#Nonfossilizziamoci!

downloadQualche volta mi chiedo perché non sono come tanti altri amici che, beati loro, riescono ad occuparsi di una sola questione, per cui il loro impegno è certamente più continuativo ed efficace. Il fatto è che la mia natura mi porta a stabilire delle relazioni fra le cose di cui mi capita di occuparmi, per ragioni di lavoro o per scelta personale. Ciò comporta che, fin dagli anni ’70,  il mio impegno non si è limitato all’opposizione a guerra e militarismo in chiave di obiezione di coscienza, resistenza nonviolenta e difesa alternativa. Già allora, infatti, non mi sfuggivano gli aspetti sociali e quelli ambientali connessi ai conflitti bellici e questo mi ha consentito di approfondire la mia analisi e d’impegnarmi, in seguito, anche in questi altri due ambiti d’azione.

Ecco perché, a distanza di 40 anni, continuo testardamente a cercare connessioni fra problematiche diverse, anche se questo rende forse più dispersivo il mio intervento, costringendomi a seguire questioni apparentemente distinte e separate. In un’ottica eco pacifista ed eco sociale, però, le cose risultano molto più intrecciate e richiedono risposte coordinate. Ciò è possibile, però, solo se si ha alle spalle una visione globale, un sistema di valori, insomma, un pensiero forte. E’ possibile, soprattutto, se riusciamo a sconfiggere il pensiero unico e le semplificazioni di una politica volgarizzata ad esercizio del potere, privo d’idee ma soprattutto di vere idealità.

Il mio slogan #nonfossilizziamoci – ripreso nel titolo – è quindi un invito ad uscire dalla logica approssimativa dei luoghi comuni, delle finte evidenze, delle contrapposizioni insanabili e delle soluzioni inevitabili. L’appello a non fossilizzarsi – oltre ad alludere ovviamente alla campagna referendaria per il Sì contro le trivellazioni sine die nelle acque territoriali italiane – è allora un generale e pressante richiamo ad esercitare le proprie facoltà di analisi e di giudizio, anziché affidarci alle chiacchiere interessate diffuse dai media ed alle semplificazioni che fanno comodo solo a chi cerca di non farci pensare con la nostra testa.

Non fossilizzarsi vuol dire quindi anche rifiutare la colpevole faciloneria di chi ci dice che rinunciare alle risorse fossili nazionali per acquistarle da altri sarebbe una follia ed uno spreco assurdo, sapendo bene che, viceversa, una vera pazzia è proprio insistere nel raschiare il barile in esaurimento di tali risorse, in totale contraddizione con gli impegni assunti per invertire la rotta, sì da scongiurare gli effetti catastrofici dei cambiamenti climatici. Non fossilizzarsi significa uscire dalla logica della dipendenza da fonti energetiche che ci hanno portato all’insostenibilità ecologica, minacciando interi ecosistemi ed inquinando mari e terre, solo per mantenere in piedi un modello di sviluppo energivoro e profondamente iniquo.

#Nonfossilizziamoci!  è il grido di chi ha capito da tempo che rincorrere ancora petrolio e gas naturale è solo un bieco regalo alle multinazionali ed un insopportabile ostacolo alla valorizzazione delle fonti energetiche rinnovabili, pulite e disponibili per tutti, come il sole il vento e l’acqua. E’ questo il nodo da superare se vogliamo davvero andare verso quella “Civiltà del Sole” che non si esaurisce banalmente in una maggiore diffusione di sistemi fotovoltaici o di impianti eolici sul nostro territorio, ma è una visione più ampia e globale, che comprende concetti come efficienza, risparmio, democrazia energetica, autogestione delle risorse del territorio.

#Nonfossilizziamoci significa anche: non ostiniamoci a ragionare con la mentalità di chi crede ciecamente che il progresso tecnologico risolverà sempre e comunque i problemi che la stessa tecnologia sta creando, se non è ispirata al senso del limite ma guidata solo dall’avidità e dalla voglia di sfruttare a proprio piacimento la natura e le persone. Non è un caso che fossilizzarsi vuol dire rinunciare alla naturalità per una rigidità che è la negazione stessa della vivacità. Basta sfogliare un qualsiasi dizionario per rendersi conto che ciò che si fossilizza è ridotto da organismo vivente allo stato di minerale. Fossilizzarsi – ci spiega qualunque lessico – equivale a ‘sclerotizzarsi’, a ‘fissarsi su schemi rigidi’, ad ‘assumere una forma rigida e definitiva’, a ‘fissarsi su idee e principi antiquati, rifiutando qualsiasi rinnovamento’.

Gli innovatori, pertanto, non sono certo quelli che difendono a spada tratta la scelta delle trivellazioni petrolifere e di gas naturale. Il loro, infatti, è un modello di sviluppo economico e sociale ‘fossilizzato’ in una visione rigida e chiusa al nuovo; ancorato ad equilibri internazionali che ci vedono subalterni; difeso da aggressioni neocoloniali e da guerre infinite. Già, perché una forma meno evidente di ‘fossilizzazione’ delle dinamiche politiche è la supina dipendenza da quel complesso militare-industriale che non si limita a produrre ed esportare armamenti, ma coltiva vecchie conflittualità ed alimenta cinicamente occasioni per nuovi conflitti armati.

#Nonfossilizziamoci!  è anche un invito pressante a smetterla di ridurre la politica a mero  giacimento da cui estrarre profitti e posizioni di potere. Dobbiamo opporci ad un futuro per i nostri figli e nipoti che si presenta sempre più inquinato da cemento e catrame, ma anche ad un modo di gestire la cosa pubblica che la sta trasformando sempre più in affare privato, quando non in ‘cosa nostra’. Una civiltà ‘solare’  è dunque anche quella che restituisce alle persone ed alle comunità il potere di scegliere, di decidere al livello più prossimo, di sperimentare forme nuove e alternative di economia e socialità, su scala minore e più gestibile a livello locale.

Non fossilizzarsi, infine, è un richiamo alla responsabilità, al rispetto della vita e della biodiversità, all’importanza del dialogo e del confronto. E’ uno stimolo a ricercare modalità nuove e prive di violenza per capire e risolvere i conflitti, per uscire da logiche assolutiste ed integraliste, per contrapporre la vita e la trasformazione naturale alla rigidità intollerante di chi vorrebbe farci credere che esiste un solo pensiero, una sola lingua e, in prospettiva, un solo ‘grande fratello’. Certo, la fossilizzazione è sì un processo di conservazione di determinate realtà, ma ciò avviene a spese della loro natura biologica, cioè facendole morire. I termini scientifici che descrivono tale processo, ad esempio, sono: decomposizione, disarticolazione, distruzione chimica biologica e meccanica, alterazione. Ma a noi non serve conservare qualcosa a condizione di farla morire o di cristallizzarne in modo statico la realtà.

Nel Vangelo secondo Matteo troviamo, fra gli altri, questo sconcertante episodio: “Uno dei discepoli gli disse: ‘Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre’: E Gesù gli disse: ‘Seguimi e lascia che i morti seppelliscano i loro morti’…” (Mt 8:21). Ebbene, lasciando stare le considerazioni di ordine teologico – anche se anche fanno parte di quel pensiero globale che mi porta a ragionare complessivamente sulle cose – questo passo credo che possa farci riflettere sulla necessità di rompere gli schemi mentali per aprirsi ad una logica diversa e ad un’etica più radicale. Lasciare che i morti seppelliscano i loro morti è un imperativo che può sembrare spietato, ma che in realtà esalta la libertà dell’uomo, richiamandolo ad impegnarsi per la vita invece di bloccarsi nella logica della morte. Ecco perché, parafrasando Matteo, possiamo traslare così il senso del brano:  “Lasciamo che sia chi si è fossilizzato a disseppellire i suoi fossili”. Noi no, perché siamo per la difesa della vita, della natura, della biodiversità e di tutte le ricchezze per le quali Francesco d’Assisi ‘laudava’ e benediceva il Creatore che, come ha proclamato lo stesso Gesù: “…non è il Dio dei morti, ma dei viventi” (Mc 12:27).

© 2016 Ermete Ferraro (http://ermetespeacebook.com )

SOL PERCHE’…

Come trasformare il Sole da nemico in alleato

di ERMETE FERRARO (*)

downloadSOL PERCHÉ l’attenzione globale resta focalizzata sul terrorismo più che sui terribili scenari che si prospettano a livello ambientale, non possiamo accettare che l’opinione pubblica non  sia cosciente che alla Conferenza di Parigi sul Clima ci stiamo giocando  gran parte del nostro futuro.  Del resto, non sembra esserci sufficiente coscienza neppure del fatto che lo stesso terrorismo ha origine in fenomeni per nulla estranei al modello di sviluppo attuale ed al disastro che sta provocando sugli ecosistemi, comportando cambiamenti climatici a livello planetario. I Grandi della Terra (che come USA e CINA del nostro pianeta sono soprattutto i più grandi inquinatori) hanno pochi giorni per raggiungere un’intesa sui provvedimenti da adottare per contrastare i cambiamenti climatici globali.  Ma è in gioco la Terra e l’intera umanità, non la supremazia di uno Stato o di una federazione rispetto agli altri, per cui una tal partita deve coinvolgere tutti noi, che non possiamo restarne spettatori. Anche se i media insistono sugli accordi di vertice raggiungibili in quella sede, dobbiamo quindi far sentire la nostra voce, possibilmente anche a nome di tanti altri esseri non umani, che non hanno alcuno strumento per far valere il loro diritto alla vita. Ecco perché agli appelli  a far presto e bene – fra cui quello, accorato, di Papa Francesco sulla ‘cura della casa comune’  – dovrebbero seguire scelte inequivocabili, non compromessi pasticciati o mere promesse.

