno portato alla sedicente Unità d’Italia, proprio “per capire il presente”. Rileggere criticamente la storia raccontata dai vincitori, attingendo a fonti e documenti finora occultati o prudentemente ignorati, è il solo modo per cogliere logiche e meccanismi dell’annessione colonialista del Regno delle due Sicilie. Si trattava infatti di uno dei più antichi, ampi e ricchi d’Europa che, contrariamente a quanto si è pervicacemente voluto far credere, non era per nulla arretrato e sottosviluppato, per cui l’unificazione – sul cui mito retorico sono state formate diverse generazioni di Italiani – di ‘patriottico’ ha avuto molto poco, non essendo stata altro che la forzata annessione di circa un terzo del territorio della Penisola al Regno di Sardegna, di cui cambiò di fatto solo l’estensione ed il nome.

Suppongo che molti continueranno a dissentire su tale rilettura storica, accusandola di ‘revisionismo’ e di ‘secessionismo’ ma evitando di andare a verificare quanto fossero fondate le ‘certezze’ che ci hanno inculcate in un secolo e mezzo di scuola unitaria e d’informazione a senso unico. Ormai i testi che trattano questi argomenti sono molti e qualificati, oltre che ampiamente basati su documentazioni difficilmente contestabili, per cui mi limito a rinviare alla lettura dei libri di Carlo Alianello [ii], Giordano Bruno Guerri [iii],  Pino Aprile [iv],  o Giovanni Fasanella e Antonella Grippo [v]. La stessa espressione ‘questione meridionale’ – al di là delle intenzioni dei grandi meridionalisti, da Nitti a Villari, da Fortunato a Salvemini, fino a Pannunzio, Compagna e Galasso –suggerisce implicitamente una connotazione negativa, come se si trattasse di un ‘problema’, una specie di pesante croce, di cui il Centro-Nord avanzati e progressisti sarebbero stati costretti a caricarsi. Ma la verità è ben altra e, pur  non volendo turbare le intime certezze patriottiche altrui con letture storiche dissonanti dalle versioni ufficiali, è oggettivamente impossibile – o almeno dovrebbe esserlo… – chiudere gli occhi su come quella stessa secolare ed irrisolta ‘questione meridionale’ abbia dato luogo molto più recentemente ad un ulteriore capovolgimento neolinguistico della realtà, trasformandosi in ‘questione settentrionale’ ed accelerando il truffaldino processo di ‘secessione dei ricchi’, consentito dalla c.d. ‘autonomia differenziata’, a sua volta frutto della già ventennale riforma ‘federalista’ del titolo V della nostra Costituzione repubblicana. Ecco perché è stato fondamentale che i convegnisti di Pax Christi ascoltassero anche il secondo intervento, affidato ad un acuto studioso dei processi economici come Marco Esposito. Il noto giornalista del quotidiano ‘Il Mattino’ è infatti l’autore di “Zero al Sud” un saggio fondamentale per capirci qualcosa dell’ultima fase della spoliazione del Mezzogiorno d’Italia, in cui – come nella favola esopiana del lupo e l’agnello – la preda continua ad essere imputata di aver danneggiato il suo predatore.  Con la scusa del ‘federalismo fiscale’, infatti, non contenti degli 840 miliardi di euro già sottratti al Sud negli ultimi 17 anni [vi] e della truffa dei finanziamenti annunciati ma mai assegnati veramente [vii] le regioni del Centro-Nord si preparano all’ultimo scippo di risorse mascherato da ‘giustizia fiscale’.

La teoria dei giochi a somma…zero al Sud

In teoria dei giochi, un gioco a somma zero descrive una situazione in cui il guadagno o la perdita di un partecipante è perfettamente bilanciato da una perdita o un guadagno di un altro partecipante in una somma uguale e opposta[viii].  Se questo è vero, ad ogni perdita economica imposta al Sud corrisponde un uguale guadagno aree geografiche che già stanno molto meglio, in barba uno dei principi fondamentali della nostra Costituzione, relativo alla “solidarietà politica, economica e sociale”, espressamente sancito all’art. 2.  Come scriveva già nell’introduzione al suo libro Marco Esposito:

«Il federalismo – voluto dal Nord e accettato dal Sud – sembrava una buona soluzione […] Quando però il federalismo fiscale è stato tradotto in cifre, ci si è trovati davanti a qualcosa di non previsto. Lo Stato italiano dopo complessi conteggi ha certificato che il fabbisogno dei territori privi di servizi fosse proprio zero. Esattamente zero. E quindi il nulla coincidesse con il giusto […] La medicina per curare le inefficienze del Sud, il federalismo fiscale, si è mutata in un veleno a lento rilascio, che ne accorcia l’esistenza […] E così, non avendo i soldi per dare al Sud quello che era giusto, si è intrapresa la strada opposta: si è certificato che al Sud i servizi pubblici non servono, al Sud non ce n’è bisogno, al Sud il fabbisogno è zero o è molto poco. Un furto di diritti che, per riuscire, doveva avvenire al riparo da occhi indiscreti…» [ix]

Non è certo un caso che l’iter parlamentare della cosiddetta ‘autonomia differenziata’ sia stato a lungo blindato da chi aveva interesse a farlo, con la colpevole acquiescenza di chi avrebbe dovuto tutelare gli interessi del Sud e la complice copertura di media troppo distratti.

«Una delle astuzie della legge 42/2009 fu stabilire che le nuove regole non si applicassero alle cinque regioni a statuto speciale […] La 42 riconobbe, com’è ovvio dovendo attuare la Costituzione, la necessità di definire i Lep, i livelli essenziali delle prestazioni, ma saggiamente introdusse gli ‘obiettivi di servizio’ cui dovevano tendere le amministrazioni regionali e locali […] Obiettivi di servizio e Lep, però, non furono mai approvati […] La 42 conteneva una norma finale che nascondeva in sé il conflitto tra territori: “Dalla presente legge e da ciascuno dei decreti legislativi di cui all’art. 2 e all’art. 23 non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica”. Ogni volta che si assegnerà un euro a un Comune bisognerà togliere un euro a un altro Comune. E viceversa: ogni zero al Sud avrebbe portato maggiori risorse al Nord». [x]

Ecco come è stato attuato il citato principio del ‘gioco a somma zero’. Peccato però che le regioni meridionali, ancora una volta, ne usciranno con le ossa ancora più rotte, confermando nell’opinione comune il destino ‘cinico e baro’ del Mezzogiorno, alimentato peraltro dal “generico senso di colpa” di cui parla Esposito, col quale noi del Sud ormai da secoli continuiamo ad autoflagellarci. Eppure basterebbe trovare quanto meno il coraggio mostrato dall’agnello esopiano che, di fronte alle accuse del lupo, ha comunque cercato di controbattere coi fatti ad argomentazioni assurde e truffaldine. Ecco perché è sembrato particolarmente opportuno che a concludere il Convegno di Portici sia stato l’intervento di Antonio Lombardi – pedagogista e mediatore nei conflitti – su: “Educare alla pace: dalla colonizzazione mentale alle relazioni nonviolente”. Per dare una compiuta risposta all’interrogativo “Che fare?”, suscitato tra i partecipanti dai primi due relatori.

 Rifiorire, nonostante il vento…

Il libro di Lombardi, “Fiorire nel vento”, porta come sottotitolo “educazione all’identità e liberazione nonviolenta del Sud”. Ed è proprio questo l’approccio per un rilancio in chiave nonviolenta del meridionalismo, perché senza affermazione della verità storica il conflitto è represso, non risolto. E perché, utilizzando un linguaggio costituzionale, il vero ostacolo da rimuovere per la liberazione di un popolo è la sua subalternità culturale, prima ancora che socio-economica. Come si accennava anche in precedenza, infatti, il primo passo per riconquistare la propria identità e dignità è cancellare le pesanti stratificazioni di una vera e propria colonizzazione mentale della gente del Sud, di cui per troppo tempo i media, la scuola e la famiglia sono stati gli strumenti. Per usare le parole che descrivono la tesi sostenuta da Lombardi nel suo saggio:

«”Fiorire nel vento” propone l’educazione all’identità come pratica liberatrice nonviolenta in grado di affrontare il trauma identitario, prospettando interrogativi e obiettivi su cui costruire piani educativi strutturati e utili nell’informalità delle relazioni quotidiane: per andare verso una comunità consapevole della propria storia e del proprio valore, pronta a lottare per la dignità e l’equità, rifiutando di collaborare con la pesante emarginazione che la opprime a partire dalla conquista del 1860. Questo libro è un invito alla consapevolezza e un sussidio, affinché sbocci in tutto il suo splendore il nostro sofferente popolo meridiano, in mezzo alla tempesta che lo sta spazzando via». [xi]

La “occupazione delle coscienze” – come giustamente la chiama Lombardi – è quasi peggio di quella manu militari di un territorio. Ed è ancora più insidiosa, dal momento che impiega canali formativi come la famiglia la scuola e i mezzi di comunicazioni. Ma, proprio per questo motivo, non è impossibile adoperarli per attivare un processo diametralmente opposto, quello cioè che Mario Borrelli, a Napoli, definiva ‘coscientizzazione’, negli stessi anni Settanta in cui, in Brasile, Paulo Freire la proponeva come strumento di liberazione. Il punto di partenza, quindi, è l’attivazione di iniziative di controinformazione e di natura educativa che ci aiutino non solo a demistificare le false verità sul Mezzogiorno che ci sono state propinate finora, ma soprattutto a recuperare la dignità perduta di un popolo con millenni di storia, una cultura eccezionale e risorse territoriali ed ambientali uniche.  Decolonizzare le menti non vuol dire pretendere di essere superiori agli altri, ma diventare consapevoli che, per citare il grande Viviani, non è più possibile accettare che “avimm’a sta’ a guagliune e simmo maste”.[xii].

Il secondo passo è quello che conduce dalla consapevolezza al superamento della subalternità, attraverso una lotta nonviolenta di liberazione, proprio come quella guidata da Gandhi contro il colonialismo inglese. Non è facile seguire questa strada proprio perché alternativa alla logica dominante, ma bisogna assolutamente percorrerla, sapendo anche che molti la considereranno magari poco ‘pacifica’, sol perché mette il dito su una piaga aperta che si vorrebbe occultare. Ma, come scriveva anche Danilo Dolci, l’acquiescenza all’ingiustizia non è pace, .

«Non possiamo confondere l’impegno per realizzare la pace con la preoccupazione di mantenerci equidistanti da tutti. Ogni comportamento – individuale, di gruppo, di massa – che tende sostanzialmente a mantener la situazione come è […] non è impegno di pace. […] Non è questa la pace che ci è necessaria…». [xiii]

Da resistenza nonviolenta ad autogoverno

Il secondo passo della lotta per la liberazione del Sud, spiegava Lombardi, è utilizzare la consapevolezza raggiunta – anche valorizzando la propria memoria storica – per affrontare il conflitto nonviolentemente. Ciò significa, in primo luogo, smettere di collaborare con chi vorrebbe mantenerci nella subalternità culturale e socioeconomica, giustificando la propria sete di nuove risorse con l’incapacità dei subalterni a governarsi da soli, come hanno fatto tutte le potenze coloniali e come continua a fare l’imperialismo neocolonialista attuale. L’ahimsa – come spiegava Gandhi – non è soltanto la scelta in negativo di agire senza violenza nei confronti di qualcuno, ma una scelta positiva, attiva e proattiva per affermare la verità ed impedire il male.

«…come un’espressione positiva di amore, della volontà di fare il bene anche di chi commette il male. Ciò non significa tuttavia aiutare chi commette il male a continuare le sue azioni immorali o tollerare queste ultime passivamente. Al contrario, l’amore, espressione positiva dell’ahimsa, richiede che si resista a colui che commette il male dissociandosi da lui, anche se questo può offenderlo o arrecargli dei danni fisici […] La non-collaborazione non è qualcosa di passivo, è qualcosa di estremamente attivo, di più attivo della resistenza fisica e della violenza». [xiv]

Non-collaborazione, come le altre forme di disobbedienza civile, significa quindi affermare nonviolentemente la verità, rendendo palese l’ingiustizia ed opponendovi una ferma resistenza. I modi in cui si può attuare questa lotta nonviolenta sono molteplici e Gandhi ce ne ha insegnati personalmente tanti, dallo sciopero al digiuno, dal rifiuto di prestare obbedienza al boicottaggio, dall’opposizione collettiva alla costruzione di organi di governo paralleli ed alternativi. Nel suo precedente libro “Satyagraha[xv], lo stesso Antonio Lombardi aveva già indicato compiutamente quali sono i mezzi cui può fare ricorso chi non accetta di sottomettersi e di avallare l’ingiustizia, ma allo stesso tempo rifugge da ogni azione violenta. La difesa popolare nonviolenta – cui bisogna addestrarsi preventivamente – non è però solo opposizione all’esistente, bensì attuazione di un ‘programma costruttivo’ già elaborato e realmente alternativo, nei fini e nei mezzi, a ciò cui ci si oppone. L’alternativa all’imposizione forzata ad un popolo d’un ruolo subalterno, cancellandone anche l’identità culturale e linguistica, è una sola: l’autogestione. Il Mahatma Gandhi la chiamava col termine indiano swaraj, che racchiudeva in sé non solo il desiderio d’indipendenza, ma un processo economico e politico autogestionario, fondato su un modello di sviluppo diverso da quello imposto, ecosostenibile e profondamente decentrato. Quello che il nostro Aldo Capitini definì ‘omnicrazia’, cioé il potere di tutti. [xvi]

Qualcuno forse giudicherà eccessivo confrontare la lotta di liberazione dell’India dal giogo inglese con quella della gente del Sud nei confronti d’un Nord egemone e dominante. Ma la verità è che un movimento per la pace non può più permettersi di sottovalutare il peso che un secolo e mezzo di subalternità ha avuto su un assetto sociale ed economico iniquamente unitario, e che un’ancor più iniqua violazione dei più elementari principi costituzionali rischia ora di portare al punto di rottura. Per mutuare una felice espressione di Giuliana Martirani [xvii], se il Nord si mostra sempre più Surd, è dunque necessario che il Sud non si rassegni a restare Nud ed affermi finalmente i propri diritti, recuperando la sua dignità ed il suo effettivo peso.


Note

[i]  Antonio Lombardi, Fiorire nel vento. Educazione alla identità e liberazione nonviolenta del Sud, Magenes, 2019 ( https://www.libreriauniversitaria.it/fiorire-vento-educazione-identita-liberazione/libro/9788866491934  )   

[ii] Carlo Alianello, La conquista del Sud, Il Risorgimento nell’Italia meridionale, Rusconi,1972 (https://www.amazon.it/conquista-del-Sud-Carlo-Alianello/dp/8884742374  )

[iii] Giordano Bruno Guerri, Il sangue del Sud. Antistoria del Risorgimento e del brigantaggio, Mondadori, 2017 ( https://www.ibs.it/sangue-del-sud-antistoria-del-libro-giordano-bruno-guerri/e/9788804680475  )

[iv] Pino Aprile, Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del Sud diventassero «meridionali, Piemme, 2013 (https://www.amazon.it/Terroni-quello-italiani-diventassero-%C2%ABmeridionali%C2%BB/dp/8868366061  ); Idem, Giù al Sud, Piemme, 2011 ( https://www.amazon.it/Sud-Perch%C3%A9-terroni-salveranno-lItalia/dp/8856619938  )

[v]  Giovanni Fasanella e Antonella Grippo, 1861, La storia del Risorgimento che non c’è nei libri di storia, Sperling & Kupfer, 2010 (  http://mimmobonvegna1955.altervista.org/la-storia-del-risorgimento-che-non-ce-sui-libri-di-storia/  ).

[vi] Fonti: https://www.lagazzettadelmezzogiorno.it/news/analisi/1203992/tolti-al-sue-e-dati-al-nord-840-miliardi-di-euro-in-17-anni.html ; https://www.quotidianodelsud.it/laltravocedellitalia/due-italie/2019/11/06/operazione-verita-in-tv-anche-report-scopre-lo-scippo-al-sud ; https://www.quotidianodelsud.it/laltravocedellitalia/due-italie/2020/02/08/il-sud-perde-170-milioni-milioni-al-giorno-le-promesse-non-bastano-piu ; https://www.vesuviolive.it/ultime-notizie/economia/323187-eurispes-2020-nord-sud-840-miliardi/

[vii] Fonti: https://www.ilsole24ore.com/art/patti-il-sud-speso-meno-2percento-AB5tUFdB ; https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/06/23/fondi-per-il-sud-chi-li-spende-davvero/5275196/

[viii]  Vedi: https://it.wikipedia.org/wiki/Gioco_a_somma_zero

[ix] Marco Esposito, Zero al Sud, Rubbettino, 2018, pp. 5-6

[x]  Ivi, pp. 24-25

[xi]  A. Lombardi, op. cit. > https://www.ibs.it/fiorire-nel-vento-educazione-alla-libro-antonio-lombardi/e/9788866491934 . Vedi anche: Ermete Ferraro, Identità e llibberazzione d’ ’o Sud, articolo in napolitano sul quotidiano “napoli”, 24.06.2019

[xii] Raffaele Viviani, Campanilismo (1931) tratta da “Poesie” , ed. Guida, Napoli, 1977, pagg. 198 e 199 > https://www.pensieriparole.it/poesie/poesie-vernacolari/poesia-13559

[xiii] Danilo Dolci, Esperienze e riflessioni, Laterza. 1974, p. 229

[xiv] Mohandas K. Gandi, Teoria e pratica della non violenza, Einaudi, 1973, pp. 169-170 (brano tratto da Young India – 1920)

[xv] Antonio Lombardi, Satyagraha – Manuale di addestramento alla difesa popolare nonviolenta, Dissensi, 2014

[xvi]  Aldo Capitini, Il potere di tutti, La Nuova Italia, 1969

[xvii] Giuliana Martirani, Viandante Maestoso, Ed. Paoline, 2006 (p. 182)

4 Aprilante…anni 70 !


Perché 70 anni di Alleanza Atlantica sono 70 di troppo.

