#sereniunaccidente!

cielo serenoL’etimologia dell’aggettivo “sereno” risale all’antica radice sanscrita svar-, indicante il cielo luminoso e quindi lo stesso sole (greco: seír; seírios = splendente). Si è così passati dal significato letterale (cielo privo di nuvole) a quello metaforico, che caratterizza in una persona l’assenza di preoccupazioni, la tranquillità di spirito.

In questi ultimi tempi l’aggettivo sereno più che alla condizione del cielo, ci fa pensare all’ormai proverbiale frase di Matteo Renzi,, che invitò il suo predecessore, ancora in carica, appunto a “stare sereno”. Ormai tutti sappiamo quanto il povero Enrico Letta potesse fidarsi di simili rassicurazioni, provenienti da chi si stava preparando a succedergli, per cui si sono poi sprecate nei commenti politici le citazioni ironiche della famigerata frase renziana. D’altra parte, tutto ciò che il nostro giovane premier fa e dice suona come una continua esortazione agli Italiani a stare sereni, a non preoccuparsi, a fidarsi di chi li sta così abilmente e celermente guidando verso le auspicate riforme. Il precedente citato, però, non ci tranquillizza affatto. Ci sia consentito allora di nutrire qualche dubbio sulle “magnifiche sorti e progressive” che ci attenderebbero e di preoccuparci per ciò che il carro armato dell’ottimismo della volontà del governo Renzi sta calpestando sotto i suoi cingoli, in quanto ostacolo alla marcia trionfale di chi ha deciso – a tutti i costi – di “cambiare verso”. Per carità: cambiamento e volontà di decidere non sono di per sé delle brutte parole, anzi. Però la storia c’insegna che c’è da diffidare quando un leader si autoproclama salvatore della patria e comincia a scambiare il proprio progetto politico con l’obiettivo del Paese e la propria tabella di marcia con le tappe della palingenesi dello Stato.

Eppure basta visitare sul sito web di Matteo Renzi la pagina dedicata agli slogan scelti alle primarie del PD dello scorso dicembre per rendersi conto dell’indubbia forza mediatica che scaturisce dalla semplificazione concettuale tra fautori del cambiamento e quelli che rappresenterebbero il vecchio modo di fare politica. I manifesti della sua fortunata campagna “Cambia verso” rappresentano icasticamente questa contrapposizione, rozza ma efficace, tra un mondo vetusto e marcio – caratterizzato da: raccomandazioni, lamentele, paura, conservazione, burocrazia, arroccamento nel palazzo. chiusura e tendenza a perdere bene…-  ed il Brave New World di cui egli si fa profeta e paladino. Un mondo positivamente connotato da termini come: bravura, cambiamento, coraggio, futuro, semplicità, strada, apertura e vittoria…

Si capisce allora che, proprio grazie alla semplificazione logica e terminologica tipica dell’orwelliana Neolingua, diventa difficile opporsi a tale scoppiettante programma di cambiamento senza sentirsi etichettare come persone che cercano biecamente di mettere i bastoni tra le ruote del carro del progresso. Se le riforme renziane sono l’incarnazione di questa svolta epocale, la manifestazione concreta dell’apertura al cambiamento ed al futuro, chi mai potrebbe opporsi ad esse senza passare per fautore di una politica timorosa e conservatrice, schierata in difesa degli interessi consolidati della casta politica, di quella burocratica o di entrambi?

Ecco perché sull’allegorico carro del carnevale renziano, a poco alla volta, ci stanno salendo in tanti, cedendo alle sirene del suo indubbio successo – mediatico ed elettorale – ma anche alla paura di restare isolati nella contestazione di una svolta che appare al tempo stesso decisa e rapida.

Il guaio è che non bastano gli inviti a stare sereni per dissipare la sgradevole sensazione che la irresistibile ascesa dell’astro renziano stia spazzando via non soltanto le resistenze di pavidi e conservatori, ma anche le regole del gioco democratico ed il concetto stesso di riforma.

Cambiare non significa di per sé migliorare. Innovare vuol dire far cose nuove, non necessariamente cose giuste. Svoltare è un verbo altrettanto neutro, limitandosi ad indicare un cambio di direzione, senza offrire garanzie sul fatto che quella nuova sia auspicabile.