SOL PERCHÉ tali promesse sono presentate come  vere e proprie rivoluzioni, non illudiamoci che siano sufficienti a fronteggiare  i disastri ambientali di cui siamo già testimoni. Gli impegni prospettati finora dai 180 stati partecipanti a COP21, infatti, non assicurano affatto il contenimento a 1,5-2 gradi del riscaldamento globale, ma rischiano di portarlo, entro il secolo, a +2,7 gradi. Non possiamo assistere impotenti a questo assurdo mercanteggiare sulla possibilità di distruggere gli equilibri sul nostro pianeta, soprattutto se le soluzioni ci sono da decenni e manca solo la volontà politica di praticarle. La biosfera è un bene comune dell’umanità e nessuno ha il diritto di accaparrarsi le risorse naturali e di mettere in forse la sopravvivenza di milioni di esseri umani, oltre che di animali e di piante. La realtà, però, è che c’è ancora chi pretende di monopolizzarle, se sulla nostra Terra si registrano ben 79 conflitti determinati da cause ambientali, di cui 19 valutati di intensità altissima (4/4).  Il legame tra una politica energetica predatoria e la ricerca di un’egemonia economica e politica attraverso una guerra combattuta ‘a pezzi’, con crimini, massacri, distruzioni – per citare il Pontefice – è ormai evidente ed oggettivamente scandaloso. E’ indispensabile far crescere la coscienza collettiva di questo perverso rapporto e bisogna mobilitarsi contro un modello di sviluppo che persegue una crescita illimitata, incompatibile con gli equilibri ecologici, imponendosi con le armi ma anche col falso mito del progresso tecnologico che risolve ogni problema e col modello di vita globalizzato delle ‘monoculture della mente’.

86855548_gettyimages-494954212SOL PERCHÉ ci mostrano il Sole come la causa del riscaldamento globale e dei suoi guasti ambientali, non dobbiamo vederlo come un nemico. Esso, al contrario,  è la fonte stessa della vita del nostro pianeta e la nostra più grande risorsa energetica. Questa verità è di per sé evidente e, del resto, perfino gli stati più inquinatori – fra cui USA  e Cina – stanno facendo grandi progressi in direzione di una valorizzazione di questa immensa risorsa energetica. Ma mentre i ‘grandi’ possono permettersi di premere contemporaneamente sul pedale sia delle fonti fossili sia di quelle rinnovabili,  a partire proprio dal solare, agli stati minori non è facile seguirne l’esempio. Svanita bruscamente l’illusione dell’energia nucleare,  troppo spesso si sta ripiegando sulla folle politica delle trivellazioni, per raschiare il fondo del ‘barile’ delle risorse fossili. Però la stessa rivoluzione del Solare non può essere confusa con la pura e semplice diffusione della tecnologia fotovoltaica, se la costruzione di centrali solari ed il fiorire selvaggio d’impianti del genere non tengono conto del loro impatto ambientale o non modificano le modalità di produzione e distribuzione dell’energia elettrica.  Sebbene realtà geopolitiche enormi come il Brasile o la stessa Cina si dichiarino pronte a ricavare sempre più energia dal Sole, non è detto che si realizzi una vera rivoluzione ‘elio-centrica’, se il modello produttivo e distributivo resterà centralizzato e porterà l’ambiguo marchio delle majors dell’inquinamento globale. Il rischio d’un nuovo colonialismo energetico – sfruttando il sole con megacentrali  nei deserti del nord-Africa per esportare elettricità magari in Germania – potrebbe in effetti avere conseguenze negative, confermando un modello predatorio causa di danni e conflitti.

SOL PERCHÉ ci fanno sapere che in  Italia l’energia da fonti rinnovabili copre il 20% della richiesta e rappresenta addirittura la prima fonte di generazione elettrica (43% della produzione nazionale lorda), questo incoraggiante dato non rappresenta ancora l’affermazione d’un nuovo modello energetico. Resta il grave problema dei trasporti e della produzione di calore (il settore termico impiega il 50% del fabbisogno energetico) ed il solare in senso stretto non supera il 20% delle fonti rinnovabili impiegate (contro il quasi 48% dell’idroelettrico). Insomma, al di là dei trionfalismi,  la realtà è che il nostro ‘Paese del Sole’ si limita ad utilizzare tale risorsa in una percentuale inferiore all’8% (dati Terna 2014). D’altronde, perché il Sole non resti una risorsa energetica tra le altre ma rappresenti un’alternativa reale ed effettiva, bisogna cambiare in primo luogo la stessa idea di ‘sviluppo’. In caso contrario, sarà difficile far accettare ai paesi del c.d. Terzo Mondo (le developing countries) che ci si accorda per ridurre le emissioni proprio quando essi cominciano a produrre ed a consumare come noi abbiamo fatto finora, senza troppi scrupoli. Se invece con ‘sviluppo’ si continuerà ad indicare un indefinito progresso tecnologico ed una crescita esponenziale dei consumi, sarà impensabile invertire la marcia e scongiurare l’incombente catastrofe ecologica.

PERCHÉ IL SOLE diventi il punto centrale della ‘Civiltà’ auspicata da Antonio D’Acunto, cui è ispirata la proposta popolare di legge regionale che due anni fa è diventata legge in Campania, non ci si può accontentare di un puro e semplice incremento della percentuale di elettricità ricavata da quella fonte. Occorre ripensare collettivamente e responsabilmente un modello alternativo di sviluppo, fondato sul controllo democratico e decentrato delle risorse e sulla scelta prioritaria delle fonti rinnovabili, non solo perché ecologiche, ma anche diffuse, non monopolizzabili e gestibili dalle comunità locali. Ebbene, in Campania eravamo riusciti a far approvare all’unanimità dal Consiglio Regionale una legge rivoluzionaria in materia energetica, per aprire il capitolo di uno sviluppo alternativo ed eco-compatibile. Purtroppo il colpevole immobilismo della Giunta –dopo l’iniziale tentativo di boicottare la  L.R. n.1/2013 (Cultura e diffusione dell’energia solare il Campania), le hanno impedito di produrre almeno in parte i suoi effetti.  Eppure la Campania avrebbe potuto essere la regione-leader d’una pianificazione energetica decentrata, contrastando non solo assurdità come trivellazioni in mare e geotermia selvaggia, ma anche un uso del fotovoltaico e dell’eolico spesso irrispettoso delle risorse agricole e degli equilibri ambientali, in quanto improntato a mera speculazione o ad operazioni di dubbia trasparenza.

PERCHÉ IL SOLE diventi davvero il simbolo di quella ‘civiltà’ più equa, pacifica ed ecologica che tanti di noi auspicano, dobbiamo quindi fare molti passi avanti. La Conferenza di Parigi è l’ultima spiaggia per portare a casa almeno dei risultati parziali per un contrasto dei cambiamenti climatici. Non è pensabile, però, che il futuro dell’intera umanità –e del nostro stesso pianeta – dipendano solo dalle mediazioni in corso e dal dosaggio delle parole che sanciranno i protocolli che dovrebbero impegnare gli stati partecipanti. Deve aumentare il livello di consapevolezza ambientale dei cittadini e si devono praticare tutte le possibili soluzioni per ridurre le emissioni, partendo dal risparmio energetico ed usando modelli di produzione e di consumo a basso impatto energetico. Perché il sole non è certo il nemico da battere, ma il nostro più grande alleato nella lotta al surriscaldamento globale. La “Civiltà del Sole” che noi proponiamo consente a tutti di affermarsi, come persone e come comunità, utilizzando un bene comune a vantaggio di tutti. Perché  ‘messor lo frate Sole’  di san Francesco –  bellu e radiante cum grande splendore” – è il simbolo stesso della vita; una sorgente inesauribile di energia che non ha padroni ma solo fruitori. Perché il Sole è il nostro futuro e non vogliamo che la compromissione degli equilibri ecologici scippi tale futuro a noi ed ai nostri figli e nipoti.

 (*) Ermete Ferraro, ecopacifista, è il Presidente della Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità   (http://www.laciviltadelsole.org  ) .                                                                                               ————————————————————

© 2015 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )

Ciao, Antonio…

“…le stagioni nel sole finiscono, lo sai,
proprio quanto ti accorgi di amarle più che mai,
ma tu vivile sempre, e vivile per me,
le stagioni nel sole continuano con te.”

Roberto Vecchioni, Le stagioni nel sole 

antonio 4Carissimo Antonio…

Mi era già capitato di scrivere una lettera ad un grande amico da poco scomparso.[1] Quel 13 febbraio di 6 anni fa rivolgevo il mio pensiero a Mario Borrelli, inascoltato profeta di un vangelo al servizio degli ultimi e di un vero lavoro sociale di comunità. Oggi l’interlocutore di queste riflessioni sei tu, che come Mario mi sei stato padre e maestro e che troppo presto ci hai lasciato, per un male che ha fiaccato le tue ossa ma non il tuo vitalissimo entusiasmo e la tua incrollabile fiducia in un cambiamento vero, profondo, “alla luce del Sole” .

A darti l’estremo saluto, domenica 28 dicembre nel Duomo di Napoli, c’erano centinaia di persone che ti hanno voluto bene e che in questi decenni hanno apprezzato le tue eccezionali doti di umanità e la maniera ispirata e profetica con cui sapevi fare Politica con la maiuscola.  Ma se avessero potuto partecipare tutti quelli a cui hai rivolto il tuo sorriso incoraggiante e che hai aiutato a crescere, la stessa Cattedrale non sarebbe stata capace di contenerli, perché l’intera città – ed anche la regione – devono tantissimo al tuo instancabile impegno civico, sociale ed ambientalista.

Certo, come nel caso di Mario Borrelli, è triste constatare che la riconoscenza si esprima quando è troppo tardi, ma tu sei troppo al di sopra di queste cose e, pur sentendo il forte impulso a creare un movimento forte e numeroso, non hai mai valutato i risultati del tuo lavoro dal numero di quelli che ti battevano le mani.  Del resto, lo sai, i veri profeti sono sempre inascoltati e, in fondo, lo si può anche capire, visto che hanno la capacità di vedere talmente lontano da poter a stento essere seguiti e compresi da tutti. Forse non é stato un caso che tra i brani letti durante la celebrazione uno in particolare esaltasse Abramo come simbolo dell’uomo di fede, quello che crede a ciò che gli è stato rivelato, al di là di ogni apparenza e probabilità. In particolare san Paolo, nella Lettera agli Ebrei, celebrava questa straordinaria capacità del patriarca:

«Fratelli, per fede, Abramo, chiamato da Dio, obbedì partendo per un luogo che doveva ricevere in eredità, e partì senza sapere dove andava. […] Per questo da un uomo solo, e inoltre già segnato dalla morte, nacque una discendenza numerosa come le stelle del cielo e come la sabbia che si trova lungo la spiaggia del mare e non si può contare…» [2]

Caro Antonio, anche tu sei partito senza sapere dove saresti arrivato, pieno di fede, di speranza e di calorosa empatia per chi hai incontrato lungo la strada. Certo, quelli che hanno seguito il tuo esempio non sono stati numerosi ‘come le stelle del cielo’, ma non si può negare che molte tue intuizioni, col passare del tempo, abbiano dato vita a grandi realizzazioni ed abbiano mobilitato moltissime persone. Sono stati, purtroppo, molti di meno quelli che ti hanno seguito sulla strada del rigore morale in politica e del tuo idealismo con i piedi per terra, ma è pur vero che in tanti hanno comunque abbracciato le tue idee e seguito le tue orme, attratti dal tuo esempio.