Sette decenni di ‘protezione’ non richiesta

Il 4 aprile 2019 la NATO (Organizzazione del Trattato Nord-Atlantico [i]) compie 70 anni. Nel 1949, proprio in quella data, fu infatti costituita a Washington dai suoi 12 Paesi fondatori come alleanza militare, che avrebbe dovuto difenderci da un ipotetico attacco armato contro gli stati europei e nord-americani, fronteggiando un’ipotetica minaccia militare da parte dell’Unione Sovietica. Eppure già da allora essa non si opponeva ad un’analoga coalizione militare, dal momento che il Patto di Varsavia [ii] fu sottoscritto dall’U.R.S.S. e da altri sette paesi comunisti solo sei anni dopo, nel 1955, proprio per contrapporsi alla preesistente Alleanza Nord-Atlantica.

Oggi, settant’anni dopo, quel Trattato non ha comunque alcun senso, essendo sparito dal 1991 l’antagonista da cui avrebbe dovuto proteggerci. Questo però non ha impedito alla NATO – comprendente nel frattempo 29 membri – di diventare ancor più aggressiva e di allargare i propri interventi molto al di fuori del territorio di sua competenza. La finalità stessa di quell’Alleanza – non più strettamente difensiva né con un ambito d’intervento delimitato – era in effetti già stata modificata nel 1999, grazie all’ambiguo “nuovo concetto strategico”.

« Esso mette in grado una NATO trasformata di contribuire al contesto di sicurezza in evoluzione, sostenendo la sicurezza e la stabilità con la forza del suo impegno collettivo per la democrazia e per la risoluzione pacifica delle dispute. Il Concetto strategico guiderà la politica di sicurezza e di difesa dell’Alleanza, i suoi criteri operativi, l’assetto delle sue forze convenzionali e nucleari e l’organizzazione della difesa collettiva, e sarà via via sottoposto a revisione alla luce della evoluzione del contesto di sicurezza…» [iii]

La prevalenza dei concetti strategici di ‘stabilità’ e ‘sicurezza’ su quello di  ‘difesa’ e di ‘risoluzione pacifica’ delle controversie internazionali, infatti, serviva a legittimare anche ciò che non era stato previsto nel trattato istitutivo, rendendo così l’Alleanza più flessibile ed estendendone i confini.

A 70 anni dalla sua costituzione la NATO conferma la sua natura di patto militare – al di là delle belle parole sulla cooperazione e la pace – presentandosi come l’unica ‘protezione’ sia contro l’integralismo islamico sia contro le mire ‘aggressive’ della Russia.

«Priorità odierna – dichiara il generale Scaparrotti  [finora Comandante Supremo Alleato in Europa] – è quella che le infrastrutture europee siano potenziate e integrate per permettere alle forze Usa/Nato di essere rapidamente posizionate contro «l’aggressione russa». La Nato sotto comando Usa prosegue così da settant’anni di guerra in guerra. Dalla guerra fredda, quando gli Stati Uniti mantenevano gli alleati sotto il loro dominio, usando l’Europa come prima linea nel confronto nucleare con l’Unione Sovietica, all’attuale confronto con la Russia provocato dagli Stati Uniti fondamentalmente per gli stessi scopi». [iv]

A Washington, dunque, il prossimo 4 aprile si riuniscono i 29 ministri degli Esteri dei Paesi aderenti alla NATO per festeggiarne i sette decenni di esistenza e per rinsaldarne i vincoli, compreso ovviamente quello che li impegna a compensare adeguatamente la ‘protezione’ che i rispettivi popoli subiscono da altrettanti anni, sotto forma di occupazione militare del loro territorio, espropriazione della loro stessa autonomia e sudditanza totale agli USA.

I ‘70 candelotti esplosivi’ di cui parlava Dinucci nel brano citato sembrano rimarcare la quasi ineluttabilità quell’ingombrante ‘protezione’ di stampo quasi mafioso, il cui prezzo nel frattempo è diventato sempre più alto, incidendo sulla crescita dei bilanci della difesa dei singoli stati. Bisogna fare chiarezza sul ruolo strategico della NATO e sulle conseguenze della sua invadenza militare, che limita la sovranità nazionale, occupa militarmente i territori e ne minaccia la sicurezza. Ecco perché 70 anni di occupazione alleata sono 70 di troppo !

Napoli nel controllo USA del Mediterraneo

Lo stemma del Comando Alleato del Sud Europa (JFC Naples)

Napoli – all’interno di una delle regioni più militarizzate d’Italia – dal 1951 è stata sede del Comando sud-europeo della NATO (AFSOUTH, poi JFC), al cui vertice c’è sempre stato lo ammiraglio statunitense che comanda la VI Flotta della US Navy, competente per Mediterraneo, Atlantico ed Africa.

Ebbene, da noi è diffusa un’antica locuzione che richiama la fatidica data di nascita dell’Alleanza Nord- Atlantica: “Quattro aprilante, giorni quaranta”. Nella cultura popolare, infatti, le condizioni meteorologiche rilevate il 4 di aprile condizionerebbero i seguenti quaranta giorni, circostanza peraltro parzialmente avallata anche da alcuni studi scientifici. [v] In questo caso – direbbe Totò – si è voluto proprio esagerare, in quanto circa 70 anni di subalternità ai ‘liberatori alleati’ sono troppi anche per un territorio assuefatto da secoli ad occupazioni straniere di ogni tipo.

Il mio impegno antimilitarista risale agli anni ’70, ma è soprattutto dal 1999 che cerco di approfondire la natura e le conseguenze dell’occupazione militare della Campania e dell’area metropolitana di Napoli, che non solo non ha prodotto alcun risultato positivo, ma ha esercitato (e continua ad avere) un pesante impatto sociale, politico ed ambientale sul nostro territorio. In un articolo del 2013, ad esempio, avevo già evidenziato come quella che era chiamata Campania Felix sia purtroppo diventata da molto tempo una Campania Bellatrix.

«Se disegniamo una rudimentale figura, che abbia come lati: (i) Bagnoli – Licola (20 km); (ii) Licola – Gricignano  (35 km); (iii) Gricignano – Lago Patria (35 km); (iv) Lago Patria – Capodichino (30 km); (v) Capodichino – Bagnoli  (15 km), il  perimetro del nostro “Pentagono” campano misura 135 chilometri. Trattandosi d’un pentagono irregolare, la misura della relativa superficie andrebbe ricavata diversamente, ma ipotizzando un lato medio di 27 km (135:5) ed applicando la formula relativa, scopriamo che l’area circoscritta dal perimetro di questa occupazione militare è di circa 1.254 kmq, ossia la decima parte dell’intero territorio regionale. Eppure il fatto che otto installazioni non italiane presidino ed occupino militarmente un decimo della Campania – sommandosi alle 50 dell’Esercito Italiano, alle 5 dell’Aeronautica Militare ed a ben due porti militari e nucleari – non sembra costituire un problema per la maggior parte dei suoi cittadini. Sarà perché questo genere d’informazioni circolano poco e si fatica molto a farle conoscere. Sarà perché da anni le persone si sono abituate a vedere soldati col mitra che presidiano strade, tribunali e perfino discariche…» [vi]

La NATO non solo da 70 anni è di casa a casa nostra, ma ha progressivamente trasformato il nostro territorio nel centro operativo della sua strategia di controllo dell’area mediterranea, balcanica e nord-africana Tutto ciò avviene nel silenzio complice – se non compiaciuto – di chi ci governa dal secondo dopoguerra, calpestando l’art. 11 della Costituzione in nome di quella protezione che gli USA ci hanno fatto pagare a caro prezzo, ma ora ci costa anche di più. 

In un successivo approfondimento del 2015 ho coniato quattro parole per sintetizzare i vari aspetti di questa sudditanza politico-militare: CondanNATO, ContamiNATO, AlleNATO e MariNATO. Se il primo falso-participio evocava la ‘condanna’ che dal 1945 ci obbligherebbe a rimanere colonia di chi ci aveva ‘liberato’; il secondo alludeva invece al sottovalutato impatto ambientale della militarizzazione-nuclearizzazione di terra, mare ed aria. Gli altri due termini si riferivano alle continue esercitazioni militari congiunte, di cui Napoli e la Campania sono il comando operativo più che lo scenario, ed alla crescente caratterizzazione mediterranea della strategia della NATO, che coinvolge  soprattutto Campania e Sicilia.

«Questo redivivo Regno delle Due NATO mantiene infatti la sua indiscussa capitale nella Città Metropolitana di Napoli (in cui ricadono lo stesso capoluogo ma anche l’intera area domiziano-giulianese), ma si allarga fino a comprendere le basi alleate e statunitensi sparse nella Trinacria, da quella aerea principale di Sigonella al MUOS di Niscemi, passando per Augusta, Trapani, Pantelleria e Lampedusa […] E’ impossibile ignorare l’ingombrante presenza di quell’esercito di occupazione che, dalla fine della seconda guerra mondiale, continua a ‘proteggerci’ , da Aviano  fino a Trapani. Così come dovrebbe essere difficile non notare che l’Italia stessa, anche a prescindere dalle truppe USA e NATO che vi si sono stanziate, è già uno di per sé uno dei paesi più militarizzati al mondo…» [vii].

Dalle favole alla realtà dei fatti

La propaganda ‘atlantista’ ci ha ammannito una serie di storie prive di fondamento e che cozzano con la vera Storia. La celebrazione del settantennio della NATO offre adesso un’ulteriore occasione per tali celebrazioni retoriche, ma proprio per questo dobbiamo assolutamente demistificare quelle distorte narrazioni, alla luce dei fatti piuttosto che degli spot mediatici. In un volantino preparato per la manifestazione antimilitarista napoletana in occasione di tale ‘ricorrenza’, abbiamo cercato di sintetizzare così tale messaggio alternativo:

«VI HANNO RACCONTATO CHE:

•      La NATO in questi anni avrebbe garantito la convivenza pacifica in Europa e nell’area medio-orientale, ‘difendendoci’ da potenziali invasioni e dalle guerre. Ma  in questi decenni la NATO è intervenuta militarmente in vari scenari di guerra (Bosnia, Serbia, Kosovo, Afghanistan, Libia…), coinvolgendo anche l’Italia.

•      La NATO – con la sua stessa presenza – avrebbe difeso  l’indipendenza e la sicurezza dell’Italia e degli altri Stati suoi alleati. Ma la militarizzazione del territorio e dei mari italiani riduce  di fatto la nostra sovranità, mette a rischio pace e sicurezza e tradisce l’art. 11 della Costituzione.

•      Comandi, basi, aeroporti e porti controllati o gestiti dalla NATO non avrebbero alcun impatto sulla salute degli abitanti e sull’ambiente in cui si trovano, ragion per cui non di sarebbe nulla di cui preoccuparsi. Ma la presenza militare NATO – comprendente impianti radar, bunker atomici, natanti a propulsione nucleare – mette in pericolo la sicurezza e la salute dei residenti ed è fonte d’inquinamento ambientale.

•      L’Italia contribuirebbe troppo poco al finanziamento dell’Alleanza Atlantica, per cui è stata richiamata a prevedere una spesa maggiore per la Difesa e per gli armamenti, di cui è tra i primi esportatori. Ma nel 2018 l’Italia ha speso per la Difesa ben 25 miliardi di euro (1,4 del PIL), aumentando il relativo bilancio del 4% rispetto al 2017.

•      L’ipotesi dell’uscita dell’Italia dalla NATO sarebbe  improponibile e anticostituzionale, per cui non ci resta che rimanere vincolati all’Alleanza Atlantica. Ma la nostra permanenza nella NATO – da quasi 30 anni alleanza non più difensiva – contrasta con l’art. 11 della Costituzione: “L’Italia ripudia la guerra come…risoluzione delle controversie internazionali». [viii] 

Eppure perfino importanti pubblicazioni non certo di parte, come il TIME, avevano già rilevato la ‘obsolescenza’ dell’Alleanza Atlantica, costretta a rincorrere i propri partner per farsi pagare il ‘pizzo’ per la sua protezione ed a reinventarsi nemici e scenari aggressivi pur di giustificare la propria permanenza. In un suo breve saggio del 2012, il politologo Ishaan Tharoor scriveva:

«Ma  il XXI secolo avrà ancora bisogno della NATO? […] La NATO è più rilevante che mai. E’ l’alleanza militare più forte e più di successo del mondo. Ed ora, di fronte alle nuove sfide per la sicurezza, noi l’abbiamo adattata. [Eppure è]…un’organizzazione che cerca una ragione per esistere. Ben lungi dal rappresentare la forza coordinata dell’Occidente, la NATO è diventata il simbolo della sua fragilità […] Una retorica audace ed e una nuova fantastica residenza non cambieranno il fatto che, in definitiva, la sfida che la NATO sta fronteggiando non è quella di una chiara minaccia esterna, ma la sua stessa mancanza…» [ix]

La crisi che sta attraversando, però, non le impedisce affatto di alzare il tiro e di allargare ulteriormente la sua sfera d’influenza, puntando soprattutto su nuovi ‘alleati’ est-europei, rafforzando la sua strategia anti-islamista ed inseguendo nuove ‘guerre umanitarie’.

«Queste attività hanno trasformato la fine della Guerra Fredda da un’opportunità unica per la nuova diplomazia e lo sviluppo pacifico in una nuova era di tensione globale, circondando la Russia e la Cina, creando così le condizioni per una nuova Guerra Fredda, facendo a pezzi le norme legali internazionali, in particolare circa la sovranità nazionale, ed introducendo le false nozioni di “guerra umanitaria” […] Le contraddizioni tra gli Stati della NATO non possono nascondere questo obiettivo comune e l’espansione territoriale permanente della NATO serve a questi scopi. […] Attraverso la modernizzazione completa ed il previsto dispiegamento di nuove armi nucleari da parte degli Stati Uniti, in seguito allo scioglimento del trattato INF, la corsa agli armamenti nucleari sarà alimentata ad un livello mai visto da decenni. Inoltre, la prima strategia di attacco della NATO è una minaccia per il pianeta nel suo insieme». [x]

In tutto il mondo, dagli USA al Regno Unito, dal Belgio alla Germania, dalla Danimarca al Canada [xi], questo ‘quattro aprilante’ 2019 vedrà centinaia di manifestazioni contro l’arroganza di chi da 70 anni ha imposto la sua ‘protezione’, cercando ancora di farci credere orwellianamente che “War is Peace” . Ma protestare non basta. Come nel caso della crisi ecologica, testimoniare in prima persona i valori della nonviolenza attiva, praticarne le già sperimentate strategie di resistenza, contro-informare ed educare alla pace è assolutamente indispensabile. Bisogna però anche mobilitarsi – sempre più collettivamente e non episodicamente – per riaffermare con decisione il diritto di ogni persona e comunità a battersi per l’indipendenza, i diritti umani, la sicurezza e la pace. Cioè proprio per quei valori che 70 anni di Alleanza Atlantica hanno finora calpestato fingendo di difenderli.  

La guerra e la follia nucleare si debbono e si possono fermare, ma bisogna farlo insieme, demistificando in primo luogo il mito della NATO che ci protegge.

© 2019 Ermete Ferraro


Note

[i] Cfr. voce ‘N.A.T.O’ in: en.wikipedia > https://en.wikipedia.org/wiki/NATO  con: ‘Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord’ in it.wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Organizzazione_del_Trattato_dell%27Atlantico_del_Nord#Paesi_fondatori

[ii] Vedi voce ‘Patto di Varsavia’ in: it.wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Patto_di_Varsavia

[iii] L’evoluzione della N.A.TO. – Nuovo concetto strategico (normativa), Centro Studi per la Pace > http://www.studiperlapace.it/view_news_html?news_id=natoconcept99

[iv] Manlio Dinucci, “Le 70 candeline (esplosive) della NATO”, il manifesto, 02.04.2019 > https://ilmanifesto.it/le-70-candeline-esplosive-della-nato/

[v] Adriano Mazzarella (UniNa), “Quattro aprilante giorni quaranta?…Quasi sì”, Campania Live (04.04.2014) >  http://www.campanialive.it/articoli-meteo.asp?titolo=Quattro_aprilante_giorni_quaranta?._..Quasi_s%C3%AC__

[vi] Ermete Ferraro (2013), Campania Bellatrix”, Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2013/03/20/campania-bellatrix/

[vii] Ermete Ferraro (2015), “Nato per combattere”, Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2015/07/28/nato-per-combattere/

[viii] ‘Rete contro la guerra e il militarismo-Campania’  e ‘Napoli Città di Pace’ (a cura di), 70 anni di NATO. 70 anni di troppo! , Aprile 2019.