Il brillante entusiasmo e l’attivismo scoutistico del nostro presidente del consiglio – che non a caso in testa alla sua biografia cita una frase di Baden Powell – sono senz’altro lodevoli, soprattutto se vanno a sconvolgere una realtà politica innegabilmente stagnante e deludente. Non possono però sostituire la chiara indicazione di dove si vuole andare, del perché e del modo in cui s’intende farlo, cioè del reale orientamento di una svolta che è necessaria, ma non sufficiente.

Ecco perché io – e con me tanti amici e compagni – non ci sentiamo affatto sereni né, d’altra parte,  vogliamo lasciarci rasserenare, metaforicamente parlando, dall’assunzione dei tipici farmaci tranquillanti della propaganda. E’ sereno un cielo sgombro da nuvole, mentre noi non riusciamo a capire perché dovremmo restare buoni e tranquilli mentre un governo non eletto, frutto di una maggioranza bastarda, possa sentirsi autorizzato a mettere pesantemente le mani sull’assetto costituzionale della nostra repubblica, sconvolgendo composizione e compiti del parlamento, scippando alle regioni le competenze loro affidate e profilando un modello di stato in cui il potere risulterebbe sempre più accentrato e tendente al presidenzialismo.

Non riusciamo a comprendere neppure perché mai dovremmo restare sereni quando si varano disinvoltamente decreti che snaturano profondamente il concetto di ‘reato ambientale’ o che alzano il tiro dell’opposizione alle energie rinnovabili, proprio mentre aumentano gli scempi contro l’ambiente e, in altri paesi, si scommette invece sul solare.

Non ci sentiamo per niente tranquilli, nonostante le esortazioni renziane, mentre in Italia la politica continua ad inseguire il mito di una crescita che, a nostro parere, non solo non sarebbe una cura della crisi, ma rischierebbe di trasformarsi in proliferazione tumorale nel già compromesso tessuto sociale di un paese profondamente spaccato in due.

Ancor meno ci lascia sereni la strisciante militarizzazione del territorio e della società civile, che si riflette anche in folli scelte di riarmo (vedi capitolo F 35) e nelle preoccupanti conferme della posizione leader della nostra Italia che “ripudia la guerra” proprio nel campo della produzione ed esportazione di micidiali sistemi d’arma.

Non capiamo, infine, per qual motivo dovremmo accettare tranquillamente, nel nome delle cosiddette riforme, lo smantellamento progressivo dell’organizzazione dello stato, le privatizzazioni in ogni campo, le liberalizzazioni selvagge, la solita politica delle grandi opere, la riduzione delle garanzie sindacali, la codificazione del lavoro precario e la pericolosa tendenza alla deregulation.

Con queste grosse nuvole che si addensano sulle nostre teste, caro Renzi, non puoi proprio aspettarti che restiamo serenamente a guardare mentre la tua gioiosa macchina da guerra passa come un rullo compressore sulle prevedibili resistenze di chi non vuol cambiare affatto, ma anche sulle legittime aspettative di chi chiede rispetto per le garanzie costituzionali e giusta attenzione per i temi sensibili di una sinistra degna di questo nome.

Le nubi oscure del centralismo, del decisionismo presidenzialista, dell’intolleranza sprezzante per le critiche non ci consentono una serenità che, comunque, sarebbe pericolosa per qualsiasi cittadino che non voglia affidare acriticamente una delega in bianco a chi lo governa o amministra, smettendo di sentirsi un soggetto attivo e responsabile.  La foschia di una visione europeista che – austerità a parte – accetta tutto del modello attuale e cerca solo di cavalcarlo, inoltre, non ci fa scorgere nessuna prospettiva nuova nella nostra partecipazione ad un’Unione Europea che conferma la sua vocazione mercantile e burocratica, anziché aprirsi alle esigenze delle persone e delle comunità.

I cirro-cumuli di una politica estera italiana che resta schiacciata sull’indiscutibile leadership USA e sulla sovranità limitata riservata ai paesi membri della NATO, infine, ci rendono assai poco sereni anche sulle prospettive di coesistenza pacifica nel bacino del Mediterraneo, in Medio Oriente ed ora anche nell’Europa orientale.

Più che continuare a chiedere agli Italiani di “cambiare verso”, Matteo Renzi dovrebbe finalmente spiegarci verso cosa va il suo cambiamento. Ce lo faccia capire, magari smettendo l’aria tra arrogante e supponente che lo caratterizza e stando a sentire un po’ di più i suoi interlocutori. Se non altro quelli che non si sentono ormai talmente sereni da aver smesso di ragionare, di farsi domande e di proporre alternative.

© 2014 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )

ECOSOCIALISMO? SÍ, GRAZIE !