Nel suo messaggio, il Sindaco de Magistris ti ha efficacemente tratteggiato con poche parole:

« Un uomo mite, generoso, umile, un passionario, un gran combattente. Un uomo perbene. Un amico.»

Anche Antonio Piedimonte [3], nel titolo del suo articolo per il Corriere del Mezzogiorno,  ti ha definito “guerriero sorridente”. Al di là del linguaggio bellico nel quale troppo spesso si casca in politica – e che a me pacifista non piace –  bisogna ammettere che, se non guerre, quanto meno un sacco di battaglie le hai combattute, con la passione di chi ci crede davvero. Lotte democratiche e non violente, costantemente ispirate dalla tua profonda fede nel cambiamento. Ma non un cambiamento qualunque, come vorrebbero farci credere i politicanti d’oggi. Ciò di cui ti sei fatto promotore nasceva sempre da grande rispetto ed amore per l’umanità e per la natura, dalla cui sterile contrapposizione fosti capace di uscire quando i tuoi compagni di strada ne restavano prigionieri.  Quella stessa fede, che ti ha portato a batterti per una società più giusta solidale ed ecologica, si è manifestata nella tua religiosità  profonda quanto laica – come ha sottolineato padre Alex Zanotelli nel suo intervento – ma, sul piano personale, nella tua incrollabile speranza di riabbracciare finalmente la tua amatissima compagna Ileana. E’ la stessa profonda fede noi, i tuoi amici e compagni di sempre, abbiamo voluto onorare salutandoti per l’ultima volta col canto di“Bella ciao” sul sagrato del Duomo. La voce era incrinata dalla commozione, ma sono certo che quell’insolito coro, che faceva girare stupiti i frettolosi passanti, ti sarà piaciuto…

L’ecologia sociale di un ‘irriducibile ambientalista’

«…Antonio D’Acunto,  uno dei padri dell’ambientalismo in Campania, in un certo senso ha riunito le sue due anime: l’uomo di fede e il vecchio compagno che aveva messo da parte la falce e martello quando aveva scoperto che il partito aveva un’idea diversa dalla sua sull’ecologia e in particolare sul nucleare. Fu proprio la questione dell’energia atomica, infatti, la goccia che fece traboccare il vaso e spinse il brillante ingegnere dell’Enel che si era fatto apprezzare tra i quadri del Pci verso un’altra, diversa militanza…» [4]

Sì, caro Antonio, la questione nucleare fu la vera scelta dirimente e tu, allora, trovasti il coraggio per scegliere la strada più difficile, in modo da restare fedele alle tue convinzioni. Questa decisione, lo so bene, ti è molto costata. Tu, infatti, hai sempre creduto in un grande partito che incarnasse le ragioni di quel comunismo che non hai mai rinnegato. Ti aspettavi però una seria svolta in materia ambientale che invece non ci fu e così la frattura si determinò fatalmente su quel ‘nucleare civile’ che era frutto della retorica degli ‘atomi per la pace’.

Fu allora che decidesti d’imboccare una strada diversa, originale ed ancora inesplorata. Hai perciò dato vita ad un movimento ambientalista forte e determinato, che non si limitava a proteggere la natura ma si proponeva anche di rivalutare l’ambiente urbano e le sue grandi risorse culturali ed artistiche. Si trattava di quella che più tardi qualcuno avrebbe chiamato ecologia sociale [5] e che rientrava nell’ambito d’un impegno ambientalista ispirato dall’ecologia umana, per affermare i valori della civiltà, pur archiviando la vecchia visione antropocentrica del mondo.

« La verità  – ha scritto il tuo vecchio amico Nicola Lamonica in un articolo che ti ha dedicato – è che Antonio è qualcosa di più,  poiché ha saputo uscire dalla mediocrità ed ha motivato la sua vita  superando gli steccati ideologici,  non rinunciandone comunque all’essenza  e confinando le proprie idee  filosofiche, storiche e culturali in un nuovo progetto, la cui sintesi è rintracciabile nella Sua dinamicità costruttiva, nei suoi mille interventi scritti e nella saggezza del  Suo fare e del  Suo dire,  con parole semplici ma profonde  che lo hanno reso popolare e paziente, democratico e rivoluzionario, studioso e progettuale.» [6]

E’ proprio così. Chiunque ti abbia conosciuto restava inevitabilmente colpito dalla grande tensione etica e dalle profonde motivazioni filosofiche e politiche delle tue proposte. Allo stesso tempo, però, era impossibile non essere travolti dal tuo straordinario entusiasmo pragmatico, dalla tua irrefrenabile voglia di concretizzare le idee in un progetto.

Un“irriducibile ambientalista” sei stato definito in una nota delle U.S.B. [7] ed un articolo di “Contropiano” ti ricorda com:

un comunista scomodo”, quello « storico militante marxista ed ambientalista […] (che) a Napoli si è sempre opposto a tutti i progetti di devastazione e di ristrutturazione urbanistica e territoriale dall’evidente segno antisociale (e che)…ha sempre contribuito alle variegate esperienze politiche e sociali che si sono prodotte negli ultimi anni, portando il suo contributo di sapere e di competenza tecnico/scientifico».[8]

Sì, perché è inutile negare che il tuo rigore morale e la tua intaccabile coerenza politica erano oggettivamente scomodi, se non fastidiosi, per i troppi mediocri che della politica hanno fatto un mestiere e vorrebbero farci credere che l’unica cosa che conta è l’affermazione personale.

La verità è che proprio tu – mite generoso e umile, per citare de Magistris – sei stato un vero leader, la persona cioè che ha saputo valorizzare e mettere insieme tanti altri e trasmettere loro la carica, per realizzare il progetto ambizioso che solo un visionario come te poteva immaginare.

Il tuo grande merito è stata la tua eccezionale capacità di rendere quel progetto davvero globale, uscendo dalle secche della frammentazione e del pragmatismo miope che caratterizzano la nostra epoca, che ha smarrito la visione d’insieme, il senso della complessità e dell’interrelazione su cui, viceversa, si fonda l’approccio ecologista alla natura ma anche alla società.

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Con gli occhiali della mente, per guardare lontano…

Non è certo un caso che il simbolo di quella tua lungimiranza sono stati i tuoi famosi occhiali portati sulla fronte, che ti hanno caratterizzato negli anni come una specie di marchio di origine controllata delle tue idee:

«… quasi a dire di coinvolgere anche la vista della mente e di tutto te stesso, e il cuore, nello sguardo sul mondo e sulla vita, per custodirli e farli migliori, per tutti…»[9]

E d’intuizioni ne hai avute davvero tante, proprio perché sapevi guardare lontano, ma anche intorno, riuscendo a cogliere le potenzialità enormi di un territorio e di un popolo mortificati da decenni di malgoverno, speculazione edilizia, perdita del senso della comunità, incredibile noncuranza per i valori dell’ambiente. Antonio Piedimonte, nel suo articolo, ha puntualmente ricordato tutte le tue grandi battaglie, da quella contro l’abusivismo edilizio a quella che ha portato a tutelare i parchi naturali regionali, passando per le campagne ambientaliste per salvaguardare e valorizzare i tesori della “Napoli negata” ed quelle per cancellare il concetto stesso di periferie, superandolo nella visione di una città multicentrica, che sapesse valorizzare il protagonismo dei cittadini.

Come primo presidente di quella che allora si chiamava “Lega per l’Ambiente” [10] sei riuscito ad aggregare moltissime persone intorno ad un progetto di rinascita di una città e di una regione che non volevano rassegnarsi al degrado ed alla perdita d’identità sociale e culturale. Lo stesso spirito combattivo e la stessa risoluta determinazione sei riuscito a portare tra i banchi del Consiglio Regionale della Campania, dove non solo hai saputo dimostrare come si può fare politica altra e alta, ma hai potuto sviluppare in forma legislativa le tue grandi intuizioni.

Pochi ormai ricordano che sei stato colui che ha promosso e fatto approvare la legge sui parchi regionali e che sei stato anche il relatore ed ideatore della legge che segnava una svolta epocale in materia di raccolta e trattamento dei rifiuti. Nessuno che ti abbia affiancato in quegli anni, però, potrà dimenticare la tua incredibile capacità di coinvolgere un’aula spesso distratta nelle grandi battaglie civili ed ambientali, travolgendo col tuo contagioso entusiasmo anche i più tiepidi e perfino gli oppositori politici.

Il nostro incontro è stato segnato dalla mia uscita dai Verdi – che pur avevo contribuito a far nascere a Napoli – e dalla tua grande apertura verso una persona con cui forse avvertivi un’affinità ideale. E’ dal 1995, con la mia simbolica candidatura a presidente della Provincia di Napoli per i Verdi Arcobaleno, che è nato un affettuoso sodalizio che è continuato fino a pochi giorni fa, quando ti ho salutato con una carezza sul tuo letto d’ospedale, non immaginando che sarebbe stata l’ultima.

Il comune amico Pasqualino, insieme ad una bellissima foto che ti ritrae sorridente con una tua nipotina, mi ha mandato il link ad una bella canzone di Roberto Vecchioni. L’ho ascoltata e mi è venuto un groppo alla gola, soprattutto sentendo le prime parole:

«Addio per sempre, amico mio / ne abbiam passate di stagioni al sole / da far invidia a chi so io / ne abbiam cantate di illusioni / fino a sembrare due coglioni…».[11]

Da allora, anche noi due ne abbiamo passate di “stagioni al sole”, da quella dell’associazionismo ambientalista con V.A.S. [12] a quella, appunto, che al Sole direttamente s’ispira, per promuovere una vera e propria Civiltà alternativa. La stagione più appassionante che abbiamo vissuto insieme è forse stata quella per diffondere e salvaguardare la diversità biologica e culturale, dedicando a questo impegno vari anni d’impegno con VAS  ed organizzando ben cinque edizioni della “Festa della Biodiversità, di cui tu sei sempre stato giustamente orgoglioso.

