BASE USA DI NAPOLI: CHIUDERA’ ?

Normal
0
14

false
false
false

MicrosoftInternetExplorer4

/* Style Definitions */
table.MsoNormalTable
{mso-style-name:”Tabella normale”;
mso-style-parent:””;
font-size:10.0pt;”Times New Roman”;}

US NAVYCOMUNICATO STAMPA

Base USA di Napoli:un rischio per la pace e la sicurezza

La notizia, riportata da diverse agenzie e quotidiani, circa la probabile chiusura della base USA di Napoli – la cui fonte era un servizio della CNN, peraltro non confermato dal Ministero della Difesa statunitense – ha suscitato commenti e prese di posizione spesso allarmate o comunque preoccupate.

Per non alimentare la già cronica disinformazione su questa delicata materia, che attiene la sicurezza stessa dei cittadini napoletani, bisogna ricordare che la c.d. “base aeronavavale” di Capodichino ospita in realtà il Comando Supremo della Marina USA in Europa (COMUSNAVEUR), trasferito a Napoli nel 2007 dalla sede precedente di Londra. Esso agisce in stretto collegamento col Comando JFC (l’ex AFSOUTH, cioè il Comando NATO per il Sud Europa) e col Comando delle Forze Armate USA in Africa (AFRICOM), anch’esso collocato recentemente a Napoli.

<< E’ molto grave sentire che i leader dei commercianti e degli industriali di Napoli si straccino le vesti di fronte alla sola ipotesi di chiusura del Comando di Capodichino – ha commentato Ermete Ferraro, referente nazionale per l’ecopacifismo di VAS e membro dell’Esecutivo di VAS-Campania  – A parte il fatto che l’indotto derivante dalla massiccia presenza americana a Napoli è davvero insignificante, ci sembra assurdo comunque mercificare il rischio per la pace e la sicurezza, derivante dall’occupazione militare alleata ed USA, che ha creato pericolose ‘zone franche’ nella nostra città, dove il segreto militare impedisce qualsiasi controllo ambientale, oltre che sociale e politico, del territorio interessato.>>

<<Come eco-pacifisti – prosegue Ferraro – abbiamo più volte sollecitato i nostri rappresentanti istituzionali a verificare le condizioni di quei siti, per scongiurare inquinamento dell’aria, dell’etere e rischi connessi agli armamenti nucleari lì stivati ed ai natanti nucleari che entrano liberamente nel nostro Porto. Abbiamo inoltre sottolineato che la concentrazione a Napoli del Comando Supremo NATO e della US Navy costituivano di per sé un pericolo, minacciando la pace e la sicurezza e facendone un potenziale obiettivo di attacchi militari e/o terroristici. Non saremo certo noi, quindi, a piangere sulla, purtroppo, poco realistica chiusura del Comando e della Base americana di Capodichino che, qualora avvenisse, non dipenderebbe dall’auspicabile fermezza dei nostri governanti ed amministratori pubblici, bensì dalla politica di risparmio del Pentagono>>

I VAS di Napoli, a tal proposito, stanno collaborando col Comitato Pace e Disarmo della Campania per fare controinformazione su tale materia e per nuove mobilitazioni collettive finalizzate a “togliere le basi alla guerra”.

 

FESTA DELLA MAMMA O “MOTHER’S DAY” ?

