Perché non possiamo non dirci Greci (Γιατί δεν μπορούμε να πούμε ότι δεν είμαστε Έλληνες)

 

  1. Prologo / πρόλογος

Per uno come me chIMAGE090e si chiama Ermete è fin troppo facile avvertire il fascino della grecità quasi come una componente genetica. Se poi ha studiato greco antico al liceo classico, è rimasto affascinato dalla filosofia e dall’arte ellenica e, per di più, vive da qualche decennio in una città che si chiama Neapolis, questa eredità culturale è ancor più forte e radicata.

D’altra parte non credo che si tratti solo di una questione personale. Ritengo che quella di sentirsi un po’ Greci è una netta sensazione che molte persone hanno avvertito in questi giorni: non soltanto gli abitatori dell’ex Magna Grecia che si sentono ancora figli di quella grande cultura, ma anche tanti altri che si ritrovano accomunati al dramma del popolo che ha inventato la democrazia. ma ne è stato troppo a lungo espropriato.

Adesso, all’indomani del clamoroso NO che i Greci hanno opposto agli arroganti diktat dei potentati finanziari e politici europei, pochi sembrerebbero ancora disposti a farsene paladini, pur avendole a lungo avallati come indispensabili correttivi. E’ fin troppo evidente ormai che, al di là delle consuete mistificazioni, le ricette economiche ‘sangue, fatica, lacrime e sudore’ [1], non soltanto non hanno fatto uscire dalla crisi gli stati che vi erano sprofondati, ma hanno ulteriormente ribadito il profondo divario tra paesi del nord e sud Europa, accrescendo il livello di sudditanza dei secondi nei confronti dei primi.

Ora che il popolo greco si è pronunciato, con invidiabile coraggio e dimostrando quella speranza cui Syriza ed il suo leader Tsipras hanno costantemente fatto appello[2], è di fatto impossibile che le cose possano restare inalterate e che la solita Europa ’carolingia’ continui ad imporre le sue ferree regole a tutti, in nome di un preteso interesse comune, che si è ormai dissolto come neve al sole.

Quelli che, come gli Italiani del Sud, hanno dovuto subire per un secolo e mezzo l’umiliante egemonia di chi li ha di fatto colonizzati con la scusa dell’Unità Nazionale, sanno molto bene come ci si sente ad essere considerati le ‘pecore nere’, il ‘peso’ da subire, il ‘freno’ allo sviluppo, la ‘palla al piede’ e tutte le altre simpatiche espressioni che in questi centocinquanta anni sono state usate per stigmatizzare i fannulloni meridionali. Già allora la cronaca e la storia di come si è esercitata quell’egemonia furono pesantemente forzate agli interessi dei dominatori, proprio come in questi mesi la propaganda catastrofista dei media ha fatto nei confronti della Grecia, pur di avallare la tesi di un paese allo sbando, che sa solo pretendere e nulla vuol concedere al necessario rigore.

Ma il travolgente responso referendario in Grecia non è stato affatto come i vecchi ‘plebisciti’ che sancirono l’annessione degli altri stati italiani al Regno d’Italia – fra cui quello tenuto nel Regno delle due Sicilie nel 1860 – ed ha impresso invece un profondo scossone allo pseudo-equilibrio dello status quo, basato sulla progressiva cessione di sovranità nazionale e di autonomia politica, senza reale parità di diritti e senza quella solidarietà che è frutto d’un autentico spirito federalista.

Le reazioni allarmate dei mercati finanziari di fronte al pronunciamento democratico del popolo ellenico non stupiscono affatto. Molto più gravi sono invece quelle degli stati che pretenderebbero di guidare l’Unione Europea ma sanno solo badare ai loro interessi nazionali, e soprattutto quelle di superpotenze come USA, Federazione Russa e Repubblica Popolare Cinese, che in tali scosse sismiche nel Sud-Europa intravedono solo una minaccia (o viceversa un’opportunità) per il loro imperialismo, nutrito dai rispettivi complessi militari-industriali.

La sottoscrizione di trattati iniqui e vessatori da parte di chi pretende di rappresentarci e di parlare in nostro nome è stata la pietra miliare di una strada che, come quelle consolari romane, conducevano solo dalla periferia al centro del potere. Ora il referendum greco ha segnato una tappa fondamentale di una nuova strada, che serve comunque per connettere persone e cose e per mantenere aperti i canali di comunicazione, ma apre nuove prospettive per uscire da un circolo vizioso, che alimenta la dipendenza anziché la cooperazione.

  1. L’anomia greca / Η ελληνική ανομία

Ovviamente il NO al ‘greferendum’ non risolve affatto tutti i problemi, a cominciare da quelli economici che stanno strangolando quel Paese, ma non bisogna dimenticare le ripercussioni squisitamente politiche di quel voto referendario. Chi ha straparlato di caos, evocando scenari allarmanti, voleva solo esorcizzare un’alternativa ben precisa che si sta profilando non solo per i Greci, ma anche per gli Italiani, gli Spagnoli, i Portoghesi e tutti quegli altri stati che l’amara ricetta dei soloni dell’UE ha sottoposto ad un’insostenibile austerità, senza garantire un vero sviluppo ed allargando sempre più la forbice tra ricchi e poveri.

images (2)In questi giorni politici e media hanno fatto a gara nello scomodare varie categorie culturali per sostenere le tesi del rigorismo teutonico. Si è passati da quella religiosa della contrapposizione weberiana tra ‘etica protestante’ e solidarietà cattolica a quella antropologica tra paesi nordici, alimentati a senso del dovere e spirito collettivo, e quelli meridionali, nutriti per secoli dall’edonismo e dall’ individualismo, quasi evocando la classica antinomìa nietzschiana tra lo spirito apollineo e quello dionisiaco [3]. Mancava solo la citazione dell’ironica dicotomia tra quelli che tendono all’amore e quelli che seguono la libertà, teorizzata dal napoletano professor Bellavista di Luciano De Crescenzo [4] ed avremmo completato la serie delle razionalizzazioni di meschine scelte politiche con profonde argomentazioni culturali.

La verità è molto più semplice: l’unione europea che è stata realizzata – e di cui noi Italiani ci troviamo a far parte – non ha niente a che vedere col sogno europeista dei padri fondatori e con quanto auspicavano nel 1941 Spinelli e Rossi nel loro Manifesto di Ventotene per un’Europa libera e unita [5]. Non possiamo fare a meno di constatare, infatti, che ciò che abbiamo sotto gli occhi è ben altro. Basta leggere i giornali e seguire le dichiarazioni dei leader europei per accorgersi che non è affatto vero che “…la linea di divisione fra i partiti progressisti e partiti reazionari cade […] lungo la sostanziale nuovissima linea che separa coloro che concepiscono, come campo centrale della lotta quello antico, cioè la conquista e le forme del potere politico nazionale, e che faranno, sia pure involontariamente il gioco delle forze reazionarie, lasciando che la lava incandescente delle passioni popolari torni a solidificarsi nel vecchio stampo e che risorgano le vecchie assurdità, e quelli che vedranno come compito centrale la creazione di un solido stato internazionale, che indirizzeranno verso questo scopo le forze popolari e, anche conquistato il potere nazionale, lo adopereranno in primissima linea come strumento per realizzare l’unità internazionale”.[6]

Ciò che ha provocato l’eruzione della ‘lava incandescente delle passioni popolari’ non è stata infatti la volontà di dar effettivamente vita ad un ‘solido stato internazionale’, ma piuttosto il particolarismo nazionale di chi ha usato l’unità europea per consolidare la propria egemonia economico-politica a danno degli stati più periferici, senza peraltro liberarla né dalla dipendenza militare nei confronti degli USA, né da quella verso le potenti multinazionali che controllano saldamente la globalizzazione dell’economia capitalista.

Ecco perché – mutuando un’altra famosa frase [7] – ribadisco che non possiamo non dirci Greci, e non perché condividiamo acriticamente il percorso politico che Syriza ha finora realizzato né perché ce l’abbiamo visceralmente con i Tedeschi e con la loro cancelliera di ferro. Oggi più che mai ci sentiamo solidali coi Greci perché la loro vicenda ci ricorda la nostra comune storia di sud-europei, chiamati continuamente a dimostrare di essere interlocutori affidabili e seri e non stravaganti pulcinella scansafatiche e mangiatori a sbafo.

Ci sentiamo anche noi Greci perché da 2600 anni l’esopiana favola della cicala e della formica ci ricorda che non c’è da aspettarsi alcuna solidarietà da chi pensa solo ad accumulare capitali e non li vuole condividere con nessuno. Ci sentiamo Greci perché non è possibile che chi ha inventato la  democrazia ed ha ispirato lo stesso nome dell’Europa debba essere trattato come un ragazzino discolo, che non ha fatto i compiti a casa per andarsi a divertire nel paese dei balocchi.

L’ultimo decennio ha visto la popolazione greca sempre più compressa tra l’incudine del malgoverno ed il martello delle arroganti imposizioni dell’UE, con l’evidente risultato d’un mancato sviluppo economico e sociale. Dopo il 2009 la Repubblica Ellenica è stata sottoposta ad una massiccia cura liberista, che pur senza alleggerire molto l’impianto statalista, le ingiustizie e le storture costituzionali di quel Paese, ha finito invece col comprimere i ceti medi, alimentando disoccupazione e precarietà economica.

Stando così le cose, francamente non si capisce da quale paese del balocchi sarebbe stato irretito Pinocchio/Grecia, distogliendolo dai suoi doveri scolastici, mentre invece si capisce benissimo come le imposizioni della leadership europea abbiano alimentato sia pericolose reazioni d’impronta nazionalista, sia tentazioni populiste e radicalismi di sinistra.

  1. La scelta alternativa / Η εναλλακτική επιλογή

E’ peraltro vero che non bastano i proclami e le buone intenzioni per uscire dal tunnel di una crisi così grave ed è innegabile che lo stesso governo Tsipras abbia dovuto adattarsi a discutibili compromessi politici, ad esempio quello paradossale con un partito nazionalista e militarista come ANEL [8], cui è stato affidato improvvidamente proprio il Dicastero della Difesa Nazionale [9] .

images (5)Mi sembra altrettanto innegabile che dei 40 punti che sintetizzano il programma politico di Syriza [10] davvero poco è stato attuato, pur tenendo conto che il tempo trascorso dall’insediamento del governo Tsipras è relativamente breve e che molti problemi affondano le loro radici in una Costituzione (Sýntagma) scritta nel 1975 ed assai poco democratica. Sta di fatto che il ricatto della c.d.Troika ha pesato molto sulle scelte politiche, paralizzando di fatto quella potenziale alternativa alle pseudo-riforme che i potenti volevano imporre alla Grecia.

Vorrei ricordare almeno alcune di quelle scelte qualificanti, comprese nei citati 40 punti del Programma elettorale, che avrebbero dovuto segnare una vera svolta autenticamente socialista ed eco-pacifista, come auspicavo già nel 2012 in un mio articolo.[11]

  1. Aumento delle imposte sulle società per le grandi imprese, almeno fino alla media europea.
  2. Abolire i privilegi fiscali di cui beneficiano la Chiesa e gli armatori navali.
  3. Tagliare drasticamente la spesa militare.
  4. Scommettere sulle energie rinnovabili e la tutela ambientale.
  5. Riformare la costituzione per garantire la separazione tra Chiesa e Stato e la protezione del diritto alla istruzione, alla sanità e all’ambiente.
  6. Regolare il diritto all’obiezione di coscienza nel servizio di leva.
  7. Ritiro delle truppe greche dall’Afghanistan e dai Balcani: nessun soldato fuori dalle frontiere della Grecia.
  8. Abolire gli accordi di cooperazione militare con Israele. Appoggiare la creazione di uno Stato palestinese nelle frontiere del 1967.
  9. Negoziare un accordo stabile con la Turchia.
  10. Chiudere tutte le basi straniere in Grecia e uscire dalla Nato. 