[ix] Ishaan Tharoor, “Il declino dell’Occidente”, TIME (20.05.2012) > http://www.time.com/time/subscriber/article/0,33009,2115075,00.html  (trad. mia; citato e commentato in: Ermete Ferraro (2012), “L’obsolescenza della NATO, un relitto del passato”, Ermete’s Peacebook > https://ermetespeacebook.blog/2012/06/14/lobsolescenza-della-nato-un-relitto-del-passato/ )

[x] Kate Hudson, “NATO: 70 Years Too Many” (29.03.2019), Stop the War Coalition > http://www.stopwar.org.uk/index.php/news-comment/3325-nato-70-years-too-many (trad. Mia)

[xi] Un quadro delle iniziative anti-Nato è reperibile sul sito della rete internazionale  No To Nato > https://www.no-to-nato.org/ . A Napoli sono previste due iniziative: la prima si svolgerà  sabato 6 aprile davanti al Comando NATO di Lago Patria (Giugliano-NA) ed è organizzata dal ‘Comitato Pace Disarmo e Smilitarizzazione del territorio-Campania’ (https://www.facebook.com/events/2240389926212478/ ); la seconda, nel pomeriggio dello stesso giorno, si terrà a via Toledo- Largo Berlinguer a cura della ‘Rete contro la guerra e il militarismo- Campania’ e da ‘Napoli Città di Pace’ (https://www.facebook.com/events/1215556915295188/ ).

“Generale, quelle 5 stelle…”

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Il Gen. Sergio Costa

La Repubblica italiana è l’unico stato con un ‘generale a cinque stelle’. Normalmente, infatti, i gradi degli ufficiali superiori delle forze armate si fermano alle quattro stellette, che accompagnano la classica ‘greca’. Però il generale dei carabinieri Sergio Costa – già comandante per la Campania del Corpo Forestale dello Stato – sembra fare eccezione, visto che le ‘cinque stelle’ egli non le porta più cucite sulle mostrine o le controspalline, ma direttamente sul cuore. Non è un caso, infatti, che il nome di Costa come membro del Governo sia stato subito anticipato dal ‘capo politico’ del M5S, pronostico regolarmente confermato dalla sua nomina a Ministro dell’Ambiente del neo-esecutivo pentastellato-leghista, presieduto dal premier Giuseppe Conte. Ebbene, come scrivevo già nel precedente articolo sul mio blog [i], questa è la sola scelta che mi lascia soddisfatto nel contesto della compagine governativa cosiddetta giallo-verde, probabilmente perché si tratta dell’unico segnale di svolta ambientalista all’interno di un assai poco confortante quadro politico di stampo reazionario. Non ripeto qui le mie perplessità – per adoperare un eufemismo – su un esecutivo che sta innegabilmente virando a destra, in senso populista ma soprattutto seguendo una deleteria visione securitaria, nazionalista e xenofoba, strizzando un occhio alla Russia putiniana e l’altro alla ‘America First’ trumpiana.

Per quanto molti, anche fra amici e compagni, intessano lodi o manifestino speranzose aperture nei confronti di tale ‘governo del cambiamento’, io non posso farci niente: lo strano ‘presepio’, messo insieme in modo raffazzonato dal duo Salvidimaio, proprio “nun me piace”.  Lo so, qualcuno obietterà, proprio come faceva Luca Cupiello: «Come si può dire: ‘Non mi piace’, se quello non è finito ancora? ». [ii] Prendendo in prestito le battute di Nennillo, rispondo: «Ma pure quando è finito non mi piace […] Ma guarda un poco, quello non mi piace, mi deve piacere per forza?» [iii] Ciò premesso, devo ammettere che, pur in questo spiacevole scenario, la ‘statuina’ di Sergio Costa mi convince, dal momento che egli porta al Ministero dell’Ambiente sia la sua qualificazione di laureato in Agraria, con un master in Diritto dell’Ambiente, sia la sua profonda competenza in materia d’investigazioni ambientali, che lo hanno portato a svolgere un ruolo centrale nella tragica vicenda della ‘terra dei fuochi’, facendolo giungere meritoriamente ai vertici della Forestale e poi dei Carabinieri per l’Ambiente [iv]. Personalmente, ho avuto il piacere di conoscerlo e di apprezzarne la professionalità, la dirittura morale e la disponibilità ad approfondire segnalazioni e denunce. Credo quindi che si possa accogliere con soddisfazione la sua scelta come responsabile di un Dicastero dove dovrebbe imprimere una netta svolta, dopo anni d’incuria che hanno fatto degenerare vecchi problemi ambientali e spuntare nuove aggressioni all’integrità del nostro territorio. Eppure…

generale a 5 stelle

Five Stars General ?

Eppure questo stimabile ‘generale a 5 stelle’ non potrà prevedibilmente capovolgere – almeno da solo – la logica deleteria che ha subordinato finora i diritti dell’ambiente agli interessi economici, leciti ed illeciti, che lo hanno di fatto devastato. Sfruttare le sue indubbie capacità di contrasto degli abusi e degli ecoreati è cosa buona e giusta, ma non basta. Scoprire e denunciare con decisione comportamenti fuori legge in tali ambiti è solo il primo passo, ma rischia di farci dimenticare che l’intero modello di sviluppo da noi caparbiamente perseguito è di fatto incompatibile con il rispetto degli equilibri ecologici, con la salvaguardia della biodiversità e con la pur auspicata inversione di tendenza in ambito energetico. Non ho alcun dubbio che questo esperto investigatore ambientale nel suo nuovo incarico saprà dare – come ha dichiarato – la priorità al controllo delle discariche, all’inquinamento atmosferico, alla tante ‘emergenze’ ed agli abusi di ogni genere che stanno distruggendo le meraviglie del nostro Paese. Dove forse si sbaglia è quando dichiara: « L’ambiente è una cosa seria, centrale, e appartiene a tutti. Non c’è maggioranza o opposizione nella salvaguardia delle nostre terre». [v]E non certamente perché io non condivido la prima parte del ragionamento, ma perché non sono affatto convinto che sulla salvaguardia dell’ambiente siano tutti, naturalmente, concordi. La verità è che chi continua a perseguire dichiaratamente la ‘crescita’ e l’assurdo miraggio di uno sviluppo illimitato non sa che farsene della ‘salvaguardia delle nostre terre’. Chi sta irresponsabilmente formando intere generazioni a comportamenti consumistici ed energivori è di fatto un nemico dell’ambiente. Chi antepone la legge del profitto e della speculazione a quella del bene comune non è, e non sarà mai, un alleato di chi al contrario vuole impedire che le nostre terre (e la Terra più in generale) si trasformino in una discarica, che non riuscirà mai a smaltire ciò che la società dello spreco e del rifiuto produce ogni santo giorno.

5 STELLEOvviamente faccio i migliori auguri di buon lavoro a Sergio Costa, un illustre Napoletano ed un grintoso ambientalista piazzato in prima linea dal governo penta-leghista, dal quale sono certo che riceveremo presto segnali positivi. Però, lo ripeto, questo non può bastare. Delle ‘cinque stelle’ da cui prende nome il Movimento che lo ha fortemente voluto all’Ambiente – come ho già osservato nel mio precedente commento – temo che alcune possano già essere definite ‘cadenti’.  Se si  pensa che esse si riferivano originariamente ad: acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia [vi], è impossibile non notare quanto quella formazione politica si sia già discostata da quella ‘carta degli intenti’ di soli nove anni fa [vii] . Le priorità del Movimento attuale, di lotta e di governo, si direbbero ben altre, visto che alle questioni ambientali il ‘Contratto’  sottoscritto dal duo Di Maio-Salvini è dedicato solo un capitoletto, peraltro di tono astrattamente dichiarativo più che concretamente programmatico. Certo, si parla ancora di: ‘buone pratiche’, ‘economia circolare’, ‘azioni contro lo spreco’, ‘rischio idrogeologico’, ‘processi di sviluppo economico sostenibili’, ‘produzione da fonti rinnovabili’ e via lodevolmente enunciando. [viii] Da quelle tre paginette e mezza, però, non emergono impegni precisi, obiettivi chiari anche se limitati, scelte prioritarie, quelle cioè che ci si aspettava da un documento che si autodefiniva, appunto, come un ‘contratto’.

« Potrebbe sembrare un bel libro dei sogni, se dietro quest’elenco non si giocasse il futuro del Paese in tema di progresso sostenibile, tutela della salute dei cittadini e sopravvivenza delle future generazioni. E comunque, al di là del contratto, l’azione politica non potrà prescindere dalla “Strategia Nazionale sullo Sviluppo Sostenibile”, il documento di riferimento degli impegni italiani sottoscritto nei consessi internazionali, dal quale partire per implementare le politiche ambientali. Politiche che saranno improntate, certamente, ad un sano pragmatismo che al neo Ministro gli viene dall’esperienza maturata in questi anni sul campo…» [ix]

Ecco, appunto: un “bel libro dei sogni”. Eppure nelle rimanenti 54 pagine del ‘Contratto’ si prospettano in genere soluzioni, azioni e risposte più nette, anche se spesso appartenenti all’armamentario ideologico della destra reazionaria più che ad una forza progressista. E poi:  quale “sano pragmatismo” ci aspettiamo dal nuovo ministro? Quello di chi è consapevole che il mondo non si cambia in un giorno, oppure quello che ha connotato la parola sostenibilità nel senso ambiguo dell’ambientalismo ‘che ci possiamo permettere’, senza turbare troppo gli equilibri economici e le compatibilità finanziarie nazionali ed internazionali?

download (1)Sono certo che, nel caso di Costa, il pragmatismo del politico non tradirà i convincimenti ambientalisti della persona. Sta di fatto, comunque, che egli si trova a far parte di un esecutivo che esprime ben altre scelte e priorità, a cominciare da quella – martellante – delle politiche di respingimento dei migranti e di tutela degli ‘interessi nazionali’. Beh, se una cosa avrebbe dovuto insegnarci l’esperienza ultratrentennale dei Verdi – intesi come soggetto politico nato per superare l’ambientalismo settoriale e per configurare un progetto globale ed alternativo di società e di sviluppo – era proprio che un vero ecologismo non può mai essere ridotto a scelte auspicabili, ma comunque settoriali. Essere ‘verdi’ – secondo i ‘quattro pilastri’ del movimento a livello internazionale – dovrebbe risultare dall’integrazione di dimensioni strettamente correlate fra loro: “Saggezza ecologica, Giustizia sociale, Democrazia dal basso e Nonviolenza” [x]. Ebbene, questo governo, assai impropriamente definito dai media “giallo-verde”, non può farci credere che una svolta ambientalista si possa reggere solo su uno di questi pilastri, buttando giù gli altri tre. Siamo di fronte infatti ad uno dei governi più destrorsi di sempre, che continua a cavalcare il populismo più becero, fiutando l’aria di una più generale svolta autoritaria, nazionalista e militarista sia a livello europeo, sia sul piano globale. E’ vero che, per citare l’amara canzone di Gaber, ormai non distinguiamo più “cos’è la destra e cos’è la sinistra” [xi], però non ci si può chiedere di ingoiare i bocconi amari di politiche poliziesche e muscolari in nome della lotta alle ecomafie. Non si può pensare di  farci chiudere gli occhi sulla cancellazione di ogni principio di progressività fiscale, di rifiuto dell’invasività ambientale delle grandi opere o di tutela dei diritti fondamentali sol perché ci si promette, un po’ vagamente, di sostenere le energie alternative.

«Generale, queste cinque stelle, / queste cinque lacrime sulla mia pelle / che senso hanno dentro al rumore di questo treno, / che è mezzo vuoto e mezzo pieno /e va veloce verso il ritorno…» [xii] Così cantava Francesco  de Gregori giusto 40 anni fa. Ebbene, faccio i miei auguri e saluto cordialmente il ‘generale a 5 stelle’ Sergio Costa (anche se, da antimilitarista, eviterò di mettermi sugli attenti…), ma non posso fare a meno di chiedermi anch’io “che senso hanno [quelle cinque stelle] dentro al rumore di questo treno” sul quale è salito. Un treno che sembra andare “veloce verso il ritorno” ad un’Italia nazionalista, poliziesca e militarista, piena di paure e diffidenze, che speravamo di esserci lasciati alle spalle.

© 2018 Ermete Ferraro

—-N O T E  ————————————————————————

[i] E. Ferraro, Hanno fatto Trenta. Non facciano 31 ( 02.06.2018)  > https://ermetespeacebook.com/2018/06/02/hanno-fatto-trenta-non-facciano-31/

[ii]  E. De Filippo, Natale in casa Cupiello  (1931) – Atto I > http://www.duepuntotre.it/2015/11/natale-in-casa-cupiello.html

[iii] Ibidem

[iv]  Cfr. “Sergio Costa” su Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Sergio_Costa

[v] Nino Femiani, “Il ministro Sergio Costa: ‘Io, peone della Terra dei fuochi. All’Ambiente ci vuole grinta” (02.06.2018), Il quotidiano.net > https://www.quotidiano.net/politica/sergio-costa-1.3952659

[vii] Cfr. la “Carta di Firenze” del M5S del 2009 > https://www.movimento5stelle.it/listeciviche/documenti/carta_di_firenze.pdf

[viii] Cfr. Il contratto di governo (18.05.2018) > https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/18/governo-m5s-lega-il-contratto-di-governo-versione-definitiva-del-testo/4364587/

[ix] S. Illomei, “Le priorità del neo-ministro dell’Ambiente Sergio Costa”, Formiche (giugno 2018) > http://formiche.net/2018/06/ministro-ambiente-costa/

[x] Cfr. Four Pillars of the Green Party >  http://greenpolitics.wikia.com/wiki/Four_Pillars_of_the_Green_Party  – Vedi anche: Charter of the European Greens > https://europeangreens.eu/node/5745

[xi]  G. Gaber “Ma cos’è la destra, cos’è la sinistra” > http://testicanzoni.mtv.it/testi-Giorgio-Gaber_28896/testo-Destra-sinistra-2304830

[xii] F. De Gregori,  Generale (1978) > http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_francesco_de_gregori_125/testo_canzone_generale_7177.html

Hanno fatto Trenta, non facciano 31

2-giugno-2017Oggi, 2 giugno 2018, uno dei primi atti ufficiali e pubblici degli esponenti del nuovo governo giallo-nero all’indomani del suo insediamento è certamente la partecipazione alla tradizionale parata militare per la Festa della Repubblica. E’ vero: sono decenni che i pacifisti protestano contro questa retorica e costosa esibizione militarista, ricordando che oggi si festeggia, appunto, la nascita della nostra Repubblica (democratica, fondata sul lavoro e che ripudia la guerra) e non di certo le Forze Armate che ne rappresenterebbero semmai solo l’aspetto ‘difensivo’ e che, fra l’altro, la loro ‘festa’ già l’hanno celebrata sette mesi fa.  Niente. Nessuno ha mai ascoltato questo accorato appello del movimento per la Pace, un po’ perché la retorica da parata evidentemente un po’ ci aggrada (il ventennio fascista qualche traccia, anche simbolica, l’ha lasciata…), un po’ perché la voce della frammentata realtà antimilitarista e nonviolenta del nostro Paese è talmente flebile che, forse, noi stessi ci meraviglieremmo se qualcuno ci stesse davvero a sentire…

Quest’anno, poi, la solita ‘parata’ romana del 2 giugno sembra assumere un significato particolare, sia in considerazione del fatto che la figura del Presidente della Repubblica, dopo il travagliato parto governativo, è emersa con maggiore rilievo e peso, sia perché l’immagine del nuovo Esecutivo a trazione pentastellato-leghista appare oggettivamente caratterizzata dal ritorno del nazionalismo e delle sue parole d‘ordine. Non dimentichiamo, poi, che tra le Autorità nella tribuna d’onore della Parata ci sarà anche la nuova ministra della Difesa, la prof.ssa Elisabetta Trenta, esperta di sicurezza e di ‘intelligence’. Come si fa a non notare che il c.d. ‘governo del cambiamento’ – che alla componente femminile ha finora riservato solo cinque posti – ha  sostituito l’ex ministra Pinotti (laureata in lettere ed ex educatrice dell’AGESCI) sì con un’altra donna, però molto più ‘qualificata’ in campo militare?