Progresso o sviluppo?ecosocialismo

 La lettura dell’ottimo articolo di Antonio D’Acunto “Necessità ed urgenza di un egemonico nuovo soggetto politico Eco–Progressista, fondato sul primato dell’Ecologia” [1] risulta particolarmente stimolante. Vorrei quindi intervenire nel merito, a partire da una prima osservazione riguardante il titolo. La mia deformazione ‘linguistica’ m’induce a ribadire che ritengo molto più accettabile il termine ‘sviluppo’ rispetto a ‘progresso’, con gli attributi e le forme verbali che derivano in ambedue i casi. E’ proprio il mio spirito ecologista che mi fa privilegiare il primo vocabolo, che già nella sua etimologia rinvia ad un processo di liberazione, di apertura, di realizzazione delle potenzialità mortificate (“de-viluppo”, appunto; in inglese ed in francese development, in spagnolo desarollo). La parola “progresso”, invece, racchiude nel suo DNA etimologico una visione sostanzialmente anti-ecologica, contraddicendo il nodo fondamentale di questo approccio, cioè il tener conto dei naturali limiti ad ogni genere di sviluppo e prefigurando un illuministico processo di avanzamento inarrestabile del sapere e del potere umano.

Ecco perché penso che quel nuovo soggetto politico – che l’amico D’Acunto ed io auspichiamo – sarebbe meglio definito dall’aggettivo ‘eco-sociale’ piuttosto che da ‘eco-progressista’. Questa definizione, inoltre, richiamerebbe alla mente un ben preciso pensiero teorico, legato al concetto di ‘ecologia sociale’ ed alle riflessioni e proposte avanzate da autori come Barry Commoner, Murray Boockchin, Wolfgang Sacht, Serge Latouche, Arturo Escobar e Michael Löwi. [2]

I principi fondamentali di questo approccio così sintetizzabili: (a) interdipendenza ed unità nella diversità; (b) decentramento e democrazia diretta; (c) centralità dell’idea di cittadinanza attiva e responsabile: (d) visione liberatrice della tecnologia; (e) impostazione sociale del lavoro; (f) visione filosofica improntata ad un ‘naturalismo dialettico’ e fondata su un’etica ecologica.

2. Un’alternativa ecosocialista  al neo-liberismo antiecologico

L’analisi di D’Acunto prende le mosse dall’indubbio successo elettorale di Renzi e del ‘Renzismo’, mettendone però  in discussione l’effettiva rappresentanza della maggioranza degli Italiani. Anche se il PD targato Renzi ha ricevuto il 40% dei voti – si argomenta –  in termini puramente matematici il suo peso elettorale effettivo non supera un reale 20% dei consensi, visto che il restante 80% ha fatto altre scelte o non ha votato per nulla. A voler considerare il peso specifico in termini politici dell’attuale governo di coalizione, aggiunge D’Acunto, si arriva alla rappresentanza massima di 3 Italiani su 10,  4 se si considera anche l’appoggio di Berlusconi alle riforme istituzionali. E’ per questo motivo che non andrebbe enfatizzato il ‘successo’ di quello che, innegabilmente, resta il partito di maggioranza, per evitare che una visione trionfalistica legittimi il PD ed il suo rampante lìder maximo come il soggetto egemone ed assoluto protagonista della politica italiana.

E’ di per sé preoccupante che la ‘sinistra’ vinca nel nostro Paese solo se fa suoi una visione ed un linguaggio neo-liberali, ad esempio cavalcando gli sconti sulle tasse ed il tema del rilancio dei consumi. Se ci aggiungiamo, come sottolinea D’Acunto, che nella visione renziana manca non solo una prospettiva ecologica, ma anche una minima attenzione alle questioni ambientali, c’è da essere ancor più preoccupati. Non si cerca nemmeno più di mascherare il progressismo consumista con l’aggiunta prudenziale del concetto un po’ vago di ‘sostenibilità’, ma ci si lascia andare ad un ottimismo fuori luogo, trascurando le problematiche legate ad un modello di sviluppo distorto, energivoro, distruttore dell’ambiente, indifferente alla salute delle comunità e dei lavoratori.

Ancor più grave, pertanto, risulta la mancanza in Italia d’un soggetto politico che riesca a coagulare ed organizzare le tante battaglie combattute ogni giorno per difendere i diritti sociali, i beni comuni e l’integrità dell’ambiente naturale. Non parlo ovviamente d’una lista messa insieme all’ultimo momento né della una stanca riproposizione della pur fondamentale esperienza del movimento verde. Mi riferisco ad una realtà politica che sappia davvero coniugare la necessaria critica ad un modello di sviluppo dato per scontato ed imprescindibile con un serio programma costruttivo, capace quindi di proporre un’alternativa ecosocialista, ispirata ai principi prima elencati.