4 – Pace, ecologia ed autonomia energetica / Ειρήνη, οικολογία και ενεργειακή αυτονομία

imagesPurtroppo, però, nessuno di questi punti ha trovato attuazione e ciò è vero soprattutto in ambito militare. E’ triste per un pacifista come me dover constare che: “la Grecia è un paese fortemente militarizzato e investe una quantità enorme del suo bilancio per la difesa in proporzione alla sua popolazione e al suo peso geopolitico” [12]. Con un incredibile rapporto di 1 soldato ogni 100 abitanti; con un bilancio della difesa che si avvicina al 4% del PIL (inferiore solo a quello degli USA…) e col poco invidiabile primato di quinto più grande importatore di armi al mondo, la Grecia, con meno di 10 milioni di abitanti (un quarto dei quali disoccupati) – nonostante la recente riduzione della spesa militare – resta comunque uno dei paesi più militarizzati al mondo, dove l’obiezione di coscienza è ancora reato ed in cui ogni ipotesi di nuovi tagli al bilancio della difesa è stata sdegnosamente e recisamente respinta.[13]

Un discorso simile, da ecologista, mi sento di fare anche in riferimento alle auspicate riforme in materia energetica ed in ambito più largamente ambientale. Se la Grecia (paradossalmente insieme alla Germania…) è stata sanzionata a causa dell’infrazione alla Direttiva europea 2014 sull’efficienza energetica, non c’è davvero da stare allegri.[14]

“Scommettere sulle energie rinnovabili” è rimasto quindi uno dei punti inattuati del programma elettorale di Syriza, considerato che il ministro dell’ambiente ellenico Lafazanis – anziché adoperarsi per dare al suo Paese un futuro ‘solare’, sembra molto più interessato a sostenere la realizzazione di una condotta per il gas naturale che raggiungerà il confine con la Turchia, portando in Grecia le forniture della Russia: il progetto di un Flusso greco (Greek Stream)…” [15]

Nessuno sa ancora come andranno le cose dopo lo storico pronunciamento del popolo greco, però sappiamo benissimo come reagiranno i vertici della sedicente Unione Europea, abituati per troppo tempo a sentirsi dire sempre di sì. Quel che è certo è che non dobbiamo assolutamente lasciare da sola la Grecia, poiché molto dipende da come gli altri paesi dell’area sud dell’Europa sapranno dimostrarsi coesi e davvero intenzionati a voltare pagina.

Noi Italiani per primi dovremmo superare le ambiguità politichesi della linea portata avanti dal nostro Presidente del Consiglio e, prima di lui, da tutti i precedenti governi, preoccupati solo di ribadire il nostro ruolo subalterno e di spacciare come riforme provvedimenti iniqui da cui non può scaturire né la pretesa crescita né, tanto meno, un autentico sviluppo.

Ecco perché, ora più che mai, dobbiamo sostenere la Grecia nella sua scommessa di autonomia dalle regole ferree della Troika. Dovremmo soprattutto appoggiarla nella sua ricerca di un’alternativa a quel paradigma economico che discende da un pensiero unico che la globalizzazione ha reso sempre più forte.

Non possiamo non sentirci anche noi Greci anche perché non dobbiamo mai dimenticare che verso quell’antico e nobile Paese del Mediterraneo noi siamo sì creditori, ma anche e soprattutto debitori di una tradizione filosofica, artistica, scientifica, politica e più latamente culturale che è entrata nel nostro DNA e che contraddistingue la nostra civiltà. [16]

NOTE ——————————————————————————————

[1] Si tratta di una frase più volte citata, tratta dal famoso discorso di W. Churchill alla Camera dei Comuni del 13 maggio 1940 (cfr. http://www.winstonchurchill.org/resources/speeches/1940-the-finest-hour/blood-toil-tears-and-sweat)

[2]  Il motto di Syriza  per le elezioni politiche del 2012 era “Ανοιγουμε δρομο στην ελπιδα”, che significa: “Apriamo la strada alla speranza” e ricordo anche le prime dichiarazioni dopo il voto greco di gennaio 2015 (http://ilmanifesto.info/tsipras-ha-vinto-la-speranza/  )

[3] Friedrich Nietzsche (1872), La nascita della tragedia dallo spirito della musica – cfr. ( http://www.treccani.it/enciclopedia/nascita-della-tragedia-la_(Dizionario_di_filosofia )

[4] Luciano De Crescenzo (1980)  Così parlò Bellavista – Napoli, amore e libertà, I edizione collana Oscar Mondadori, Arnoldo Mondadori Editore

[5] Cfr. il testo completo in: http://www.italialibri.net/contributi/0407-1.html

[6] Cit. in: https://it.wikipedia.org/wiki/Manifesto_di_Ventotene

[7] Cfr. Benedetto Croce (1942),  Perché non possiamo non dirci cristiani, in La mia filosofia http://www.storiadellafilosofia.net/moderna/benedetto-croce/perch%C3%A9-non-possiamo-non-dirci-cristiani/

[8] Vedi su: https://en.wikipedia.org/wiki/Independent_Greeks

[9] http://www.mod.mil.gr/mod/en/ – Consulta anche:  http://books.sipri.org/files/FS/SIPRIFS1504.pdf

[10] http://web.rifondazione.it/home/index.php/12-home-page/7794-programma-di-syriza – Vedi anche: http://www.syriza.gr/page/thematikes-enothtes.html

[11] Ermete Ferraro (2012), La lezione di Syriza, https://ermeteferraro.wordpress.com/2012/06/25/le-lezione-di-syriza/ 

[12] Carlos del Castillo, Il debito militare con Francia  Germania affoga la Grecia , http://www.communianet.org/rivolta-globale/il-debito-militare-con-francia-e-germania-affoga-la-grecia

[13] « I would like to thank the Prime Minister who ensured us that any suggestions made by our partners and creditors will not include reductions in the Armed Forces… Comunicato stampa del Ministero della Difesa Nazionale del 2.7.2015  http://www.mod.mil.gr/mod/en/content/show/36/A82792

[14] Fonte: http://www.rivistaeuropae.eu/interno/energia-infrastrutture/efficienza-energetica-grecia-e-germania-insieme-sotto-accusa/

[15] Fonti: http://www.notizieinunclick.it/grecia-punta-a-diventare-snodo-energetico/  e http://it.ibtimes.com/la-grecia-potrebbe-diventare-lago-della-bilancia-energetica-delleuropa-1402307

[16] Ad esempio, solo in questo testo sono calcolabili un centinaio di vocaboli che abbiamo ereditato dal lessico ellenico.

© 2015 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com)

KRISIS: E’ TEMPO DI SCEGLIERE

CRISISNon ho sottoscritto l’appello “Campania e crisi. Per un nuovo protagonismo dei popoli del mediterraneo” [i] , lanciato dal nascente movimento che ha deciso di denominarsi “Maggio” –  né sono riuscito a partecipare alla sua prima assemblea napoletana.

Fra i suoi firmatari ritrovo più di una decina di amici e compagni, ma temo che ciò non sia sufficiente a farmi aderire a questo appello dal nome così suggestivo, ma che mi sembra ancora molto esile, in quanto frutto di una certa alchimia fra più ‘anime’ politiche, che hanno in comune l’avversario più che un vero progetto.

Non vorrei però essere ingeneroso con chi si sta sforzando di riprendere il filo del discorso interrotto alle scorse elezioni europee, dovendo peraltro tener conto della frammentazione del quadro politico della sinistra c.d. ‘antagonista’ e delle caratteristiche  ben diverse di una consultazione elettorale regionale. Ecco perché ho provato a rileggere più volte il documento, evidenziandone alcuni passi salienti e certe parole d’ordine con colori differenti.

Il risultato è un testo in cui prevale ovviamente il rosso dell’opposizione alle politiche neoliberiste  contro i lavoratori, con alcune pennellate di azzurro (il colore che ho simbolicamente attribuito alla componente neo-meridionalista della coalizione) e di arancione (questione ‘beni comuni’ ed aziende pubbliche). Il colore verde dell’ecologia, per continuare nella metafora, compare invece solo in due passi dell’appello, quando si parla degli interessi camorristici su smaltimento di rifiuti tossici e gestione delle bonifiche e, poco più avanti, quando si fa cenno alle politiche regionali favorevoli all’incenerimento dei RSU.

Non che mi aspettassi un quadro più policromo, ma non posso accontentarmi di una pura e semplice giustapposizione di coloriture politiche, in cui l’ambientalismo (io preferisco chiamarlo ecologia sociale) è ancora una volta ridotto a componente aggiuntiva e poco significativa di questa ‘alternativa’. Non si tratta neppure di spazio ed importanza di certi temi che ovviamente mi stanno a cuore. Il fatto è che tra i quattro colori citati non c’è alcuna reale armonizzazione né tanto meno una effettiva fusione. Altrettanto generico, poi, risulta il riferimento al protagonismo dei popoli del Mediterraneo, sebbene tale obiettivo sia inserito nel titolo stesso dell’appello.

Certo, anche un importante riferimento politico come SYRIZA [ii] dopo oltre 10 anni – rimane sostanzialmente ciò che dichiara di essere (Synaspismòs vuol dire infatti ‘coalizione’). Ancora una volta la scienza etimologica ci viene incontro per chiarirci che ‘coalizione’ non significa solo mettersi insieme contro qualcosa e/o qualcuno, bensì ‘crescere insieme’ (dal lat. co-alesco). Temo però che quest’ultimo decennio – nonostante le pesanti lezioni subite… – non abbia insegnato molto alla c.d. sinistra antagonista. Direi che la tendenza prevalente resta purtroppo quella di perseguire obiettivi di piccolo cabotaggio, alleanze puramente tattiche, raggruppamenti solo strumentali e, proprio per questo, estremamente deboli e privi di radicamento.

Ma una sinistra che ambisca ad essere radicale – nel senso originario, greco, del termine – dovrebbe invece seminare di più e più in profondità, cercando non solo di costruire alleanze tanto per sopravvivere, bensì di volare alto, di farsi portatrice di una vera alternativa, che non può che essere globale e radicata nel comune sentire della gente.

Ammettiamolo: la pretesa di raccogliere dove non si è seminato (il mondo del volontariato sociale e del terzo settore, i cristiani orientati verso un socialismo evangelico, gli ambientalisti che non si occupano solo di fiori e di uccelli, i gruppi antimilitaristi e pacifisti, i marginali e gli emarginati delle nostre periferie, etc.) risulta oggettivamente poco credibile. E, si badi bene, quando parlo di ‘seminare’ mi riferisco al recupero di una modalità di azione politica di base, ad una ‘grass-roots action’ di cui si sono perse le tracce, e che lascia invece campo libero al populismo di destra e di sinistra. Con la citata espressione d’origine anglosassone, quindi, non mi riferisco alla sopravvivenza di demagogici movimenti di piazza, il cui scopo è blandire il solito sottoproletariato o i migranti con promesse irrealizzabili, ma piuttosto ad una Politica altra e alta, che valorizzi le risorse locali, i momenti di partecipazione dal basso, gli organi di decentramento amministrativo (ora ridotti a vuote scatole da spartirsi).

La stessa idea di ‘crisi’ esclusivamente come contingenza negativa, economicamente e socialmente oltre che politicamente, suona piuttosto banale e priva di slancio in positivo. L’etimologia di questa parola greca (krisis) ci riporta piuttosto ad una situazione in cui occorre valutare, giudicare, scegliere, separando (in gr. krìno) gli aspetti negativi dalle potenzialità buone. La crisi è un’occasione per operare ciò che il lessico cattolico chiamerebbe un opportuno ‘discernimento’, per poi finalmente assumere delle valide decisioni (de-cidere in latino significa appunto: risolvere un conflitto, un contrasto).

La crisi della Campania è un dato oggettivo e fin troppo evidente. Attribuirne le cause alla sola gestione Caldoro ed al centro-destra campano sarebbe sciocco, oltre che poco credibile, per cui dovrebbe emergere dall’appello una ben più netta condanna delle politiche consociative e neoliberiste di PD ed associati, che sono riuscite in breve tempo a fare oggettivamente più danni di quanti ne abbiano fatti Berlusconi & Co. nel suo lungo periodo di egemonia.

Mi va benissimo, inoltre, il recupero della questione meridionale e della bandiera della riscossa del Sud dalla macroscopica truffa perpetrata da un secolo e mezzo ai danni della gente delle regioni meridionali. E’ innegabile che “Il Mezzogiorno vive sulla pelle delle sue popolazioni tale diseguaglianza e le scelte del governo Renzi stanno aumentando il divario con il Nord Italia” e mi sembra quindi sacrosanta la protesta contro questo “federalismo truccato” che ruba ai poveri per dare ai ricchi. Non credo però che la mai risolta questione meridionale possa essere liquidata con un paio di slogan né che sventolare bandiere nostalgiche possa risolvere i problemi di un Sud dove i suoi stessi ‘figli’, politicamente parlando, si sono troppo spesso dimostrati figli di ben altra genitrice…

Insomma: un programma per le regionali non può ridursi al solito, triste e monotono “cahier des doléances”. Fare una semplice sommatoria di guasti e problemi (dalle disuguaglianze al controllo sociale; dalla ‘desertificazione’ industriale ed agricola al malaffare camorristico che ci taglieggia e ci avvelena; dalle privatizzazioni alle politiche di austerità ed ai tagli ai servizi sociali) non produce risultati positivi, ma solo sconforto e desolazione.

D’altra parte, penso che un nuovo modello di sviluppo e di società non può essere caratterizzato solo dal rifiuto del liberismo imperante e della ‘gabbia dei sacrifici’  cui ci costringono le politiche di austerità europee e nazionali.

