DOV’E’ LA VITTORIA?

Nel tempo necessario per leggere questo post l’Italia sta spendendo oltre 51.000 euro per le spese della c.c. “difesa”. Nel 2010, infatti, sono stati già spesi 27 miliardi di euro, vale a dire 76 milioni ogni giorno, 3 milioni ogni ora e, appunto, oltre 51.000 euro al minuto!
In aggiunta a quest’enorme quantità di risorse economiche assegnate al Ministero della Difesa nello scorso anno, il Parlamento italiano – su proposta del Governo – ha approvato una spesa di altri 17 miliardi di euro nei prossimi anni, per l’acquisto di 131 caccia-bombardieri F35. Basterebbe rinunciare ad un solo cacciabombardiere e si potrebbero costruire 183 nuovi asili per 12.810 bambine e bambini…
La partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan ci costa tuttora 2 milioni di euro al giorno ed ha causato decine di migliaia di vittime, in maggioranza civili. L’ultima delle operazioni armata cui abbiamo partecipato, quella contro la Libia che in teoria si è appena conclusa, ci è finora costata 700 milioni di euro!
Ma siccome siamo un grande Paese industriale, nel 2009 l’Italia ha esportato armi per un circa 5 miliardi di euro, contribuendo ad alimentare focolai di guerra in tutto il mondo!
L’art. 11 della Costituzione della nostra Repubblica dichiara solennemente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Ma i 27 miliardi all’anno già spesi ed i 17 previsti solo per i nuovi caccia F35 che cosa hanno a che fare con la “difesa della Patria” che – secondo l’art. 52 della stessa Costituzione – sarebbe “sacro dovere del cittadino” ? E le missioni armate cui abbiamo aderito supinamente, quelle passate e quelle attuali, non sono forse atti di quella guerra che, secondo la Carta costituzionale, dovremmo invece “ripudiare”?
Il Governo ha tagliato 8 miliardi alla scuola ed ai servizi sociali, però non vuol rinunciare neanche ad uno dei 131 bombardieri F35, il cui solo costo permetterebbe di realizzare ben 183 asili! Non ci resta, allora che protestare contro l’ipocrisia di chi vorrebbe contrabbandare il 4 novembre come una celebrazione civile e di unità nazionale, come se le Forze Armate avessero una mission diversa da quella di addestrarsi a fare la guerra.
L’alternativa c’è, e da molti anni. Decenni di lotte per l’0biezione di coscienza, il servizio civile nazionale e l’affermazione della difesa civile nonviolenta ci hanno portato ad una legislazione in teoria esemplare nel contesto dell’Unione Europea. Purtroppo si continua a fare propaganda strisciante ed ambigua nelle scuole, a vanificare le potenzialità del servizio civile e ad ignorare ogni reale alternativa alla difesa armata. Contro tutto questo è doveroso non solo indignarsi, ma lottare contro le mistificazioni militariste e per diffondere una cultura di pace e di nonviolenza attiva.
Ecco perché non c’è nessuna “vittoria” da festeggiare il 4 novembre, ma piuttosto l’esigenza di commemorare le centinaia di migliaia di morti delle tante “inutili stragi” della nostra storia ed un impegno comune perché l’Italia si “desti” sì, per cingersi la testa non dello “elmo di Scipio”, ma con una pacifica corona di foglie d’ulivo.
(C) 2011 Ermete Ferraro

FINISCE CHE CI CACCIANO PURE DALLA NATO…!