Per la Civiltà del Sole

Un’altra tua straordinaria intuizione è stata quella di una proposta di legge popolare che potesse portare la statica e disastrata Campania a diventare la prima Regione che si desse una normativa ispirata alla scelta prioritaria del Solare. Ma non si trattava di un’altra questione. Era soltanto la logica estensione del tuo grande progetto di ecologia sociale, ispirato ad un pensiero forte, ad un’autentica etica ambientale e ad una visione della società rigorosamente ecologista, ma al tempo stesso equa e solidale.

E’ iniziata allora quella che davvero possiamo chiamare “la stagione del Sole”, un’avventura su cui pochi avrebbero scommesso, e che ci ha portati invece a raccogliere circa 13.000 firme sotto quel testo di legge popolare di cui sei stato l’ispiratore ed il vero estensore. Un’avventura che non si è conclusa con l’incredibile approvazione all’unanimità di quell’eccezionale proposta legislativa, ma che continua tuttora nella battaglia perché quella L.R. n. 1 del febbraio del 2013 diventi una realtà.

Non a caso la Rete associativa di cui sei stato il padre si è proposta come una realtà che promuove la Civiltà del Sole e della Biodioversità , coniugando i due termini in una visione complessiva di cui il Sole, simbolicamente, è la sintesi ma non certo l’unico protagonista.

Grazie a te, ed a quell’evidente riferimento all’utopica Città del Sole del grande calabrese che morì 600 anni prima che tu nascessi, comprendiamo meglio quanto fosse profondo il tuo pensiero, che si nutriva di quello dei filosofi presocratici, come Eraclito, ma anche di una rivoluzionaria volontà di cambiamento del modello di sviluppo, a partire dalla rivoluzione di quello energetico e dei consumi.

«Nella Civiltà del Solare, la città respira come da natura e cresce la bellezza della sua immagine […] La campagna e l’agricoltura ritrovano l’identità perduta, generatrice e non distruttrice di risorse. Cambiano urbanistica ed architettura del nuovo […] contro gli sprechi cambiano i materiali e le tecnologie impiegate; cambiano la mobilità ed il trasporto, privato e pubblico[…].L’intera economia si libera dai vincoli della dipendenza e del ricatto del mercato del combustibile e delle fonti energetiche e lo scambio internazionale si attiva non sui vincoli della “bilancia commerciale”, sulla speculazione monetaria, ma sull’interesse reciproco e solidale. Le comunità locali, anche in identità semplici e familiari, diventano i fattori delle scelte, delle capacità di acquisire quella giusta energia sufficiente per le loro necessità, di scambiarsela a “bassa tensione” con le altre vicine in una rete di comune, reciproco interesse.»[13]

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La tua mente –  grazie agli occhiali sulla fronte che ti aiutavano a guardare molto lontano – ha saputo indicarti una strada luminosa, nella quale ci siamo avviati con te in questi anni e che ora avremo difficoltà a percorrere senza di te.  Certo, nell’attuale mondo prosaico, disincantato e cinico della politica si rischia di far la parte di quelli che, per dirla con Vecchioni, cantano solo delle illusioni; insomma, di essere scambiati per coglioni…Ma chi ti è stato accanto sa benissimo che basta utilizzare i tuoi magici occhiali della mente per vedere tutta la concretezza di un progetto di società profondamente alternativa. Una società ispirata a quello che ti chiamavi “comunismo ecologico” ed io “ecosocialismo”, e che non solo utilizzi il sole e le altre fonti rinnovabili per produrre energia ed attivare un nuovo modello di sviluppo economico, ma sappia tornare ad essere una vera comunità, un posto più giusto ed accogliente dove far crescere i nostri figli.

Ho recentemente avuto modo di vedere una simpatica foto che ti ritrae, col tuo sorriso solare, mentre una delle tue nipotine, ridendo, ti strappa dalla fronte gli immancabili occhiali. E’ un’immagine bellissima, nella quale leggo il tuo straordinario affetto per i tuoi cari, ma anche una specie di simbolico passaggio di testimone della tua lungimirante visione alle generazioni future, che non meritano certo il disastro ambientale e sociale che gli stiamo riservando…

Carissimo Antonio, le cose da dire e da ricordare – compresi i tuoi appassionati interventi per difendere la Costituzione Italiana ed i tuoi ripetuti tentativi di coagulare il frammentato mondo della sinistra in un grande progetto alternativo – ma sono cose che sai molto bene e che non è certo facile trasmettere con poche righe a chi non ti è vissuto accanto per tutti questi anni.

D’altra parte, il solo modo per ricordarti davvero è continuare, testardamente, a percorrere la strada per la quale ci hai guidata, anche se – come cantava Fabrizio De André – bisogna fare i conti con “ambizioni meschine, millenarie paure e inesauribili astuzie” dei troppi che non solo non vedono lontano, ma non sanno neppure guardare dove camminano…

« Coltivando tranquilla / l’orribile varietà / delle proprie superbie / la maggioranza sta / come una malattia /come una sfortuna / come un’anestesia / come un’abitudine / per chi viaggia in direzione ostinata e contraria» [14].

Nessuno più di te ha saputo incarnare quest’ultima espressione. Per questo, caro Antonio, resterai per sempre con noi.

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[1] Ermete Ferraro, Ciao Mario! https://ermeteferraro.wordpress.com/2008/02/13/ciao-mario/

[2] Ebr 11,8-11 ; 12,12-19

[3] Antonio Emanuele Piedimonte, Quel guerriero sorridente che regalò alla Campania l’energia solare http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it/napoli/cronaca/14_dicembre_29/quel-guerriero-sorridente-che-regalo-campania-l-energia-solare-7a875576-8f5d-11e4-958d-cb5be19f6659.shtml

[4] ibidem

[5] Murray Bookchin, The Philosophy of Social Ecology: Essays on Dialectical Naturalism (1990 and 1996) Montreal, Black Rose Books

[6] Nicola Lamonica, Ci lascia Antonio D’Acunto, http://www.ilprocidano.it/2014/12/29/ci-lascia-antonio-dacunto/

[7] http://campania.usb.it/index.php?id=85&tx_ttnews%5Btt_news%5D=80408&cHash=d9870c69c6&MP=73-310

[8] E’ morto Antonio D’Acunto, comunista scomodo http://contropiano.org/in-breve/italia/item/28309-e-morto-antonio-d-acunto-comunista-scomodo

[9] Da una nota a firma di Pasquale Salvio, presidente di Città della Gioia onlus

[10] http://www.casertanews.it/public/articoli/2014/12/28/152650_cronaca-napoli-legambiente-ricorda-antonio-acunto-primo-presidente-legambiente-campania.htm

[11] Roberto Vecchioni, Le stagioni nel sole (2005) http://www.angolotesti.it/R/testi_canzoni_roberto_vecchioni_1792/testo_canzone_le_stagioni_nel_sole_272883.html

[12] VAS onlus (Verdi Ambiente e Società) è un’associazione nazionale di protezione ambientale, riconosciuta nel 1994 dal Ministero dell’Ambiente e presente su tutto il territorio italiano. Di VAS Campania Antonio D’Acunto è stato fondatore, coordinatore regionale e poi presidente onorario. Vedi servizio su AdA su: http://vasonlus.it/?p=10193

[13] Antonio D’Acunto, La Civiltà del Sole (maggio 2010) , http://www.terraacquaariafuoco.it/index.php/la-civilta-del-sole/24-la-civilta-del-sole

[14] Fabrizio De Andrè, Smisurata preghiera, http://www.angolotesti.it/F/testi_canzoni_fabrizio_de_andre_1059/testo_canzone_smisurata_preghiera_33199.html

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© 2014 Ermete Ferraro (http://ermeteferraro.wordprress.com )

CONVERDIAMOCI !

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DI ERMETE FERRARO

CONVERDIAMOCI !

The 10 Key Values of the U.S. GREENS
The Charter of European Greens Charter(Geneva 2006)
The Charter of Global Greens(Canberra 2001)
Saggezza ecologica
 
Saggezza ecologica
Giustizia sociale
Giustizia sociale
Giustizia sociale
Democrazia dal basso
Libertà attraverso l’Autodeterminazione
Democrazia partecipativa
Nonviolenza
Nonviolenza
Nonviolenza
Decentramento
 
 
Economia Comunitaria
 
 
Femminismo
Eguaglianza di genere
 
Rispetto della Diversità
Diversità
Rispetto della Diversità
Responsabilità personale e globale
Responsabilità Ambientale
 
Sostenibilità verso il Futuro
Sviluppo sostenibile
Sostenibilità
 
 
 
 
# 1 – Alle radici dell’essere "verdi"
Ho elaborato questa semplice tabella per raggruppare e sistemare sinotticamente i principi ispiratori delle tre federazioni internazionali dei movimenti e partiti Verdi: a livello americano, europeo e globale. Certe volte, infatti, è necessario ricorrere a strumenti semplici e non equivoci come questo, quando ci si trova ad assistere ad un dibattito, spinoso quanto scorretto, come quello che riguarda l’identità dei Verdi italiani, e quindi potenzialità e prospettive di una visione ecologista che è stata sempre caratterizzata da un pensiero globale incarnato in un’azione locale.
Il guaio è che la Federazione dei Verdi sembra ormai paralizzata da una profonda crisi d’identità e i vari “personaggi” che dovrebbero rappresentarla vagano sulla scena come se fossero ancora “in cerca di autore”. Però, a dire il vero, più che ad un dramma pirandelliano sembra purtroppo di assistere ad una farsa o ad una vecchia pochade, piena di equivoci e di gente che entra ed esce dalla scena senza incontrarsi, facendosi ridere il pubblico alle spalle.
Nemmeno i più pessimisti avrebbero immaginato che potesse cadere talmente in basso quella che per molti, me compreso, era stata la grande “speranza verde” in una politica ecologica, capace al tempo stesso di realizzare l’ecologia della politica. Eppure quella speranza è stata fin dall’inizio tradita e strumentalizzata da chi avrebbe dovuto rappresentarla sul già triste, talvolta osceno, palcoscenico della politica italiana, trasformando il sogno di un’alternativa ecologista, sociale e pacifista nell’incubo di un partitino rissoso e minoritario. L’ennesimo soggetto politico privo di democrazia interna e di radicamento sul territorio, preoccupato di soffocare ogni segnale di coerenza e di ricerca dell’alternativa pur di non compromettere seggi e strapuntini elettorali e di non disturbare i “manovratori” di troppe equivoche giunte locali e regionali. Poi c’è stata la stagione degli apparentamenti e delle coalizioni, tutti rigorosamente decisi al vertice e altrettanto decisamente sconfitti dal responso delle urne. L’ unico risultato conseguito, pertanto, è stato quello di perdere non solo le elezioni, ma la stessa identità ed identità della proposta Verde, scoloritasi al punto tale da diventare oggettivamente indecifrabile e da non riuscire a giustificare l’esistenza stessa di un soggetto verde sulla scena politica nazionale.
 