Allora, a costo di essere tacciato di ‘benaltrismo’ sento di dover dire che, appunto, ci vuole…ben altro. Ci vogliono idee guida, principi solidi, visioni prospettiche di un futuro che non può essere ridotto alla pura e semplice aspirazione a fare meno sacrifici, magari per continuare a perseguire quell’assurda ‘crescita’ che troppo spesso viene contrapposta ad ‘austerità’.

Da ecopacifista antimilitarista, inoltre, in questo appello non ho trovato neppure una riga dedicata all’opprimente militarizzazione e nuclearizzazione del territorio e del mare della Campania, al servizio esclusivo di NATO ed USA, dei cui effetti ben pochi sembrano rendersi conto.

Non ho neppure riscontrato un minimo riferimento a quella che giudico la vera madre di tutte le rivoluzioni, quella energetica, che da anni – insieme col compianto Antonio D’Acunto – come Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità [iii] stiamo perseguendo con creatività e tenacia, per affermare appunto quella che abbiamo chiamato “Civiltà del Sole”. Nell’appello non si accenna neppure all’enorme potenziale – ecologico ma anche economico – di una netta svolta verso il solare e le altre fonti energetiche rinnovabili, né mi sembra di leggervi un sia pur vago cenno alla prima decisione da assumere se si vuole davvero ‘cambiare verso’, quella cioè di gettare a mare il modello attuale di sviluppo – iniquo ed energivoro – per imboccare risolutamente la strada della ‘decrescita felice’, eliminando sprechi e consumismo e recuperando la dimensione comunitaria, solidale e nonviolenta della società. [iv]

Syriza_2007_forestsNon ho incontrato neppure un riferimento chiaro ed esplicito ad uno dei peggiori reati politici che abbiano colpito la Campania, quel ‘biocidio’ in nome del quale pur erano scesi in piazza centinaia di migliaia di cittadini, ma che sembra ormai derubricato ad esclusiva competenza dei giudici antimafia e dei dipartimenti ambientali e sanitari, in vista dell’auspicata bonifica delle terre avvelenate dai rifiuti e dai roghi. Anche quando si parla di questioni ambientali, d’altra parte, la dimensione resta antropocentrica e non si avverte alcun reale interesse per la gravissima perdita di biodiversità (vegetale, animale ed anche culturale) che è invece una delle ricchezze della Campania.

Contrastare il “blocco di potere rappresentato dalla destra di Caldoro e dal PD” oppure opporsi, giustamente, al populismo razzista ed antimeridionalista di Salvini, sono affermazioni ovviamente sottoscrivibili, ma rischiano di restare battaglie di retroguardia, prive di un messaggio realmente alternativo, capace di accendere nei cittadini la speranza in un modo profondamente diverso di gestire la regione d’Italia che è terza per numero di abitanti e prima per densità abitativa. Quella Campania che, viceversa, potrebbe diventare non solo il centro di riscossa di un Meridione capace di recuperare la propria dignità culturale e sociale, ma anche la capitale della‘Civiltà del Sole’, i cui i pilastri sono nella scelta di fonti energetiche pulite diffuse e che non creano dipendenza, nel perseguimento del decentramento energetico, nella salvaguardia e valorizzazione della biodiversità e nella costruzione di un modello di sviluppo e di lavoro a misura d’uomo, ma anche compatibile con i delicati equilibri ecologici.

Concludo questa mia riflessione con le ispirate parole del carissimo Antonio D’Acunto, nella speranza che questo suo messaggio sappia farci uscire dalla banalità della politics e ci apra alla grandezza della Policy.

«Ma qui c’è anche l’assoluta necessità, che è anche la ragione ideale dei valori e  delle aspirazioni,  di un progetto politico  radicalmente alternativo al renzismo. Un progetto che, proprio perché parte dall’Ecologia e dalle sue leggi, affronta la crisi di oggi nelle cause di fondo che l’hanno generata, ricreando le condizioni per il benessere dell’Umanità nella sua globalità e del Pianeta, nell’infinita sua Biodiversità e Bellezza. Un progetto che parte dalla ricerca costante di  scelte e tecnologie per soddisfare i bisogni di oggi, che non solo non sottraggono valori al futuro, ma generano al contrario potenziali arricchimenti, cioè una Civiltà del Sole e della Biodiversità, costruita sull’Amore ed il Rispetto per il Pianeta,  per la sua Bellezza, e per  le sue forme di Vita,  e conseguentemente della sua limitatezza e delle necessità che essa impone; rinnovabilità e rigenerazione per ogni attività umana.» [v]

[i] http://contropiano.org/articoli/item/28497

[ii] http://syriza.net.gr/index.php/en/

[iii] http://www.laciviltadelsole.org

[iv] https://ermeteferraro.wordpress.com/2014/06/08/ecosocialismo-si-grazie/

[v]  Antonio D’Acunto, Un soggetto politico eco-progressista http://www.laciviltadelsole.org/interventi–documenti.html

Ciao, Antonio…

“…le stagioni nel sole finiscono, lo sai,
proprio quanto ti accorgi di amarle più che mai,
ma tu vivile sempre, e vivile per me,
le stagioni nel sole continuano con te.”

Roberto Vecchioni, Le stagioni nel sole 

antonio 4Carissimo Antonio…

Mi era già capitato di scrivere una lettera ad un grande amico da poco scomparso.[1] Quel 13 febbraio di 6 anni fa rivolgevo il mio pensiero a Mario Borrelli, inascoltato profeta di un vangelo al servizio degli ultimi e di un vero lavoro sociale di comunità. Oggi l’interlocutore di queste riflessioni sei tu, che come Mario mi sei stato padre e maestro e che troppo presto ci hai lasciato, per un male che ha fiaccato le tue ossa ma non il tuo vitalissimo entusiasmo e la tua incrollabile fiducia in un cambiamento vero, profondo, “alla luce del Sole” .

A darti l’estremo saluto, domenica 28 dicembre nel Duomo di Napoli, c’erano centinaia di persone che ti hanno voluto bene e che in questi decenni hanno apprezzato le tue eccezionali doti di umanità e la maniera ispirata e profetica con cui sapevi fare Politica con la maiuscola.  Ma se avessero potuto partecipare tutti quelli a cui hai rivolto il tuo sorriso incoraggiante e che hai aiutato a crescere, la stessa Cattedrale non sarebbe stata capace di contenerli, perché l’intera città – ed anche la regione – devono tantissimo al tuo instancabile impegno civico, sociale ed ambientalista.

Certo, come nel caso di Mario Borrelli, è triste constatare che la riconoscenza si esprima quando è troppo tardi, ma tu sei troppo al di sopra di queste cose e, pur sentendo il forte impulso a creare un movimento forte e numeroso, non hai mai valutato i risultati del tuo lavoro dal numero di quelli che ti battevano le mani.  Del resto, lo sai, i veri profeti sono sempre inascoltati e, in fondo, lo si può anche capire, visto che hanno la capacità di vedere talmente lontano da poter a stento essere seguiti e compresi da tutti. Forse non é stato un caso che tra i brani letti durante la celebrazione uno in particolare esaltasse Abramo come simbolo dell’uomo di fede, quello che crede a ciò che gli è stato rivelato, al di là di ogni apparenza e probabilità. In particolare san Paolo, nella Lettera agli Ebrei, celebrava questa straordinaria capacità del patriarca:

«Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. […] Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare…» [2]

Caro Antonio, anche tu sei partito senza sapere dove saresti arrivato, pieno di fede, di speranza e di calorosa empatia per chi hai incontrato lungo la strada. Certo, quelli che hanno seguito il tuo esempio non sono stati numerosi ‘come le stelle del cielo’, ma non si può negare che molte tue intuizioni, col passare del tempo, abbiano dato vita a grandi realizzazioni ed abbiano mobilitato moltissime persone. Sono stati, purtroppo, molti di meno quelli che ti hanno seguito sulla strada del rigore morale in politica e del tuo idealismo con i piedi per terra, ma è pur vero che in tanti hanno comunque abbracciato le tue idee e seguito le tue orme, attratti dal tuo esempio.

Nel suo messaggio, il Sindaco de Magistris ti ha efficacemente tratteggiato con poche parole:

« Un uomo mite, generoso, umile, un passionario, un gran combattente. Un uomo perbene. Un amico.»

Anche Antonio Piedimonte [3], nel titolo del suo articolo per il Corriere del Mezzogiorno,  ti ha definito “guerriero sorridente”. Al di là del linguaggio bellico nel quale troppo spesso si casca in politica – e che a me pacifista non piace –  bisogna ammettere che, se non guerre, quanto meno un sacco di battaglie le hai combattute, con la passione di chi ci crede davvero. Lotte democratiche e non violente, costantemente ispirate dalla tua profonda fede nel cambiamento. Ma non un cambiamento qualunque, come vorrebbero farci credere i politicanti d’oggi. Ciò di cui ti sei fatto promotore nasceva sempre da grande rispetto ed amore per l’umanità e per la natura, dalla cui sterile contrapposizione fosti capace di uscire quando i tuoi compagni di strada ne restavano prigionieri.  Quella stessa fede, che ti ha portato a batterti per una società più giusta solidale ed ecologica, si è manifestata nella tua religiosità  profonda quanto laica – come ha sottolineato padre Alex Zanotelli nel suo intervento – ma, sul piano personale, nella tua incrollabile speranza di riabbracciare finalmente la tua amatissima compagna Ileana. E’ la stessa profonda fede noi, i tuoi amici e compagni di sempre, abbiamo voluto onorare salutandoti per l’ultima volta col canto di“Bella ciao” sul sagrato del Duomo. La voce era incrinata dalla commozione, ma sono certo che quell’insolito coro, che faceva girare stupiti i frettolosi passanti, ti sarà piaciuto…

L’ecologia sociale di un ‘irriducibile ambientalista’

«…Antonio D’Acunto,  uno dei padri dell’ambientalismo in Campania, in un certo senso ha riunito le sue due anime: l’uomo di fede e il vecchio compagno che aveva messo da parte la falce e martello quando aveva scoperto che il partito aveva un’idea diversa dalla sua sull’ecologia e in particolare sul nucleare. Fu proprio la questione dell’energia atomica, infatti, la goccia che fece traboccare il vaso e spinse il brillante ingegnere dell’Enel che si era fatto apprezzare tra i quadri del Pci verso un’altra, diversa militanza…» [4]

Sì, caro Antonio, la questione nucleare fu la vera scelta dirimente e tu, allora, trovasti il coraggio per scegliere la strada più difficile, in modo da restare fedele alle tue convinzioni. Questa decisione, lo so bene, ti è molto costata. Tu, infatti, hai sempre creduto in un grande partito che incarnasse le ragioni di quel comunismo che non hai mai rinnegato. Ti aspettavi però una seria svolta in materia ambientale che invece non ci fu e così la frattura si determinò fatalmente su quel ‘nucleare civile’ che era frutto della retorica degli ‘atomi per la pace’.

Fu allora che decidesti d’imboccare una strada diversa, originale ed ancora inesplorata. Hai perciò dato vita ad un movimento ambientalista forte e determinato, che non si limitava a proteggere la natura ma si proponeva anche di rivalutare l’ambiente urbano e le sue grandi risorse culturali ed artistiche. Si trattava di quella che più tardi qualcuno avrebbe chiamato ecologia sociale [5] e che rientrava nell’ambito d’un impegno ambientalista ispirato dall’ecologia umana, per affermare i valori della civiltà, pur archiviando la vecchia visione antropocentrica del mondo.

« La verità  – ha scritto il tuo vecchio amico Nicola Lamonica in un articolo che ti ha dedicato – è che Antonio è qualcosa di più,  poiché ha saputo uscire dalla mediocrità ed ha motivato la sua vita  superando gli steccati ideologici,  non rinunciandone comunque all’essenza  e confinando le proprie idee  filosofiche, storiche e culturali in un nuovo progetto, la cui sintesi è rintracciabile nella Sua dinamicità costruttiva, nei suoi mille interventi scritti e nella saggezza del  Suo fare e del  Suo dire,  con parole semplici ma profonde  che lo hanno reso popolare e paziente, democratico e rivoluzionario, studioso e progettuale.» [6]

E’ proprio così. Chiunque ti abbia conosciuto restava inevitabilmente colpito dalla grande tensione etica e dalle profonde motivazioni filosofiche e politiche delle tue proposte. Allo stesso tempo, però, era impossibile non essere travolti dal tuo straordinario entusiasmo pragmatico, dalla tua irrefrenabile voglia di concretizzare le idee in un progetto.