« Nel suo cv si segnala l’incarico di vicedirettore del master in Intelligence e sicurezza dell’Università Link Campus di Roma. L’esponente 5 Stelle è stata “ricercatrice in materia di sicurezza e difesa presso il Centro Militare di Studi Strategici”. E per nove mesi, su incarico del Ministero degli Affari Esteri, “è stata Political Advisor dei Comandanti della Itjtf in Iraq. Ha rivestito anche il ruolo di esperta in governance nell’Unità di assistenza alla Ricostruzione di Thi Qar”. Dal 1998 – si legge sempre nella sua scheda – Trenta “è stata responsabile di molti progetti di sviluppo e assistenza alla governance sia in Italia che all’estero, dove ha coordinato interventi come quello per l’assistenza ai City Council della provincia di Thi Qar (Iraq) o quello per il rafforzamento delle competenze del Ministero dell’Interno in Libano”. E’ stata inoltre “Country Advisor per la Missione Leonte in ambito Unifil in Libano nel 2009 e ha partecipato ad attività militari e civili, in Italia e all’estero, su incarico del Ministero della Difesa”. [i]

trentaNon c’è che dire: un eccellente curriculum. Peccato che abbia a che fare più con le competenze militari che con quelle di natura sociale, civile ed ambientale che dovrebbero caratterizzare un’organizzazione politica di base, fondata nel 2009 sulle cinque priorità: “acqua, ambiente, trasporti, sviluppo ed energia[ii].  Ebbene, confesso che la metamorfosi da Movimento 5 Stelle a Movimento 5 Stellette mi preoccupa non poco. Piazzare alla Difesa una docente specializzata in “intelligence and security” non mi sembra una svolta nel ministero chiave per una riconversione civile della spesa militare. Mandare al Palazzo Baracchini di via XX Settembre una ricercatrice del Centro Militare di Studi Strategici, impegnata peraltro in varie  ‘missioni’ in Libano ed in Iraq, non appare per niente un segnale di discontinuità con la nostra tradizionale politica di subalternità ai ‘comandi supremi’ USA e NATO, bensì la conferma dei finanziamenti alle nostre spedizioni militari in giro per mondo, fra le quali alcune risalgono addirittura al 1948 (Palestina), al 1978 (Libano), 1979 (Egitto-Sinai), al 1999 (Kosovo) ed al 2005 (Cipro). Queste sono solo le ‘neverending missions’ per conto dell’ONU, ma non bisogna dimenticare quelle tuttora in corso di natura diversa, , come: Libano (dal 2006) ed Afghanistan (dal 2015). [iii]  Ebbene sì: siamo un paese di santi, poeti e navigatori ma sicuramente anche di ‘missionari’, non più con l’abito bianco e la croce ma con la mimetica e l’elmetto. Basta leggere un esauriente articolo di qualche mese fa – con relative infografiche – per comprendere che il nostro impegno militare all’estero era (e a quanto pare è) destinato a crescere, con gli annessi oneri finanziari e con conseguenze politiche facilmente immaginabili.

«Come confermato dal ministro della Difesa Roberta Pinotti in un’intervista a Repubblica l’obiettivo per il 2018 è di rafforzare l’impegno nel continente. Il 15 gennaio il ministro, parlando alle commissioni riunite Difesa ed Esteri di Senato e Camera ha presentato il progetto del governo spiegando che si è deciso di “rimodulare l’impegno nelle aree di crisi geograficamente più vicine e che hanno impatti più immediati rispetto ai nostri interessi strategici” e in questo senso il Sahel, ha aggiunto, rappresenta “una regione di preminente valore strategico per l’Italia”. E infatti a ben vedere nel futuro dell’Italia non c’è solo il Niger. Ma ben altri sette Paesi, alcuni dei quali sono partner di lunga data come Libia, Egitto, Gibuti e Somalia, mentre altri sono vere e proprie new entry:  Sahara occidentale, Tunisia, Repubblica centrafricana e Niger appunto.» [iv]  

Solo per le prossime spedizioni è prevista una spesa aggiuntiva di quasi 83 milioni di euro, ma non c’è da dubitare che la nuova ministra – forse per onorare il suo cognome – ritenga anche lei che si debba proseguire su tale strada, visto che “Abbiamo fatto trenta, facciamo trentuno”, come si suol dire, citando senza saperlo un’arguta espressione di Pio X, riferita alla sua nomina di nuovi cardinali. [v] Eppure è proprio questo il nodo: se ormai i cinquestelle hanno “fatto Trenta” non sembra proprio il caso di insistere in questa direzione, soprattutto se, sull’altra faccia della medaglia della militarizzazione della società e del territorio, ci ritroviamo la faccia barbuta di Matteo Salvini, leader della Lega Nord, come Ministro degli Interni.

Niente da eccepire, per carità. Che un leader politico che si è sempre riempito la bocca di parole come ‘sicurezza’, strizzando l’occhio alle ‘forze dell’ordine’ ed auspicando che abbiano finalmente mano libera, approdasse al Viminale era ovvio, perfino scontato. Ciò che preoccupa chi non segue gli stessi parametri securitari, militaristi ed autoritari della destra, modello ‘law and order’ , è però che le priorità del nuovo responsabile degli Interni sono fin troppo chiare: chiusura dei campi rom, espulsione degli immigrati irregolari e blocco dei flussi, rimpatrio degli occupanti di case abusivi e, naturalmente, aumento per le forze di Polizia. [vi]  Non dimentichiamo poi che nel Contratto di Governo, sottoscritto dalla strana coppia giallo-nera e che adesso il premier Conte dovrà attuare – oltre alle previsioni di nuove dotazioni per le forze dell’ordine, (fra cui quelle pistole ‘taser’ denunciate da Amnesty come a rischio di violazione dei diritti umani [vii]) –  c’è anche un paragrafo nel quale si conferma il principio della legittimità comunque dell’autodifesa del proprio domicilio, da sempre invocata dalle destre, sullo spicciativo modello ‘fai-da-te’ dei soliti pistoleri americani:

«In considerazione del principio dell’inviolabilità della proprietà privata, si prevede la riforma ed estensione della legittima difesa domiciliare, eliminando gli elementi di incertezza interpretativa (con riferimento in particolare alla valutazione della proporzionalità tra difesa e offesa) che pregiudicano la piena tutela della persona che ha subito un’intrusione nella propria abitazione e nel proprio luogo di lavoro.» [viii]

salvini-ministro-dellInternoCon poche parole, a quanto pare, si stanno per cancellare secoli di garanzie di rispetto dei diritti umani civili e sociali, avviando rapidamente la nostra Italia verso un’ulteriore militarizzazione della società ed una visione poliziesca della sicurezza. Ma tutto questo, ci ha assicurato il capo politico M5S, “non è né di destra né di sinistra”, e noi non possiamo fare a meno di credergli, mutuando la celebre espressione dell’Antonio scespiriano: “…perché Di Maio è uomo d’onore”.  [ix]  Abbiamo, del resto, un Parlamento pieno di questi nuovi “onorevoli” – pentastellati e leghisti – e non possiamo non credere a priori alla loro voglia di ‘cambiamento’, anche se ci deve concedere di nutrire qualche dubbio sul senso in cui esso sta dirigendosi…

Certo, qualcuno potrebbe chiedersi anche come mai un governo definito “giallo-verde” ed il cui co-leader Di Maio è capo d’un movimento che ispirava a materie ‘ecologiche’ ben 4 delle sue 5 stelle, abbia invece speso poco più di tre paginette sulle cinquantotto del famoso ‘Contratto per il governo del cambiamento’. Il suo capitolo 4, infatti, ha un titolo molto promettente (“Ambiente, green economy e rifluti zero”), ma – a parte le premesse iniziali di sapore ecologista e qualche precisazione un po’ didascalica sul concetto di ‘risorsa rinnovabile’ e di ‘economia circolare’ – gli impegni veri e propri sono abbastanza circoscritti. Riguardano in particolare; a) la riduzione e raccolta differenziata dei rifiuti, con una loro gestione ‘a filiera corta’; b) un programma di mappatura e bonifica dei siti a rischio amianto; c) la manutenzione ordinaria e straordinaria del suolo, come prevenzione dei disastri idro-geologici e riduzione dei rischi sismici; d) la lotta allo spreco di suolo e l’impegno per la ‘rigenerazione urbana’; e) il contrasto al cambiamento climatico mediante interventi che spingano sul risparmio energetico e le fonti rinnovabili; f) provvedimenti specifici, infine, sono individuati per zone a rischio ambientale come la pianura Padana (?!), le aree metropolitane e l’ILVA di Taranto, in quest’ultimo caso senza indicare quali provvedimenti s’intenda effettivamente adottare né sciogliere il dilemma che contrappone la salvaguardia ambientale e della salute alla salvaguardia dell’occupazione ed al ventilato “sviluppo industriale del Sud”. [x]

costaBeh, non ci resta allora che stare a vedere cosa ci aspetta nei prossimi mesi o anni, sperando che almeno in questo settore l’inserimento nella squadra di governo di Sergio Costa – stimabile ed esperto comandante napoletano della Forestale poi promosso a generale dei Carabinieri per l’Ambiente della Campania  – costituisca almeno una garanzia di serietà nella lotta alle ecomafie ed agli sporchi affari di chi gioca con la salute della collettività e l’integrità del territorio. Espresso questo apprezzamento da ambientalista,  come ecopacifista consentitemi però di sottolineare la scellerata follia di chi nel 2016 decretò l’assorbimento d’un Corpo – autonomo e civile – di polizia ambientale all’interno dell’Arma dei Carabinieri, di fatto militarizzandone e burocratizzandone in modo irresponsabile le insostituibili funzioni operative di presidio del territorio. Basterà un integerrimo ufficiale come Costa promosso a Ministro per dare credibilità al piuttosto vago programma ambientale del governo Conte? Dobbiamo augurarcelo, ma non dimentichiamo che da oggi – festa della Repubblica nata dalla Resistenza – comincia un periodo in cui siamo tutti/e chiamati a vigilare sugli esiti democratici e sociali di questo ambiguo ‘ cambiamento’. Se non altro per evitare che, fatto Trenta, cerchino di fare anche trentuno…

© 2018 Ermete Ferraro

——– N O T E —————————————————————————-

[i] “Chi è Trenta, il nuovo Ministro della Difesa”  > http://www.adnkronos.com/fatti/politica/2018/06/01/chi-elisabetta-trenta-nuovo-ministro-della-difesa_MdtADDTcG0y7yRv5E7KBIK.html?refresh_ce

[ii] “Movimento 5 Stelle”, Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Movimento_5_Stelle#cite_note-21

[iii] “Missioni militari italiane all’estero”, Wikipedia > https://it.wikipedia.org/wiki/Missioni_militari_italiane_all%27estero

[iv] Alberto Bellotto, “Missioni militari italiane all’estero: le novità del 2018”, 11.01.2018,  Gli occhi della guerra >http://www.occhidellaguerra.it/missioni-militari-italiane-allestero-le-novita-del-2018/

[v] “Perché si dice abbiamo fatto 30, facciamo 31” > http://www.lettera43.it/it/comefare/curiosita/2017/01/27/perche-si-dice-abbiamo-fatto-30-facciamo-31/6779/  In effetti la frase originaria del Papa era: “Tanto è trenta che trentuno”

[vi] Cfr.: https://www.tpi.it/2018/06/01/salvini-ministro-interno/

 

[vii] “Sperimentazione delle pistole taser: la posizione di Amnesty International Italia” (23.03.2018) > https://www.amnesty.it/sperimentazione-delle-pistole-taser-la-posizione-amnesty-international-italia/

[viii] “La legittima difesa nel contratto di governo», Armi e tiro  (18.05.2018) > http://www.armietiro.it/la-legittima-difesa-nel-contratto-di-governo-9728

[ix] W. Shakespeare, Julius Caesar, atto III scena III – Cfr.: http://shakespeare.mit.edu/julius_caesar/julius_caesar.3.2.html

[x] Movimento 5 Stelle – Lega, Contratto per il governo del Cambiamento – Cap. 4 “Ambiente, green economy e rifiuti zero” (pp. 10-13) > https://www.ilfattoquotidiano.it/2018/05/18/governo-m5s-lega-il-contratto-di-governo-versione-definitiva-del-testo/4364587/

NON FATE I ‘BONUS’, SE POTETE

UN APPELLO PER SALVARE LA SCUOLA ITALIANA

L’ultima riforma della scuola è l’apice di un processo pluridecennale che rischia di svuotare sempre più di senso la pratica educativa e che mette in pericolo i fondamenti stessi della scuola pubblica. Certo la scuola va ripensata e riformata, ma non destrutturata e sottoposta ad un processo riduttivo e riduzionista, di cui va smascherata la natura ideologica, di marca economicistica ed efficientista. La scuola è e deve essere sempre meglio una comunità educativa ed educante. Per questo non può assumere, come propri, modelli produttivistici, forse utili in altri ambiti della società, ma inadeguati all’esigenza di una formazione umana e critica integrale. È quanto mai necessario “rimettere al centro” del dibattito la questione della scuola.[i]

images (2)E’ questo l’incipit dell’Appello per la Scuola Pubblica, che ho appena sottoscritto e che invito tutti/e a leggere con grande attenzione.[ii] E’ stato pubblicato solo pochi giorni fa ma è circolato molto velocemente online, raccogliendo in poco tempo quasi 7.000 firme tra docenti, genitori e studenti Esse si aggiungono a quelle degli otto docenti che lo hanno redatto e dei primi illustri proponenti, fra cui: Salvatore Settis, Massimo Cacciari, Tomaso Montanari, Umberto Galimberti, Nadia Urbinati, Michela Marzano, Romano Luperini, il filosofo Roberto Esposito, gli storici Giovanni De Luna e Adriano Prosperi, il sociologo Alessandro Dal Lago, i pedagogisti Benedetto Vertecchi, Massimo Baldacci e tanti altri educatori e professori universitari, insegnanti e critici letterari e dell’arte.

Basta la premessa appena citata a comprendere che si dà finalmente voce a tantissime persone che vivono quotidianamente la scuola pubblica, con ruoli diversi ma con la stessa amara sensazione di un progressivo degrado del modello d’istruzione che ci ha consegnato la nostra Costituzione, che troppi fanno solo finta di celebrare nella ricorrenza del suo 70° anniversario. Non è certo un caso, infatti, che l’appello sia centrato su sette punti ben precisi, sui quali è più evidente il tradimento dei principi costituzionali, con particolare riferimento agli art. 3 (“E` compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana “, 33 (“L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.” e 34  “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita….” .

I ‘sette peccati capitali’ della sedicente #BuonaScuola  si riferiscono ad altrettanti ambiti in cui la mutazione genetica della scuola italiana ha subito maggiormente il contagio della mentalità efficientistico-aziendale che una volta credevamo patrimonio della destra liberista di stampo berlusconiano, salvo poi ritrovarci con una riforma scolastica di centro-sinistra ancora più esplicita in tal senso. Tali punti nodali sono così sintetizzati nei titoli del documento:  1. Conoscenze vs competenze; 2.  Innovazione didattica e tecnologie digitali; 3. Lezione vs attività laboratoriale; 4. Scuola e lavoro; 5. Metrica dell’educazione e della ricerca; 6. Valutazione del singolo, valutazione di sistema; 7. Inclusione e dispersione. Mi soffermerò pertanto su alcune questioni sollevate dall’Appello, che sono quelle su cui la mia personale esperienza di docente di scuola media mi spinge a riflettere maggiormente.

NELLA ‘BUONA SCUOLA’ C’E’ UN ‘BONUS’ PER OGNI ESIGENZA…

Ho usato l’espressione ‘scuola media’ non certo per un vezzo rétro, ma per sottolineare che uno dei modi in cui si sta a poco a poco snaturando il triennio successivo alla scuola elementare mi sembra proprio la sua collocazione ‘propedeutica’ ed ancillare rispetto a quella superiore, cancellandone così l’originaria caratteristica ‘mediana’, di fondamentale ponte fra due modelli, oltre che gradi, d’istruzione. L’impressione è che il mantra  incalzante del c.d. ‘curricolo verticale[iii]  (concetto che risale peraltro al 1997 ed i cui ultimi riferimenti normativi sono riscontrabili nelle Indicazioni Nazionali del 2012 e nelle circolari esplicative del 2013) sia un chiaro indice dell’orientamento dominante a trasformare l’ex scuola media in un selettivo trampolino verso una specie di college di stile anglosassone. Le ‘riforme’ targate USA arrivano nel nostro Belpaese generalmente con un quarto di secolo di ritardo. E’ il caso anche della legge che nel 1992 introdusse nell’istruzione pubblica degli States un nuovo approccio organizzativo :

“Le charter schools (letteralmente “scuole del prestito”), nel sistema scolastico degli Stati Uniti, sono delle scuole, soprattutto primarie o secondarie, che godono di un particolare statuto di autonomia, legato a un sistema di finanziamento misto al quale contribuiscono fondi pubblici e privati. Esse, infatti, oltre a donazioni private ricevono finanziamenti pubblici (inferiori rispetto a quelli delle scuole pubbliche) in cambio di un assoggettamento ad un minor numero di regole, leggi e vincoli statutari. Pertanto, esse sono più autonome dei corrispondenti istituti pubblici e statali. Le charter school sono considerate, in genere, migliori delle scuole pubbliche in termini di risultati scolastici. Si possono frequentare in base all’espressione del principio della cosiddetta “libera scelta” nel campo dell’istruzione [iv]

images (1)E’ solo il nostro provincialismo italiota che non ci fa cogliere i nessi fra quello che ci sta capitando e le profonde – in alcuni case antiche – radici che sono all’origine di quello che ho chiamato ‘snaturamento’ della scuola. E’ da questa sua profonda ‘modificazione genetica’, infatti, che derivano le linee di tendenza che sono sicuramente tutte dentro le ultime riforme della scuola italiana – in particolare quella renziana – ma che, in modo più strisciante e progressivo, hanno inquinato fini, mezzi e modi dell’insegnamento, riconducendoli alla logica neo-liberista delle privatizzazioni, della selezione pseudo-meritocratica, della ‘managerialità’ dei dirigenti e della deregulation in ambito normativo,  per di più spacciando tutto ciò come attuazione della autonomia scolasticaSono questi i ‘modelli produttivistici’ cui l’Appello fa risalire la ‘destrutturazione’ della nostra scuola pubblica, denunciandone la matrice ideologica ‘economicista ed efficientista’.

