IL POLIPO DELLA LIBERTA’

 polipo della libertà
Rieccoci alle elezioni. Le più fiacche, banali e sconclusionate degli ultimi decenni. Orfane d’idee, di un dibattito degno di questo nome e di ogni mordente che possa davvero motivare gli italiani. Tra trionfalismi ed autolesionismi, ipercopertura mediatica ed assenza d’informazioni, provincialismi molto provinciali ed europeismi molto poco europei, l’unica cosa che sembra certa è che il carrozzone del centrodestra berlusconiano gode di ottima salute, sondaggiato e omaggiato dai suoi fans e indirettamente favorito dai suoi stessi oppositori e detrattori.
Questi ultimi, infatti, non riescono proprio a parlare di qualcosa che non riguardi Colui che ormai chiama se stesso “il presidente del consiglio” (usando la terza persona come Giulio Cesare…), alimentandone la paranoia ma, al tempo stesso, le manie di grandezza.
Ma occupiamoci piuttosto del maxi-partito cui ha saputo dar vita, azzerando dopo decenni quello che restava della destra tradizionale, ma anche del liberalismo classico e del conservatorismo cattolico. Ecco allora che ciò che una volta era definito un “POLO ”, grazie al banale ma efficace raddoppiamento della prima sillaba, è magicamente diventato il “POPOLO” della Libertà: un efficace Trade Mark, capace di rispondere a due esigenze al tempo stesso.
La prima è quella di evocare negli Italiani il modello di Partito di massa, quasi del Partito nazionale – con una buona dose di populismo vagamente sudamericano – mentre la seconda, ancora più pratica, è quella di candidare il PdL a forza maggioritaria e trainante del “Partito Popolare Europeo”,  per meglio condizionarlo e guidarlo, come Ipse dixit.
La verità è che tale contenitore elettorale sembra meno tranquillo e pacificato di quanto vorrebbe farci credere il suo duce. Sotto l’apparenza unanimistica ed elettoralisticamente omogenea, in effetti, ribollono scontenti e ripicche, mugugni e propositi di rivalsa, opportunismi e consueti doppiogiochismi.
Ciò che conta, d’altra parte, è che alleati vecchi e nuovi sembrano allineati e coperti dietro il loro condottiero, ciascuno con le proprie priorità ed i propri referenti elettorali, ma tutti protesi verso una vittoria che sembrerebbe ampiamente scontata.
Ma la “gioiosa macchina da guerra” del centrodestra, anziché suggerire una partecipazione autenticamente popolare, mi sembra lasci intravedere una sorta di OGM elettorale, una creatura artificiale, frutto d’ingegneria genetica, la cui salute e tenuta nel tempo è tutta da verificare.
Se penso alla grossa “testa” che ne costituisce il vertice decisionale, unita ai molteplici ma poco robusti terminali elettorali che da essa si dipartono, mi verrebbe piuttosto da parlare di POLIPO DELLA LIBERTA’ , una preoccupante creatura che unisce l’inconsistenza ideologica di un mollusco alla tenacia tentacolare di un pericoloso predatore.
Una lunga serie di “ex” (liberali, repubblicani, socialisti e socialdemocratici, destro-nazionalisti e democristiani), uniti a federalisti e forzitalioti della prima ora, rappresentano in effetti gli otto tentacoli di questa strana creatura, il cui referente comune sarebbe la “libertà”.  Ma di quale libertà stiamo parlando? Quella per cui hanno combattuto gli Italiani che hanno “buttato il sangue”, metaforicamente o meno, per costruire le basi della nostra Repubblica, o piuttosto la determinata volontà di avere le mani libere, per continuare a realizzare impunemente e senza troppi fastidi i propri affari, più o meno sporchi…?
L’unica libertà che conta per questo popolo-polipo sembra quella di chi non vede l’ora di sbarazzarsi una buona volta di giornalisti e magistrati; di cassare disinvoltamente leggi e normative che ostacolano la libera imprenditorialità; di imbonire la mente delle persone di luoghi comuni sulla sicurezza, sul rischio-immigrati, sulla necessità di far ripartire la crescita, sull’indispensabilità di grandi opere multimiliardarie e sulla necessità di semplificare la dialettica politica e, quindi, di prefettizzare le istituzioni e di militarizzare il territorio.
Ecco, questo “polipo della libertà” lo vedrei bene “affogato”, come il classico “purpo” della tradizione culinaria partenopea. Mi asterrei, però, dal consumarne l’altrettanto tradizionale “bròro”, sicuro come sono che si rivelerebbe un brodo di coltura concentrato di ciò che, da anni, sta avvelenando la nostra repubblica ed azzerando la vera democrazia.   

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