Un“irriducibile ambientalista” sei stato definito in una nota delle U.S.B. [7] ed un articolo di “Contropiano” ti ricorda com:

un comunista scomodo”, quello « storico militante marxista ed ambientalista […] (che) a Napoli si è sempre opposto a tutti i progetti di devastazione e di ristrutturazione urbanistica e territoriale dall’evidente segno antisociale (e che)…ha sempre contribuito alle variegate esperienze politiche e sociali che si sono prodotte negli ultimi anni, portando il suo contributo di sapere e di competenza tecnico/scientifico».[8]

Sì, perché è inutile negare che il tuo rigore morale e la tua intaccabile coerenza politica erano oggettivamente scomodi, se non fastidiosi, per i troppi mediocri che della politica hanno fatto un mestiere e vorrebbero farci credere che l’unica cosa che conta è l’affermazione personale.

La verità è che proprio tu – mite generoso e umile, per citare de Magistris – sei stato un vero leader, la persona cioè che ha saputo valorizzare e mettere insieme tanti altri e trasmettere loro la carica, per realizzare il progetto ambizioso che solo un visionario come te poteva immaginare.

Il tuo grande merito è stata la tua eccezionale capacità di rendere quel progetto davvero globale, uscendo dalle secche della frammentazione e del pragmatismo miope che caratterizzano la nostra epoca, che ha smarrito la visione d’insieme, il senso della complessità e dell’interrelazione su cui, viceversa, si fonda l’approccio ecologista alla natura ma anche alla società.

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Con gli occhiali della mente, per guardare lontano…

Non è certo un caso che il simbolo di quella tua lungimiranza sono stati i tuoi famosi occhiali portati sulla fronte, che ti hanno caratterizzato negli anni come una specie di marchio di origine controllata delle tue idee:

«… quasi a dire di coinvolgere anche la vista della mente e di tutto te stesso, e il cuore, nello sguardo sul mondo e sulla vita, per custodirli e farli migliori, per tutti…»[9]

E d’intuizioni ne hai avute davvero tante, proprio perché sapevi guardare lontano, ma anche intorno, riuscendo a cogliere le potenzialità enormi di un territorio e di un popolo mortificati da decenni di malgoverno, speculazione edilizia, perdita del senso della comunità, incredibile noncuranza per i valori dell’ambiente. Antonio Piedimonte, nel suo articolo, ha puntualmente ricordato tutte le tue grandi battaglie, da quella contro l’abusivismo edilizio a quella che ha portato a tutelare i parchi naturali regionali, passando per le campagne ambientaliste per salvaguardare e valorizzare i tesori della “Napoli negata” ed quelle per cancellare il concetto stesso di periferie, superandolo nella visione di una città multicentrica, che sapesse valorizzare il protagonismo dei cittadini.

Come primo presidente di quella che allora si chiamava “Lega per l’Ambiente” [10] sei riuscito ad aggregare moltissime persone intorno ad un progetto di rinascita di una città e di una regione che non volevano rassegnarsi al degrado ed alla perdita d’identità sociale e culturale. Lo stesso spirito combattivo e la stessa risoluta determinazione sei riuscito a portare tra i banchi del Consiglio Regionale della Campania, dove non solo hai saputo dimostrare come si può fare politica altra e alta, ma hai potuto sviluppare in forma legislativa le tue grandi intuizioni.

Pochi ormai ricordano che sei stato colui che ha promosso e fatto approvare la legge sui parchi regionali e che sei stato anche il relatore ed ideatore della legge che segnava una svolta epocale in materia di raccolta e trattamento dei rifiuti. Nessuno che ti abbia affiancato in quegli anni, però, potrà dimenticare la tua incredibile capacità di coinvolgere un’aula spesso distratta nelle grandi battaglie civili ed ambientali, travolgendo col tuo contagioso entusiasmo anche i più tiepidi e perfino gli oppositori politici.

Il nostro incontro è stato segnato dalla mia uscita dai Verdi – che pur avevo contribuito a far nascere a Napoli – e dalla tua grande apertura verso una persona con cui forse avvertivi un’affinità ideale. E’ dal 1995, con la mia simbolica candidatura a presidente della Provincia di Napoli per i Verdi Arcobaleno, che è nato un affettuoso sodalizio che è continuato fino a pochi giorni fa, quando ti ho salutato con una carezza sul tuo letto d’ospedale, non immaginando che sarebbe stata l’ultima.

Il comune amico Pasqualino, insieme ad una bellissima foto che ti ritrae sorridente con una tua nipotina, mi ha mandato il link ad una bella canzone di Roberto Vecchioni. L’ho ascoltata e mi è venuto un groppo alla gola, soprattutto sentendo le prime parole:

«Addio per sempre, amico mio / ne abbiam passate di stagioni al sole / da far invidia a chi so io / ne abbiam cantate di illusioni / fino a sembrare due coglioni…».[11]

Da allora, anche noi due ne abbiamo passate di “stagioni al sole”, da quella dell’associazionismo ambientalista con V.A.S. [12] a quella, appunto, che al Sole direttamente s’ispira, per promuovere una vera e propria Civiltà alternativa. La stagione più appassionante che abbiamo vissuto insieme è forse stata quella per diffondere e salvaguardare la diversità biologica e culturale, dedicando a questo impegno vari anni d’impegno con VAS  ed organizzando ben cinque edizioni della “Festa della Biodiversità, di cui tu sei sempre stato giustamente orgoglioso.

Per la Civiltà del Sole

Un’altra tua straordinaria intuizione è stata quella di una proposta di legge popolare che potesse portare la statica e disastrata Campania a diventare la prima Regione che si desse una normativa ispirata alla scelta prioritaria del Solare. Ma non si trattava di un’altra questione. Era soltanto la logica estensione del tuo grande progetto di ecologia sociale, ispirato ad un pensiero forte, ad un’autentica etica ambientale e ad una visione della società rigorosamente ecologista, ma al tempo stesso equa e solidale.

E’ iniziata allora quella che davvero possiamo chiamare “la stagione del Sole”, un’avventura su cui pochi avrebbero scommesso, e che ci ha portati invece a raccogliere circa 13.000 firme sotto quel testo di legge popolare di cui sei stato l’ispiratore ed il vero estensore. Un’avventura che non si è conclusa con l’incredibile approvazione all’unanimità di quell’eccezionale proposta legislativa, ma che continua tuttora nella battaglia perché quella L.R. n. 1 del febbraio del 2013 diventi una realtà.

Non a caso la Rete associativa di cui sei stato il padre si è proposta come una realtà che promuove la Civiltà del Sole e della Biodioversità , coniugando i due termini in una visione complessiva di cui il Sole, simbolicamente, è la sintesi ma non certo l’unico protagonista.

Grazie a te, ed a quell’evidente riferimento all’utopica Città del Sole del grande calabrese che morì 600 anni prima che tu nascessi, comprendiamo meglio quanto fosse profondo il tuo pensiero, che si nutriva di quello dei filosofi presocratici, come Eraclito, ma anche di una rivoluzionaria volontà di cambiamento del modello di sviluppo, a partire dalla rivoluzione di quello energetico e dei consumi.

«Nella Civiltà del Solare, la città respira come da natura e cresce la bellezza della sua immagine […] La campagna e l’agricoltura ritrovano l’identità perduta, generatrice e non distruttrice di risorse. Cambiano urbanistica ed architettura del nuovo […] contro gli sprechi cambiano i materiali e le tecnologie impiegate; cambiano la mobilità ed il trasporto, privato e pubblico[…].L’intera economia si libera dai vincoli della dipendenza e del ricatto del mercato del combustibile e delle fonti energetiche e lo scambio internazionale si attiva non sui vincoli della “bilancia commerciale”, sulla speculazione monetaria, ma sull’interesse reciproco e solidale. Le comunità locali, anche in identità semplici e familiari, diventano i fattori delle scelte, delle capacità di acquisire quella giusta energia sufficiente per le loro necessità, di scambiarsela a “bassa tensione” con le altre vicine in una rete di comune, reciproco interesse.»[13]

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La tua mente –  grazie agli occhiali sulla fronte che ti aiutavano a guardare molto lontano – ha saputo indicarti una strada luminosa, nella quale ci siamo avviati con te in questi anni e che ora avremo difficoltà a percorrere senza di te.  Certo, nell’attuale mondo prosaico, disincantato e cinico della politica si rischia di far la parte di quelli che, per dirla con Vecchioni, cantano solo delle illusioni; insomma, di essere scambiati per coglioni…Ma chi ti è stato accanto sa benissimo che basta utilizzare i tuoi magici occhiali della mente per vedere tutta la concretezza di un progetto di società profondamente alternativa. Una società ispirata a quello che ti chiamavi “comunismo ecologico” ed io “ecosocialismo”, e che non solo utilizzi il sole e le altre fonti rinnovabili per produrre energia ed attivare un nuovo modello di sviluppo economico, ma sappia tornare ad essere una vera comunità, un posto più giusto ed accogliente dove far crescere i nostri figli.

Ho recentemente avuto modo di vedere una simpatica foto che ti ritrae, col tuo sorriso solare, mentre una delle tue nipotine, ridendo, ti strappa dalla fronte gli immancabili occhiali. E’ un’immagine bellissima, nella quale leggo il tuo straordinario affetto per i tuoi cari, ma anche una specie di simbolico passaggio di testimone della tua lungimirante visione alle generazioni future, che non meritano certo il disastro ambientale e sociale che gli stiamo riservando…

Carissimo Antonio, le cose da dire e da ricordare – compresi i tuoi appassionati interventi per difendere la Costituzione Italiana ed i tuoi ripetuti tentativi di coagulare il frammentato mondo della sinistra in un grande progetto alternativo – ma sono cose che sai molto bene e che non è certo facile trasmettere con poche righe a chi non ti è vissuto accanto per tutti questi anni.

D’altra parte, il solo modo per ricordarti davvero è continuare, testardamente, a percorrere la strada per la quale ci hai guidata, anche se – come cantava Fabrizio De André – bisogna fare i conti con “ambizioni meschine, millenarie paure e inesauribili astuzie” dei troppi che non solo non vedono lontano, ma non sanno neppure guardare dove camminano…

« Coltivando tranquilla / l’orribile varietà / delle proprie superbie / la maggioranza sta / come una malattia /come una sfortuna / come un’anestesia / come un’abitudine / per chi viaggia in direzione ostinata e contraria» [14].

Nessuno più di te ha saputo incarnare quest’ultima espressione. Per questo, caro Antonio, resterai per sempre con noi.

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[1] Ermete Ferraro, Ciao Mario! https://ermeteferraro.wordpress.com/2008/02/13/ciao-mario/

[2] Ebr 11,8-11 ; 12,12-19

[3] Antonio Emanuele Piedimonte, Quel guerriero sorridente che regalò alla Campania l’energia solare http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/14_dicembre_29/quel-guerriero-sorridente-che-regalo-campania-l-energia-solare-7a875576-8f5d-11e4-958d-cb5be19f6659.shtml

[4] ibidem

[5] Murray Bookchin, The Philosophy of Social Ecology: Essays on Dialectical Naturalism (1990 and 1996) Montreal, Black Rose Books

[6] Nicola Lamonica, Ci lascia Antonio D’Acunto, http://www.ilprocidano.it/2014/12/29/ci-lascia-antonio-dacunto/

[7] http://campania.usb.it/index.php?id=85&tx_ttnews%5Btt_news%5D=80408&cHash=d9870c69c6&MP=73-310

[8] E’ morto Antonio D’Acunto, comunista scomodo http://contropiano.org/in-breve/italia/item/28309-e-morto-antonio-d-acunto-comunista-scomodo

[9] Da una nota a firma di Pasquale Salvio, presidente di Città della Gioia onlus

[10] http://www.casertanews.it/public/articoli/2014/12/28/152650_cronaca-napoli-legambiente-ricorda-antonio-acunto-primo-presidente-legambiente-campania.htm

[11] Roberto Vecchioni, Le stagioni nel sole (2005) http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_roberto_vecchioni_1792/testo_canzone_le_stagioni_nel_sole_272883.html

[12] VAS onlus (Verdi Ambiente e Società) è un’associazione nazionale di protezione ambientale, riconosciuta nel 1994 dal Ministero dell’Ambiente e presente su tutto il territorio italiano. Di VAS Campania Antonio D’Acunto è stato fondatore, coordinatore regionale e poi presidente onorario. Vedi servizio su AdA su: http://vasonlus.it/?p=10193

[13] Antonio D’Acunto, La Civiltà del Sole (maggio 2010) , http://www.terraacquaariafuoco.it/index.php/la-civilta-del-sole/24-la-civilta-del-sole

[14] Fabrizio De Andrè, Smisurata preghiera, http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_fabrizio_de_andre_1059/testo_canzone_smisurata_preghiera_33199.html

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© 2014 Ermete Ferraro (http://ermeteferraro.wordprress.com )

ECOSOCIALISMO? SÍ, GRAZIE !