Quello che anch’io sto vivendo nella scuola dove opero, dunque, è il frutto un po’ appassito d’un processo di trasformazione precedente, che però ora sta mettendo più apertamente in discussione gli stessi principi costituzionali democratici già citati. Pur volendo tacere della ormai consueta  violazione della ‘collegialità’ delle scelte didattico organizzative che caratterizza il nostro sistema scolastico, penso sia necessario denunciare certe operazioni di cui non molti colleghi sembrano rendersi conto. Il combinato disposto tra la logica ‘premiale’ che lusinga tanti nostri docenti ed il clima di crescente concorrenza fra istituzioni scolastiche sta infatti producendo risultati estremamente deteriori, improntati sempre e comunque alla progressiva privatizzazione della scuola pubblica. L’utilizzo anglofilo del c.d School Bonus previsto dalla ‘Buona Scuola’ e introdotto dal 2016 – che implica benefici fiscali per chi faccia donazioni alle scuole – è stato uno degli strumenti per agevolare questo processo di ‘charterizzazione’ dei nostri istituti che, con la scusa delle ‘erogazioni liberali’ di tali soggetti, crea le premesse per un controllo. [v]

La seconda ‘mossa’ di questo sconcertante ‘gioco di strategia’ governativo è stata, come accennavo prima, la rincorsa dei docenti all’allettante ‘albero della cuccagna’ del c.d. ‘bonus premiale’  (per il 2018 sono stati stanziati in bilancio ben 60 milioni). Col pretesto della ‘valorizzazione’ degli insegnanti, cioè, se ne premia in buona sostanza il conformismo e lo slancio produttivistico ed organizzativo, assoggettandoli mentalmente alla logica perversa della ‘squadra’ che circonda e supporta i dirigenti scolastici.  Il terzo anello della catena mi sembra la crescente tendenza ad introdurre una sorta di ‘pre-selezione’ nelle iscrizioni degli alunni della scuola media (pardon: scuola secondaria di 1° grado). Lo strumento operativo è quello che utilizza il sedicente ‘contributo volontario’ delle famiglie (un importo variabile determinato dai consigli d’istituto delle singole istituzioni scolastiche) non come attuazione della “scuola aperta a tutti […] obbligatoria e gratuita” sancita dalla Costituzione, bensì come subdola chiave di accesso o meno a corsi più qualificati ed appetibili. Basta stabilire che determinate sezioni di una scuola statale presentino una più consistente ed allettante offerta formativa aggiuntiva e/o curricolare, previo esborso di una vera e propria tassa d’iscrizione –  ed il gioco è fatto. In teoria si continua ad affermare che non si può scegliere la sezione cui iscrivere i figli, ma in pratica tale selezione degli alunni in entrata (prevalentemente in discipline come l’inglese di livello più alto e le tecnologie informatiche) pone le basi per ‘premiare’ quelli i cui genitori, oltre ad essere più ambiziosi, hanno il dubbio ‘merito’ di potersi permettere di pagare somme molto più onerose.

COMPETENZE, TECNOLOGIE DIGITALI, LABORATORI, SCUOLA-LAVORO

downloadQuando l’appello elenca i sette punti ‘caldi’ da tenere presenti se si vuole salvare quel che ancora rimane della scuola pubblica, risulta evidente che il processo che la sta “destrutturando” va proprio nella direzione delle charter schools d’oltre oceano. All’enfasi esagerata sulle competenze basilari e sulle tecnologie digitali, ad esempio, il documento giustamente contrappone una riserva:

Non [ha] senso misurare “livelli di competenza” degli studenti, da attestare in una sorta di fermo-immagine valutativo. Il sapere non si acquisisce mai definitivamente. È continuamente rinnovato dalla maturazione, consapevolezza, interiorità, ricerca singolare e plurale, approfondimento di contenuti e pratiche”.[vi]   Si afferma, inoltre: “Non sia il mero ingresso di uno smartphone in classe a migliorare l’apprendimento o l’insegnamento. In quel caso si potrà, certo, aderire a un modello, attualmente dominante: quello che sostiene l’equazione cambiamento=miglioramento e digitale=coinvolgimento.[vii]

 Personalmente, sul primo punto mi sono già espresso già nel 2015, in due articoli pubblicati sul mio blog, intitolati rispettivamente “Quali competenze ci richiede l’Europa”  [viii] e “La Buona Scuola che ci compete”  [ix], mentre sul secondo nel 2016 ho prodotto un intervento dal titolo “Un’impronta digitale sulla scuola” [x]. Per brevità, quindi, rinvio a questi miei precedenti contributi.

Altri due punti su cui il documento dei docenti ha voluto fare chiarezza hanno una radice comune. Attività laboratoriale e alternanza scuola-lavoro sembrano infatti ispirati dalla stessa logica pragmatica e produttivistica che sta cercando in ogni modo di snaturare la funzione educativa e socio-culturale dell’istruzione pubblica, liquidandola come retaggio di una superata cultura dei ‘saperi’ astratti e contrapponendo ad essa la funzione di prep school anglo-americana.[xi]  Fatto sta però che, come si ribadisce nell’Appello:

Non si va a scuola semplicemente per trovare un lavoro, non si frequenta un percorso di istruzione solo per prepararsi ad una professione. Dal liceo del centro storico al professionale di estrema periferia, la scuola era e deve restare, per primo, un “luogo potenziale” in cui immaginare destini e traiettorie individuali, rimettere in discussione certezze, diventare qualcos’altro dalla somma di “tagliandi di competenza” accumulati e certificati.” [xii]

Un’altra osservazione che condivido appieno è quella sullo ‘stile’ dell’insegnamento, sempre più orientato verso le attività ‘laboratoriali’, mandando in soffitta ogni approccio che abbia a che fare con la ‘lezione’ e che, conseguentemente, solleciti l’ascolto, sia pur attento e attivo – da parte dei discenti. Ma basta sfogliare una qualsiasi rivista per imbattersi in inchieste da cui si evince che i nostri ragazzi stanno diventando sempre meno capaci di ascoltare e di stare ‘attenti’, presi come sono dalla smania pseudo-operativa suscitata da smartphones e videogiochi e sensibili quasi esclusivamente a stimoli visuali o, al massimo, audiovisivi. Quella che oggi si esalta, del resto, non è certo la visione educativa attivistica e cooperativa dei pedagogisti di una volta.[xiii]  I presupposti ideologici di questa insistenza sulla ‘laboratorialità’, a mio avviso, affondano piuttosto in una concezione pragmatista, materialista ed economicista della società. Fanno bene, quindi, gli estensori dell’Appello a sottolineare che:

“Attenzione concentrata, aumento dei tempi di ascolto, siano condizioni per un “saper fare” come “agire intelligente”, che non si consegue assecondando l’uso delle tecnologie o seducendo gli alunni con dispositivi smart, ma in contesti di applicazione laboriosa, tempo quieto per pensare, discussione nel gruppo”.[xiv]

Anche su questi ultimi due aspetti – ed in particolare sull’inserimento nella scuola d’interessi produttivi o addirittura della propaganda militare – rinvio a ciò che mi è già capitato di scrivere in passato.[xv]

VALUTATION E SVALUTATION

images (1)Gli ultimi tre dei sette ‘peccati capitali’ della #BuonaScuola hanno a che fare col grande capitolo di ciò che gli autori dell’Appello chiamano “metrica dell’educazione e della ricerca”.

“Gli orientamenti internazionali delle politiche formative e di ricerca […] innescano una competizione globale in cui ranking internazionali (OCSE) e nazionali (INVALSI, ANVUR) comprimono gli scopi formativi e di studio sulla dimensione apparentemente neutra di “risultato”, oltre ad indurre a paragoni privi di rigore logico. Educazione e ricerca universitaria non sono riducibili ad un insieme di pratiche psicometriche globali, a cui sottoporsi in nome del principio di etica e responsabilità. Il futuro della Scuola e dell’Università sono questioni politiche nazionali, da collocare in un contesto europeo e interculturale di confronto e valorizzazione delle differenze, libero e democratico.” [xvi]  

Mi sembra che questa “ossessione quantitativa – che sarebbe imposta da obblighi comunitari o internazionali – sia piuttosto pilotata da interessi economici esterni alla scuola ed inoltre risponde a criteri ‘metrici’ spesso discutibili, o quanto meno parziali. Ecco perché non si può accettare supinamente l’imposizione di una didattica semplificata, schematizzata e valutabile solo mediante aridi questionari. Non è questa la nostra scuola e perfino nei paesi anglosassoni, dove i test strutturati sono la regola da decenni, ci si sta ribellando progressivamente a questa didattica standardizzata dove, è stato osservato, “si studia per i test, non con i test”. Anche su tale dimensione ho già avuto modo di pronunciarmi, per cui rinvio a due miei articoli del 2013 (“Fermate ‘sta pazzia!” e “Oltre i test, per far funzionare le teste”). [xvii]  Ecco perché non posso che associarmi all’Appello, quando si denuncia che:

La logica dell’adempimento e della competizione azzer(a)no il lavoro di personalizzazione nella formazione scolastica ed erod(o)no progressivamente spazi di progettualità libera nella ricerca universitaria (attraverso la sottomissione a criteri di valutazione non condivisi…”[xviii]

Ancor più sottoscrivibile, da parte di un educatore di matrice ecologista come me, è la successiva affermazione:

Le scelte operate da MIUR, INVALSI ed ANVUR, modific(a)no profondamente comportamenti e strategie nelle Scuole […], generando condotte di mero opportunismo metodologico-didattico e scientifico nonché la perdita di “biodiversità culturale”, strumento indispensabile per affrontare le complessità del futuro, oggi imprevedibili.” [xix]

La centralità del concetto di “valutazione” nella nostra didattica ‘riformata’ non è solo una mania, comprensibile in un mondo dove anche il sapere sembra che debba essere pesato e prezzato come qualsiasi altra merce. Il vero problema è che tale ossessione valutativa non sta portando affatto ad una scuola meritocratica bensì ad una selettività sempre più ‘a priori’. Ancora una volta, per citare don Milani: La scuola….è un ospedale che cura i sani e respinge i malati.” [xx]

In questo processo un ruolo non secondario – come osservavo negli articoli citati nella nota 17 – ha avuto ed ha un ruolo centrale l’INVALSI, sulla quale si appuntano gli strali anche degli estensori dell’Appello, sostenendo che:

Un’agenzia “terza” (INVALSI) non possa svolgere compiti di valutazione e di ricerca pedagogico-didattica orientanti programmi e curricola: la terzietà non è, inoltre, comparabile con gli incarichi affidati dal MIUR per la valutazione (diretta e indiretta) di docenti e dirigenti attraverso meccanismi di premialità. [xxi]

Già, perché oltre ad introdursi sul piano didattico come il classico elefante nella cristalleria, queste Agenzie stanno svolgendo un ruolo non secondario nella determinazione dei criteri per la valutazione non solo di singoli alunni, classi ed intere istituzioni scolastiche, ma indirettamente anche dei docenti e dei dirigenti. Fin nel 2012 mi sono espresso criticamente a proposito dei progetti di valutazione degli insegnanti (“Si VALES bene est. Ego valeo” [xxii]), reiterando il mio giudizio due anni dopo (“Il sistema di(sotto)valutazione dei docenti[xxiii]). Oggi la trama di questo piano appare ancora più evidente e sta producendo danni ancora maggiori, aizzando una in-sana competizione a tutti i livelli (tra docenti, tra classi di una scuola, tra istituti dello stesso territorio, etc.)

L’ultimo capitolo del documento, dedicato a “inclusione e dispersione” cerca dunque di riportare l’attenzione degli insegnanti sul loro ruolo centrale, che non è certo quello burocratico di ‘certificatori’ di conoscenze o anche di competenze, ma di educatori. Anch’io, infatti, credo che:     

“ …non ci si possa limitare a chiedere alla Scuola di fare meglio solo con ciò che ha. Semplificare compiti e programmi, organizzare corsi di recupero pomeridiani che ricalchino quelli antimeridiani, medicalizzare le diversità, sono scorciatoie che restano agli atti come prove burocratiche di adempimenti amministrativi […] Dispersione scolastica e abbandoni precoci non sono solo capi d’imputazione su cui è chiamata a rispondere, ma problematiche che nelle attuali condizioni assorbe e subisce.” [xxiv] 

Facciamo in modo, dunque, che la ‘valutation’ standardizzata della #BuonaScuola non sia ancor di più uno strumento socioculturale – e quindi politico – di svalutation’ di chi non rientri in questi nuovi canoni didattici, per cui rischia di essere emarginato, o comunque costretto a seguire percorsi scolastici di seconda categoria.  La scuola che vogliamo non ha molto a che vedere con quella che ogni giorno ci viene proposta e spesso imposta. Muoviamoci allora, prima che sia troppo tardi… Sottoscrivere l’Appello è solo il primo passo di una lotta non facile, ma assolutamente indispensabile.

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[i] AA.VV., Appello per la Scuola Pubblica  > https://sites.google.com/site/appelloperlascuolapubblica/

[ii] Vedi:  Ilaria Venturi, “Moratoria sulla Buona Scuola. L’appello degli insegnanti firmato da intellettuali ed accademici”,  la Repubblica Scuola (30.12.2017) > http://www.repubblica.it/scuola/2017/12/30/news/_una_moratoria_sulla_buona_sucola_l_appello_degli_insegnanti_firmato_da_intellettuali_e_accademici-185485819/

[iii] Cfr.  Gianfranco Cerini, Saperi, curricolo, competenze > http://www.edscuola.it/archivio/riformeonline/saperi.html

[iv] “Charter School” in Wikipedia >

[v]  Cfr. http://www.notiziedellascuola.it/news/2016/settembre/school-bonus-benefici-fiscali-per-donazioni-alle-scuole

[vi] Appello per la scuola pubblica, cit.

[vii] Ibidem

[viii] Ermete Ferraro, Quali competenze ci richiede l’Europa?  (15.03.2015) > https://ermetespeacebook.com/2015/03/15/quali-competenze-ci-chiede-leuropa/

[ix]  Idem, La Buona Scuola che ci compete (12.09.2015) > https://ermetespeacebook.com/2015/09/12/la-buona-scuola-che-ci-compete/

[x]  Idem, Un’impronta digitale sulla scuola? (13.11.2016) > https://ermetespeacebook.com/2016/11/13/unimpronta-digitale-sulla-scuola/

[xi] Vedi definizione di ‘Prep(aratory)school ‘ in: https://dictionary.cambridge.org/it/dizionario/inglese/prep-school

[xii] Appello… cit.

[xiii] Cfr. ad es. le teorie pedagogiche di J. Dewey, C. Freinet, M. Montessori, A.S. Makarenko, R. Cousinet ed altri

[xiv] Appello, cit.

[xv] Vedi, ad es.: E. Ferraro, Profeti e professori (25.06.2017) > https://ermetespeacebook.com/2017/06/25/profeti-e-professori/ e Idem, Ma che ‘Bellica Scuola’ ! (03.12.2016) > https://ermetespeacebook.com/2016/12/03/ma-che-bellica-scuola/

[xvi] Appello, cit.

[xvii] E. Ferraro, “Fermate ‘sta pazzia!” (22.06.2013) > https://ermetespeacebook.com/2013/06/22/fermate-sta-pazzia/ e    Oltre i test, per far funzionare le teste (27.11.2013) > https://ermetespeacebook.com/2013/11/27/oltre-i-test-per-far-funzionare-le-teste/

[xviii] Appello, cit.

[xix]  Ibidem

[xx] Don Lorenzo Milani, Lettera ad una professoressa, Firenze, L.E.F. ,1996

[xxi] Appello, cit.

[xxii] E. Ferraro, Si VALES bene est. Ego valeo (18.02.2012) > https://ermetespeacebook.com/2012/02/18/si-vales-bene-est-ego-valeo/

[xxiii] Idem, Il sistema di (sotto)valutazione dei docenti (03.10.2014) > https://ermetespeacebook.com/2014/10/03/il-sistema-di-sottovalutazione-dei-docenti/

[xxiv]  Appello, cit.

‘VAX COMPLIANCE’ ? No, grazie!