Sono seriamente preoccupato. Ho letto che l’Italia, dal 2008 al 2009, è passata dall’ottavo al decimo posto nella classifica internazionale delle spese militari. Vabbé, c’è la crisi. Però non era un buon motivo per tagliare proprio sulla difesa, riducendo la sua voce nel bilancio e scendendo a meno di 30 miliardi di euro…!
Eppure ce lo avevano raccomandato, quelli della NATO, di non “tagliare” troppo ! Rasmussen, il segretario generale, era stato chiarissimo a tal proposito. “…tagli troppo pesanti mettono a rischio la sicurezza futura e potrebbero anche avere implicazioni economiche negative”. E invece niente. Per non stare a sentire le solite critiche dei disfattisti, mentre gli USA continuano a fare il loro dovere, spendendo il 4,7% del PIL, noi italiani abbiamo fatto ancora una volta una figuraccia, scendendo al 1,5%, meno ancora della spesa media degli europei, che già non raggiunge il 2% !
Naturalmente i pacifisti hanno trovato da ridire anche su questo. Dicono che le spese militari mondiali – secondo il SIPRI – sarebbero aumentate del 6% rispetto al 2008 e che, nel caso degli Stati Uniti, in nove anni sono aumentate quasi del 50%. Embé, che cosa dovrebbero fare gli USA? Starsene a lesinare sulla spesa militare proprio quando i fronti si aprono da tutte le parti?
La verità è che loro hanno tenuto saldamente il primo posto nelle classifiche mondiali, mentre noi rischiamo di finire in serie B, tra quei paesi sottosviluppati che non sanno investire nella propria sicurezza, mettendo in pericolo anche il nostro sviluppo e la stessa civiltà occidentale…
Finora siamo riusciti almeno a restare nella “top ten”, ma se ci lasciamo andare ancora finisce che ci cacciano pure dalla NATO. E poi, che razza di figura ci facciamo con i nostri ‘cugini’ d’oltralpe, che hanno speso 52,3 miliardi di euro? Perfino l’Arabia Saudita ha speso più di noi (33,8) e, d’altra parte, lo dicono pure i giornali che stiamo diventando dei rammolliti pacifisti, visto che negli stessi nove anni, abbiamo ridotto il nostro budget della difesa del 13,3%…
Dice: nel 2009 ogni italiano, grande o piccolo, ha speso 500 euro a testa per le nostre forze armate.
E che c’è di strano in questo? Cosa volete che siano 500 miserabili euro di fronte alla sicurezza del nostro Paese? Gli americani sborsano ogni anno più di 1700 euro ciascuno e nessuno si permette di dire che è troppo! E poi, si fa presto a dire “taglia”… Lo ha detto pure il ministro La Russa che non può mica tagliare sul personale della difesa, e allora finisce che la scure si abbatte sugli investimenti e sulle spese indispensabili. Che dite? Che è stato previsto di mandare a casa 130 mila insegnanti nei prossimi tre anni? E fanno bene! Che ce ne facciamo di tutti questi sedicenti maestri, che accampano solo diritti e che stanno sempre a lamentarsi per questo e per quello? Quello che è certo è che quest’anno stiamo scendendo a poco più di 20 miliardi, cioè appena l’1,3% del bilancio attuale, e c’è chi vorrebbe ancora protestare…! Se non si può ridurre il personale della difesa (appena 185mila uomini e donne, quelli sì che meritano il nostro grazie…) va sicuramente a finire che si dovrà tagliare sugli armamenti. Già li sento i soliti antimilitaristi del cavolo! “Vuol dire che non compreremo più i 131 cacciabombardieri F35 che costano tanto alle casse dello Stato”. Ma di che cosa blaterano quei cretini? Si tratta solo di 13 miliardi e mezzo di euro, da pagare entro il 2016 in comode rate. Mica possiamo andare in giro con i vecchi caccia dell’ultima guerra, che diavolo!
E dire che nel 2009 noi italiani abbiamo fatto invece un’ottima figura con l’industria bellica, visto che le esportazioni di armi italiane sono aumentate del 61% per un valore di 4 miliardi e 900 milioni, grazie anche alle banche che hanno investito saggiamente nel futuro di un’Italia forte!
Bah, meno male che c’è stata la parata militare del 2 giugno e abbiamo potuto rifarci un po’ gli occhi con la sfilata dei nostri bravi soldati ! Oddìo, li chiamiamo soldati, ma effettivamente c’è qualcosa di vero nel fatto che 90 mila militari su 185 mila oscillano fra il grado di generale e quello di sottufficiale. Ma, in fondo, che c’è di strano se abbiamo delle forze armate che per metà sono fatte di comandanti ? Vuol dire che sono un personale molto qualificato, anche se vanno dicendo che soltanto 25 mila uomini sono realmente preparati ed operativi per le missioni di pace che svolgiamo all’estero. E poi, basta con questa vecchia storia dei 40 mila marescialli non qualificati che restano nelle caserme! La colpa è solo di chi per decenni ha voluto demagogicamente l’ “esercito di popolo”, mentre ora abbiamo decisamente cambiato rotta e, non per vantarci, facciamo la nostra figura sui principali scenari di guerra…cioè di ‘ristabilimento della pace’. E per questo non facciamoci mettere sotto dai disfattisti di sempre e gridiamo a una voce: “Viva i Bersaglieri!”
(C) 2010 Ermete FERRARO