D’Acunto cita nel suo articolo un grande pensatore ecopacifista come Kenneth Boulding, il quale già nel lontano 1966 affermava che per credere in un’infinita ‘crescita esponenziale’ bisogna essere dei pazzi o degli economisti…[3]  Vorrei aggiungere allora che una visione alternativa a quella sostanzialmente liberale dell’attuale PD dovrebbe avvalersi anche del contributo della teoria e prassi della nonviolenza attiva e del pacifismo antimilitarista, come da tempo vado ripetendo. [4]

« Ma qui c’è anche l’assoluta necessità…..di un progetto politico  radicalmente alternativo al renzismo. Un progetto che, proprio perché parte dall’Ecologia e dalle sue leggi, affronta la crisi di oggi nelle cause di fondo che l’hanno generata, ricreando le condizioni per il benessere dell’Umanità nella sua globalità e del Pianeta, nell’infinita sua Biodiversità e Bellezza. Un progetto che parte dalla ricerca costante di  scelte e tecnologie per soddisfare i bisogni di oggi, che non solo non sottraggono valori al futuro, ma generano al contrario potenziali arricchimenti; cioè una Civiltà del Sole e della Biodiversità, costruita sull’Amore ed il Rispetto per il Pianeta,  per la sua Bellezza, e per le sue forme di Vita…» [5]

3. Teoria e prassi dell’Ecosocialismo in Europa e nel mondo

Una simile coalizione della sinistra ecologista non sarebbe affatto un caso isolato a livello internazionale, dal momento che esistono da parecchi anni molti esempi di partiti che – ad esempio in Europa – già si definiscono ecosocialisti. E’ il caso degli Alternatifs francesi, della Izquierda Unida in Spagna (con Esquerra unida i Alternativa in Catalogna), di Os Verdes in Portogallo, dell’Alleanza della Sinistra Verde nei paesi scandinavi, della Linke in Germania e, soprattutto, di Syriza  in Grecia[6], che ha raccolto oltre il 26% dei voti alle Europee.

Buona parte di essi hanno aderito al Congresso della Sinistra Europea, tenuto a Madrid il 14 dicembre 2013, sottoscrivendo una mozione sull’ecosocialismo [7], che faceva seguito ad un manifesto comune, approvato nel febbraio del 2013, intitolato “18 tesi sull’ecosocialismo” [8] , oltre che alla fondamentale Dichiarazione Ecosocialista di Belèm, datata 2007 [9].

Nella mozione comune, fra l’altro, troviamo scritto:

«Questa mancanza di considerazione sia per la biosfera sia per le condizioni di vita umane s’incarna nelle soluzioni capitaliste alla crisi, che favoriscono la ‘crescita verde’ ed il ritorno all’estrazione di forme convenzionali e non convenzionali di combustibili fossili […]così come i grandi progetti multinazionali nocivi nell’ambito delle energie rinnovabili – eolico, solare e biomasse – che degradano i paesaggi, le terre agricole e le foreste […]L’ecosocialismo, ossia la trasformazione sociale ed ecologica, si trova alla congiunzione dell’ecologia anti-capitalista con i movimenti di sinistra antiproduttivisti […] è una nuova sintesi per fronteggiare la doppia sfida delle crisi sociale ed ambientale- che hanno le stesse radici […]Esso implica il ricorso a radicalità concrete ed a misure che noi chiamiamo ‘pianificazione ecologica’, basata sulla redistribuzione delle ricchezze esistenti ed un sistema di produzione radicalmente differente, che tenga conto dei limiti ambientali, che si basi sul rigetto di ogni forma di dominazione ed oppressione, così come sulla sovranità popolare…» [10]

Le ‘18 Tesi per l’Ecosocialismo’ [11] esplicitano i punti fermi di tale approccio, chiarendo che esso è:

ü      un’alternativa concreta e radicale, «…per fondare una nuova economia dei bisogni e della sobrietà, preservare il clima, l’ecosistema e la biodiversità»;

ü      una nuova sintesi politica a sinistra, tra «un’ecologia necessariamente anticapitalista ed un socialismo che si è sbarazzato delle logiche produttiviste […]tenendo conto dei bisogni umani e dei limiti del pianeta»;