ECOLOGISMO, DIRITTI COSTITUZIONALI  E OBBLIGO VACCINALE

  1. Perché parlarne ?

images (2)Da molto tempo volevo intervenire sul tema dell’obbligo vaccinale in generale e, nello specifico, sulla recente normativa che da alcuni mesi ne estende ulteriormente l’applicazione nel nostro Paese. [i]  Ho evitato di farlo finora perché, se posso, cerco di non entrare nei discorsi che non mi vedano adeguatamente preparato in materia ed anche perché non mi andava di alimentare ulteriormente il chiacchiericcio mediatico che ha contraddistinto il dibattito su tale questione, con toni spesso sgradevolmente polemici ed intolleranti. Ovviamente io ho, e non da adesso, una mia idea in proposito. Esprimerla pubblicamente sarebbe stato però di scarsa utilità, a meno che non andasse a toccare un aspetto specifico della diatriba sulle vaccinazioni, portando argomentazioni, riferimenti e non solo opinioni. Il fatto è che questo tema mi interpella direttamente sia come ambientalista, sia come educatore e cittadino responsabile. Ecco perché mi sono deciso ad entrare nel merito della discussione, premettendo che il taglio del mio contributo non è ovviamente di tipo scientifico, bensì squisitamente politico. Con questo aggettivo mi riferisco alla evidente natura giuridica e costituzionale della questione, dal momento che – al di là di scelte personali che restano tali – ritengo che siano state fatte affermazioni discutibili sul rapporto tra obbligo vaccinale e pensiero ecologista. Ad indurmi ad occuparmi del problema, infine, ha contribuito anche la discutibile iniziativa promossa dal consigliere regionale dei Verdi della Campania, Francesco Borrelli, che si era fatto addirittura promotore di una proposta di legge – peraltro bocciata dal Consiglio [ii]– che prevedeva “ l’obbligo del vaccino per i bambini che accedono al sistema scolastico, a partire dagli asili nido”, sostenendo addirittura di voler “combattere l’ignoranza e gli esaltati”. [iii]

Non intendo certamente affermare che il mondo dell’ambientalismo sia compattamente schierato in favore della posizione opposta, bensì che le contestazioni nei confronti dell’abnorme ed immotivata estensione dell’obbligo vaccinale in Italia, bocciate sbrigativamente come oscurantiste ed antiscientifiche, hanno invece un fondamento ideologico ed una rispondenza ben precisa nell’universo ecologista internazionale, oltre che nella più autorevole letteratura medica di orientamento alternativo al dominante mainstream farmacofilo. Quello che mi ha colpito in questi mesi, inoltre, è soprattutto la stigmatizzazione aprioristica e faziosa nei confronti di chiunque si permettesse di avanzare dubbi sulla legittimità di tale operazione, mettendo su una campagna che, autoproclamatasi di ‘controinformazione’ verso le ‘bufale’ dei negazionisti, è diventata un’aggressiva caccia alle streghe contro di chi contestasse il ‘verbo’ del vaccinismo senza se e senza ma.

Eppure perplessità e dubbi sull’assoluta innocuità di tale pratica, espressi finora da rispettabili medici e perfino da docenti universitari, non erano certo una novità. Eppure proprio dall’universo ecologista, e non solo in tempi recenti, erano state formulate motivate riserve sull’utilità, validità e legittimità della pratica delle vaccinazioni imposte per legge, anche in nome di un principio universalmente riconosciuto dal diritto dell’ambiente, quello ‘di precauzione’, la cui estensione all’ambito sanitario appare del tutto ragionevole. Il punto centrale, a mio avviso, è che non si tratta di un dibattito puramente ideologico, ma di contrapposizione tra una posizione istituzionalizzata, su cui grava pesantemente l’influenza di potente lobbies, ed un mondo per sua natura minoritario, in quanto portatore di valori ed interessi alternativi a quello della medicina ufficiale e ai suoi indiscutibili dogmi. E’ per questo motivo che ho voluto fare una sia pur breve ricognizione di quanto era già stato detto e scritto in materia, soprattutto per ristabilire la verità sul rapporto tra pensiero ‘verde’ ed imposizione per legge di un obbligo vaccinale sempre più ampio. Un secondo aspetto della questione, su cui mi soffermerò successivamente, è quello della legittimità costituzionale di tali scelte, alla luce della Carta su cui si fonda la nostra Repubblica e della giurisprudenza in materia.

Contrariamente agli sfegatati supporters dei vaccini sempre e comunque, non lancio anatemi contro nessuno né mi permetto di tacciare come “ignoranti ed esaltati” quelli che la pensano diversamente da me. Il  mio è un modesto contributo alla ricerca di soluzioni di buon senso, che concilino cioè la legittima preoccupazione di chi vuol tutelare la salute pubblica coi diritti di chi non vuole però lasciare nelle mani dello stato scelte che hanno un profondo risvolto personale e familiare, soprattutto laddove le istituzioni pubbliche non siano in grado di fornire indiscutibili rassicurazioni sulla totale innocuità di questi veri e propri trattamenti sanitari obbligatori.

 

  1. Che cosa ne pensa il mondo ecologista e verde? 

images (4)Cominciamo da casa nostra. Il 25 maggio scorso, mentre il consigliere dei Verdi alla regione Campania depositava la sua proposta di legge sulla vaccinazione obbligatoria per l’accesso ad ogni ordine di scuola, Paolo Galletti (storico esponente della Federazione dei Verdi italiani, di cui è stato uno dei fondatori, che ha a lungo rappresentato sia nel Consiglio regionale dell’Emilia-Romagna sia alla Camera dei Deputati) ha pubblicato sul sito nazionale questo articolo: “Decreto vaccini, una forzatura non motivata”. Il titolo è già di per sé significativo, ma che cosa esattamente contesta Galletti e a cosa attribuisce questa decisione?

“Un TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) generalizzato ma non adeguatamente motivato. Infatti non sussistono condizioni di necessità ed urgenza che rendono legittimo un decreto legge. Lo stesso Governo lo ammette riferendosi alla preoccupazione per un calo delle coperture vaccinali sotto determinate soglie e non a situazioni di immediato pericolo. Ma allora perché questa scelta anomala del Governo Italiano? Per la guerra di Renzi a Grillo sui vaccini. Ma Grillo rinnega se stesso e un po’ di esponenti del suo partito e si para le terga dietro il Professor Silvestri di Atlanta, sostenitore convinto dei Vaccini Il secondo motivo probabilmente e’ dovuto al fatto che l’Italia è stata nominata per i prossimi cinque anni capofila per le strategie e campagne vaccinali nel mondo dalla Global Health Security Agenda.Quindi vuole presentarsi come repressore implacabile sul piano internazionale con il contorno di business che ne consegue.Un decreto impositivo che apre un contenzioso politico e giuridico enorme. In questo contesto e’ partita una inedita caccia alle streghe verso i medici che si permettono di sollevare dubbi sulle vaccinazioni o sulle loro modalità o sulla loro generalizzazione.” [iv]

Si tratta di un’autorevole voce dell’ecologismo italiano, che da una parte denuncia la mancanza di valide motivazioni a supporto di un provvedimento così autoritario, dall’altra non assume posizioni estremiste ma sottolinea che il clima intollerante e repressivo che si è creato intorno a tale questione impedisce “un ragionevole confronto” e “crea un’anomalia italiana sui vaccini dentro quell’Europa cui proclamiamo di volerci conformare. A tal proposito, quali sono le posizioni assunte dai vari partiti ecologisti e verdi attivi negli stati aderenti all’U.E. e raggruppati nella confederazione dei Verdi europei ? [v]   Restando in Italia, va segnalata anche la posizione nel merito assunta dai Verdi del Sud Tirolo, a firma dei portavoce Brigitte Foppa, Hans Heiss e Riccardo dello Sbarba:

“Noi Verdi sudtirolesi ci siamo sempre impegnati per la libertà di scelta informata e responsabile da parte dei genitori e seguiamo in questi giorni con preoccupazione e costernazione le notizie che giungono da Roma. Insieme a genitori e medici indignati, ci ribelleremo con fermezza contro una tale imposizione. Il diritto all’istruzione non può essere contrapposto al diritto alla salute. E in nessun caso la salute dei nostri bambini e delle nostre bambine può essere strumentalizzata per giochi di potere politico.” [vi]

Il Green Party of England and Scotland ha un programma molto dettagliato in materia sanitaria ed al punto HE 402 si afferma che esso:

“…sostiene le vaccinazioni come mezzo primario per prevenire molte malattie. Tutti i bambini dovrebbero avere il diritto a ricevere i vaccini” . In un paragrafo precedente, però, troviamo questa dichiarazione: “I servizi sanitari possono creare dipendenza da parte degli utenti, il che è di per sé malsano. Gli individui, attraverso una scelta opportunamente informata e quando sostenuti adeguatamente, possono acquisire responsabilità molto maggiori per la propria salute e per quella dei loro familiari. Tuttavia, una vera libertà di scelta non può essere esercitata senza il potere economico e politico, attualmente negato alla maggioranza.” [vii]

Europe Écologie-Les Verts, in una deliberazione del Consiglio Federale (tenuto a Parigi il 9-10.01.2016) ha approvato un’articolata mozione sui vaccini in cui il Partito, fra l’altro:

ricorda che gli ecologisti sono favorevoli a una vera valutazione dei benefici e dei rischi (cioè dei vantaggi e degli inconvenienti ) di ogni intervento terapeutico , posizione ugualmente valida per la vaccinazione umana  […]   esige  che questa valutazione si faccia in modo totalmente indipendente dalle ditte farmaceutiche che abbiano interessi alla produzione di vaccini […] fa appello a modificare al più presto la situazione per cui si utilizzano, nel quadro dell’obbligo vaccinale nei confronti di certe malattie, vaccini di cui una o più valenze non sono oggetto di alcun obbligo, il che attenta alla libertà terapeutica e favorisce indebitamente i profitti di alcune ditte […]  Intende creare un corpo statale di esperti di sanità pubblica indipendenti dall’industria farmaceutica […] per impedire ogni conflitto d’interesse al suo interno; chiede che sia valutata la necessità dell’obbligo vaccinale sul piano epidemiologico, sociologico etc. da parte di esperti indipendenti dai conflitti d’interesse dell’industria farmaceutica, poiché obbligo vaccinale non significa necessariamente che la popolazione sarà meglio coperta rispetto ad un paese in cui il vaccino è solo raccomandato…” [viii]

Infographic-The-Vaccine-Racket-1280E’ il caso di citare, a proposito dei Verdi francesi, la posizione molto più netta dell’europarlamentare Michèle Rivasi (biologa, già docente di scienze naturali nei licei e alI’Istituto Universitario di Formazione degli Insegnanti, ex direttrice di Greenpeace France ed esperta di Sanità ambientale allo stesso Parlamento europeo – dalla quale però l’EELV ha preso prudentemente le distanze. Autrice di un’iniziativa ‘scandalosa’ di contestazione dell’obbligo vaccinale. [ix] Contraria alla proposta di introduzione per legge in Francia di undici vaccini dal 2018, ha lamentato di sentirsi vittima di una sorta di “caccia alle streghe” ed in un’intervista ha rilasciato queste dichiarazioni:

“ No, io non sono ‘antivaccini’, però mi pongo delle domande…sulle nano particelle, sull’alluminio e sugli additivi presenti nei vaccini. Quando chiedo informazioni su questi argomenti, mi si risponde semplicemente. ‘Non c’è alcuna preoccupazione. Bisogna far vaccinare i ragazzi.’ Ebbene, io non sono d’accordo con questa idea […] Sono stata invitata ad esprimere il mio punto di vista ad Agnès Buzyn, la ministra della Sanità… Vado a chiederle una moratoria  sull’obbligo vaccinale. Ritengo che non si debbano assumere decisioni precipitose in materia. Prima di rendere obbligatori i vaccini, gradirei che si facessero degli studi sull’argomento da parte di un collegio di esperti indipendenti. Non dagli esperti pagati dai laboratori farmaceutici….” [x]

Bundnis90/Die Grünen  , il maggior partito Verde europeo, ha fra i suoi temi programmatici anche un capitolo dedicato alle “Impfungen”, cioè alle vaccinazioni. In questo documento – significativamente intitolato “Chi vaccina protegge se stesso e gli altri” – pur tenendo conto di gravi episodi epidemici che avevano interessato la RFT (come i 500 casi di morbillo a Berlino del 2001) si afferma tuttavia:

 “Per buoni motivi non abbiamo vaccinazioni obbligatorie in Germania. Le vaccinazioni sono sempre associate con i rischi e gli effetti collaterali e non si può essere costretti ala loro accettazione. Pertanto, il diritto all’autodeterminazione qui deve prevalere. Tuttavia, è necessaria una consulenza completa che può aiutare i genitori a prendere decisioni difficili e responsabili. […] Noi VERDI crediamo che dovremmo stare attenti con gli obblighi legali in materia sanitaria. Da un lato, il controllo è difficile – puoi, ad esempio, iscriversi a scuola non può dipendere da una vaccinazione certficata, ciò è in conflitto con l’istruzione obbligatoria. E sulla questione delle sanzioni un pozzo senza fondo si apre rapidamente, quando si pensa agli ultimi dibattiti su comportamenti sanitari inadeguati. Riteniamo molto utili le vaccinazioni, ma non consideriamo che la vaccinazione obbligatoria sia un modo appropriato per aumentare ulteriormente i tassi di vaccinazione. Informazione e trasparenza si sono dimostrati come base per decisioni responsabili e continueranno a farlo anche nel caso della richiesta di vaccini.”  [xi]

A tal proposito, Kordula Schulz-Ashe, parlamentare dei Grünen al Bundestag ed esperta in comunicazione ed educazione sanitaria, nel febbraio 2017 ha rilasciato queste dichiarazioni sulla “controversia relativa ai vaccini”:     

Le vaccinazioni sono un contributo di solidarietà alla comunità. Tuttavia, ognuno dovrebbe essere in grado di decidere da se stesso se essere vaccinato. Un dovere aumenterebbe solo la burocrazia. Si dovrebbe essere meglio informati. […] Le vaccinazioni non sono solo protezione, ma anche rischio. Pertanto tutti dovrebbero decidere in modo autodeterminato su una vaccinazione. Le persone che sono scettiche nei confronti dei vaccini non saranno convinti dei benefici della vaccinazione con la minaccia di coercizione o sanzioni.  ” [xii] 

Οικολόγοι Πράσινοι Anche gli ‘Ecologisti Verdi’ ellenici – già dal 2009 – hanno espresso i loro dubbi sulle vaccinazioni obbligatorie, con un documento intitolato: “Il vento nuovo: sfida per l’affidabilità della politica sanitaria”, di cui riporto alcuni significativi passi:

“Dobbiamo… affrontare il problema con prudenza e calma, tenendoci a distanza da panico e ansia di massa. Anche il ruolo dei media è importante qui. E ‘anche utile tenere a mente che ci sono potenti interessi, che si riferiscono principalmente all’industria farmaceutica ed alla circolazione dei farmaci, che potrebbero beneficiare di cultura di panico artificiale per promuovere attività economiche non correlate alla salute pubblica. Il benessere e la salute della società può essere garantita solo da politiche di prevenzione efficaci che affrontino le vere cause di malattie (come la dieta non sana, acqua e aria inquinate, lo stress mentale, la mancanza di sostegno emotivo)[…] La questione della vaccinazione di massa richiede un’attenzione particolare. Non possiamo non prendere in considerazione il pubblico ha espresso riserve gran parte della comunità scientifica sull’efficacia e la sicurezza del vaccino. Non accettate opinioni estreme sull’ effetto “assassina” dei vaccini, ma neppure la pressione per ampie vaccinazioni di massa che coprano la maggioranza della società.”  [xiii]

Lasciando l’Europa, è interessante citare almeno altri due casi. Il primo è quello del  Green Party of New Zealand (il Partito Verde Neozelandese), il cui portavoce in materia sanitaria, Kevin Hague, nel 2011 ha espresso in una lettera:

 il sostegno del G.P.(N.Z.) al diritto dei genitori di scegliere quali vaccini (semmai qualcuno va fatto) i loro figli ricevano senza incorrere in sanzioni economiche”. [xiv]

Il secondo caso, riportato anche dai media europei, è quello di Jill Stein, leader del Green Party of the U.S.  ed ex candidata alla Presidenza degli Stati Uniti d’America, la quale è stata duramente attaccata per aver espresso perplessità sull’obbligo vaccinale. Il quotidiano inglese ‘the guardian’, ha così riportato la sua posizione:

Stein, medico laureato ad Harvard, ha sia citato la provata importanza dei vaccini…sia suggerito che gli Americani non possono fidarsi della gente che raccomanda una vaccinazione molto diffusa […] “Come dottore in medicina, naturalmente io sostengo le vaccinazioni – ha twittato – Io ho un problema con la F.D.A. (Food and Drug Administration), essendo essa controllata dalle ditte farmaceutiche.[…] Stein ha affermato che le ‘corporations’ coinvolte nell’alimentazione geneticamente modificata hanno influenzato la supervisione governativa della medicina […] “Le agenzie di controllo sono regolarmente piene di lobbisti e di amministratori delegati aziendali. In questo modo, come al solito, negli Stati Uniti le volpi fanno la guardia al pollaio […] I vaccini dovrebbero essere trattati come qualsiasi procedimento medico. Bisogna che ciascuno di essi sia sottoposto a sperimentazione e regolato da soggetti che non abbiano interessi finanziari in merito” . [xv]

Per quanto riguarda poi il suo partito, i Verdi statunitensi, nella loro piattaforma programmatica del 2016 troviamo scritto che:

“I l G.P. sostiene un ampio raggio di servizi sanitari, compresa la medicina tradizionale, come anche l’insegnamento, il finanziamento e la pratica di approcci sanitari complementari, integrativi e riconosciuti.“ [xvi]

 

  1. Obbligo vaccinale: aspetti sanitari e criticità

images (5)Da questa panoramica sulle posizioni assunte dai principali partiti verdi in merito alle vaccinazioni imposte per legge emergono due fondamentali elementi comuni: (a) il rifiuto della scelta d’imporre dall’alto un trattamento sanitario obbligatorio, anziché informare adeguatamente e puntare sul senso di responsabilità dei cittadini; (b) la diffidenza verso politiche sanitarie non sufficientemente attente a rischi ed effetti collaterali connessi alle vaccinazioni ma, viceversa, pesantemente condizionate dalle industrie farmaceutiche. Come si vede, gli aspetti giuridici e strettamente sanitari sono strettamente connessi ad una visione ecologista da sempre aperta ad una visione olistica della medicina, attenta alla crescita della responsabilità personale e collettiva dei cittadini e preoccupata per la crescente tendenza all’utilizzo di chimica e biotecnologie ed al loro impatto sulla natura e sugli stessi esseri umani.