# 2 – Affondare o rifondare i Verdi?
L’ultima Assemblea dei Verdi italiani ha riservato agli stanchi e disincantati spettatori della politica nostrana un ulteriore “coup de scène”, capovolgendo gli equilibri interni e spostando il consenso – sia pure in modo risicato e piuttosto sospetto – dalla linea francescatiana della confluenza totale in “Sinistra e Libertà” alla bonelliana “riscossa ecologista”, fondata sul lancio di una “costituente verde”.
Chi aveva conservato un “cuore verde” – pur se messo a dura prova da decenni d’insopportabili tradimenti ed incoerenze – aveva cominciato ad esultare, ma l’incantesimo è durato poco e ci è subito accorti che stava approssimandosi un’altra delusione. Bastava infatti ascoltare o leggere le prime dichiarazioni del nuovo presidente dei Verdi per farsi un’idea di cosa si sta prospettando.
L’obiettivo, secondo Angelo Bonelli, sarebbe quello di "creare una formazione ecologista post-ideologica. La questione della centralità ambientale, della tutela della salute, anche la realizzazione di nuovi posti di lavoro, riguarda tutte le famiglie italiane. Vogliamo rompere i confini ideologici e creare una forza ecologista che sia trasversale e parli a tutti.[…] Se in Italia i Verdi non hanno raggiunto i livelli degli altri paesi, come la Francia è perché qui abbiamo parlato solo con una parte ideologizzata della società…”. [AGI 12 OTT 09].  Gli ha fatto eco Marco Boato, dichiarando che: “…siamo di fronte al rischio reale di una loro (dei Verdi) scomparsa, di un loro suicidio programmato, dopo troppi anni in cui si sono fatti ricomprendere nell’ambito della estrema sinistra, della “sinistra radicale”, accomunati sistematicamente per anni nei mass media alle formazioni comuniste e neo-comuniste. […] I Verdi sono nati proprio sulle ceneri delle ideologie totalizzanti degli anni 70 […] mettendo in discussione le identità ideologiche di origine ottocentesca e del Novecento […] all’insegna della trasversalità in rapporto all’intera società civile e …del rapporto con la politica e le istituzioni a partire non da una collocazione precostituita, ma dalla capacità di dare priorità alla questione ecologica, centralità alla questione ambientale…”  [http://www.terranews.it/news/2009/10/siamo-al-bivio-scomparsa-o-rilancio-ecologista].
A questo punto, chi come me dalla metà degli anni ’80 ha contribuito a far nascere e diffondere localmente quel soggetto politico verde, pur essendosene allontanato da oltre un decennio, non può fare a meno di chiedersi di cosa diavolo stiamo parlando e, soprattutto, se parliamo per capirci o per confonderci ancor di più le idee… Un ottimo sistema per mistificare la realtà è presentare mezze verità, mescolando cose vere e false, per conferire ai discorsi una discutibile linearità logica. E’ senza dubbio legittimo rivendicare la proposta Verde come qualcosa di profondamente originale e, per certi versi, alternativo alla sclerotizzazione delle vecchie ideologie del secolo scorso. Altro è blaterare di “formazione post-ideologica” e di assurda “trasversalità politica”, usando la “centralità della questione ecologica” come comodo passepartout per aprire tutte le porte senza però compromettersi con nessuno.
Eppure basterebbe dare un’occhiata alla tabella che ho presentato in apertura per rendersi conto che l’identità dei Verdi – a livello globale – è all’opposto di questa visione riduzionista ed opportunista dell’ecologismo. Ne deriva che affermare pragmaticamente che, in nome dell’ecologia, si possa dialogare con qualsiasi interlocutore sia da considerarsi frutto d’ignoranzao di malafede. Lo stesso concetto scientifico di “ecologia”, infatti, è caratterizzato dall’interdipendenza fra vari fattori, per cui un “ecologismo debole” – attento solo a strizzare l’occhio alla green economy e ad altre versioni soft e trendy dell’ambientalismo –  mi pare una soluzione equivoca e di fatto contraddittoria. Esorcizzare tout court il concetto stesso di “ideologia” come inutile fardello intellettuale o moralistico – come si è fatto in questi ultimi decenni – ha trasformato la politica in un’insopportabile e indigeribile miscuglio di banalità ed ambiguità, privando le persone di ogni prospettiva globale, collettiva e futura. Esorcizzare le ideologie, quindi, ha spianato pericolosamente ogni identità e diversità, impoverendo il confronto politico nel mentre ne personalizzava pericolosamente le scelte.
# 3 – La globalità dell’alternativa ecologista
 
Se è vero – come recita la definizione del Dizionario Italiano Ragionato (DIR) – che il termine “ideologia” indica “…il complesso sistematico di idee e principi che costituiscono il fondamento teorico di una dottrina, di un movimento culturale e politico, con un carattere normativo per quelli che vi aderiscono” , mi sembra evidente che quella Verde ne è un ottimo esempio. I suoi “valori chiave”, infatti, non sono un elenco di principi astratti e slegati tra loro, ma ipotizzano un modello di società profondamente diverso rispetto a quello cui ci siamo purtroppo assuefatti, proprio grazie alla scomparsa di ogni prospettiva realmente “alternativa”. Dare “priorità” e “centralità” alla questione ecologica, infatti, non significa estrapolarla da un contesto globale per andare a vendere il proprio “prodotto” su qualunque mercato. Vuol dire, al contrario, fare delle problematiche ambientali il cuore di una proposta complessiva, sistematica, che dia una risposta diversa alle ingiustizie, ai conflitti armati, allo sfruttamento delle risorse naturali e a quello degli esseri umani. L’alternativa dei Verdi – se le comuni dichiarazioni programmatiche hanno ancora un senso – risiede nel proporre una visione globale, in cui la tutela e promozione dell’ambiente è sì centrale e fondamentale, ma proprio perché essere ecologisti significa essere promotori di giustizia sociale, di democrazia partecipativa, di nonviolenza attiva e di uguaglianza di genere. Tutelare il valore della diversità, perseguire uno sviluppo la cui sostenibilità sia fondata sulla responsabilità dell’uomo verso le generazioni future e verso la stessa natura di cui facciamo parte, allora, non può diventare una scusa per occuparsi solo di mutamenti climatici, parchi naturali ed energie alternative, chiudendo gli occhi di fronte a ingiustizie e violenze. E questo per la semplice ragione che alla radice dello sfruttamento ambientale ci sono le stesse motivazioni, scelte e atteggiamenti su cui si fonda quello dell’uomo sull’uomo e/o di un genere sull’altro.
Tre decenni di esperienza personale come attivista per la pace, operatore sociale e militante ecologista mi hanno insegnato quello che già confusamente intuivo da sempre: non ci può essere né pace né giustizia in un mondo in cui si calpesta l’ambiente in cui si vive. Il fatto di essere anche un cristiano mi conferma in questa prospettiva, in cui la nonviolenza e la ricerca di rapporti più giusti si fonde necessariamente con la salvaguardia dell’integrità del creato. Una prospettiva in cui, viceversa, sarebbe da iprocriti preoccuparsi della sopravvivenza di specie animali e vegetali senza impegnarsi per la dignità di ogni persona umana e per l’abolizione della violenza come soluzione unica dei conflitti. Ebbene, se essere Verde significa abbracciare in un unico impegno il perseguimento di tutti i 10 principi ricordati nei documenti istitutivi richiamati sopra – ivi compreso quello per una democrazia decentrata, partecipativa e ‘dal basso’ – io continuo ad esserlo fino in fondo. Dobbiamo piuttosto interrogarci su quanto lo siano quelli che di questo aggettivo credono di possedere il copyright, e con esso il diritto di cucirsi addosso un ecologismo a loro immagine e somiglianza, con la preoccupazione di salvaguardare se stessi ed il proprio futuro in un quadro politico generale sempre più deprimente.
                                                                                (c) 2009 Ermete Ferraro