Progresso o sviluppo?ecosocialismo

 La lettura dell’ottimo articolo di Antonio D’Acunto “Necessità ed urgenza di un egemonico nuovo soggetto politico Eco–Progressista, fondato sul primato dell’Ecologia” [1] risulta particolarmente stimolante. Vorrei quindi intervenire nel merito, a partire da una prima osservazione riguardante il titolo. La mia deformazione ‘linguistica’ m’induce a ribadire che ritengo molto più accettabile il termine ‘sviluppo’ rispetto a ‘progresso’, con gli attributi e le forme verbali che derivano in ambedue i casi. E’ proprio il mio spirito ecologista che mi fa privilegiare il primo vocabolo, che già nella sua etimologia rinvia ad un processo di liberazione, di apertura, di realizzazione delle potenzialità mortificate (“de-viluppo”, appunto; in inglese ed in francese development, in spagnolo desarollo). La parola “progresso”, invece, racchiude nel suo DNA etimologico una visione sostanzialmente anti-ecologica, contraddicendo il nodo fondamentale di questo approccio, cioè il tener conto dei naturali limiti ad ogni genere di sviluppo e prefigurando un illuministico processo di avanzamento inarrestabile del sapere e del potere umano.

Ecco perché penso che quel nuovo soggetto politico – che l’amico D’Acunto ed io auspichiamo – sarebbe meglio definito dall’aggettivo ‘eco-sociale’ piuttosto che da ‘eco-progressista’. Questa definizione, inoltre, richiamerebbe alla mente un ben preciso pensiero teorico, legato al concetto di ‘ecologia sociale’ ed alle riflessioni e proposte avanzate da autori come Barry Commoner, Murray Boockchin, Wolfgang Sacht, Serge Latouche, Arturo Escobar e Michael Löwi. [2]

I principi fondamentali di questo approccio così sintetizzabili: (a) interdipendenza ed unità nella diversità; (b) decentramento e democrazia diretta; (c) centralità dell’idea di cittadinanza attiva e responsabile: (d) visione liberatrice della tecnologia; (e) impostazione sociale del lavoro; (f) visione filosofica improntata ad un ‘naturalismo dialettico’ e fondata su un’etica ecologica.

2. Un’alternativa ecosocialista  al neo-liberismo antiecologico

L’analisi di D’Acunto prende le mosse dall’indubbio successo elettorale di Renzi e del ‘Renzismo’, mettendone però  in discussione l’effettiva rappresentanza della maggioranza degli Italiani. Anche se il PD targato Renzi ha ricevuto il 40% dei voti – si argomenta –  in termini puramente matematici il suo peso elettorale effettivo non supera un reale 20% dei consensi, visto che il restante 80% ha fatto altre scelte o non ha votato per nulla. A voler considerare il peso specifico in termini politici dell’attuale governo di coalizione, aggiunge D’Acunto, si arriva alla rappresentanza massima di 3 Italiani su 10,  4 se si considera anche l’appoggio di Berlusconi alle riforme istituzionali. E’ per questo motivo che non andrebbe enfatizzato il ‘successo’ di quello che, innegabilmente, resta il partito di maggioranza, per evitare che una visione trionfalistica legittimi il PD ed il suo rampante lìder maximo come il soggetto egemone ed assoluto protagonista della politica italiana.

E’ di per sé preoccupante che la ‘sinistra’ vinca nel nostro Paese solo se fa suoi una visione ed un linguaggio neo-liberali, ad esempio cavalcando gli sconti sulle tasse ed il tema del rilancio dei consumi. Se ci aggiungiamo, come sottolinea D’Acunto, che nella visione renziana manca non solo una prospettiva ecologica, ma anche una minima attenzione alle questioni ambientali, c’è da essere ancor più preoccupati. Non si cerca nemmeno più di mascherare il progressismo consumista con l’aggiunta prudenziale del concetto un po’ vago di ‘sostenibilità’, ma ci si lascia andare ad un ottimismo fuori luogo, trascurando le problematiche legate ad un modello di sviluppo distorto, energivoro, distruttore dell’ambiente, indifferente alla salute delle comunità e dei lavoratori.

Ancor più grave, pertanto, risulta la mancanza in Italia d’un soggetto politico che riesca a coagulare ed organizzare le tante battaglie combattute ogni giorno per difendere i diritti sociali, i beni comuni e l’integrità dell’ambiente naturale. Non parlo ovviamente d’una lista messa insieme all’ultimo momento né della una stanca riproposizione della pur fondamentale esperienza del movimento verde. Mi riferisco ad una realtà politica che sappia davvero coniugare la necessaria critica ad un modello di sviluppo dato per scontato ed imprescindibile con un serio programma costruttivo, capace quindi di proporre un’alternativa ecosocialista, ispirata ai principi prima elencati.

D’Acunto cita nel suo articolo un grande pensatore ecopacifista come Kenneth Boulding, il quale già nel lontano 1966 affermava che per credere in un’infinita ‘crescita esponenziale’ bisogna essere dei pazzi o degli economisti…[3]  Vorrei aggiungere allora che una visione alternativa a quella sostanzialmente liberale dell’attuale PD dovrebbe avvalersi anche del contributo della teoria e prassi della nonviolenza attiva e del pacifismo antimilitarista, come da tempo vado ripetendo. [4]

« Ma qui c’è anche l’assoluta necessità…..di un progetto politico  radicalmente alternativo al renzismo. Un progetto che, proprio perché parte dall’Ecologia e dalle sue leggi, affronta la crisi di oggi nelle cause di fondo che l’hanno generata, ricreando le condizioni per il benessere dell’Umanità nella sua globalità e del Pianeta, nell’infinita sua Biodiversità e Bellezza. Un progetto che parte dalla ricerca costante di  scelte e tecnologie per soddisfare i bisogni di oggi, che non solo non sottraggono valori al futuro, ma generano al contrario potenziali arricchimenti; cioè una Civiltà del Sole e della Biodiversità, costruita sull’Amore ed il Rispetto per il Pianeta,  per la sua Bellezza, e per le sue forme di Vita…» [5]

3. Teoria e prassi dell’Ecosocialismo in Europa e nel mondo

Una simile coalizione della sinistra ecologista non sarebbe affatto un caso isolato a livello internazionale, dal momento che esistono da parecchi anni molti esempi di partiti che – ad esempio in Europa – già si definiscono ecosocialisti. E’ il caso degli Alternatifs francesi, della Izquierda Unida in Spagna (con Esquerra unida i Alternativa in Catalogna), di Os Verdes in Portogallo, dell’Alleanza della Sinistra Verde nei paesi scandinavi, della Linke in Germania e, soprattutto, di Syriza  in Grecia[6], che ha raccolto oltre il 26% dei voti alle Europee.

Buona parte di essi hanno aderito al Congresso della Sinistra Europea, tenuto a Madrid il 14 dicembre 2013, sottoscrivendo una mozione sull’ecosocialismo [7], che faceva seguito ad un manifesto comune, approvato nel febbraio del 2013, intitolato “18 tesi sull’ecosocialismo” [8] , oltre che alla fondamentale Dichiarazione Ecosocialista di Belèm, datata 2007 [9].

Nella mozione comune, fra l’altro, troviamo scritto:

«Questa mancanza di considerazione sia per la biosfera sia per le condizioni di vita umane s’incarna nelle soluzioni capitaliste alla crisi, che favoriscono la ‘crescita verde’ ed il ritorno all’estrazione di forme convenzionali e non convenzionali di combustibili fossili […]così come i grandi progetti multinazionali nocivi nell’ambito delle energie rinnovabili – eolico, solare e biomasse – che degradano i paesaggi, le terre agricole e le foreste […]L’ecosocialismo, ossia la trasformazione sociale ed ecologica, si trova alla congiunzione dell’ecologia anti-capitalista con i movimenti di sinistra antiproduttivisti […] è una nuova sintesi per fronteggiare la doppia sfida delle crisi sociale ed ambientale- che hanno le stesse radici […]Esso implica il ricorso a radicalità concrete ed a misure che noi chiamiamo ‘pianificazione ecologica’, basata sulla redistribuzione delle ricchezze esistenti ed un sistema di produzione radicalmente differente, che tenga conto dei limiti ambientali, che si basi sul rigetto di ogni forma di dominazione ed oppressione, così come sulla sovranità popolare…» [10]

Le ‘18 Tesi per l’Ecosocialismo’ [11] esplicitano i punti fermi di tale approccio, chiarendo che esso è:

ü      un’alternativa concreta e radicale, «…per fondare una nuova economia dei bisogni e della sobrietà, preservare il clima, l’ecosistema e la biodiversità»;

ü      una nuova sintesi politica a sinistra, tra «un’ecologia necessariamente anticapitalista ed un socialismo che si è sbarazzato delle logiche produttiviste […]tenendo conto dei bisogni umani e dei limiti del pianeta»;

ü      un rinnovamento del socialismo, che «…ci obbliga a pensare in modo nuovo ciò che è veramente progresso umano, nella prospettiva della preservazione dell’ecosistema»;

ü      un modello alternativo di produzione, con una profonda revisione di quello attuale sulla base «…di quelle che chiamiamo le 4 R: rilocalizzazione dell’attività, reindustrializzazione ecologica, riconversione dell’industria e redistribuzione del lavoro […]nella ricerca di filiere ‘verdi’, al fine di ridurre la nostra dipendenza dalle risorse esauribili (eco-costruzione, efficacia energetica, ristrutturazione termica, energie rinnovabili…)» ;

ü      una rivoluzione che nasce da questa profonda riconversione, per cui «…le lotte debbono convergere» e occorre «lottare e resistere per inventare», visto che c’è bisogno che i cittadini si sentano direttamente coinvolti nella sperimentazione di alternative concrete e sappiano essere attivi anche nella «disobbedienza civile nonviolenta»;

ü      un’applicazione della pianificazione ecologica, che «…dà la possibilità di organizzare la deviazione verso in altro modello di sviluppo, interrogando i nostri bisogni e riorientando produzione, scambio e consumo, in virtù della loro utilità sociale ed ecologica»;

ü      una rivoluzione internazionalista ed universalista, perché le decisioni sono ormai su scala planetaria ed altrettanto globale deve essere quindi la risposta ad ogni forma di sfruttamento del Pianeta e dei popoli. «Il progetto eco socialista deve poter essere portato avanti da un forum mondiale, che ne faccia il fine della rivoluzione cittadina del nostro tempo».

D’Acunto sostiene che un simile movimento dovrebbe basarsi «…su contenuti fondamentali del modello di sviluppo: l’energia eternamente rinnovabile del Sole, il valore infinito ed insostituibile della Biodiversità, l’acqua fondamentale bene comune, la tutela della materia contro inceneritori e discariche, la salvaguardia  del territorio,  del paesaggio, del percorso del cammino dell’uomo espresso dai beni archeologici storici e culturali, la pace e la solidarietà, la democrazia e la partecipazione e, unificante del tutto, la centralità del valore del lavoro per tutti come crescita dell’Umanità e  creazione di benessere reale collettivo, nei suoi bisogni fondamentali materiali ed immateriali.» [12]

Mi sembra un’ottima sintesi di ciò che dovrebbe far parte del programma di questo nuovo soggetto politico eco socialista, che trovo peraltro perfettamente in linea con le enunciazione appena citate del Manifesto di questo movimento, diffuso non solo in Europa ma anche in America Latina.

4. Che fare, qui ed ora?

Quando si enunciano delle prospettive politiche così impegnative la prima domanda che sorge spontanea è: ma noi, in prima persona, che cosa possiamo fare perché si realizzi quanto abbiamo ipotizzato?   D’Acunto ha già dato una prima ed importante risposta a tale quesito:

« Occorre profondere  passione ed impegno, se si vuole che gli ideali, i valori, i  contenuti di merito che tanti di noi abbiamo portato e continuiamo a portare non restino nei limiti di molto importanti vittorie di opposizione, ma sul piano generale mere, astratte  enunciazioni. Per me,  naturalmente,  pensare a un nuovo soggetto politico, non significa assolutamente pensare a ridurre il valore e la portata della immensa moltitudine dei soggetti collettivi associativi e di movimento, di cui tanti di noi facciamo parte né ad una captazione strumentale di essi. Al contrario, significa pensare a ricreare e rafforzare condizioni… perché esse abbiano un ruolo decisivo nelle scelte.» [13]

Non bisogna necessariamente pensare ad un nuovo partito politico, aggiunge, ma bisogna assolutamente evitare le aggregazioni elettorali dell’ultima ora, talvolta strumentalizzando il bisogno di cambiamento per riproporre personalità ed esperienze superate. Le ultime elezioni europee, in tal senso, hanno purtroppo dimostrato che la sinistra dei partiti non ha compreso ancora la dura lezione delle precedenti consultazioni elettorali. I movimenti e la c.d. ‘società civile’ non sono solo ingredienti innovativo e più stimolanti da aggiungere ad un piatto riscaldato, solo per renderlo più appetibile. C’è bisogno piuttosto di organizzare, in modo serio ed efficace,  l’opposizione ad un modello di sviluppo che sta impoverendo sempre più persone e distruggendo sempre più la biodiversità naturale.  Il rinnovamento – per certi aspetti la rivoluzione – dell’ecosocialismo non può essere ridotta a mere alleanze tattiche tra forze politiche o a programmi elettorali sempre più vaghi. Occorre creatività, buona volontà, disponibilità a rompere vecchi schemi, ma anche capacità di rendere tale alternativa praticabile e, prima ancora, diffusa e consapevole.