Oggi, in Italia come in moltissimi altri Paesi, si celebra la c.d. “Festa della Mamma”, spostata dalla data fissa dell’8 maggio alla seconda domenica di maggio, per adeguarsi a quella stabilita negli USA, dove tale celebrazione è ufficialmente nata nel 1870.
Ovviamente, nel nostro contesto culturale di matrice cattolica, è evidente il riferimento, sia pur implicito, al mese “mariano” per eccellenza, dedicato alla B.V. Maria, onorata col titolo di “Madre di Dio” (Mater Dei – Theotokos). Del resto, anche l’antichità pagana ha sempre avuto, nella stagione del risveglio primaverile, le sue “feste della madre”, identificata dai Greci col Cibele e dai Romani con Giunone, alla quale erano dedicati i “Matronalia”.
Ma anche se un po’ ovunque ci si è adeguati alla data del “Mother’s Day”statunitense, pochi sanno che a proporne le celebrazione, festa mamma139 anni fa, fu Julia Ward Howe, un’attivista pacifista ed abolizionista, la quale scrisse la "Mother’s Day Proclamation" come momento di riflessione critica sulla guerra e come reazione alla carneficina della guerra civile americana ed a quella anglo-prussiana. Strettamente collegata alla militanza femminista della Howe, la celebrazione voleva lanciare anche un appello alle donne affinché assumessero le loro responsabilità nella società, a tutti i livelli. Uno spirito pacifista che troviamo già in una famosa commedia della grecità classica: la “Lisistrata” di Aristofane.
Nel 1914 la proposta di Julia Ward Howe fu ufficializzata dal presidente W. Wilson, su proposta del quale il Congresso degli Stati Uniti deliberò di festeggiare la “Giornata della Madre”, proprio come espressione pubblica di amore e gratitudine per tutte le mamme del mondo, che incarnano la speranza della pace.
Ma cosa è rimasto di queste nobili finalità nell’odierna, consumistica, “festa della mamma”? Ovviamente nulla, visto che da tempo è stata trasformata in una sdolcinata celebrazione, che sembra avere l’unico scopo di alimentare il mercato dei fiori, dei dolciumi e della chincaglieria da regalo. D’altronde, una società che sta progressivamente cancellando perfino l’identità materna, moltiplicando modelli familiari anomali e squilibrati ed affidando sempre più spesso i bambini a mamma-TV e papà-computer, non sembra avere ormai nulla da imparare sia dall’appello accorato della pacifista americana, sia dalla tradizionale saggezza popolare, che ha identificato il ruolo della madre col fondamento d’una famiglia degna di questo nome.
Non più tardi di qualche giorno fa, inoltre, mi è capitato di leggere su un quotidiano che le madri povere, in Italia, sono addirittura un milione e 600mila. Secondo “Save the Children” – che ha realizzato il suo 11° rapporto sullo stato delle madri nel mondo, due terzi di esse hanno un figlio ancora piccolo e quasi il 45% riescono a tirare avanti solo con grandi difficoltà.Ciò significa che, mentre noi stiamo “facendo festa” con regalini e mazzi di fiori alle nostre madri, nel nostro stesso Paese, su dieci mamme, quattro non sanno come campare decentemente; tre non riescono a pagare le bollette; più di due non ce la fanno a sostenere le spese mediche e almeno due di loro non ce la fanno neppure con quelle scolastiche.
Non parliamo poi – soprattutto in un contesto come quello della mia città, Napoli – del dramma della casa e della cronica precarietà delle entrate, che spinge molte di loro ad “arrangiarsi” con lavoretti sottopagati o con attività illegali. Altro che “angelo del focolare”!  Le madri di oggi oscillano troppo spesso tra lo stress delle “donne in carriera” e la depressione di quelle abbrutite dalla miseria; tra i sensi di colpa di chi ha smesso di essere un riferimento per i propri figli e l’amarezza di chi si accorge di scaricare su di loro rabbia e frustrazioni di un’esistenza miserabile.
Eppure le mamme, almeno per noi italiani, sono ancora importanti. Perfino in una società consumistica, conflittuale e “familifuga”, infatti, l’accresciuto ruolo dei padri verso i figli/e non potrà mai sostituire la centralità della“materfamilias” italica.
E allora facciamo gli auguri alle mamme, celebriamone il ricordo se non sono più tra noi, rendiamo merito alla loro incredibile resistenza e determinazione ma, soprattutto, evitiamo di sbrodolare su di loro frasi retoriche e di circostanza.
Ricordiamoci delle madri-coraggio delle Quattro Giornate di Napoli, di quelle eroiche di “Plaza de Mayo” e delle tante donne che hanno dedicato e dedicano ogni loro energia a tenere insieme la famiglia. Lo stesso ricordo della pacifista americana ci mostri la strada verso una resistenza nonviolenta alla guerra, alla discriminazione ed all’ingiustizia che deve vedere la donna sempre più protagonista.
E’ la strada giusta verso la pace, la giustizia e la difesa del creato, sulla quale – per usare una tradizionale espressione – possiamo stare certi che anche “ ’a Maronna c’accumpagna”.