IV GIORNATA PER LA SALVAGUARDIA DEL CREATO

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      “… è conseguenza del peccato se la rete delle relazioni con il creato appare lacerata e se gli effetti sul cambiamento climatico sono innegabili, se proprio laria – così necessaria per la vita – è inquinata da varie emissioni, in particolare da quelle dei cosiddetti gas serra”. Se, però, prendiamo coscienza del peccato, che nasce da un rapporto sbagliato con il creato, siamo chiamati alla conversione ecologica, secondo lespressione di Giovanni Paolo II. […] Una tempestiva riduzione delle emissioni di gas serra      è, dunque, una precauzione necessaria a tutela delle generazioni future, ma anche di quei poveri della terra, che già ora patiscono gli effetti dei mutamenti climatici. Occorre, dunque, un profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e delleconomia, cercando di risparmiare energia con una maggiore sobrietà nei consumi […] uno stile di vita più essenziale, come espressione di una disciplina fatta anche di rinunce, una disciplina del riconoscimento degli altri, ai quali il creato appartiene tanto quanto a noi che più facilmente possiamo disporne; una disciplina della responsabilità nei riguardi del futuro degli altri e del nostro stesso futuro”.
Le parole citate – sulle quali esprimerò qualche osservazione – le ha pronunciate Benedetto XVI che, incontrando ad agosto il clero di Bressanone, ha rinnovato il suo appello “ecologico” in occasione della IV Giornata per la Salvaguardia del Creato (1° settembre ’09).
§         E’ molto importante che il Papa insista sulle conseguenze ecologiche e sociali derivanti dalla lacerazione di quelle “reti di relazioni con il creato” alla cui origine c’è il “peccato” , che a sua volta è frutto di un “rapporto sbagliato con il creato”.L’attuale “crisi ecologica”, in altre parole, non è una disgrazia incidentale e fortuita che purtroppo ci è capitata, ma il risultato di una visione predatoria dell’uomo sulla natura e di un rapporto di sfruttamento selvaggio delle risorse del Pianeta. L’uso del termine “relazione”, d’altra parte, mi sembra escludere una visione grettamente ed utilitaristicamente materialistica della realtà naturale –intesa come una “cosa” di cui appropriarci – ma lascia intravedere un vero e proprio rapporto con una pluralità e complessità di elementi biologici, governata dai principi dell’ecologia (interdipendenza, biodiversità, simbiosi…).
§         Ancora più importante mi sembra l’appello del Pontefice affinché la presa di coscienza di questo peccato non resti qualcosa di teorico, astratto o di relativo alla sfera della morale personale, ma conduca piuttosto ad una vera, tangibile, collettiva ed immediata “conversione ecologica”.  Il teologo mons. Ravasi ha chiarito in un suo acuto commento che i tre vocaboli che in lingua ebraica esprimono il peccato (hatta’ – awôn – pesha’)  rinviano ad una sfumatura di significati. Il “peccato” è un errore, un “aberrazione” che ci porta lontani da Dio e dal prossimo; è una deviazione tortuosa”, ma è anche una vera e propria “ribellione” della creatura nei confronti dei suo Signore e Creatore. Ecco allora che occorre quella “conversione” che gli ebrei chiamavano “shub”, cioè una netta e chiara inversione di rotta, che consenta all’umanità di rimediare al proprio “errore” e che corregga quella “deviazione” che nasceva dalla pretesa di ribellarsi all’ordine cosmico e alla signoria dell’autore del creato.
§         La “tempestività” richiesta nella riduzione delle emissioni che avvelenano irreversibilmente l’aria – l’elemento cui la Giornata 2009 è dedicata in modo specifico – non è presentata esclusivamente come una “precauzione” necessaria per tutelare la salute nostra e delle generazioni future dai cambiamenti climatici, ma anche come una risposta dovuta a quei “poveri della terra”che ne soffrono già da ora gli effetti devastanti sulla propria pelle. La salvaguardia del creato, ancora una volta, è presentata come strettamente correlata al principio di giustizia sociale e come esempio concreto di quella solidarietà che è alla radice di una pace fra gli uomini e di questi con la natura. Tale conversione deve essere per forza “tempestiva”, perché esige scelte immediate e non più rinviabili, che investono in primo luogo i governi, con provvedimenti strutturali, ma anche le comunità e la responsabilità – qui e ora – di ogni singola persona.
§         Occorre infatti, afferma il Papa, un “profondo rinnovamento del nostro modo di vivere e dell’economia”,e quindi un cambiamento che parta dal basso, dagli stili di vita, e costringa la stessa economia a prendere atto di questa svolta radicale. Nel documento si parla di “essenzialità”, di “risparmio energetico” , di “sobrietà dei costumi” e di “disciplina della responsabilità”. Questo significa che il cambiamento auspicato non può essere né graduale né indolore, ma richiede la risposta a degli imperativi categorici, non una blanda e generica sensibilità ambientale. Ecco perché i Cristiani – e la stessa Chiesa – hanno il dovere di rinunciare a compromessi, scorciatorie e fittizie “compatibilità” e devono dimostrare nei fatti perché, come ammoniva già S. Giacomo apostolo, “…la fede, se non è seguita dalle opere, in se stessa è morta “ (Gc. 2,18)
 

MAI PIU’ CHERNOBYL !

DSCN1596“Sognando Chernobyl…” – canta Adriano Celentano, facendo da colonna sonora alla manifestazione antinucleare di Napoli, intervallato da altre canzoni che vanno da “Times are Changing” del sempreverde Bob Dylan a “Chernobyl 10 anni dopo” di Pippo Pollina.
E’ sabato pomeriggio del 25 aprile: a Piazza del Gesù Nuovo a Napoli il “Comitato campano NO AL NUCLEARE” sta animandouna delle 17 iniziative italiane per il “Chernobyl Day”.
Manifestazioni analoghe si sono svolte, tra il 25 ed il 26 aprile, in 200 città del mondo, sia per commemorare le centinaia di migliaia di vittime della tragedia che colpì Chernobyl (Ucraina) esattamente 23 anni fa, a causa dell’esplosione di uno dei reattori di quella centrale nucleare, sia per lanciare un forte appello ai cittadini perché si mobilitino anche in Italia contro il nucleare.
Quel 26 aprile 1986, infatti, iniziò la più grande catastrofe tecnologica ed industriale di tutti i tempi: un disastro ambientale e socio-sanitario che non ha mai smesso di fare vittime e le cui inaudite ed irreversibili conseguenze per la salute colpiranno anche le prossime generazioni. 
“L’ex segretario generale dell’ONU, Kofi Annan, ha stimato che più di 7 milioni di persone sono state gravemente colpite dalla catastrofe, mentre l’AIEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) persiste nel riconoscere la ridicola cifra di un cinquantina di vittime, coinvolgendo l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) in una scandalosa complicità con gli interessi dell’industria dell’energia atomica a minimizzare i rischi” – ha dichiarato Antonio D’Acunto, leader storico dell’ambientalismo napoletano e presidente onorario di VAS-Campania.
Il Comitato NO AL NUCLEARE – che ha una pagina internet su Facebook e di cui fanno parte varie componenti del movimento campano per l’alternativa eco-sociale – ha organizzato questo animato pomeriggio del 25 aprile anche come ideale prosecuzione delle manifestazioni per l’anniversario della Liberazione. 
DSCN1599 “La decisione di ignorare il referendum popolare che ha bandito il nucleare e di prendere unilateralmente accordi con la Francia per la costruzione di 4 nuove centraliha sottolineatoinfatti Tommaso Musicò, dell’ANPI Provincialeè grave anche perché va contro la volontà popolare, espressasi nel referendum contro il nucleare, ed è anticostituzionale, in quanto scavalca le prerogative riconosciute dalla Carta alle Regioni e agli enti locali.“ 
I 1500 volantini e le centinaia di adesivi antinucleari distribuiti dimostrano che i Napoletani non sono insensibili a questo appello, e la presenza in piazza di vari esponenti politici (fra cui il candidato delle sinistre per la presidenza della Provincia di Napoli, Tommaso Sodano, e l’Assessore provinciale all’Agricoltura e Protezione Civile, il verde Francesco E. Borrelli) indica una rinnovata attenzione a questa problematica, troppo a lungo esorcizzata. 
“Il Comitato continuerà a svolgere la sua azioni di controinformazione e di sensibilizzazione ha dichiarato Ermete Ferraro, responsabile nazionale VAS per l’ecopacifismo e membro del Comitato campano Pace e Disarmo – per impedire che l’oblio, la disinformazione e la menzogna consentano che vada avanti quello che abbiamo definito ‘l’imbroglio nucleare’. Vogliamo discutere con i cittadini e spiegargli che la scelta nucleare, oltre che gravemente rischiosa e strettamente connessa con l’escalation degli armamenti atomici, è anche profondamente inutile e dannosa, perché sottrae immani risorse al bilancio dello stato ed ostacola le uniche vere alternative energetiche, che sono il risparmio e l’utilizzo di fonti rinnovabili e pulite. “

UNA SICUREZZA…MANU MILITARI ?

di Ermete Ferraro

La parola d’ordine di questi giorni è "sicurezza". Viene tirata in ballo a proposito ed a sproposito. Se ne parla riguardo alle centrali nucleari ma anche alle discariche. La si invoca contro la delinquenza organizzata, però pure per esorcizzare la "minaccia" degli zingari e degli stranieri irregolari o senza occupazione. Più il clima appare dominato dall’insicurezza (del lavoro, del costo della vita, del tempo atmosferico, delle riserve energetiche, del futuro dei giovani, e via enumerando…) tanto più, in nome della sicurezza, sembra che si sia disposti ad accettare qualsiasi cosa. Eppure questa psicosi dell’insicurezza ci sta tirando addosso provvedimenti ancora più preoccupanti, che mortificano la convivenza civile ordinaria in nome della straordinarietà e del ricorso ad una progressiva militarizzazione delle città e della vita quotidiana. Insomma, pur di vederci restituita l’agognata sicurezza, stiamo sprofondando nelle sabbie mobili della sospensione delle garanzie democratiche e di un autoritarismo insidioso e vagamente sudamericano. Etimologicamente parlando, sicurezza significa: stato di chi è senza preoccupazioni. Il guaio è che sembra maledettamente improbabile che il ripristino di questo stato edenico possa scaturire dalla adozione di leggi speciali e dall’impiego di truppe armate nelle nostre città. Eugenio Scalfari, in un suo recente corsivo su la Repubblica, ha scritto: "Bisogna denunciare e fermare la militarizzazione della vita pubblica italiana della quale l’esempio più clamoroso si è avuto con i provvedimenti decisi dal Consiglio dei ministri  […] per distrarre l’attenzione dalle urgenze vere che angustiano gran parte delle famiglie italiane. […] Tanto grave è l´insicurezza delle nostre città da render necessario il coinvolgimento dell’Esercito: questo è il messaggio lanciato dal governo. E insieme ad esso l´eccezionalità fatta regola: si adotta con una legge ordinaria una misura che presupporrebbe la dichiarazione di una sorta di stato d´assedio, di pericolo nazionale" .

Eggià: i militari sono chiamati a coprire le vergogne di una politica inetta ed impotente e ad avallare un clima da guerra civile. Come se non bastassero i 23 miliardi di euro stanziati in bilancio per la "difesa" in senso strettamente militare, si continua a distribuire risorse ad una miriade di organizzazioni para-militari e ad impiegare le forze armate in compiti che spetterebbero semmai alla protezione civile o ad altri organismi di gestione ordinaria, a partire dagli enti locali. Il messaggio di chi ci governa è molto chiaro: è tempo di decidere e di agire. Chi si oppone o boicotta le decisioni governative è un criminale. Il concetto di "area militare", quindi, è applicabile a qualsiasi impianto o installazione, anche civile, che rivesta importanza per l’economia e per la sicurezza. Se non si tratta di un vero e proprio "stato d’assedio" non so proprio come possa essere considerato tutto ciò.  Che fare? Per chi, come me, si batte da decenni contro la militarizzazione del territorio e della vita civile, davvero mala tempora currunt ! Verrebbe la voglia di dare un calcio a tutto e scaricare la colpa su chi ha voluto questo governo ma anche su chi ne ha reso possibile l’ascesa con la propria incapacità di rappresentare un’alternativa piuttosto che un percorso più soft alla dittatura del pensiero unico e del libero mercato globalizzato. Ma questo non cambierebbe nulla. La risposta è organizzare una resistenza civile e nonviolenta a decisioni che stanno dando il colpo definitivo ad una già moribonda ordinarietà, in nome dell’eccezionalità dei Commissari e dei Generali, chiamati a decidere per tutti o meglio, ad imporre le decisioni assunte dai politici. Inutile precisare che questi, a loro volta, sono supinamente inclini a fare la volontà dei veri poteri forti: quelli dell’economia globalizzata e della finanza onnipotente.  Ecco perché non possiamo accettare passivamente che qualcuno decida sopra e oltre le nostre teste, esercitando, se necessario, il diritto di disobbedire a leggi e provvedimenti che calpestano la Costituzione, i trattati internazionali e la stessa democrazia. Si tratti di discariche ed inceneritori oppure di recenti smanie nucleariste che vorrebbero cancellare la volontà del popolo italiano, nessuno potrà costringerci ad accettare passivamente che la forza del diritto diventi il diritto della forza…!
 