«Come costruire questa organizzazione, che significa anche schemi, burocrazia e regole senza nulla togliere alla grande  ricchezza della moltitudine degli affluenti, necessariamente di gran lunga oltre le forze politiche che possono aiutarne la nascita,  è urgente ricerca non solo teorica e politica, ma soprattutto sperimentale.»[14]

Concordo totalmente con D’Acunto su questa prospettiva di dialogo costruttivo tra i vari movimenti e tra questi e le forze politiche preesistenti, perché si giunga ad una vera coalizione, nel rispetto della specificità delle singole proposte ma nella ricerca di un comune denominatore. Esso non può essere che una svolta radicale nel modello di produzione e di consumo, che parta da una pianificazione ecologica per scrivere le nuove regole di una società più equa e rispettosa degli ecosistemi di cui noi uomini facciamo parte. Redistribuire la ricchezza e fare pace con la natura è un obiettivo troppo alto perché lo si possa ridurre solo a formule elettoralistiche. Occorre far crescere la coscienza di tutti sull’insostenibilità ecologica di questo sviluppo, ma anche costruire le basi – teoriche e pratiche – per un’alternativa ecosocialista ed ecopacifista. Bisogna pensare ed agire – quì ed ora – affinchè, per citare un teorico dell’ecosocialismo come Michael Löwi:

«Lotta alla mercatizzazione del mondo e difesa dell’ambiente, resistenza alla dittatura delle multi nazioni e lotta per l’ecologia siano intimamente legati nella riflessione e la pratica del movimento mondiale contro la mondializzazione capitalista-liberale.»[15]

© 2014 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com)

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[1]Antonio D’Acunto, Necessità e urgenza di un egemonico nuovo soggetto politico eco-progressista, fondato sul primato dell’ecologia, Giugno 2014 > http://www.terraacquaariafuoco.it/index.php/component/content/article/2-non-categorizzato/90-la-necessita-e-l-urgenza-di-un-egemonico-nuovo-soggetto-politico-eco-progressista-fondato-sul-primato-della-ecologia )

[2] Cfr. su Wikipedia le voci > http://it.wikipedia.org/wiki/Ecosocialismo , http://en.wikipedia.org/wiki/Eco-socialism , http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cosocialisme , http://en.wikipedia.org/wiki/Social_ecology , http://fr.wikipedia.org/wiki/%C3%89cologie_sociale , http://socialecologylondon.wordpress.com/

[3] Vedi anche: K. Boulding, Towards a New Economics: Critical Essay on Ecology, Distribution and Other Themes, Edward Elgard, 1992

[4] Cfr. alcuni miei articoli sull’argomento > https://ermeteferraro.wordpress.com/2011/12/13/ecopacifismo-visione-e-missione/ ; https://ermeteferraro.wordpress.com/2014/03/16/riscatto-mediterraneo/ ; http://issuu.com/ermeteferraro/docs/manuale_ecopacifismo_vas_2_83d43f9735930d ; https://ermeteferraro.wordpress.com/2014/05/31/ctraltcanc-esercitare-il-controllo-creare-alternative-cancellare-la-guerra/

[5] Antonio D’Acunto, art. cit.

[6] Cfr. un mio articolo del giugno 2012 > https://ermeteferraro.wordpress.com/2012/06/25/le-lezione-di-syriza/

[7] http://ecosocialisme.com/2013/12/17/motion-proposee-par-le-parti-de-gauche-fr-alliance-rouge-verte-dk-syriza-gr-bloco-port-die-linke-all-sur-les-questions-ecologiques/

[8] http://ecosocialisme.com/2013/02/07/premier-manifeste-des-assises-18-theses-pour-lecosocialisme/

[9] http://ecosocialistnetwork.org/Wordpress/wp-content/uploads/2012/03/Declaration-Belem-it.pdf

[10] Vedi testo cit. alla nota 6 (traduz. mia)

[11] Sintetizzo di seguito il testo cit. alla nota 9 (traduz. mia dei passi virgolettati)

[12] D’Acunto, op.cit.

[13] D’Acunto, op. cit.

[14] Ibidem

[15] Michael Löwi, Qu’est-ce que l’écosocialisme?> http://www.europe-solidaire.org/spip.php?article656

CONVERDIAMOCI !

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DI ERMETE FERRARO

CONVERDIAMOCI !

The 10 Key Values of the U.S. GREENS
The Charter of European Greens Charter(Geneva 2006)
The Charter of Global Greens(Canberra 2001)
Saggezza ecologica
 
Saggezza ecologica
Giustizia sociale
Giustizia sociale
Giustizia sociale
Democrazia dal basso
Libertà attraverso l’Autodeterminazione
Democrazia partecipativa
Nonviolenza
Nonviolenza
Nonviolenza
Decentramento
 
 
Economia Comunitaria
 
 
Femminismo
Eguaglianza di genere
 
Rispetto della Diversità
Diversità
Rispetto della Diversità
Responsabilità personale e globale
Responsabilità Ambientale
 
Sostenibilità verso il Futuro
Sviluppo sostenibile
Sostenibilità
 
 
 
 
# 1 – Alle radici dell’essere "verdi"
Ho elaborato questa semplice tabella per raggruppare e sistemare sinotticamente i principi ispiratori delle tre federazioni internazionali dei movimenti e partiti Verdi: a livello americano, europeo e globale. Certe volte, infatti, è necessario ricorrere a strumenti semplici e non equivoci come questo, quando ci si trova ad assistere ad un dibattito, spinoso quanto scorretto, come quello che riguarda l’identità dei Verdi italiani, e quindi potenzialità e prospettive di una visione ecologista che è stata sempre caratterizzata da un pensiero globale incarnato in un’azione locale.
Il guaio è che la Federazione dei Verdi sembra ormai paralizzata da una profonda crisi d’identità e i vari “personaggi” che dovrebbero rappresentarla vagano sulla scena come se fossero ancora “in cerca di autore”. Però, a dire il vero, più che ad un dramma pirandelliano sembra purtroppo di assistere ad una farsa o ad una vecchia pochade, piena di equivoci e di gente che entra ed esce dalla scena senza incontrarsi, facendosi ridere il pubblico alle spalle.
Nemmeno i più pessimisti avrebbero immaginato che potesse cadere talmente in basso quella che per molti, me compreso, era stata la grande “speranza verde” in una politica ecologica, capace al tempo stesso di realizzare l’ecologia della politica. Eppure quella speranza è stata fin dall’inizio tradita e strumentalizzata da chi avrebbe dovuto rappresentarla sul già triste, talvolta osceno, palcoscenico della politica italiana, trasformando il sogno di un’alternativa ecologista, sociale e pacifista nell’incubo di un partitino rissoso e minoritario. L’ennesimo soggetto politico privo di democrazia interna e di radicamento sul territorio, preoccupato di soffocare ogni segnale di coerenza e di ricerca dell’alternativa pur di non compromettere seggi e strapuntini elettorali e di non disturbare i “manovratori” di troppe equivoche giunte locali e regionali. Poi c’è stata la stagione degli apparentamenti e delle coalizioni, tutti rigorosamente decisi al vertice e altrettanto decisamente sconfitti dal responso delle urne. L’ unico risultato conseguito, pertanto, è stato quello di perdere non solo le elezioni, ma la stessa identità ed identità della proposta Verde, scoloritasi al punto tale da diventare oggettivamente indecifrabile e da non riuscire a giustificare l’esistenza stessa di un soggetto verde sulla scena politica nazionale.
 
# 2 – Affondare o rifondare i Verdi?
L’ultima Assemblea dei Verdi italiani ha riservato agli stanchi e disincantati spettatori della politica nostrana un ulteriore “coup de scène”, capovolgendo gli equilibri interni e spostando il consenso – sia pure in modo risicato e piuttosto sospetto – dalla linea francescatiana della confluenza totale in “Sinistra e Libertà” alla bonelliana “riscossa ecologista”, fondata sul lancio di una “costituente verde”.
Chi aveva conservato un “cuore verde” – pur se messo a dura prova da decenni d’insopportabili tradimenti ed incoerenze – aveva cominciato ad esultare, ma l’incantesimo è durato poco e ci è subito accorti che stava approssimandosi un’altra delusione. Bastava infatti ascoltare o leggere le prime dichiarazioni del nuovo presidente dei Verdi per farsi un’idea di cosa si sta prospettando.
L’obiettivo, secondo Angelo Bonelli, sarebbe quello di "creare una formazione ecologista post-ideologica. La questione della centralità ambientale, della tutela della salute, anche la realizzazione di nuovi posti di lavoro, riguarda tutte le famiglie italiane. Vogliamo rompere i confini ideologici e creare una forza ecologista che sia trasversale e parli a tutti.[…] Se in Italia i Verdi non hanno raggiunto i livelli degli altri paesi, come la Francia è perché qui abbiamo parlato solo con una parte ideologizzata della società…”. [AGI 12 OTT 09].  Gli ha fatto eco Marco Boato, dichiarando che: “…siamo di fronte al rischio reale di una loro (dei Verdi) scomparsa, di un loro suicidio programmato, dopo troppi anni in cui si sono fatti ricomprendere nell’ambito della estrema sinistra, della “sinistra radicale”, accomunati sistematicamente per anni nei mass media alle formazioni comuniste e neo-comuniste. […] I Verdi sono nati proprio sulle ceneri delle ideologie totalizzanti degli anni 70 […] mettendo in discussione le identità ideologiche di origine ottocentesca e del Novecento […] all’insegna della trasversalità in rapporto all’intera società civile e …del rapporto con la politica e le istituzioni a partire non da una collocazione precostituita, ma dalla capacità di dare priorità alla questione ecologica, centralità alla questione ambientale…”  [http://www.terranews.it/news/2009/10/siamo-al-bivio-scomparsa-o-rilancio-ecologista].
A questo punto, chi come me dalla metà degli anni ’80 ha contribuito a far nascere e diffondere localmente quel soggetto politico verde, pur essendosene allontanato da oltre un decennio, non può fare a meno di chiedersi di cosa diavolo stiamo parlando e, soprattutto, se parliamo per capirci o per confonderci ancor di più le idee… Un ottimo sistema per mistificare la realtà è presentare mezze verità, mescolando cose vere e false, per conferire ai discorsi una discutibile linearità logica. E’ senza dubbio legittimo rivendicare la proposta Verde come qualcosa di profondamente originale e, per certi versi, alternativo alla sclerotizzazione delle vecchie ideologie del secolo scorso. Altro è blaterare di “formazione post-ideologica” e di assurda “trasversalità politica”, usando la “centralità della questione ecologica” come comodo passepartout per aprire tutte le porte senza però compromettersi con nessuno.
Eppure basterebbe dare un’occhiata alla tabella che ho presentato in apertura per rendersi conto che l’identità dei Verdi – a livello globale – è all’opposto di questa visione riduzionista ed opportunista dell’ecologismo. Ne deriva che affermare pragmaticamente che, in nome dell’ecologia, si possa dialogare con qualsiasi interlocutore sia da considerarsi frutto d’ignoranzao di malafede. Lo stesso concetto scientifico di “ecologia”, infatti, è caratterizzato dall’interdipendenza fra vari fattori, per cui un “ecologismo debole” – attento solo a strizzare l’occhio alla green economy e ad altre versioni soft e trendy dell’ambientalismo –  mi pare una soluzione equivoca e di fatto contraddittoria. Esorcizzare tout court il concetto stesso di “ideologia” come inutile fardello intellettuale o moralistico – come si è fatto in questi ultimi decenni – ha trasformato la politica in un’insopportabile e indigeribile miscuglio di banalità ed ambiguità, privando le persone di ogni prospettiva globale, collettiva e futura. Esorcizzare le ideologie, quindi, ha spianato pericolosamente ogni identità e diversità, impoverendo il confronto politico nel mentre ne personalizzava pericolosamente le scelte.
# 3 – La globalità dell’alternativa ecologista
 