FESTA DELLA MAMMA O “MOTHER’S DAY” ?

Oggi, in Italia come in moltissimi altri Paesi, si celebra la c.d. “Festa della Mamma”, spostata dalla data fissa dell’8 maggio alla seconda domenica di maggio, per adeguarsi a quella stabilita negli USA, dove tale celebrazione è ufficialmente nata nel 1870.
Ovviamente, nel nostro contesto culturale di matrice cattolica, è evidente il riferimento, sia pur implicito, al mese “mariano” per eccellenza, dedicato alla B.V. Maria, onorata col titolo di “Madre di Dio” (Mater Dei – Theotokos). Del resto, anche l’antichità pagana ha sempre avuto, nella stagione del risveglio primaverile, le sue “feste della madre”, identificata dai Greci col Cibele e dai Romani con Giunone, alla quale erano dedicati i “Matronalia”.
Ma anche se un po’ ovunque ci si è adeguati alla data del “Mother’s Day”statunitense, pochi sanno che a proporne le celebrazione, festa mamma139 anni fa, fu Julia Ward Howe, un’attivista pacifista ed abolizionista, la quale scrisse la "Mother’s Day Proclamation" come momento di riflessione critica sulla guerra e come reazione alla carneficina della guerra civile americana ed a quella anglo-prussiana. Strettamente collegata alla militanza femminista della Howe, la celebrazione voleva lanciare anche un appello alle donne affinché assumessero le loro responsabilità nella società, a tutti i livelli. Uno spirito pacifista che troviamo già in una famosa commedia della grecità classica: la “Lisistrata” di Aristofane.
Nel 1914 la proposta di Julia Ward Howe fu ufficializzata dal presidente W. Wilson, su proposta del quale il Congresso degli Stati Uniti deliberò di festeggiare la “Giornata della Madre”, proprio come espressione pubblica di amore e gratitudine per tutte le mamme del mondo, che incarnano la speranza della pace.
Ma cosa è rimasto di queste nobili finalità nell’odierna, consumistica, “festa della mamma”? Ovviamente nulla, visto che da tempo è stata trasformata in una sdolcinata celebrazione, che sembra avere l’unico scopo di alimentare il mercato dei fiori, dei dolciumi e della chincaglieria da regalo. D’altronde, una società che sta progressivamente cancellando perfino l’identità materna, moltiplicando modelli familiari anomali e squilibrati ed affidando sempre più spesso i bambini a mamma-TV e papà-computer, non sembra avere ormai nulla da imparare sia dall’appello accorato della pacifista americana, sia dalla tradizionale saggezza popolare, che ha identificato il ruolo della madre col fondamento d’una famiglia degna di questo nome.
Non più tardi di qualche giorno fa, inoltre, mi è capitato di leggere su un quotidiano che le madri povere, in Italia, sono addirittura un milione e 600mila. Secondo “Save the Children” – che ha realizzato il suo 11° rapporto sullo stato delle madri nel mondo, due terzi di esse hanno un figlio ancora piccolo e quasi il 45% riescono a tirare avanti solo con grandi difficoltà.Ciò significa che, mentre noi stiamo “facendo festa” con regalini e mazzi di fiori alle nostre madri, nel nostro stesso Paese, su dieci mamme, quattro non sanno come campare decentemente; tre non riescono a pagare le bollette; più di due non ce la fanno a sostenere le spese mediche e almeno due di loro non ce la fanno neppure con quelle scolastiche.
Non parliamo poi – soprattutto in un contesto come quello della mia città, Napoli – del dramma della casa e della cronica precarietà delle entrate, che spinge molte di loro ad “arrangiarsi” con lavoretti sottopagati o con attività illegali. Altro che “angelo del focolare”!  Le madri di oggi oscillano troppo spesso tra lo stress delle “donne in carriera” e la depressione di quelle abbrutite dalla miseria; tra i sensi di colpa di chi ha smesso di essere un riferimento per i propri figli e l’amarezza di chi si accorge di scaricare su di loro rabbia e frustrazioni di un’esistenza miserabile.
Eppure le mamme, almeno per noi italiani, sono ancora importanti. Perfino in una società consumistica, conflittuale e “familifuga”, infatti, l’accresciuto ruolo dei padri verso i figli/e non potrà mai sostituire la centralità della“materfamilias” italica.
E allora facciamo gli auguri alle mamme, celebriamone il ricordo se non sono più tra noi, rendiamo merito alla loro incredibile resistenza e determinazione ma, soprattutto, evitiamo di sbrodolare su di loro frasi retoriche e di circostanza.
Ricordiamoci delle madri-coraggio delle Quattro Giornate di Napoli, di quelle eroiche di “Plaza de Mayo” e delle tante donne che hanno dedicato e dedicano ogni loro energia a tenere insieme la famiglia. Lo stesso ricordo della pacifista americana ci mostri la strada verso una resistenza nonviolenta alla guerra, alla discriminazione ed all’ingiustizia che deve vedere la donna sempre più protagonista.
E’ la strada giusta verso la pace, la giustizia e la difesa del creato, sulla quale – per usare una tradizionale espressione – possiamo stare certi che anche “ ’a Maronna c’accumpagna”.

