Forze armate: IO NON CI CREDO

Basta con la Nazione armata!

4novembre2020

Con l’approssimarsi del 4 novembre, fervono le iniziative, nazionali e locali, per ‘celebrare’ anche quest’anno il “Giorno dell’Unità Nazionale” e la “Giornata delle Forze Armate”. Ma poiché la grave situazione sanitaria e sociale non consente lo svolgimento di grandi manifestazioni e tanto meno di sfilate spettacolari, il nostro Governo ha dovuto accontentarsi di mantenere un profilo un po’ più basso sul piano organizzativo. Non ha però rinunciato alla retorica patriottarda e militarista, sfoderata in queste circostanze, ed il Ministero della difesa ha prodotto e diffuso un manifesto ed un video per celebrare degnamente questa data. Il primo corto circuito logico nasce dal fatto stesso di aver sovrapposto impropriamente (e subdolamente) i due concetti in questione, dal momento che festeggiare l’unità nazionale non ha molto a che vedere con l’esaltazione delle forze armate, da un punto di vista sia storico sia ideologico. Dato – e non concesso – che gli Italiani del 21° secolo avvertano il bisogno insopprimibile di celebrare la loro unificazione come regno nazionale (avvenuta peraltro con mezzi assai discutibili quasi 160 anni fa), non si capisce perché nel contempo debbano rendere omaggio alle forze armate repubblicane (la cui istituzione è stata sancita lapidariamente nel 1948 dall’art. 52 della Costituzione).

Inculcare come ovvio e naturale il binomio Patria – Forze Armate è stata una strategia che nessun governo repubblicano ha finora avuto il coraggio di sconfessare, a costo di stendere un velo ipocrita sul lapidario e ancor più esplicito art. 11 della stessa Costituzione (“L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni…”), ricorrendo alla retorica della bandiera intesa come vessillo militare più che come simbolo identitario di una comunità civile.

Un secondo stereotipo, ancor più pernicioso, ha fatto delle forze armate una sorta di baluardo in difesa non solo della Patria (fingendo d’ignorare che ‘patria’ è solo un aggettivo che qualifica il sostantivo ‘terra’), ma anche della Santa Fede (evocando così una visione medievale che oggi risulta blasfema).

Il video prodotto dal Ministero della difesa per questo 4 novembre 2020, in effetti, cerca di coniugare questi due espedienti retorici già dal titolo: “IO CI CREDO”, che infatti è anche il réfrain dell’ultimo “spot istituzionale”. [i] L’intenzione è quella di far risuonare il suo messaggio quasi come una professione di fede. Peccato però che non si tratti di aderire ad un ‘credo’ religioso ma piuttosto ad un’istituzione laica, quella militare, il cui fine sarebbe di: «…essere fedele alla Repubblica Italiana, di osservarne la Costituzione e le leggi e di adempiere con disciplina e onore tutti i doveri […] per la difesa della Patria e la salvaguardia delle libere istituzioni». [ii]

È il caso di notare, a tal proposito, che sia il testo dell’art. 52 della Costituzione Italiana, sia quello del citato ‘giuramento militare’, non definiscono affatto come ‘armata’ la difesa.

«La Legge Costituzionale 18.10. 2001 n. 3, di riforma del Titolo V, Parte II della Costituzione, che ha modificato l’art.117 della Costituzione, affidando alla competenza legislativa delle Regioni e delle Province Autonome di Trento e di Bolzano tutte le materie non estesamente riservate alla competenza legislativa esclusiva o concorrente dello Stato, ha previsto tra le materia riservate allo Stato, la “difesa e Forze Armate, sicurezza dello Stato, armi, munizioni ed esplosivi” (art. 117, 2° comma. lettera d). Si distingue, quindi, tra ‘difesa’ e ‘Forze Armate’ […] Ne consegue quindi la legittimità costituzionale di una “difesa” che non comporti l’uso delle armi e che sia in sintonia con l’art. 11 della Costituzione».[iii]

Tenuto conto che dal 2005 la coscrizione obbligatoria è stata ‘sospesa’, non abolita del tutto, di corpi militari, gerarchicamente costituiti, ne consegue che chi si arruola nelle forze armate va a far parte volontariamente ad un’istituzione che dovrebbe assicurare esclusivamente la ‘difesa armata’ di quella che a volta chiamavano Patria, ma che da molti anni è definibile, cinicamente ma più realisticamente, come ‘interessi nazionali’.

«Il fine ultimo della politica nazionale di sicurezza internazionale e difesa è la protezione degli interessi vitali e strategici dell’Italia […] Sebbene multiformi strumenti d’azione intergovernativa potranno essere impiegati dal Governo per il raggiungimento di tali obiettivi, la capacità delle Forze armate di difendere l’Italia e i suoi interessi rimangono centrali».[iv]

Un secolo e mezzo dopo la c.d. ‘unità’, sarebbe stato opportuno (e meno ipocrita) smettere di rispolverare il concetto risorgimentale di ‘nazione armata’, intimamente connesso a quello di ‘esercito permanente’ [v] , prendendo atto che le forze armate, oggi più che mai, servono a difendere gli interessi d’un sistema economico-politico-militare che ha ben poco a che fare sia con la sicurezza nazionale, sia con la salvaguardia della democrazia.