SOSTIENE CALISE…

                                                    di  Ermete FERRARO 

Nel suo articolo di fondo su IL MATTINO di domenica 4 maggio, Mauro Calise offre ai lettori una serie di spiegazioni sul "perché la sinistra arretra", a partire dal crollo del partito laburista britannico alle ultime amministrative, in cui scorge un parallelismo con la débacle del centrosinistra in Italia, seguita dal passaggio del Comune di Roma – come ora succede nella City of London – nelle mani di un esponente della destra.

Se un po’ tutta l’Europa, eccezion fatta per la Spagna di Zapatero, sta passando bruscamente, ma nettamente, a governi ed amministrazioni locali conservatrici o peggio, sostiene Calise, non basta prendersela coi pur evidenti errori dei leaders, dimostratisi incapaci "d’intercettare i mutamenti nel clima di opinione e nella base sociale dei rispettivi paesi". C’è qualcosa di più profondo ed importante, dice, e passa ad elencare le cause della disfatta di quelle socialdemocrazie europee che, 15 anni fa, avevano invece interrotto il decennio conservatore dominato dall’asse Reagan-Tatcher.

Il primo fattore- sostiene Calise – sarebbe la scomparsa delle storiche "fratture" socio-economiche su cui si era fondato allora il consenso dei partiti socialisti e socialdemocratici. Il secondo motivo è individuato nel passaggio dalle "salde radici popolari" dei partiti storici alle più "volubili motivazioni populiste" degli elettori attuali. Il terzo, e decisivo, elemento sarebbe infine la ricerca di soluzioni rapide e radicali alle sfide e contraddizioni della globalizzazione, preferibilmente "affidandosi alle qualità taumaturgiche di un leader". Mentre non risulta del tutto estranea alla sinistra storica anche una tendenza latente al populismo, proprio contro lo scoglio della mancanza di una  "leadership autorevole e indiscutibile di un capo" – storica prerogativa della destra – sarebbero invece andate ad infrangersi le coalizioni di centrosinistra in Europa.

Sostiene Calise, insomma, che la sinistra avrebbe perso la sfida con le rinascenti forze di destra sostanzialmente perché: (1) i suoi esponenti non hanno saputo accorgersi che le vecchie barriere ideologico-territoriali sono cadute da un bel po’; (2) sono rimasti radicati ad un modello tradizionale e popolare di partito, in un mondo sempre più caratterizzato dal populismo e, (3) non hanno a disposizione "capi" autorevoli e credibili da contrapporre a quelli esibiti dalla destra, notoriamente più proclive ad affidarsi a "guide" indiscusse.

Confesso che dopo quest’acuta analisi mi sento ancora più confuso di prima. Pensate: nella mia ingenuità ritenevo che la batosta della sinistra italiana fosse imputabile al fatto che, proprio per mimetizzarsi troppo con la realtà circostante, non riuscisse a porsi come credibile ed autentica alternativa ad un sistema economico responsabile, a livello planetario, di catastrofi ecologiche, conflitti bellici e spaventose ingiustizie sociali . E invece no – sostiene Calise – la sinistra ha perso perché è rimasta ancorata alle vecchie ideologie, non si è mostrata abbastanza opportunista e populista e, soprattutto, non ha saputo far leva su autentici "capi", come richiederebbe la realtà attuale, caratterizzata al tempo stesso da "volubili motivazioni" ma portata ad affidarsi a "uomini forti", dotati di un’indiscutibile e taumaturgica leadership.

Pensate: prima credevo addirittura che la sfida del partito democratico al centro-destra fosse fallita perché è piuttosto improbabile, oltre che poco coerente, pretendere di sconfiggere i neoliberisti  proprio sul loro terreno, sbandierando slogan su progresso, ordine e riduzione del peso normativo dello stato, ma finalmente ora capisco che il centro-sinistra ha perso perché non è stato abbastanza bravo ad "intercettare i mutamenti nel clima di opinione e nella base sociale dei rispettivi paesi", un simpatico giro di parole per dire che non è stato sufficientemente trasformista e opportunista.

Figuratevi un po’: mi ero convinto che la vera e propria liquefazione della sinistra comunista ed ambientalista – e della stessa coalizione arcobaleno che pretendeva di rappresentarla – fosse ascrivibile all’assenza di un vero progetto che riuscisse finalmente a far comprendere come giustizia, pace ed ecologia sono ingredienti di un’unica alternativa all’arroganza di quel complesso militare-industriale che non esita a scatenare guerre senza fine pur di salvaguardare a tutti i costi il ruolo di consumatori illimitati e sfrenati detenuto dal 25% del genere umano, a danno del restante 75%.  E invece ecco che Calise lascia intendere che la crisi della sinistra è ormai fatale, visto che – dopo il crollo dei due blocchi di riferimento economico e politico – la sua tradizionale "riserva di caccia…si è ridotta al lumicino", per cui non si comprende più il senso di un’opzione rivoluzionaria, e perfino di quella riformista, in un contesto che, evidentemente, gli appare il migliore dei mondi possibili

Eppure fuori dall’Italia, e perfino nella stessa culla del capitalismo globalizzato, le analisi sono piuttosto diverse, se è vero che l’autorevolissima rivista TIMEfatto rivoluzionario nella sua lunga storia editoriale – è uscita nell’ultimo numero di Aprile contornata di verde – anziché del tradizionale colore rosso – con un’efficace copertina dedicata all’approfondito servizio di Bryan Walsh su: "Come vincere la guerra contro il riscaldamento globale". Ad un futuro più verde e più pulito sono dedicati anche altri servizi dalla Germania, dal Giappone e dagli stessi Stati Uniti d’America, tutti centrati sull’assoluta necessità di dare priorità a scelte inequivocabilmente ed irrevocabilmente volte alla lotta ad un disastro ambientale frutto di scelte sbagliate e miopi.  Mentre da noi i Verdi spariscono quasi del tutto, diluiti in una coalizione che non li ha visti né protagonisti né capaci d’iniziativa, le massime organizzazioni multinazionali – alcune delle quali responsabili di scelte rivelatesi catastrofiche – si stanno spudoratamente dipingendo di verde, cercando di dimostrare che combattere il global warming non equivale affatto a recessione economica, blocco dello sviluppo e degli stessi profitti, perché basta maggiore efficienza e lungimiranza per riparare i danni fatti finora da quello stesso modello di sviluppo.

Prosperità economica ed azioni in difesa dell’ambiente – sostiene il ministro tedesco dell’ambiente- non sarebbero quindi affatto in contraddizione, bensì "mutualmente dipendenti". In nome del "futuro del pianeta", d’altra parte, si sfidano gli stessi contendenti alla nomination presidenziale negli USA, cercando di rimediare a decenni di sdegnoso disinteresse per le conseguenze mondiali di un modello di sviluppo energivoro e consumistico.  Di "Guerra Giusta"  in nome dell’ambiente parla addirittura il Segretario Generale dell’ONU, che nel suo articolo su TIME afferma che un pianeta più verde sarà anche un pianeta più giusto e pacifico, dal momento che "il fondamento della pace e della sicurezza per tutti i popoli sta nella sicurezza economica e sociale, ancorata ad uno sviluppo sostenibile […] Più che mai prima, le soluzioni devono collegare il locale ed il globale".

E allora? A noi Italiani tocca inseguire l’evaporazione delle ideologie classiche in nome del pragmatismo trasformista di una società sempre più priva di riferimenti e convinzioni e sempre più alla ricerca di capi da seguire, oppure cogliere la nuova sensibilità mondiale sui problemi dell’ambiente per rilanciare un’alternativa vera, evitando anche che il cinismo corrente finisca col presentarci Shell, Toyota ed altre multinazionali come i veri leaders di un ambientalismo che promette spudoratamente botti piene e mogli ubriache?  Vogliamo lasciarci trascinare dal provincialismo leghista e neofascista di chi accomuna gli immigrati ed i parassiti meridionali in nome di una riscossa di chi sta bene e vuole stare sempre meglio, alla faccia di chi resta indietro, oppure vogliamo provare nuovamente a ritessere i fili di un progetto di sviluppo più equo e solidale, dove la necessaria scelta della "decrescita" non deve suonare come un inutile autolesionismo, ma piuttosto come una volontà di cambiare davvero le regole del gioco?  Vogliamo forse lasciarci irretire da nuovi, improbabili, "uomini della Provvidenza" che ci rassicurino e ci evitino di scegliere da soli, oppure vogliamo costruire dal basso una nuova democrazia,  più condivisa e partecipativa e fondata sullo spirito comunitario?

A noi la scelta. ma non dimentichiamo mai che il primo principio di una vera ecologia è quello della responsabilità personale e che nessun "capo" né tendenza culturale né organizzazione ci esime dal ragionare con la nostra testa e dal decidere secondo coscienza.

 

EARTH DAY 2008

CHE IL "GIORNO DELLA TERRA"

NON DURI…UN GIORNO.

                                                  di Ermete Ferraro

Il 22 EarthLove2 aprile, a partire dal 1970, si celebra il “Giorno della Terra”, promosso ed organizzato dall’ Earth Day Network (EDN), la quale ha costruito in questi 38 anni d’impegno ecologista una rete che raccoglie 17.000 organizzazioni in 174 stati.  La mission di E.D.N. consiste nel: “…far crescere e diversificare il movimento ambientalista a livello mondiale, e di mobilitarlo come un più efficace veicolo per la promozione di un pianeta sano e sostenibile. Perseguiamo la nostra finalità istitutiva mediante l’educazione, l’impegno politico, eventi e l’attivismo dei consumatori”.