RESPONSABILITA’ VS RASSEGNAZIONE (1)

imagesE’ da un po’ che mi sento poco stimolato a scrivere qualcosa. Eppure gli argomenti e gli spunti non mancano, come sa bene chi voglia dare almeno un’occhiata ai quotidiani e non sia del tutto “out” rispetto ad una serie di fatti di cronaca, politica e non, che i media ci sbattono in faccia. Quello che sembra essere sopravvenuto, nel mio caso, non è disinteresse per ciò che sta capitando, semmai una specie di saturazione, stanchezza e fastidio per una realtà che avverto sempre più lontana ed ostica. Una sorta di rigetto verso il miscuglio di malignità e d’imbecillità che sembra caratterizzare il nostro tempo, dal quale il futuro sembra essere stato bandito e la responsabilità cancellata.
Lo so, è una valutazione pesante. Ma il fatto di essere in prima persona coinvolto ed impegnato in ambienti e situazioni molto diverse – la scuola, l’ambientalismo, il lavoro sociale quello nell’ambito della chiesa – se non mi consente impossibili generalizzazioni, mi permette di guardarmi attorno in modo più ampio, ovviamente all’interno del tormentato contesto territoriale ed umano nel quale mi tocca di vivere.
E’ questa, infatti, la prima domanda che sorge spontanea, e non credo solo nella mia testa: è mai possibile che in questo bene/maledetto pizzo della Terra si siano concentrate tutte le contraddizioni, le inefficienze e le malefatte dell’umana specie, vanificando di fatto condizioni ambientali e risorse umane che potrebbero essere considerate ideali? Sui nostri capi pende forse qualche arcana e remota maledizione, visto che tutto sembra andare per il verso contrario, a dispetto di premesse favorevoli?
Ovviamente la situazione è molto più complessa di ciò che appare e certi problemi sono chiaramente sintomo di mali molto più ampi, diffusi e generalizzati. Allo stesso modo, alla faccia del catastrofismo che trasuda dalle cronache, è innegabile l’esistenza d’una realtà alternativa: attiva, laboriosa e combattiva, fatta di tante persone “toste”, che non hanno nessuna intenzione di mollare e che persistono nel loro quotidiano impegno, anche se pochi sembrano accorgersene e se nessuno le gratifica di un qualsiasi riconoscimento.
SEGUE >>