ü      un rinnovamento del socialismo, che «…ci obbliga a pensare in modo nuovo ciò che è veramente progresso umano, nella prospettiva della preservazione dell’ecosistema»;

ü      un modello alternativo di produzione, con una profonda revisione di quello attuale sulla base «…di quelle che chiamiamo le 4 R: rilocalizzazione dell’attività, reindustrializzazione ecologica, riconversione dell’industria e redistribuzione del lavoro […]nella ricerca di filiere ‘verdi’, al fine di ridurre la nostra dipendenza dalle risorse esauribili (eco-costruzione, efficacia energetica, ristrutturazione termica, energie rinnovabili…)» ;

ü      una rivoluzione che nasce da questa profonda riconversione, per cui «…le lotte debbono convergere» e occorre «lottare e resistere per inventare», visto che c’è bisogno che i cittadini si sentano direttamente coinvolti nella sperimentazione di alternative concrete e sappiano essere attivi anche nella «disobbedienza civile nonviolenta»;

ü      un’applicazione della pianificazione ecologica, che «…dà la possibilità di organizzare la deviazione verso in altro modello di sviluppo, interrogando i nostri bisogni e riorientando produzione, scambio e consumo, in virtù della loro utilità sociale ed ecologica»;

ü      una rivoluzione internazionalista ed universalista, perché le decisioni sono ormai su scala planetaria ed altrettanto globale deve essere quindi la risposta ad ogni forma di sfruttamento del Pianeta e dei popoli. «Il progetto eco socialista deve poter essere portato avanti da un forum mondiale, che ne faccia il fine della rivoluzione cittadina del nostro tempo».

D’Acunto sostiene che un simile movimento dovrebbe basarsi «…su contenuti fondamentali del modello di sviluppo: l’energia eternamente rinnovabile del Sole, il valore infinito ed insostituibile della Biodiversità, l’acqua fondamentale bene comune, la tutela della materia contro inceneritori e discariche, la salvaguardia  del territorio,  del paesaggio, del percorso del cammino dell’uomo espresso dai beni archeologici storici e culturali, la pace e la solidarietà, la democrazia e la partecipazione e, unificante del tutto, la centralità del valore del lavoro per tutti come crescita dell’Umanità e  creazione di benessere reale collettivo, nei suoi bisogni fondamentali materiali ed immateriali.» [12]

Mi sembra un’ottima sintesi di ciò che dovrebbe far parte del programma di questo nuovo soggetto politico eco socialista, che trovo peraltro perfettamente in linea con le enunciazione appena citate del Manifesto di questo movimento, diffuso non solo in Europa ma anche in America Latina.

4. Che fare, qui ed ora?

Quando si enunciano delle prospettive politiche così impegnative la prima domanda che sorge spontanea è: ma noi, in prima persona, che cosa possiamo fare perché si realizzi quanto abbiamo ipotizzato?   D’Acunto ha già dato una prima ed importante risposta a tale quesito:

« Occorre profondere  passione ed impegno, se si vuole che gli ideali, i valori, i  contenuti di merito che tanti di noi abbiamo portato e continuiamo a portare non restino nei limiti di molto importanti vittorie di opposizione, ma sul piano generale mere, astratte  enunciazioni. Per me,  naturalmente,  pensare a un nuovo soggetto politico, non significa assolutamente pensare a ridurre il valore e la portata della immensa moltitudine dei soggetti collettivi associativi e di movimento, di cui tanti di noi facciamo parte né ad una captazione strumentale di essi. Al contrario, significa pensare a ricreare e rafforzare condizioni… perché esse abbiano un ruolo decisivo nelle scelte.» [13]

Non bisogna necessariamente pensare ad un nuovo partito politico, aggiunge, ma bisogna assolutamente evitare le aggregazioni elettorali dell’ultima ora, talvolta strumentalizzando il bisogno di cambiamento per riproporre personalità ed esperienze superate. Le ultime elezioni europee, in tal senso, hanno purtroppo dimostrato che la sinistra dei partiti non ha compreso ancora la dura lezione delle precedenti consultazioni elettorali. I movimenti e la c.d. ‘società civile’ non sono solo ingredienti innovativo e più stimolanti da aggiungere ad un piatto riscaldato, solo per renderlo più appetibile. C’è bisogno piuttosto di organizzare, in modo serio ed efficace,  l’opposizione ad un modello di sviluppo che sta impoverendo sempre più persone e distruggendo sempre più la biodiversità naturale.  Il rinnovamento – per certi aspetti la rivoluzione – dell’ecosocialismo non può essere ridotta a mere alleanze tattiche tra forze politiche o a programmi elettorali sempre più vaghi. Occorre creatività, buona volontà, disponibilità a rompere vecchi schemi, ma anche capacità di rendere tale alternativa praticabile e, prima ancora, diffusa e consapevole.