Nel documento citato , si precisa che uno degli obiettivi perseguiti da questa organizzazione-ombrello è quello di allargare il concetto stesso, e quindi la definizione, di “ambiente”, per includervi tutte le questioni che toccano la nostra salute, le comunità ed il loro ambiente di vita, come ad es. “…l’inquinamento delle acque, il degrado degli edifici scolastici, i trasporti pubblici, l’accesso al lavoro, le crescenti percentuali di malattie come l’asma ed il cancro, l’assenza di finanziamenti per parchi e spazi ricreativi…” , come chiaramente indicato nel documento dal titolo “Urban environment Report” . Ebbene, anche in Italia sarà celebrata questa data del 22 aprile per sensibilizzare grandi e piccoli all’acquisizione di una coscienza ecologica che non si limiti ad una confusa e generica consapevolezza dei rischi che l’umanità sta affrontando a causa del suo pessimo rapporto con l’ambiente naturale, ma giunga a dare a ciascuna persona – e quindi ad ogni comunità – concrete indicazioni teoriche e strumenti pratici per una vera e propria “conversione ecologica”, a tutti i livelli.

Il rischio ambientale peggiore, infatti, è che si continui ad oscillare sterilmente tra quelle due opposte concezioni – che in tempi non sospetti Umberto Eco definiva “apocalittici” e “integrati” – in base alle quali il nostro rapporto con l’ambiente è ormai irrimediabilmente compromesso o, al contrario, non esiste una questione ecologica che non possa essere risolta adeguandosi alle nuove realtà socio-economiche ed ambientali e, soprattutto, che non si possa risolvere usando al meglio la ricerca scientifica e l’innovazione tecnologica.

Nel suo dossier-natura “Una perla preziosa”, pubblicato sulla rivista “Messaggero di Sant’Antonio” (aprile 2008), Mario Tozzi (noto geologo, ricercatore e giornalista TV) ci conduce per mano a scoprire come vivere secondo natura è molto più facile e…naturale di quanto possa sembrarci, avvolti come siamo dagli inutili ed ingombranti incarti di una civiltà sprecona, energivora e fondata sul dominio più che sull’uso delle risorse. “Sopravvivere al limite”, spiega Tozzi, è stato per millenni il vero problema per tanti esseri umani, costretti a resistere con tutto il proprio ingegno ad un ambiente spesso sfavorevole e, in certi casi, lo è ancora oggi per tante comunità che devono adattarsi ad una natura poco ospitale.

Al polo opposto, ci sono milioni di uomini che stanno letteralmente depredando la Terra, di cui pur sono figli, e che ormai sembrano non poter fare a meno di uno stile di vita assurdo ed irrazionale. Mario Tozzi fa riferimento, in particolare, al nostro modo di abitare e di vivere quotidianamente e commenta: “Ad osservarle bene, le nostre case di occidentali ricchi sono un monumento al paradosso energetico e non direi neppure che sono veramente tecnologicamente avanzate” . Dopo aver elencato una serie di provvedimenti da lui stessi assunti per rendere meno pesante l’impronta ambientale della sua stessa casa, a partire dall’eliminazione di ogni spreco energetico, egli ci indica nel paragrafo "Alla ricerca della sobrietà" il modo più idoneo per migliorare – e al tempo stesso rendere più efficiente – quel nostro microcosmo “sprecone oltre ogni misura”.

Anche la scuola – come la casa – è per tanti di noi l’ambiente di vita quotidiano: il nostro vero “oikos” , dal quale dobbiamo necessariamente partire per fare “oiko-logìa” più che per parlarne accademicamente quanto inutilmente. Non è certo un caso che uno dei punti qualificanti del programma proposto da E.D.N. sia proprio quello dedicato non solo all’educazione ambientale – che troppo spesso noi italiani consideriamo come una pura e semplice aggiunta al curriculum scolastico, una materia in più da far studiare – bensì un vero e proprio percorso di formazione alla consapevolezza ecologica e di sperimentazione di un modo alternativo di vivere e di consumare. Basta cliccare sulla pagina “Green Schools” del sito di E.D.N., infatti, per accedere ad un accattivante itinerario di conoscenze e di azioni, di saperi e di competenze, per rendere “più verdi” le nostre scuole. Si va dall’informazione per rendere più sana la refezione scolastica alle indicazioni per il vero e proprio “curriculum” degli studi; dalle nozioni di base di educazione civico-politica a quelle sulle attività ludiche e ricreative più adatte.

Partire da questo microcosmo domestico e scolastico mi sembra davvero una buona idea per celebrare anche questo “Earth Day”, ma credo anche che non sia il caso di perdere di vista le nostre priorità più ampie ed i valori su cui esse di poggiano. Ecco perché, se è opportuno che ognuno faccia la sua parte dove meglio e più riesce ad ottenere dei risultati tangibili, penso che non è possibile fare a meno d’interrogarsi sul nostro ruolo di esseri umani su questa Terra sempre più minacciata da chi dovrebbe sentirsene figlio. Se è vero che “Adàm” (“uomo” in ebraico) è solo il maschile di “Adamà” (cioè “terra” nella stessa lingua), dobbiamo seriamente chiederci perché siamo giunti al punto da rinnegare questo vincolo che ci lega ad essa, come figli ad una madre.

Tutta la creazione geme e soffre fino ad oggi nelle doglie del parto” (Rm 8,19-23), ci ricordava l’articolo di Dario Bossi su “Ecologia e Missione” su “Comboni-fem” dello scorso Marzo, citando San Paolo e stimolando chi è credente a non considerare l’ecologia una disciplina scientifica da studiare, ma piuttosto un “nuovo paradigma per interpretare il mondo”. Come ci ammonisce il teologo Leonardo Boff, il vero credente è chiamato a recuperare il valore sacro delle “relazioni” che ci legano alla Terra, rifacendosi alla fisica quantistica, secondo la quale tutto è strutturato in campi di energia interattivi, per cui ogni parte resta costantemente in comunicazione con il tutto.

E’ il solo modo perché i Cristiani si decidano davvero a comprendere, con la mente – ma anche col cuore e con la volontà – che il “giorno della Terra” viene tutti i giorni e che la sua “liberazione” procede di pari passo con quella dei tanti esseri umani di cui il Signore dice, nel libro dell’Esodo (3,7-8): “Ho udito il grido del mio popolo. Per questo sono sceso a liberarlo”, versetto che Boff così parafrasava nell’articolo citato: “Ho udito un silenzio preoccupante, innaturale. Per questo sono sceso, per restituire voce e vita a questa terra ferita”.

Buon “giorno della terra” a tutti !   

 

 

 

“Milìteri cauntri “:

ad Aviano una falla all’oleodotto militare

                                         di ERMETE FERRARO

Nella nostra “biùtiful cauntri” può accadere che un intero territorio regionale sia diventato nel corso di 14 anni di gestione “straordinaria” una discarica di rifiuti, urbani e…interurbani.

Può anche capitare che sull’intero territorio nazionale sia stato consentito da decenni ai militari di esercitare una sorta di diritto di occupazione (detto "servitù militare), nei cui confronti nessuna normativa civile può porre limiti o esercitare reali controlli.

L’ultimo disastro ambientale conosciuto – perché di molti altri non trapela nulla… – è dovuto all’incidente che il 10 marzo scorso ha causato una grossa falla nell’oledotto militare che porta il kerosene dalla base militare di Camp Darby a quella di Aviano (Pordenone).

Pensate: il cosiddetto “Pol-Nato” parte da La Spezia, è lungo la bellezza di 1000 chilometri ed attraversa addirittura 6 regioni, 17 province e 136 comuni (fonte Min. Difesa). La gestione di questa specie di pericoloso serpente sotterraneo, pur controllata dalla stessa Difesa, è stata affidata ad una ditta italiana, la “Ig spa”, a sua volta controllata dalla multinazionale petrolifera francese “Tchnip”. Secondo il magistrato – precisa la Nuova Ecologia- vanno chiarite in particolare le cause del pesante ritardo con cui si è dato l’allarme, che si è ripercosso sull’avvio degli interventi per fronteggiare l’inquinamento.
I portavoce dei comitati No Dal Molin, contrari al raddoppio della base Usa a Vicenza, hanno esplicitamente parlato di disastro militare. «Questo disastro – affermano – è stato prodotto da un’installazione militare. Due fiumi gravemente inquinati, il terreno di ricarica della falda acquifera più grande del nord Italia imbevuto di kerosene, fauna e vegetazione minacciati dalla chiazza inquinante rilasciata dall’oleodotto…».Image44

C’è chi ha parlato di “attentato”, chi di incidente imprevedibile: quello che è certo è che siamo di fronte ad un ennesimo episodio in cui l’ambiente naturale – e la stessa sicurezza delle popolazioni locali – viene messa a repentaglio da un disastro di dimensioni ancora poco chiare, ma che richiederà centinaia di milioni di euro solo per valutare il danno.

La Campania, proprio come il Veneto, è sottoposta da decenni ad una vera militarizzazione del territorio, del mare e perfino dell’aria. Nella sola città di Napoli sono concentrati il Comando strategico per il sud-Europa della NATO ed il Comando Supremo Europeo della US Navy, per non parlare dei natanti nucleari che allietano spesso il nostro porto e  degli impianti e delle basi disseminati per la nostra Regione, ovviamente sottoposti a stretto segreto militare e sottratti ai controlli ambientali ordinari.

Di fronte a quest’assurda minaccia alla pace ed alla sicurezza ben poche voci si levano e quelle poche sono subito tacciate di allarmismo irresponsabile, se non di eco-terrorismo. Per i nostri politici, è chiaro, problemi e priorità sono ben altre e, soprattutto, non bisogna disturbare il manovratore né fargli troppe domande su dove ci sta portando.

Mi sembra un ottimo motivo per fare proprio il contrario, esercitando il diritto democratico a controllare chi pretende di governare in nostro nome. Ecco perché bisogna pretendere che chi ci chiede il voto sia molto chiaro ed esplicito su questi temi, assumendosi le proprie responsabilità e smettendola una buona volta di demonizzare ogni forma di dissenso.