Ci sono però motivazioni più strettamente sanitarie alla base della resistenza di tanti cittadini a decisioni che puntino a moltiplicare i trattamenti vaccinali obbligatori, spalleggiate da campagne di martellante propaganda da un lato, e di pesante stigmatizzazione/criminalizzazione di ogni posizione contraria dall’altro. Non voglio entrare nell’aspra polemica che ha caratterizzato il dibattito sull’innocuità dei vaccini né tanto meno addentrarmi su un terreno che non mi si compete. Osservo solo che la ricorrente accusa agli ‘antivaccinisti’ – bollati tout court come ignoranti e retrogradi – di basarsi esclusivamente su dati fasulli e su ‘bufale’ mediatiche, non tiene conto sia della letteratura che fa riferimento ad un rispettabile e diffuso ambito medico alternativo (come quello della teoria e pratica dell’omeopatia), sia a studi e ricerche sanitarie forse poco conosciute, ma non per questo privi di rigore e liquidabili come ascientifiche.

Per fare un esempio, vorrei citare un recente testo curato dal prof. Paolo Bellavite (a lungo associato di Patologia Generale all’Università degli Studi di Verona), nel quale si passano in rassegna “aspetti critici e problemi aperti” relativi al rapporto tra scienza e vaccinazioni. [xvii]  Si tratta di uno scritto di 175 pagine, di cui ben 14 di bibliografia, nella quale si citano 275 studi pubblicati su riviste scientifiche d’impostazione sia omeopatica sia allopatica. Non proverò a sintetizzare le argomentazioni del prof. Bellavite, ma credo che sia utile riportarne alcune frasi che mi sembrano più significative.

“[Walter Ricciardi neopresidente dell’Istituto Superiore di Sanità], nel corso del 48° Congresso Nazionale della Società di Igiene, Medicina Preventiva e Sanità Pubblica (SItI) ha dichiarato “L’allarme sulle vaccinazioni, lanciato più volte, stavolta sembra sia stato recepito e ha conosciuto una spinta da manuale” e ha concluso riferendosi al “decalogo” per i vaccini “Questa è l’unica chiave per arginare il pericoloso ritorno di malattie infettive dimenticate dovuto al calo delle coperture vaccinali” . A parte che non si capisce quale sarebbe il “pericoloso ritorno” (che non esiste) né di quali malattie “dimenticate” stia parlando, va notato che questo discorso agli igienisti (di cui gran parte sono medici) è stato fatto in un “simposio” inserito nel congresso SItI denominato “SPMSD”, che significa Sanofi Pasteur MSD, produttori di AVAXIM®, COVAXIS® / TRIAXIS®, HEXYON®, IMOVAX® POLIO, GARDASIL®, HBVAXPRO®, M-M-RVAXPRO®, PNEUMOVAX®23 e molti altri. […]I fattori che determinano l’epidemiologia delle malattie infettive sono tanti e variabili, alcuni nemmeno conosciuti, al punto che è impossibile fare previsioni di tal tipo basandosi sul senso comune. Questa prudenza nelle dichiarazioni pubbliche è tanto più necessaria se chi parla non esprime un’opinione personale come tante altre, ma lo fa nella veste del direttore dell’ISS. Di fatto, se è vero che c’è stato un minimo calo della copertura vaccinale, non vi è alcuna evidenza che siano comparsi casi di poliomielite e/o di difterite in numero superiore alle attese. Né si registra alcun pericolo per la salute pubblica per le altre malattie menzionate per le quali, tuttalpiù, si sono verificati pochissimi casi in persone non vaccinate e (per la parotite e recentemente anche la meningite) anche in persone vaccinate. […]Se da una parte è chiaro che internet permette la diffusione di notizie allarmistiche e non controllate, destano grosse perplessità dichiarazioni di persone che dovrebbero essere competenti, come quelle testuali della dott.ssa Nicoletta Luppi (non medico, dal 2012 Presidente e Amministratore Delegato di Sanofi Pasteur e dal 2015 Presidente del Gruppo Vaccini di Farmindustria e Presidente e Amministratore Delegato di MSD Italia, consociata italiana della multinazionale farmaceutica Merck & Co.) di fronte ad un’ampia platea di giovani al Meeting di Rimini 2016 in cui ha difeso e propagandato i vaccini.”  [xviii]

imagesDopo aver fatto riferimento al caso delle campagne di vaccinazione anti-influenzale ed anti-morbillo e ai loro punti di debolezza ed ambiguità, Bellavite cita la posizione critica di un noto studioso in materia, dimessosi lo scorso aprile da vice-direttore della sanità regionale piemontese:

L’epidemiologo Vittorio Demicheli, membro della Cochrane Collaboration ed esperto di livello internazionale, intervenendo sulla questione del piano nazionale dei vaccini ebbe a segnalare che “Nella mia esperienza di medico i sistemi di coercizione o sanzionatori, che il Ministero ha intenzione di introdurre nei confronti dei medici, non hanno mai portato a risultati positivi. Dunque, la proposta inserita nel nuovo piano non rappresenta, a mio avviso, una scelta vincente. L’unica soluzione plausibile, per superare i problemi legati alla diffidenza, comporta il rispetto di principi quali la trasparenza e l’indipendenza decisionale. Purtroppo, troppo spesso, questo non accade. L’esempio del vaccino per la pandemia influenzale e dei relativi conflitti di interesse presenti nell’Organizzazione mondiale della Sanità, rappresenta il caso più eclatante e i risultati ora sono sotto gli occhi di tutti”. “  [xix]

Tornando sulla campagna allarmistica relativa alla pretesa ‘ricomparsa’ del morbillo in Italia, se ne precisano opportunamente le effettive dimensioni, contestando puntualmente le ‘bufale’ divulgate da coloro che dovrebbero essere responsabili della sanità pubblica:

In realtà l’”epidemietta” di morbillo dei primi mesi del 2017 non ha avuto alcuna conseguenza grave e può rientrare in una normale oscillazione tipica di una malattia che compare di tanto in tanto, come è sempre stato (e le cui dinamiche sfuggono anche agli esperti). In Europa si erano verificate già due epidemie con 6-7000 casi nei primi mesi del 2010 e del 2011, senza poi nuove comparse significative e senza che nel frattempo siano cambiate le politiche vaccinali. Fino a metà maggio 2017 (con la curva ormai in discesa) si parla di 2224 casi segnalati dall’inizio dell’anno; quasi tutte le Regioni (18/21) hanno segnalato casi, ma il 92% proviene da Piemonte, Lazio, Lombardia, Toscana, Abruzzo, Veneto e Sicilia. L’89% dei casi era non vaccinato. La maggior parte dei casi (73%) è stata segnalata in persone di età maggiore o uguale a 15 anni; 139 casi avevano meno di un anno di età (nessuno ha avuto conseguenze fatali).Campagne di stampa martellanti in Aprile e Maggio hanno supportato le iniziative di un partito politico di rendere obbligatorie le vaccinazioni in modo più sistematico e massiccio. […] La disinformazione sul delicato argomento delle vaccinazioni sta minando alla base il principio di sicurezza dei cittadini e persino di fiducia nelle Istituzioni. Ciò è più grave se le dichiarazioni, vere o talvolta distorte, vengono da persone che per la loro veste istituzionale sarebbero tenute ad una massima obiettività, se non proprio competenza tecnica. O meglio: se manca la competenza tecnica un responsabile politico farebbe meglio a tacere. A “Porta a Porta” del 22/10/2014: al minuto 36’ il ministro Beatrice Lorenzin dichiara che “solo di morbillo a Londra, cioè in Inghilterra, lo scorso anno (quindi nel 2013 ndr) sono morti 270 bambini per una epidemia di morbillo molto grave”. Dati ufficiali del Governo Inglese: Nel 2013, di morbillo si è registrato 1 decesso, di un uomo di 25 anni, dopo la polmonite acuta come complicanza del morbillo”. […]  A “Piazza Pulita” del 22/10/2015 (esattamente un anno dopo): al minuto 5’,57” il ministro Beatrice Lorenzin dichiara: “Di morbillo si muore, in Europa!… c’è stata una epidemia di morbillo a Londra lo scorso anno (quindi nel 2014 ndr), sono morti più di 200 bambini …”.Dati ufficiali: Nel 2014 nessun decesso. Da 25 anni a questa parte i decessi per morbillo nel Regno unito sono oscillati tra 0 a massimo 4. Come anche in Italia.” [xx]

Il cuore del problema resta comunque la questione della reale “effettività ed efficacia” dei vaccini – di cui non si mette in discussione l’utilità in sé – e soprattutto dei loro eventuali ‘costi’ in termini sanitari, oltre che economici, per la collettività che dovrebbero difendere.

I dubbi sull’efficacia delle vaccinazioni per la mancanza di studi randomizzati non riguardano, ovviamente, l’efficacia misurabile come capacità di far aumentare gli anticorpi in un soggetto non immune, cosa che è fuori discussione. Che la vaccinazione sia una pratica capace a stimolare il sistema immunitario a produrre anticorpi è un dato indiscutibile, quasi ovvio. Ad esempio, il principale parametro per dire se un vaccino è “efficace” contro il morbillo viene oggi valutato con il titolo di anticorpi anti-morbillo nel siero di soggetti trattati col vaccino. Tale “effetto” non significa, in termini metodologicamente rigorosi, che l’aumento di anticorpi protegga realmente dalla malattia.[…] È anche noto che gli anticorpi proteggono da molte patologie infettive e non infettive, tanto è vero che si possono usare in caso di urgenza per curare ad esempio un caso di tetano o di morso di vipera. Da qui però a sostenere l’efficacia universale della vaccinazione come mezzo per prevenire le malattie infettive ce ne passa.” [xxi]

Per escludere ogni rischio ed avere una prova scientifica dell’effetto positivo dei vaccini sarebbero necessarie verifiche rigorose che, sottolinea il prof. Bellavite, non sono di fatto praticate e, in ultima analisi, sono molto difficilmente praticabili, per le seguenti ragioni:

“a) La farmacocinetica per i vaccini non è fattibile o non è credibile, in quanto non si distribuiscono in modo omogeneo nel corpo e le dosi non sono sufficienti a trovarli nel sangue o nei vari tessuti potenzialmente affetti dalla loro presenza (es. milza, linfonodi, sistema nervoso). b) Selezionare un gruppo rappresentativo della popolazione significa identificare un gruppo di soggetti adatti (sensibili alla malattia) sufficientemente grande da potersi aspettare che vi siano sufficienti casi di malattia da poter vedere una differenza tra i due gruppi A e B. Questo è impossibile per le malattie rarissime o inesistenti (es. difterite, tetano, polio). […] c) Il gruppo su cui effettuare la sperimentazione deve necessariamente appartenere allo stesso ambiente ed età del gruppo dei potenziali fruitori del beneficio del vaccino: ad esempio NON si può fare uno studio dell’efficacia di un vaccino per bambini italiani usando come soggetti-test degli adulti italiani o dei bambini africani. d) Per valutare il beneficio (o il rischio) di vaccinazioni si deve attendere il tempo in cui tale beneficio o rischio si può mostrare. Ad esempio per la vaccinazione HPV ci si aspetta che un eventuale beneficio atteso (prevenzione del cancro della cervice uterina) si manifesti molti anni dopo il vaccino. Uno studio clinico randomizzato e controllato con placebo durerebbe molti anni e sarebbe quasi impraticabile. […] e) Uno studio eventualmente fatto in passato (quando le malattie esistevano) certamente non risponde agli standard di qualità attuali, ma soprattutto era fatto in condizioni epidemiologiche e ambientali di igiene completamente diverse dalle attuali, tanto è vero che il panorama sanitario di TUTTE le malattie è cambiato negli ultimi 30 anni. f) C’è poi il caso dell’influenza, in cui la popolazione potenzialmente sensibile al vaccino è notevole […] ma lo studio randomizzato NON E’ POSSIBILE per ragioni di tempo (il virus e di conseguenza il vaccino cambia ogni anno e la sperimentazione richiederebbe tempi molto più lunghi) e di tipo etico (non si può lasciare senza protezione il gruppo di soggetti in cui l’influenza potrebbe causare gravi danni). La ragione fondamentale per cui i vaccini non sono sperimentati come i farmaci è quindi evidente al limite della ovvietà. Ma non viene detto. “  [xxii]

images (1)Gran parte delle pagine seguenti sono dedicate a fare una opportuna distinzione fra il concetto di ‘sicurezza’ dei vaccini e quello concernente invece la loro totale ‘innocuità’, equivoco su cui si basano le pretese certezze dei vaccinisti ad oltranza, contrapposte a chi nutre dubbi in proposito.

Una posizione corretta è espressa da Zanoni e collaboratori: “Se con la definizione di “vaccino sicuro” intendiamo un prodotto che è totalmente esente da effetti collaterali, allora nessun vaccino è sicuro al 100%. Esattamente come nessuna attività umana è sicura: un certo rischio, per quanto piccolo esiste in tutte le nostre attività”. Nel sito USAVaccine Adverse Event Reporting System (VAERS) sono riportate casistiche ampie ed accurate di tali eventi avversi, cui si rimanda non essendoci qui spazio di trattazione analitica” [xxiii]

Le considerazioni espresse alla fine del saggio, di cui ho solo riportato qualche citazione, mi sembrano ampiamente condivisibile e improntata a buon senso:

Per responsabilizzare la popolazione verso l’opportunità della vaccinazione, è opportuno seguire un percorso virtuoso e prudente, centrato sull’informazione, la libertà e la partecipazione. […] Una politica aggressiva delle autorità sanitarie in un campo così delicato come le vaccinazioni pediatriche potrebbe avere conseguenze gravi sul rapporto di fiducia tra cittadino e politica e persino tra cittadino e conoscenza scientifica in senso lato. La scienza è e resta strumento fondamentale per la cultura di un popolo, ma non la si può piegare a interessi di parte politica o economici, a pareri di “esperti” spacciati come verità indiscutibili o a crociate le une contro le altre armate.” [xxiv]

 

  1. Profili d’incostituzionalità dell’obbligo vaccinale 

Pur volendo prescindere dall’evidente conflitto d’interesse di chi, pur dovendo garantire efficacia e innocuità dei vaccini, risulta invece palesemente legato agli interessi economici del c.d. “Big Pharma” – di cui si è occupato fra gli altri Guido Viale in un suo articolo, pubblicato lo scorso agosto su il manifesto [xxv]credo  opportuno soffermarmi brevemente anche sugli aspetti giuridici della decisione di rendere obbligatorie alcune vaccinazioni nel nostro Paese. Abbiamo visto che simili tentativi dei rispettivi governi sono stati spesso contestati dalle forze politiche che s’ispirano all’ecologismo verde – ad esempio in Francia – ed è il caso di sottolineare che in altri stati, come in Svezia, dove la copertura vaccinale è già molto alta, le mozioni su ulteriori vaccinazioni forzate sono state rigettate dal Riksdag (Parlamento).

