Su tutti i quotidiani abbiamo letto i commenti poco entusiasti al vertice della FAO che si è chiuso a Roma nei giorni scorsi. Si è parlato esplicitamente di fallimento di questo rituale incontro dei “potenti della terra”, che ha mostrato solo quanto in realtà siano impotenti di fronte ad una tragedia che riguarda oltre 860 milioni di affamati.
Tutti gli organi d’informazione hanno sottolineato che, in un mondo che va a due velocità, agli sprechi assurdi di una parte minoritaria continuano a corrispondere le morti per fame di oltre il 15% dell’umanità. Il direttore della FAO, il senegalese Jacques Diouf, si è chiesto un po’ retoricamente. come si possa spiegare alla gente di buon senso che non è stato possibile trovare 30 miliardi di dollari all’anno per nutrire quei 862 milioni di affamati, ma ovviamente non si è dato una risposta.
Secondo gli obiettivi del Millennio, entro il 2015 si sarebbe dovuto dimezzare questo spropositato esercito di “morti di fame”, ma la realtà mostra proprio il contrario, visto che la crisi alimentare è stata ulteriormente peggiorata dai cambiamenti climatici, dalla produzione dissennata di biocarburanti e dalla diffusione a macchia d’olio di produzioni transgeniche (OGM), che producono danni irreversibili sia sul piano ambientale sia su quello socio-economico.
Il guaio è che quella parte del mondo che produce 300 milioni di obesi ha troppi interessi da difendere per poter affrontare seriamente le proprie contraddizioni. Il problema, infatti, non è solo come produrre più derrate alimentari (secondo il segretario generale dell’ONU, dovrebbero aumentare del 50% ), ma di modello di sviluppo, di accesso alle risorse e di scelte che vanno in tutt’altra direzione, come nel caso dell’odiosa speculazione sul prezzo dei cereali e di investimenti in settori di morte anziché di vita.
Le scelte di morte, è appena il caso di precisarlo, sono i 1.200 miliardi di dollari “investiti” in spese militari nel 2006, secondo il “SIPRI YEARBOOK 2007”, dal quale si può ricavare facilmente che l’Italia occupa l’8° posto nella classifica dei paesi che investono di più nella cosiddetta “difesa”.
Ebbene sì: la nostra amata (o armata…?) “Repubblica democratica fondata sul lavoro” sta spendendo in questo sciagurato modo 23 miliardi di euro, secondo la finanziaria 2008, ed è dal 2006 responsabile del 3% delle spese mondiali per la difesa. Negli ultimi due anni – hanno sottolineato opportunamente fonti pacifiste – la spesa militare è cresciuta del 20%, e con il nuovo governo di centrodestra sembra destinata ad essere ulteriormente aumentata. Il quadro è completo se riflettiamo anche sul fatto che – nel periodo 2002-06 – l’Italia ha occupato addirittura il 7° posto nella scellerata hit-parade degli esportatori di armi (il 2,4% del totale mondiale) e che l’italiana “Finmeccanica” detiene lo stesso posto nella classifica delle maggiori aziende mondiali che producono armamenti, con un fatturato di 9.800 milioni di dollari.
Silvio Berlusconi, intervenendo al vertice della FAO, ha affermato che “E’ tempo delle azioni, non delle parole”. Bene. Il problema è di quali azioni stiamo parlando. Se la risposta agli 862 milioni di “morti di fame”, che potrebbero essere sfamati con 30 miliardi di dollari l’anno, è che 1.200 miliardi di dollari per spese militari non sono abbastanza, beh, siamo di fronte a “cattive azioni”…!
Se la risposta del leader brasiliano Lula a quello che egli stesso ha definito “insulto all’umanità” devono essere le produzioni di biocarburanti e l’uso massivo di OGM, siamo ancora davanti a “cattive azioni”.
Basti pensare che l’Unione Europea ha usato 2,85 milioni di ettari per coltivare colza e altri OGM per biocarburanti. Pero, se su quei terreni avesse coltivato invece mais o frumento a scopo alimentare, senza utilizzare prodotti transgenici, si sarebbe potuto avere un raccolto pari a 68 milioni di tonnellate di grano, cioè cibo per 373 milioni di persone per un anno…
Ecco perché c’è bisogno di ben altro tipo di azioni, di scelte diametralmente opposte, di un nuovo ed alternativo modello di sviluppo, che arresti la spirale micidiale della “crescita” a tutti i costi e che persegua l’obiettivo di una pace che può essere frutto solo della giustizia e non può mai essere disgiunta dalla salvaguardia del Creato.