TOGLIERE LE BASI ALL’INDIFFERENZA…

          DI ERMETE FERRARO
Sabato 14 marzo a Napoli c’è stata una manifestazione nazionale contro la guerra e le basi militari. Il primo elemento che l’ha caratterizzata è stato l’assordante silenzio dei media e la sonnacchiosa indifferenza d’una città narcotizzata sia dalle emergenze quotidiane di chi ha problemi, sia dal diffidente menefreghismo dei benestanti .
Nell’Antisala dei Baroni, al Maschio Angioino, di mattina c’erano quasi solo gli ‘addetti ai lavori’ a partecipare all’assemblea“Togliere le basi alla guerra”, per cui il confronto, utile e necessario dopo un lungo vuoto d’iniziative, ha riguardato quasi esclusivamente vecchi e più recenti militanti antimilitaristi e pacifisti, napoletani ma anche siciliani, liguri e veneti.
Nel pomeriggio, il colorato e vivace corteo – partito da piazza del Gesù Nuovo e diretto alla Stazione Marittima – ha sì raccolto un universo variegato ed alternativo (giovani dei centri sociali, militanti umanisti, eco pacifisti, aderenti ad organizzazioni cattoliche e missionarie…), ma è sfilato in mezzo ad una Napoli addormentata, distratta ed incapace d’identificarsi nelle pur gravi problematiche che erano al centro della manifestazione.
Militarizzazione crescente del territorio, rischio nucleare, pericoli di una nuova escalation che ci riporti alla guerra atomica, subalternità di governi ed amministrazione alle logiche guerrafondaie della NATO, degli Stati Uniti e della stessa Unione Europea…beh, non si trattava mica di questioncelle secondarie né delle fisime di qualche estremista pacifista. Tanto meno si trattava di problemi che non hanno niente a che fare con quelli quotidiani che angosciano i cittadini di Napoli e della Campania. Eppure era palpabile la tradizionale strafottenza di una comunità che da anni piange sui suoi guai, ma non riesce proprio a dargli un nome e a fare qualcosa per scrollarseli di dosso…   (SEGUE)

TOGLIERE LE BASI DELL’INDIFFERENZA (2)

Prima ancora di “togliere le basi alla guerra”, allora, bisognerebbe forse cominciare – tutti insieme – a buttar giù le basi culturali, sociali e politiche di un modo assurdamente individualistico di vivere i problemi, che impedisce di coglierne la dimensione collettiva e, soprattutto, l’ottica preventiva che impedisce di aspettare che le questioni ci cadano addosso per cominciare a muoverci. Gà, bisognerebbe proprio iniziare col togliere le basi dell’indifferenza, della diffidenza indistinta verso la politica tradizionale e quella alternativa, della tenace ed inspiegabile resistenza della gente al cambiamento.
Chi vive ogni giorno in una Napoli occupata da basi e comandi militari, nuclearizzata dalla presenza di portaerei e sottomarini, presidiata per la strada e nelle discariche da militari armati, non può considerare normale tutto ciò.
Chi è cittadino di un comune, di una provincia e di una regione dove le decisioni sono sempre calate dall’alto, senza un minimo di rispetto per la volontà reale della gente, non può certo pensare che questa sia democrazia.
Chi vive quotidianamente il contrasto tra la crescente difficoltà di sopravvivere ad una crisi occupazionale, ambientale e sociale e lo sperpero oltraggioso ed arrogante dei nuovi ricchi, non può ritenere che tutto questo abbia qualcosa a che fare con la normalità.