Se è vero – come recita la definizione del Dizionario Italiano Ragionato (DIR) – che il termine “ideologia” indica “…il complesso sistematico di idee e principi che costituiscono il fondamento teorico di una dottrina, di un movimento culturale e politico, con un carattere normativo per quelli che vi aderiscono” , mi sembra evidente che quella Verde ne è un ottimo esempio. I suoi “valori chiave”, infatti, non sono un elenco di principi astratti e slegati tra loro, ma ipotizzano un modello di società profondamente diverso rispetto a quello cui ci siamo purtroppo assuefatti, proprio grazie alla scomparsa di ogni prospettiva realmente “alternativa”. Dare “priorità” e “centralità” alla questione ecologica, infatti, non significa estrapolarla da un contesto globale per andare a vendere il proprio “prodotto” su qualunque mercato. Vuol dire, al contrario, fare delle problematiche ambientali il cuore di una proposta complessiva, sistematica, che dia una risposta diversa alle ingiustizie, ai conflitti armati, allo sfruttamento delle risorse naturali e a quello degli esseri umani. L’alternativa dei Verdi – se le comuni dichiarazioni programmatiche hanno ancora un senso – risiede nel proporre una visione globale, in cui la tutela e promozione dell’ambiente è sì centrale e fondamentale, ma proprio perché essere ecologisti significa essere promotori di giustizia sociale, di democrazia partecipativa, di nonviolenza attiva e di uguaglianza di genere. Tutelare il valore della diversità, perseguire uno sviluppo la cui sostenibilità sia fondata sulla responsabilità dell’uomo verso le generazioni future e verso la stessa natura di cui facciamo parte, allora, non può diventare una scusa per occuparsi solo di mutamenti climatici, parchi naturali ed energie alternative, chiudendo gli occhi di fronte a ingiustizie e violenze. E questo per la semplice ragione che alla radice dello sfruttamento ambientale ci sono le stesse motivazioni, scelte e atteggiamenti su cui si fonda quello dell’uomo sull’uomo e/o di un genere sull’altro.
Tre decenni di esperienza personale come attivista per la pace, operatore sociale e militante ecologista mi hanno insegnato quello che già confusamente intuivo da sempre: non ci può essere né pace né giustizia in un mondo in cui si calpesta l’ambiente in cui si vive. Il fatto di essere anche un cristiano mi conferma in questa prospettiva, in cui la nonviolenza e la ricerca di rapporti più giusti si fonde necessariamente con la salvaguardia dell’integrità del creato. Una prospettiva in cui, viceversa, sarebbe da iprocriti preoccuparsi della sopravvivenza di specie animali e vegetali senza impegnarsi per la dignità di ogni persona umana e per l’abolizione della violenza come soluzione unica dei conflitti. Ebbene, se essere Verde significa abbracciare in un unico impegno il perseguimento di tutti i 10 principi ricordati nei documenti istitutivi richiamati sopra – ivi compreso quello per una democrazia decentrata, partecipativa e ‘dal basso’ – io continuo ad esserlo fino in fondo. Dobbiamo piuttosto interrogarci su quanto lo siano quelli che di questo aggettivo credono di possedere il copyright, e con esso il diritto di cucirsi addosso un ecologismo a loro immagine e somiglianza, con la preoccupazione di salvaguardare se stessi ed il proprio futuro in un quadro politico generale sempre più deprimente.
                                                                                (c) 2009 Ermete Ferraro

LA CASA DELLA SOLIDARIETA’

 
Conosco e stimo il prof. Amato Lamberti, docente a Sociologia della Federico II ed ex-presidente della Provincia di Napoli. Le nostre strade si sono più volte incrociate in questi ultimi vent’anni. Oltre a condividerne l’interesse ad approfondire il tessuto sociale che sta dietro i fenomeni criminali che caratterizzano la Campania, ho sempre apprezzato la sua capacità di coniugare l’impegno di docente e di ricercatore con la volontà d’incidere in prima persona sul terreno amministrativo e politico, in un movimento alternativo e propositivo come quello dei Verdi degli anni ’80.
Su Facebook – dove ci siamo incontrati di nuovo in tempi recenti – Lamberti ha lanciato ora un’iniziativa, utilizzando una delle pagine tematiche di quest’affollata community, per proporre una sorta di cantiere in cui provare a costruire insieme una “casa della solidarietà”.
L’intento è raccogliere intorno a questo denominatore comune (già nei termini contraltare alla berlusconiana “casa della libertà”) tutti coloro che “…ancora credono che ‘un altro mondo è possibile’ e che […] vorrebbero con le loro idee, le loro proposte, le loro iniziative, rendere migliore e più giusta la società, realizzando se stessi e i loro sogni, in tutti i campi. Coloro che si battono per l’energia pulita, per l’aria pulita, per l’acqua sana e nelle mani della gente, per fermare il consumo dissennato del territorio,per una industria responsabile, per uno sviluppo sostenibile.”
Ovviamente ho subito aderito a questo nuovo gruppo di discussione su FB, sia perché ne condivido largamente le finalità, sia perché mi sembra che questo momento particolare della storia politica italiana – che vede ulteriormente messo a rischio il pluralismo e quasi azzerata la capacità propulsiva dei movimenti antagonisti a questo sistema economico e di potere – richieda iniziative coraggiose anziché inutili lamentazioni, imprecazioni o recriminazioni.
E’ pur vero, d’altra parte, che questo penoso capitolo non può essere sbrigativamente liquidato, senza tentare un’analisi dei fattori che hanno determinato tale sconfortante risultato, esaltando sempre più l’individualismo cinico e baro dei ‘valori’ finanziari e condannando alla semi-estinzione ogni tentativo di porre al centro ben altri “Valori”, per dimostrare che“un altro mondo è possibile”.
I soggetti cui Lamberti lancia questo appello sono: “…non solo i delusi del mondo della sinistra e dell’ambientalismo, ma tutto il mondo dell’associazionismo laico e cattolico che tutti i giorni combattono per vedere riconosciuti i pieni diritti di cittadinanza ai soggetti più deboli ed emarginati…”.
Come potrebbe non sottoscrivere queste parole uno come me, che da trent’anni si è dato da fare per testimoniare in prima persona un’alternativa nonviolenta, ambientalista, eco-sociale e di sviluppo comunitario dal basso? Mi sento perfettamente inquadrato nel target ideale della sua proposta, sia come educatore ed operatore sociale di base, sia come attivista eco-pacifista che ha speso dieci anni per affermare non solo una politica ecologica, ma anche un’ecologia della politica.
Eppure c’è qualcosa che non mi convince del tutto. Non è certo la denominazione scelta per questa proposta, che stranamente riprende proprio il titolo che io stesso diedi, parecchi anni fa, al progetto che sintetizzava l’azione sociale della storica “Casa dello Scugnizzo” di Napoli, dove ho a lungo operato e di cui ho avuto l’onore e l’onere di essere presidente per otto anni.
E’ piuttosto il termine “cantiere” che mi lascia un po’ freddo, forse perché mi ricorda esperienze simili, quasi sempre deludenti e spesso strumentali, di convergenza di aree politiche diverse in un soggetto elettorale, per far fronte all’ennesima “batosta” e/o diaspora.
Mi lascia perplesso anche l’appello al mondo di un generico “associazionismo”, che in questi ultimi vent’anni – come Lamberti sa bene – si è geneticamente modificato, diventando un contenitore indifferenziato dove trovano posto volontariato e impresa sociale, aziendalismo cooperativista e opportunismo da furbetti del quartierino.
Mi sbaglierò, ma anche l’appello a chi cerca di “rendere migliore e più giusta la società” e a chi persegue “uno sviluppo sostenibile” mi suona un tantino generico e “politically correct”, forse per abbracciare il maggior numero di soggetti, a scapito però di un’indispensabile chiarezza.
La prospettiva d’una società solo un po’ più giusta e sostenibile – mi permetto di osservare a chi, come Amato, sa bene che non sono un estremista – rischia di avallare l’idea che, tutto sommato, non sono affatto necessarie svolte significative e scelte nette. Lo stesso concetto di “sviluppo economico sostenibile” è una specie di ossimoro, perché senza una vera “decrescita” e senza un modello profondamente alternativo di sviluppo umano e comunitario non cambia nulla.
L’altro mondo possibile – di cui parla Lamberti – non può essere che un mondo “altro”, fondato su valori e priorità del tutto opposte a quelle correnti. La stessa “solidarietà” – mi consenta l’amico Lamberti – non è una merce acquisibile come le altre, ma nasce da una logica alternativa a quella del mercato e dell’interesse individualistico che il liberismo ci ha abituati a considerare normale.
Sappiamo bene, infatti, che i soggetti non nascono “deboli ed emarginati”, ma sono resi tali da una società che esalta fanaticamente l’affermazione dei “vincenti” e che scarta impietosamente i “perdenti”, come se fossero le inevitabili “scorie” di un irrefrenabile processo evolutivo.
Un’altra piccola nota vorrei farla sull’uso un po’ convenzionale dei termini “laico e cattolico”, a proposito dell’universo dell’associazionismo cui il gruppo fa appello. Da cristiano-cattolico devo dissentire da questa banale e stantia contrapposizione, che non tiene conto né del fatto che i vari soggetti politici provenienti dal cattolicesimo hanno scelto da decenni la laicità come valore e che, in ogni caso, essere “laici” non significa smarrire le proprie radici ed i propri valori fondamentali, bensì affermarli nel rispetto del pluralismo di una società democratica e multiculturale.
Ciò premesso, ribadisco il mio sincero interesse per un confronto che non si fermi alla virtualità di una comunità della Rete, ma cominci a far dialogare persone in carne ed ossa e, perché no, gruppi che vogliano aderire a questo positivo richiamo a “fare rete” sul territorio, prima che nei cartelli elettorali.

IL POLIPO DELLA LIBERTA’

 polipo della libertà
Rieccoci alle elezioni. Le più fiacche, banali e sconclusionate degli ultimi decenni. Orfane d’idee, di un dibattito degno di questo nome e di ogni mordente che possa davvero motivare gli italiani. Tra trionfalismi ed autolesionismi, ipercopertura mediatica ed assenza d’informazioni, provincialismi molto provinciali ed europeismi molto poco europei, l’unica cosa che sembra certa è che il carrozzone del centrodestra berlusconiano gode di ottima salute, sondaggiato e omaggiato dai suoi fans e indirettamente favorito dai suoi stessi oppositori e detrattori.
Questi ultimi, infatti, non riescono proprio a parlare di qualcosa che non riguardi Colui che ormai chiama se stesso “il presidente del consiglio” (usando la terza persona come Giulio Cesare…), alimentandone la paranoia ma, al tempo stesso, le manie di grandezza.
Ma occupiamoci piuttosto del maxi-partito cui ha saputo dar vita, azzerando dopo decenni quello che restava della destra tradizionale, ma anche del liberalismo classico e del conservatorismo cattolico. Ecco allora che ciò che una volta era definito un “POLO ”, grazie al banale ma efficace raddoppiamento della prima sillaba, è magicamente diventato il “POPOLO” della Libertà: un efficace Trade Mark, capace di rispondere a due esigenze al tempo stesso.
La prima è quella di evocare negli Italiani il modello di Partito di massa, quasi del Partito nazionale – con una buona dose di populismo vagamente sudamericano – mentre la seconda, ancora più pratica, è quella di candidare il PdL a forza maggioritaria e trainante del “Partito Popolare Europeo”,  per meglio condizionarlo e guidarlo, come Ipse dixit.
La verità è che tale contenitore elettorale sembra meno tranquillo e pacificato di quanto vorrebbe farci credere il suo duce. Sotto l’apparenza unanimistica ed elettoralisticamente omogenea, in effetti, ribollono scontenti e ripicche, mugugni e propositi di rivalsa, opportunismi e consueti doppiogiochismi.
Ciò che conta, d’altra parte, è che alleati vecchi e nuovi sembrano allineati e coperti dietro il loro condottiero, ciascuno con le proprie priorità ed i propri referenti elettorali, ma tutti protesi verso una vittoria che sembrerebbe ampiamente scontata.
Ma la “gioiosa macchina da guerra” del centrodestra, anziché suggerire una partecipazione autenticamente popolare, mi sembra lasci intravedere una sorta di OGM elettorale, una creatura artificiale, frutto d’ingegneria genetica, la cui salute e tenuta nel tempo è tutta da verificare.
Se penso alla grossa “testa” che ne costituisce il vertice decisionale, unita ai molteplici ma poco robusti terminali elettorali che da essa si dipartono, mi verrebbe piuttosto da parlare di POLIPO DELLA LIBERTA’ , una preoccupante creatura che unisce l’inconsistenza ideologica di un mollusco alla tenacia tentacolare di un pericoloso predatore.
Una lunga serie di “ex” (liberali, repubblicani, socialisti e socialdemocratici, destro-nazionalisti e democristiani), uniti a federalisti e forzitalioti della prima ora, rappresentano in effetti gli otto tentacoli di questa strana creatura, il cui referente comune sarebbe la “libertà”.  Ma di quale libertà stiamo parlando? Quella per cui hanno combattuto gli Italiani che hanno “buttato il sangue”, metaforicamente o meno, per costruire le basi della nostra Repubblica, o piuttosto la determinata volontà di avere le mani libere, per continuare a realizzare impunemente e senza troppi fastidi i propri affari, più o meno sporchi…?
L’unica libertà che conta per questo popolo-polipo sembra quella di chi non vede l’ora di sbarazzarsi una buona volta di giornalisti e magistrati; di cassare disinvoltamente leggi e normative che ostacolano la libera imprenditorialità; di imbonire la mente delle persone di luoghi comuni sulla sicurezza, sul rischio-immigrati, sulla necessità di far ripartire la crescita, sull’indispensabilità di grandi opere multimiliardarie e sulla necessità di semplificare la dialettica politica e, quindi, di prefettizzare le istituzioni e di militarizzare il territorio.
Ecco, questo “polipo della libertà” lo vedrei bene “affogato”, come il classico “purpo” della tradizione culinaria partenopea. Mi asterrei, però, dal consumarne l’altrettanto tradizionale “bròro”, sicuro come sono che si rivelerebbe un brodo di coltura concentrato di ciò che, da anni, sta avvelenando la nostra repubblica ed azzerando la vera democrazia.   