Il 10 maggio il Parlamento svedese ha respinto 7 proposte che avrebbero promosso le vaccinazioni obbligatorie. Il governo svedese ha deciso infatti che le politiche di vaccinazione forzata sono contrarie ai diritti costituzionali dei loro cittadini. La Svezia, invece di aderire alla pressione delle aziende farmaceutiche o delle tattiche spaventose dei media mainstream, ha adottato la decisione di rifiutare l’applicazione della vaccinazione obbligatoria ai suoi cittadini. Infatti, un tale mandato, hanno affermato, violerebbe la Costituzione del paese.” [xxvi] 

European-Forum-for-Vaccine-Vigilance-EFVVUn recente articolo di Rocco Artifoni (autore nel 2014, insieme con Filippo Pizzolato, del libro “L’ABC della Costituzione”, con prefazione di don Luigi Ciotti) affronta il tema della costituzionalità delle disposizioni legislative che impongono le vaccinazione obbligatorie. Egli fa, a tal proposito, un’interessante rassegna della giurisprudenza in materia, riportando alcune precedenti sentenze della nostra Corte Costituzionale, di cui mi limiterò a citare alcuni passi.

“Con la sentenza n. 307 del 1990, riguardante la “obbligatorietà della vaccinazione antipoliomielitica”, la Consulta ha stabilito che “un trattamento sanitario può essere imposto solo nella previsione che esso non incida negativamente sullo stato di salute di colui che vi è assoggettato, salvo che per quelle sole conseguenze, che, per la loro temporaneità e scarsa entità, appaiano normali di ogni intervento sanitario, e pertanto tollerabili”. Ciò significa che dovrebbe essere dimostrato che le conseguenze di un trattamento sanitario obbligatorio non possano essere gravi e permanenti, perché altrimenti sarebbero intollerabili. Inoltre, la Corte afferma un principio di fondamentale importanza: “il rilievo costituzionale della salute come interesse della collettività non è da solo sufficiente a giustificare la misura sanitaria. Tale rilievo esige che in nome di esso, e quindi della solidarietà verso gli altri, ciascuno possa essere obbligato, restando così legittimamente limitata la sua autodeterminazione, a un dato trattamento sanitario, anche se questo importi un rischio specifico, ma non postula il sacrificio della salute di ciascuno per la tutela della salute degli altri”. La solidarietà verso gli altri può portare ad un obbligo per il singolo, anche in presenza di un certo rischio (che però deve essere indicato in modo preciso e non generico), ma tale costrizione trova un limite insuperabile nel diritto alla salute di ogni persona, che non può essere sacrificata per la tutela della salute altrui.” [xxvii]

Che, anche nel caso di obbligo vaccinale non rispettato da un genitore non si debba procedere in modo automatico ma sia necessario vagliare caso per caso, è quanto si ricava dalla lettura della successiva sentenza n. 132 del 1992 . Due anni dopo la stessa Consulta, con la sentenza n. 258 del 1994 ribadiva la:

“necessità di realizzare un corretto bilanciamento tra la tutela della salute del singolo e la concorrente tutela della salute collettiva, entrambe costituzionalmente garantite […] si renderebbe necessario porre in essere una complessa e articolata normativa di carattere tecnico che, alla luce delle conoscenze scientifiche acquisite, individuasse con la maggiore precisione possibile le complicanze potenzialmente derivabili dalla vaccinazione, e determinasse se e quali strumenti diagnostici idonei a prevederne la concreta verificabilità fossero praticabili su un piano di effettiva fattibilità”. [xxviii]

Il cuore del problema – cioè la conciliazione tra la dignità della persona/cittadino e le esigenze di sicurezza della collettività – è esplicitamente affrontato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 282 del 2002:

“…la pratica terapeutica si pone all’incrocio fra due diritti fondamentali della persona malata: quello ad essere curato efficacemente, secondo i canoni della scienza e dell’arte medica; e quello ad essere rispettato come persona, e in particolare nella propria integrità fisica e psichica, diritto questo che l’art. 32, comma 2, secondo periodo, la Costituzione pone come limite invalicabile anche ai trattamenti sanitari che possono essere imposti per legge come obbligatori a tutela della salute pubblica. Questi diritti, e il confine fra i medesimi, devono sempre essere rispettati”.[xxix]

Come se non bastasse, la Consulta esplicita e ribadisce il concetto scrivendo di seguito:

“salvo che entrino in gioco altri diritti o doveri costituzionali, non è, di norma, il legislatore a poter stabilire direttamente e specificamente quali siano le pratiche terapeutiche ammesse, con quali limiti e a quali condizioni. Poiché la pratica dell’arte medica si fonda sulle acquisizioni scientifiche e sperimentali, che sono in continua evoluzione, la regola di fondo in questa materia è costituita dalla autonomia e dalla responsabilità del medico che, sempre con il consenso del paziente, opera le scelte professionali basandosi sullo stato delle conoscenze a disposizione.” [xxx]

Non mi sembra il caso di continuare a citare la giurisprudenza costituzionale relativa anche agli anni successivi, per cui riporto solo le conclusioni che l’autore dell’articolo ne trae:

“Alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale fin qui richiamate è arduo derivare un preciso giudizio sul contenuto del Decreto Legge 7 giugno 2017 n. 73 […] Si può però ragionevolmente affermare che il consistente aumento del numero delle vaccinazioni obbligatorie (da quattro a dodici) dovrebbe essere scientificamente motivato, a maggior ragione che la scelta legislativa dell’Italia non trova riscontri in tutti gli altri Paesi europei. Inoltre, l’ampliamento dello spettro delle vaccinazioni considerate obbligatorie dovrebbe implicare un adeguato livello di accertamenti preventivi “idonei quanto meno a ridurre il rischio, pur percentualmente modesto, di lesioni della integrità psico-fisica per complicanze da vaccino”, relativamente alle dodici malattie che si vorrebbero prevenire. In altre parole, se da un lato si aumenta lo spettro della coercizione, dall’altro dovrebbe essere obbligatorio restringere il più possibile il campo dell’indeterminatezza e del rischio. L’accertamento preventivo è un principio fondamentale di precauzione, rilevante in un settore così sensibile come la salute delle persone, in particolare…di minori.” [xxxi]

images (6)Tornando alla prospettiva ambientalista dalla quale sono partito –  che è poi l’aspetto che maggiormente m’interessa sottolineare – mi sembra opportuno fare riferimento anche ad un articolo pubblicato dal periodico ecologista AAM-Terra Nuova  nel quale si sottolineano ulteriori ‘punti di incostituzionalità’ del decreto vaccini e della legge che lo ha recepito. Il documento, redatto dal gruppo di avvocati denominato ‘Giuristi per l’azione popolare’, ha stilato un elenco delle criticità del provvedimento sull’obbligatorietà di alcuni vaccini. In estrema sintesi, esse sarebbero le seguenti: 1) disparità di trattamento tra scuole dell’infanzia e scuola dell’obbligo;  2) compressione della libertà di scelta; 3) assenza di presupposti  per l’adozione del provvedimento provvisorio in forza di legge; 4) mancata previsione, a carico dello Stato, di un’equa indennità; 5) negazione al sistema di istruzione e di formazione.

Queste considerazioni, al cui sostegno nell’articolo si scrive che si è pronunciato autorevolmente anche il prof. Paolo Maddalena, dovrebbero farci riflettere seriamente su una problematica troppo sbrigativamente derubricata a questione personale o a semplice contrapposizione di scelte dettate da fanatismo antiscientifico a certezze indiscusse e indiscutibili. Concludo citando un intervento su tale spinosa questione del prof. Daniele Granara, docente di Diritto costituzionale all’Università di Genova e vicepresidente di V.A.S. (Verdi Ambiente e Società), l’associazione di protezione ambientale di cui faccio parte.

Nel caso dei vaccini, appare evidente che i due diritti (che sono anche valori) non si pongono in conflitto fra di loro, essendo la ricerca scientifica tesa ad individuare le soluzioni sempre più avanzate per la tutela della salute. È altrettanto certo che la cura vaccinale sia oggetto di un ampio dibattito scientifico, non essendo possibile considerarla il livello più avanzato e sicuro che la scienza oggi abbia raggiunto per la prevenzione delle malattie. Al contrario, vi sono studi che, da un lato, dimostrano zone di rischio anche gravi della pratica vaccinale, dall’altro percorrono strade alternative di cura preventiva.In ragione di quanto sopra, la Costituzione non consente, in mancanza di una acquisizione scientifica certa ed incontestabile, l’imposizione generalizzata dell’obbligo vaccinale dei bambini in età scolare, ma attribuisce ai genitori il diritto-dovere, con consenso informato, di scegliere ogni strada scientificamente possibile per salvaguardare la salute dei propri figli nell’ambito del loro obbligo di istruire, mantenere ed educare la prole (art. 30 Cost.). Tale diritto-dovere si coniuga pienamente con i valori suindicati della tutela della salute e della libertà della ricerca scientifica, in positiva e sinergica correlazione.” [xxxii]

In sintesi, dunque, a prescindere dalle valutazioni più o meno entusiastiche sull’utilità sempre o comunque dei trattamenti vaccinali – di cui è difficile disconoscere la funzione – permangono parecchi dubbi sia sulle garanzie fornite sull’assoluta innocuità dei singoli vaccini (cosa ben diversa dalla loro ‘sicurezza’ ed oggetto semmai di  un’insufficiente ‘farmacovigilanza’), sia circa l’effettiva gravità di certe strategiche ‘emergenze’, sulla cui scorta si propone – o meglio s’impone – un numero sempre maggiore di vaccinazioni. Il terzo aspetto, infine, è la faziosa contestazione verso chiunque nutra questi dubbi, come se essi non avessero alcun serio fondamento dal punto di vista sia sanitario sia giuridico-costituzionale.  Essere ecologisti, del resto, non vuol dire solo occuparsi della tutela dell’ambiente naturale. Il vero ecologista, infatti, ha una visione globale, olistica, dei problemi e, in questa luce, anche la valutazione della positività o meno dell’obbligo vaccinale dovrebbe tener conto del fatto che il modello tecnocratico di scienza che ci viene proposto come unico va profondamente rivisto. Chiudo citando Antonio D’Acunto:

“Sul piano della teoria è evidente la distanza siderale che oggi c’è tra ricerca, sviluppo tecnologico e sua applicazione e visione unitaria della natura, la coscienza dell’appartenenza ad essa. Colmare questa distanza nel modo di pensare collettivo significa intendere ricerca, sviluppo e tecnologia nella funzione positiva di essere dentro la natura, appunto, con la sua identità, con le sue regole e con le sue leggi.” [xxxiii]

Recentemente, anche in campo fiscale, si è parlato di “tax compliance”, intendendo con questa espressione anglofila l’adempimento di un obbligo, o meglio la totale accettazione (acquiescenza) ad esso. Il termine però ha un’origine sanitaria, in quanto con ‘compliance’ ci si riferisce all’adesione di un paziente ad una determinata terapia, cioè all’osservanza da parte sua di quanto prescritto dai medici. Ebbene, essa non può e non deve essere un’accettazione automatica, supina o peggio forzata di un qualsiasi trattamento sanitario, bensì un consenso informato, ossia una scelta consapevole e responsabile.   “Vax compliance” dunque? No, grazie!

N O T E ———————————————————————————————

[i]   Testo del decreto-legge 7 giugno 2017, n. 73, in Gazzetta Ufficiale – Serie generale – n. 130 del 7 giugno 2017), coordinato con la legge di conversione 31 luglio 2017, n. 119, recante: «Disposizioni urgenti in materia di prevenzione vaccinale, di malattie infettive e di controversie relative alla somministrazione di farmaci.» http://www.trovanorme.salute.gov.it/norme/dettaglioAtto?id=60202

[ii] http://www.agenparl.com/vaccini-borrelli-verdi-bocciata-mozione-consiglio-lunedi-parte-discussione-vietare-accesso-allasilo-bambini-non-vaccinati/

[iii] http://www.canale58.com/articolo/rubriche/7/s-ai-vaccini-borrelli-combattere-l-ignoranza-e-gli-esaltati-ordine-dei-medici-in-campo/30821

[iv]  Paolo Galletti, “Decreto vaccini, una forzatura non motivata”, Verdi.it (25.05.2017) > http://verdi.it/decreto-vaccini-una-forzatura-non-motivata/

[v]  Per informazioni sui Verdi Europei (European Greens), nati nel 2004 e raggruppanti 34 partiti membri, cfr. https://europeangreens.eu/organisation

[vi]  Verdi Sud Tirolo, Vaccini obbligatori: un gesto quanto meno precipitoso (maggio 2017) >  http://www.verdi.bz.it/vaccini-obbligatori-un-gesto-quanto-meno-precipitoso/

[vii] Cfr. i citati paragrafi del capitolo “Health” nel programma del Green Party, scritto nel 2015 ed aggiornato nel 2017 > https://policy.greenparty.org.uk/he.html (traduzione mia)

[viii]  Europe Ecologie- Les Verts, Motion Vaccination, Conseil Fédéral des 09 et 10 janvier 2016 > http://eelv.fr/motion-vaccination/ (traduzione mia)

[ix]  “ ‘C’est une chasse aux sorcières’: l’eurodéputée Michèle Rivasi crée la polemique avec la projection d’un documentaire controversé sur les vaccins”  , France Info (fevr. 2017) > http://www.francetvinfo.fr/sante/c-est-une-chasse-aux-sorcieres-l-eurodeputee-ecolo-michele-rivasi-cree-la-polemique-avec-la-projection-d-un-documentaire-controverse-sur-les-vaccins_2052309.html

[x]  Michèle Rivasi: ‘Je vais demander un moratoire sul l’obbligation vaccinale’ > http://www.20minutes.fr/sante/2108887-20170724-michele-rivasi-vais-demander-moratoire-obligation-vaccinale

[xi]  Bundnis 90/Die Grünen, Themen: Wer impft, schützt sich und andere  (2015) >

https://www.gruene.de/themen/soziale-gerechtigkeit/2015/wer-impft-schuetzt-sich-und-andere.html (traduz. mia)

xii  Kordula Schulz-Asche, Der Streits ums Impfen (23.02.2017) > https://www.schulz-asche.de/category/gesundheit/impfen/ (traduzione mia). Vedi anche: https://causa.tagesspiegel.de/gesellschaft/sollte-es-eine-impfpflicht-geben/eine-impfpflicht-steigert-die-impfraten-nicht.html

[xiii]  Οικολόγοι Πράσινοι, Η ΝΕΑ ΓΡΙΠΗ, ΠΡΟΚΛΗΣΗ ΓΙΑ ΤΗΝ ΑΞΙΟΠΙΣΤΙΑ ΤΗΣ ΠΟΛΙΤΙΚΗΣ ΥΓΕΙΑΣ (26.11.2009) >

http://www.ecogreens-gr.org/cms/index.php?option=com_content&view=article&id=654:2009-11-26-11-49-37&catid=10:health&Itemid=25 (traduzione mia)

[xiv]   Kevin Hague (G.P.N.Z.) > http://www.noforcedvaccines.org/nz-political-parties-vaccination-policies/mps-respond-to-vaccination-issue/

[xv]  Alan Juhas,  Green Party candidate Jill Stein accused of ‘anti vaxxer’ sympathies (30.07.2016) https://www.theguardian.com/society/2016/jul/30/jill-stein-green-party-vaccinations-anti-vaxxers . Vedi anche: https://www.washingtonpost.com/news/post-politics/wp/2016/07/29/jill-stein-on-vaccines-people-have-real-questions/?utm_term=.4aaec93da8e5

[xvi]  Green Party of the U.S., Platform > http://www.gp.org/social_justice_2016/#sjHealthCare

[xvii]  Paolo Bellavite, SCIENZA E VACCINAZIONI: ASPETTI CRITICI E PROBLEMI APERTI, II ediz. (15.05.2017)   > http://www.medicinacentratasullapersona.org/images/pdf/scienza%20e%20vaccinazioni%20-%20aspetti%20critici%20e%20problemi%20aperti%20di%20paolo%20bellavite.%20seconda%20edizione%2015_05_2017.pdf

[xviii]  Ivi, pp. 8- 9

[xix]    Ivi, p. 15

[xx]    Ivi, p. 24

[xxi]   Ivi, p. 45

[xxii]  Ivi, pp. 58-59

[xxiii]  Ivi, p. 93

[xxiv]   Ivi, p. 125

[xxv]   Guido Viale, “Sui vaccini e Big Pharma il muro del silenzio contro un movimento” , il manifesto  (04.08.2017) > https://ilmanifesto.it/sui-vaccini-e-big-pharma-il-muro-del-silenzio-contro-un-movimento/

[xxvi]  Maurizio Blondel, “La Svezia vieta le vaccinazioni obbligatore”, Controinformazione.info (26,05.2017) >   https://www.controinformazione.info/la-svezia-vieta-le-vaccinazioni-obbligatorie/

[xxvii] Rocco Artifoni, “Le vaccinazioni obbligatorie e la Corte Costituzionale”, Pressenza (13.06.2017) > https://www.pressenza.com/it/2017/06/le-vaccinazioni-obbligatorie-la-corte-costituzionale/

[xxviii]   Ivi

[xxix]    Ivi

[xxx]     Ivi

[xxxi]   Ivi

[xxxii]  Daniele Granara, “La vaccinazione è un obbligo?” , vasonlus.it (13.07.2017) > http://www.vasonlus.it/?p=50062

[xxxiii]   Antonio D’Acunto, Alla ricerca di un nuovo umanesimo – Armonia tra uomo e natura nella lotta politica, Napoli, La Città del Sole, 2015 – p. 68