Ecco perché bisognerebbe coniugare ancor di più di prima le lotte antimilitariste ed antinucleari con quelle per la difesa della risorsa acqua, per la tutela degli ecosistemi – urbani e non -minacciati, per un modello di sviluppo e di energia che sia l’esatto contrario di quello attuale, in nome dell’ambiente ma anche della giustizia e di una visione comunitaria, equa e solidale di convivenza civile.
Però tutte queste restano solo parole, se non ci rimbocchiamo le maniche e se, ciascuno nel proprio ambito oltre che dentro le proprie organizzazioni, non cominciamo a “contestare” questo sistema di morte nelle nostre scelte di tutti i giorni. Ritirare i propri soldi dalle ‘banche armate’, fare obiezione fiscale alle spese militari, fare ricorsi ed altri atti di disobbedienza civile contro scelte suicide come il nucleare, cambiare stile di vita e testimoniare giorno per giorno l’alternativa in cui crediamo, educando i nostri figli a fare lo stesso: questa è la strada. Bisogna però anche protestare, manifestare, ritornare a fare politica in prima persona. Come si diceva negli anni ’70: “meglio attivi che radioattivi”

NO “PAGO BANCOARMAT” !

—–di Ermete Ferraro

“Banche armate”. No, non è un errore: si tratta proprio del nome della campagna promossa da Missione Oggi Mosaico di pace Nigrizia, per fare controinformazione e sensibilizzare l’opinione pubblica sul perverso intreccio tra i principali istituti di credito e l’industria delle armi; insomma, tra le multinazionali della finanza e quelle che trafficano in strumenti di morte. E, in effetti, noi italiani non ci facciamo mancare niente, da questo punto di vista. Siamo o non siamo all’ottavo posto nel mondo per spese militari ed al settimo nell’export di armamenti ? E allora, perché meravigliarci se intorno a questo ghiotto boccone ronzano tante mosche e mosconi travestiti da banchieri? A quanto pare, il settore che tira di più è proprio quello che una volta veniva denominato come “complesso militare-industriale” o “industria di morte”. Ricordo che negli anni ’70 c’era un vivace dibattito, anche all’interno del sindacato, sulla “riconversione civile” del settore bellico. Beh, a distanza di 30 anni l’impressione è che a resistere strenuamente sia stato proprio quest’ultimo, e che tante risorse finanziarie, anziché nutrire progetti di pace e di sviluppo solidale, siano andate a ingrassare l’industria degli armamenti….. Molti degli istituti di credito che finanziano questo immondo mercato (ne trovate qui sotto l’elenco, aggiornato all’anno scorso, tratto dal sito ufficiale della campagna: http://www.banchearmate.it) ovviamente hanno cominciato ad avvertire la pressione dei loro clienti più informati e consapevoli, che hanno minacciato d’interrompere il loro rapporto con chi appoggia i mercanti di morte. Qualcuno si è perfino spinto ad un’effettiva riduzione o interruzione di questo genere di finanziamenti, ma – come si sottolinea giustamente nell’editoriale di giugno ’08 del periodico “Bancanote”- la questione della presenza o meno in quella ‘lista nera’ non può esaurire le responsabilità etiche di tante banche nell’import-export di armamenti, mettendo in secondo piano altre non meno pesanti, come il finanziamento delle operazioni riguardanti le armi leggere. L’Italia, anche in questo caso, è al top della classifica dei produttori-esportatori mondiali e sarebbe ben strano se dovessimo fare un processo solo a chi finanzia i venditori di missili, trascurando chi foraggia i mercanti di pistole e fucili. Il nostro dovere è quello di opporci ad entrambi, a partire dalla diffida alle “banche armate” di cui ci troviamo facilmente ad essere correntisti (basta scorrere l’elenco per incontrare tutti i principali istituti creditizi italiani, a partire da Intesa-Sanpaolo che domina questa poco edificante “hit parade”), ma preoccupandoci anche di tutte le operazioni finanziarie che coinvolgono i nostri soldi in tanti squallidi affari. Per informarvi in proposito, e per capire come la nostra responsabilità morale non possa fermarsi alle soglie della nostra banca, per quanto sorridente e disponibile possa presentarsi, consiglio di visitare il sito cit. della Banca Popolare Etica e di approfondire questa ed altre esperienze di finanza alternativa.

FAO, FARINA E FORZE (ARMATE)

 

                                                                                                         DI ERMETE FERRARO 

  

Su tutti i quotidiani abbiamo letto i commenti poco entusiasti al vertice della FAO che si è chiuso a Roma nei giorni scorsi. Si è parlato esplicitamente di fallimento di questo rituale incontro dei “potenti della terra”, che ha mostrato solo quanto in realtà siano impotenti di fronte ad una tragedia che riguarda oltre 860 milioni di affamati.