«Come costruire questa organizzazione, che significa anche schemi, burocrazia e regole senza nulla togliere alla grande  ricchezza della moltitudine degli affluenti, necessariamente di gran lunga oltre le forze politiche che possono aiutarne la nascita,  è urgente ricerca non solo teorica e politica, ma soprattutto sperimentale.»[14]

Concordo totalmente con D’Acunto su questa prospettiva di dialogo costruttivo tra i vari movimenti e tra questi e le forze politiche preesistenti, perché si giunga ad una vera coalizione, nel rispetto della specificità delle singole proposte ma nella ricerca di un comune denominatore. Esso non può essere che una svolta radicale nel modello di produzione e di consumo, che parta da una pianificazione ecologica per scrivere le nuove regole di una società più equa e rispettosa degli ecosistemi di cui noi uomini facciamo parte. Redistribuire la ricchezza e fare pace con la natura è un obiettivo troppo alto perché lo si possa ridurre solo a formule elettoralistiche. Occorre far crescere la coscienza di tutti sull’insostenibilità ecologica di questo sviluppo, ma anche costruire le basi – teoriche e pratiche – per un’alternativa ecosocialista ed ecopacifista. Bisogna pensare ed agire – quì ed ora – affinchè, per citare un teorico dell’ecosocialismo come Michael Löwi:

«Lotta alla mercatizzazione del mondo e difesa dell’ambiente, resistenza alla dittatura delle multi nazioni e lotta per l’ecologia siano intimamente legati nella riflessione e la pratica del movimento mondiale contro la mondializzazione capitalista-liberale.»[15]

© 2014 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com)

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[1]Antonio D’Acunto, Necessità e urgenza di un egemonico nuovo soggetto politico eco-progressista, fondato sul primato dell’ecologia, Giugno 2014 > http://www.terraacquaariafuoco.it/index.php/component/content/article/2-non-categorizzato/90-la-necessita-e-l-urgenza-di-un-egemonico-nuovo-soggetto-politico-eco-progressista-fondato-sul-primato-della-ecologia )

[2] Cfr. su Wikipedia le voci > http://it.wikipedia.org/wiki/Ecosocialismo , http://en.wikipedia.org/wiki/Eco-socialism , http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cosocialisme , http://en.wikipedia.org/wiki/Social_ecology , http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cologie_sociale , http://socialecologylondon.wordpress.com/

[3] Vedi anche: K. Boulding, Towards a New Economics: Critical Essay on Ecology, Distribution and Other Themes, Edward Elgard, 1992

[4] Cfr. alcuni miei articoli sull’argomento > https://ermeteferraro.wordpress.com/2011/12/13/ecopacifismo-visione-e-missione/ ; https://ermeteferraro.wordpress.com/2014/03/16/riscatto-mediterraneo/ ; http://issuu.com/ermeteferraro/docs/manuale_ecopacifismo_vas_2_83d43f9735930d ; https://ermeteferraro.wordpress.com/2014/05/31/ctraltcanc-esercitare-il-controllo-creare-alternative-cancellare-la-guerra/

[5] Antonio D’Acunto, art. cit.

[6] Cfr. un mio articolo del giugno 2012 > https://ermeteferraro.wordpress.com/2012/06/25/le-lezione-di-syriza/

[7] http://ecosocialisme.com/2013/12/17/motion-proposee-par-le-parti-de-gauche-fr-alliance-rouge-verte-dk-syriza-gr-bloco-port-die-linke-all-sur-les-questions-ecologiques/

[8] http://ecosocialisme.com/2013/02/07/premier-manifeste-des-assises-18-theses-pour-lecosocialisme/

[9] http://ecosocialistnetwork.org/Wordpress/wp-content/uploads/2012/03/Declaration-Belem-it.pdf

[10] Vedi testo cit. alla nota 6 (traduz. mia)

[11] Sintetizzo di seguito il testo cit. alla nota 9 (traduz. mia dei passi virgolettati)

[12] D’Acunto, op.cit.

[13] D’Acunto, op. cit.

[14] Ibidem

[15] Michael Löwi, Qu’est-ce que l’écosocialisme?> http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article656