RESPONSABILITA’ VS RASSEGNAZIONE (2)

segue >
Sta di fatto, comunque, che svegliarsi ogni giorno in una città come Napoli e dover uscire la mattina per andare a fare (o cercare…) il proprio lavoro è molto più stressante e frustrante di quanto accadrebbe in altri posti dove ogni cosa non costituisce un problema e non si è costretti a cominciare sempre daccapo…
Non mi riferisco a questioni pesantemente strutturali come la disoccupazione endemica, una pervasiva criminalità organizzata oppure la struttura urbanistica asfittica di una città saccheggiata e depredata. Non sto pensando neppure ai terribili rischi sismici e vulcanici che, anche di recente, qualcuno ha voluto sbattere sul muso di troppi distratti ed incoscienti abitanti di un territorio di cui non riescono a diventare davvero cittadini, abituati come sono ad esorcizzare tutti i rischi – dalle catastrofi c.d. naturali agli incidenti sul lavoro – facendo ricorso a rituali scaramantici e rispolverando un fatalismo atavico.
Mi riferisco piuttosto alle quotidiane piaghe che affliggono il corpo di Napoli: il traffico convulso ed irrazionale, l’abusivismo a tutti i livelli, il pressappochismo colpevole di troppi tecnici ed amministratori pubblici, la dispersione scolastica, il caos degli ospedali e le mille altre facce di una precarietà esistenziale assurta a regola di vita ed accompagnata da una generalizzata fuga dalla responsabilità e dal rigore morale.
Eppure non è che manchino stimoli positivi ed appelli autorevoli, a partire da quelli della Chiesa e di tante istituzioni e realtà associative che si spendono quotidianamente per invertire questa tendenza e per prefigurare scenari diversi per le nostre comunità. Fatto sta che esortazioni ed ipotesi alternative non sono sempre accompagnate da azioni continuative e, al tempo stesso, capaci di coinvolgere sempre più persone in un processo di cambiamento che tutti sembrano ritenere necessario, ma non per questo riesce a diventare una prospettiva credibile e concreta.
Che fare allora? Non esistono certo formule né ricette valide e sicure, ma penso sia evidente che il primo elemento sul quale occorre far leva è il richiamo alla dignità, personale e collettiva, di chi non si sia rassegnato definitivamente a tale situazione. E’ un po’ come quando un insegnante deve darsi una strategia educativo-didattica per affrontare i sempre più frequenti casi in cui alunni/e provino un autentico rifiuto della scuola, per le sue regole, per le sue proposte e per i suoi valori.
E’ inutile ricorrere a prediche, minacce o lusinghe: il contrasto è troppo marcato ma, d’altra parte, non è possibile che la scuola rinunci al suo compito formativo o, peggio, si rassegni ad inseguire la realtà, magari ricorrendo a segnali ambivalenti. Il primo passo non può essere che quello della disponibilità e dell’apertura alle esigenze di questi minori ed al loro disagio. Ma poi bisogna trovare il modo per riattivare le loro risorse personali ed il senso di autostima di ciascuno/a, proprio perché la dignità è la base per un comportamento più autonomo e responsabile, e nel contempo meno condizionato da un ambiente sfavorevole e malsano.
Allo stesso modo, probabilmente, bisognerebbe affrontare le problematiche della nostra città, cominciando a restituire ai suoi abitanti la dignità di cittadini che contano, che sono interpellati prima di decidere, che non debbano sentirsi né blanditi né minacciati, ma autenticamente serviti da chi si è proposto per rappresentarli ed amministrarli. Ecco perché la responsabilità personale ed il senso della comunità restano obiettivi irrinunciabili per un uscire dalla palude della rassegnazione e recuperare la speranza in un futuro possibile.

© 2010 ERMETE FERRARO