Tutti gli organi d’informazione hanno sottolineato che, in un mondo che va a due velocità, agli sprechi assurdi di una parte minoritaria continuano a corrispondere le morti per fame di oltre il 15% dell’umanità. Il direttore della FAO, il senegalese Jacques Diouf, si è chiesto un po’ retoricamente. come si possa spiegare alla gente di buon senso che non è stato possibile trovare 30 miliardi di dollari all’anno per nutrire quei 862 milioni di affamati, ma ovviamente non si è dato una risposta.

Secondo gli obiettivi del Millennio, entro il 2015 si sarebbe dovuto dimezzare questo spropositato esercito di “morti di fame”, ma la realtà mostra proprio il contrario, visto che la crisi alimentare è stata ulteriormente peggiorata dai cambiamenti climatici, dalla produzione dissennata di biocarburanti e dalla diffusione a macchia d’olio di produzioni transgeniche (OGM), che producono danni irreversibili sia sul piano ambientale sia su quello socio-economico.

Il guaio è che quella parte del mondo che produce 300 milioni di obesi ha troppi interessi da difendere per poter affrontare seriamente le proprie contraddizioni. Il problema, infatti, non è solo come produrre più derrate alimentari (secondo il segretario generale dell’ONU, dovrebbero aumentare del 50% ), ma di modello di sviluppo, di accesso alle risorse e di scelte che vanno in tutt’altra direzione, come nel caso dell’odiosa speculazione sul prezzo dei cereali e di investimenti in settori di morte anziché di vita.

Le scelte di morte, è appena il caso di precisarlo, sono i 1.200 miliardi di dollari “investiti” in spese militari nel 2006, secondo il “SIPRI YEARBOOK 2007”, dal quale si può ricavare facilmente che l’Italia occupa l’8° posto nella classifica dei paesi che investono di più nella cosiddetta “difesa”.

Ebbene sì: la nostra  amata (o armata…?) “Repubblica democratica fondata sul lavoro” sta spendendo in questo sciagurato modo 23 miliardi di euro, secondo la finanziaria 2008, ed è dal 2006 responsabile del 3% delle spese mondiali per la difesa. Negli ultimi due anni – hanno sottolineato opportunamente fonti pacifiste – la spesa militare è cresciuta del 20%, e con il nuovo governo di centrodestra sembra destinata ad essere ulteriormente aumentata. Il quadro è completo se riflettiamo anche sul fatto che – nel periodo 2002-06 – l’Italia ha occupato addirittura il 7° posto nella scellerata hit-parade degli esportatori di armi (il 2,4% del totale mondiale) e che l’italiana “Finmeccanica” detiene lo stesso posto nella classifica delle maggiori aziende mondiali che producono armamenti, con un fatturato di 9.800 milioni di dollari.

Silvio Berlusconi, intervenendo al vertice della FAO, ha affermato che “E’ tempo delle azioni, non delle parole”. Bene. Il problema è di quali azioni stiamo parlando. Se la risposta agli 862 milioni di “morti di fame”, che potrebbero essere sfamati con 30 miliardi di dollari l’anno, è che 1.200 miliardi di dollari per spese militari non sono abbastanza, beh, siamo di fronte a “cattive azioni”…!

Se la risposta del leader brasiliano Lula a quello che egli stesso ha definito “insulto all’umanità” devono essere le produzioni di biocarburanti e l’uso massivo di OGM, siamo ancora davanti a “cattive azioni”.

Basti pensare che l’Unione Europea ha usato 2,85 milioni di ettari per coltivare colza e altri OGM per biocarburanti. Pero, se su quei terreni avesse coltivato invece mais o frumento a scopo alimentare, senza utilizzare prodotti transgenici, si sarebbe potuto avere un raccolto pari a 68 milioni di tonnellate di grano, cioè cibo per 373 milioni di persone per un anno…

Ecco perché c’è bisogno di ben altro tipo di azioni, di scelte diametralmente opposte, di un nuovo ed alternativo modello di sviluppo, che arresti la spirale micidiale della “crescita” a tutti i costi e che persegua l’obiettivo di una pace che può essere frutto solo della giustizia e non può mai essere disgiunta dalla salvaguardia del Creato.