PROPOSTE…DISARMANTI

 
Mercoledì scorso ho partecipato all’ incontro caratterizzato da quest’originale titolo, organizzato a Napoli dal “Tavolo Campano per gli Interventi Civili di pace”, in occasione del 29 maggio, in cui si celebra la “Giornata del Peacekeeping”.  Era da un bel po’ che dalla parti nostre non si parlava esplicitamente e qualificatamente di nonviolenza, transarmo, interventi di difesa civile, e non potevo certo mancare a questo appuntamento. E’ stata anche un’occasione per ascoltare interventi molto interessanti (come quello del prof. Pizzigallo della “Federico II” e di Fashid dell’Assopace), per riascoltare la profetica testimonianza di padre Alex Zanotelli, ma anche per incontrare dopo parecchio tempo l’amico e maestro Antonino Drago, che da alcuni anni insegna “Scienze della Pace” all’Università di Pisa e a quella di Firenze.
Le “proposte disarmanti” di cui si è parlato riguardavano in particolare il ruolo dei “Corpi Civili di Pace” (istituiti nel 1991 e confermati nel 2001 dal Parlamento Europeo, ma rimasti lettera morta, fatta eccezione per pochi stati, primo dei quali la Repubblica Federale Tedesca), altre iniziative di formazione alla nonviolenza e la promozione della “Marcia Mondiale per la Pace e la Nonviolenza” , che partirà fra 127 giorni e cui hanno finora aderito personaggi come Rigoberta Menchù, Evo Morales, Isabel Allende, Josè Saramago, Adolfo Perez Esquivel, Zubin Metha, Arun Gandhi e tanti altri.
Purtroppo non eravamo in molti a quell’incontro e pochi eravamo anche stamane, quando ci siamo visti nella “cappella della pace” di Pax Christi Napoli, per una delle cinque giornate di formazione agli “interventi civili di pace”, finalizzati alla prevenzione e trasformazione dei conflitti. Non è bastato, evidentemente, fare appello alla necessità di approfondire l’addestramento alla soluzione civile e nonviolenta dei conflitti per incuriosire e coinvolgere nuovi soggetti, benché spesso siano già impegnati e attivi in vari campi, dal volontariato alla cooperazione internazionale, dalla educazione alle battaglie per la pace e la salvaguardia dell’ambiente.
La frustrazione che deriva dalle mancate risposte a proposte formative del genere è ovvia, ma – come abbiamo verificato oggi, analizzando modalità e funzioni di uno strumento psico-sociale molto utile per chi si voglia preparare adeguatamente ad un intervento di pace – bisogna superare la naturale delusione e chiedersi quale aspetto del processo abbiamo trascurato o sottovalutato.
Il problema è che c’è troppa gente intorno a noi che ha perso la voglia di formarsi, di confrontarsi e di rivedere le proprie categorie mentali, per cui guarda con diffidenza a questi momenti di analisi e discussione, avvertendoli come una perdita di tempo un po’ accademica, una sovrastruttura teorica inutile o addirittura dannosa, nella misura in cui potrebbe ritardare o condizionare la prassi.
Eppure sappiamo bene, perché ce l’ha insegnato l’esperienza, che l’attivismo spontaneista non porta a risultati efficaci e stabili, se manca un training serio ad interventi alternativi in aree per loro natura conflittuali, che richiedono capacità di ascolto e di analisi della situazioni, ma anche conoscenza di tecniche e strumenti e capacità di gestione delle stesse azioni.
Fare interventi civili di pace, insomma, non può identificarsi con un’operatività volontaristica e velleitaria, ma richiede riflessione, addestramento ed organizzazione. Ovviamente bisogna stare attenti a non cadere nella tentazione opposta: quella, per intenderci, che ha sviluppato a livello internazionale molte esperienze accademiche di peace studies, cristallizzando spesso l’azione per la pace negli stadi della ricerca sulla pace e dell’educazione alla pace e facendola scivolare in una dimensione troppo mentalista e poco funzionale alla pratica.
Da noi in Italia – anche se sono non molti a saperlo – possiamo vantare esperienze coraggiose e qualificate sia di studi sulla pace sia di interventi di pace. Bisogna riprenderle e coordinarle, superando artificiose barriere tra matrici religiose e laiche del pacifismo, tra convinti della nonviolenza e chi non lo è. Bisogna rilanciare un movimento il più possibile unitario, facendo leva su esperienze di azioni civili di mediazione di pace che non rinuncino a diventare qualcosa di meno informale, ma si pongano l’obiettivo di strutturare un’organizzazione realmente alternativa alla difesa armata ed al peacekeeping militarizzato. “Ci sono alternative”, ripetiamo testardamente con Galtung, anche se la pseudo-informazione ed il pensiero unico vorrebbero convincerci del contrario…

VADE RETRO, DECRETINO !

 GAZZELLA UFFICIALE
Ci sono momenti in cui ci si sente talmente depressi che cresce la tentazione di non reagire neppure, di lasciarsi cadere le braccia… Si avverte nell’aria una preoccupante sensazione di crescente imbarbarimento dei rapporti civili e sociali, ma quello che sgomenta di più è la sensazione che ogni cosa, anche la più grave, venga ormai assorbita dal materasso d’indifferenza nel quale sembra che ci siamo distesi, un po’ per pigrizia mentale, un po’ per rassegnazione e conformismo.
L’impressione che se ne ricava è che la vecchia antitesi di Umberto Eco tra “apocalittici” ed “integrati” sia ormai un lontano ricordo per chi, sprofondando sempre più nella melmosa palude di un’acquiescenza imbarazzata ad un sistema apparentemente senza alternative, non si preoccupa nemmeno più di simulare un’opposizione o una parvenza di coerenza tra idee e azioni.
I pochi che,come me, cercano di parlare ancora di decrescita, di energie rinnovabili e pulite, di difesa non armata, di tutela della diversità biologica e culturale, di finanza etica, di partecipazione diretta dei cittadini e di altre tematiche una volta considerate “alternative”, più che “apocalittici” sembrano essere diventati i classici “prophetae clamantes in deserto”.
Eppure non bisogna essere dei rivoluzionari per rendersi conto che ciò che avviene intorno a noi è molto più di una serie di decisioni consequenziali alla scelta politica di fondo che la maggioranza degli elettori italiani hanno fatto, diventando inquilini della “casa delle libertà” e trovandosi ora irregimentati come “popolo della libertà”. Non credo che si tratti solo di normale e democratica alternanza di governi, ma di una preoccupante omologazione della nostra classe politica ad un modello standardizzato di società e di democrazia e, in fondo, ad un pensiero pressoché unico e pervasivo, nella sua devastante banalità.
La cosa più odiosa, dal mio punto di vista, è che questa mutazione genetica della nostra gente – che la sta privando di qualsiasi originalità e specificità culturale ed etico-politica – la sta rendendo di fatto anche incapace di cogliere le profonde contraddizioni tra le decisioni assunte dal governo ed i pretesi “valori” che sarebbero alla base di quelle scelte.
Solo la penetrazione nelle nostre menti del subdolo “bis-pensiero” preconizzato da Orwell più di 60 anni fa, infatti, può spiegare il fatto che in nome della libertà si decidano provvedimenti liberticidi; in nome del progresso si insista su scelte scientificamente e tecnologicamente fallimentari e, in nome della sicurezza e della pace, si vadano ad imboccare strade che portano esattamente dalla parte opposta, alimentando insicurezza e uno stato di guerra infinita.
La marea montante di diffidenza, di paura, di sospetto che sembrerebbe giustificare una serie di provvedimenti palesemente contrari ai diritti umani fondamentali, d’altra parte, è la dimostrazione che gli Italiani si stanno bloccando in un’ottica ristretta e miope, che li porta a chiudere gli occhi sulla perniciosa e supina dipendenza del nostro Paese dai centri di potere mondiali, per aprirli invece sulla presunta “minaccia” derivante da una società multietnica e multiculturale, che peraltro è già una realtà incontrovertibile a livello internazionale.
Rimbambiti dai “talk show” e dal voyeurismo delle fattorie e delle case-del-grande-fratello, sembra infatti che non vogliano accorgersi che il vero “Big Brother” ci spia, ci controlla e ci condiziona ogni giorno e in ogni circostanza, riducendoci a pedine passive di un progetto che prevede l’unica libertà di consumare e di spendere, senza neanche riuscire a garantire che tutto ciò sia reso possibile da un lavoro decente e minimamente stabile e da un ambiente di vita minimamente salubre e sicuro.
Beh, che il diritto alla salute, allo studio, al lavoro, all’accoglienza e alla partecipazione democratica non stessero di casa nella “casa delle libertà” lo avevamo già capito da un po’. Sarebbe stato legittimo attendersi, d’altra parte, una reazione più apprezzabile e ferma al tentativo di trasformare il nostro Paese in uno stato poliziesco e militarizzato, dove perfino discariche ed inceneritori per smaltire la nostra assurda spazzatura consumistica possono essere imposti “manu militari”. in nome della sicurezza nazionale !
Certo. un po’ tutti lo avevamo già capito che la Carta costituzionale della nostra repubblica non andava a genio ai nostri governanti e perfino a qualche loro predecessore, però non sembrava così scontato che in Italia si potesse calpestare impunemente la Costituzione, le normative ordinarie ed i regolamenti liberamente scelti, in nome di una decisionalità di vertice ed a colpi di decreti, accordi di programma in deroga e commissariamenti straordinari anche di materia ordinarie.
La “prefettizzazione“ della politica sembrerebbe essere la via maestra imboccata dagli ultimi governi per risolvere i problemi dell’ordine pubblico, quelli ambientali e quelli sociali, alla faccia del diritto ad un normale confronto democratico e, ovviamente, di qualunque coinvolgimento reale dei cittadini in decisioni che pur li toccano molto da vicino. Provvedimenti come il respingimento preventivo dei flussi di migranti (clandestini e profughi che siano), l’istituzione di corpi di polizia paralleli a quelli ufficiali e perfino la decisione di ritornare all’infausta opzione nucleare, del resto, possono essere imposti solo bypassando i percorsi legislativi ordinari ed adottando a ripetizione la soluzione dei decreti-legge, meglio ancora se blindati da un voto di fiducia. Non che il dibattito parlamentare risulti molto più esaltante ed edificante… Quello che è certo è che agire per le vie brevi rafforza la sensazione di un esecutivo forte e coeso ed evita anche all’opposizione penosi contorsionismi verbali per raggiungere discutibili mediazioni, anziché dare sul serio battaglia contro questo genere di provvedimenti.
Ma, a quanto pare, qualcosa si sta muovendo. Di fronte all’anticostituzionale decisione governativa di costruire nuove centrali nucleari in Italia, senza il previsto consenso delle Regioni, perfino un personaggio di vertice come il presidente della regione Puglia, Nichi Vendola, ha dichiarato rabbiosamente: “Credo che dovranno ingegnarsi molto a immaginare le forme di occupazione militare del territorio, perché la ribellione della Puglia sarà rabbiosa e radicale".
Perbacco! Forse qualcuno si sta accorgendo, anche se un po’ tardi, che il preteso “federalismo” del centro-destra è solo un pretesto per arricchire i ricchi ed impoverire i poveri e che militarizzare la politica è già prassi consolidata, ma comunque meglio tardi che mai! Vuol dire che quelli come noi si sentiranno un po’ meno soli a combattere contro la civiltà delle discariche e del nucleare, a contrastare l’imbarbarimento della convivenza civile e ad opporsi alla distruzione programmatica di ogni competenza statale in materie essenziali come la sanità, l’educazione e i servizi sociali.
 Bando quindi alla depressione e cerchiamo di reagire, di resistere, in nome di quei valori che non si contrattano in borsa e che ci costringono a prendere delle decisioni e fare delle scelte. Forse non saremo in tanti o comunque non abbastanza per cambiare le cose, ma facciamo sapere al popolo dei “decretini” che su noi non possono e non potranno mai contare !