Un Symbolum del neo-militarismo?

Il breve video (60 secondi nella versione integrale) diffuso dal nostro Ministero della difesa non presenta particolari novità rispetto ad altro materiale propagandistico delle forze armate, su cui mi è sono soffermato in precedenti commenti. [vi] Ancora una volta, infatti, si cerca di accreditarle come una realtà multiforme al servizio dello Stato, che presenta la faccia burbera e dura dei soldati professionali, ma anche quella bonaria e protettiva di chi sa esser pronto ed attivo per tutte le emergenze, dai terremoti alle pandemie, grazie  all’esperienza consolidata di chi sa distruggere ma anche ricostruire, minacciare ma anche proteggere… 

Banalmente, è la tecnica – riscontrabile in tanti libri e film polizieschi – del “bad cop – good cop” che si alternano o, se vogliamo scomodare la teologia, della divinità buona ma severa, misericordiosa ma vendicativa che emerge dalle pagine vetero-testamentarie in cui si fa spesso riferimento al ‘Signore degli Eserciti’ [vii].

Nello ‘spot istituzionale’ confezionato per il 4 novembre 2020, il rinvio subliminale ad una sorta di professio fidei suona come l’ennesimo tentativo non solo di giustificare, ma perfino di sacralizzare l’istituzione militare E lo si fa rinsaldando gli ormai deboli legami col popolo grazie alle sue pretese ‘virtù cardinali’ ed accreditandosi come provvidenziale ‘strumento’ per rinsaldare la fede nel valore della nostra gente, la carità solidale verso chi ha bisogno d’aiuto e la speranza nel domani dell’Italia.  Il martellante e trionfale ritornello del claim ci porta in una dimensione che non è più quella attenuata nel titolo del ‘crederci’ (nel senso di dare credito e fiducia a qualcuno o a qualcosa), bensì del ‘credere’ come atto di adesione profonda ad una verità incontrovertibile.

Ma in che cosa dovrebbe ‘credere’ chi fa parte delle forze armate? Il video è diviso equamente in due manifestazioni di omaggio, rispettivamente al valor militare ed a quello civile, che si riallacciano alla fine in una visione che li coniuga mediante il simbolo della bandiera, alzata all’inizio sul pennone come immagine stessa dell’orgoglio nazionale.

«…”Credo nel mio paese e nella sua gente. / Credo nell’impegno e nel coraggio. // Credo nell’alzare lo sguardo e nel valore dell’altro. /Credo nel domani e nell’Italia che spera. //

Perché siam popolo. /Unito sotto una sola bandiera// Forze Armate /Io ci credo!” ». [viii]

Le prime due affermazioni si riferiscono ovviamente alla competenza bellica delle nostre forze armate, delle quali scorrono sullo schermo entusiastiche immagini di soldati di fanteria, carristi e piloti di aviazione, esaltandone l’azione col ricorso alle parole-chiave impegno e coraggio. Le successive due frasi riecheggiano invece mentre il video ci mostra carabinieri, alpini e finanzieri in operazioni di salvataggio nei paesi terremotati o sulle nevi, evocando altruismo e speranza in un domani migliore. La conclusione è nelle marziali immagini d’un equipaggio di marinai schierati per l’alzabandiera sul ponte di una portaerei, dalla quale si levano in volo gli aviogetti dei nostri ‘top gun’, quasi a sugellare il giuramento di fedeltà al tricolore dell’Unità, simbolo dell’unità popolare. Il tutto accompagnato da un’esecuzione rallentata dell’inno nazionale, intersecata dai rumori di fondo di quelle nobili ‘missioni’, civili e militari…

Militarismo in salsa clerical-populista

In questi giorni abbiamo avuto modo di sperimentare quanto possa essere subdolo il connubio tra istituzioni militari e religiose. Proprio quando, ancora una volta, Papa Francesco rinnovava con la sua enciclica “Fratelli tutti[ix] il suo accorato appello alla fratellanza universale, al disarmo ed alla pace, sul cielo di Assisi è andato in scena un blasfemo ‘omaggio’ al Santo simbolo dell’amore per il Creato e della Pace di Cristo. L’esibizione della pattuglia acrobatica dell’aeronautica militare, meglio conosciuta col nome di Frecce Tricolori, è stata salutata con incontenibile entusiasmo dal portavoce del S. Convento padre Enzo Fortunato, quasi si trattasse di un colorito spettacolo folkloristico anziché di una palese manifestazione di patriottismo militarista, che non c’entra per nulla collo spirito autentico del messaggio francescano. Ben ha fatto Rocco Altieri – docente ed editore nonviolento – a stigmatizzare la sconcertante contraddizione di un autorevole rappresentante dell’Ordine fondato dal mite Poverello d’Assisi che esalti simili esibizioni.

«Il sorvolo dell’aeronautica militare sui cieli di Assisi il 4 ottobre scorso è stato un atto di una gravità inaudita, una profanazione della vocazione di Pace della città di Assisi. Tali esibizioni di aerei militari, nobilitati col nome di frecce tricolori o pattuglia acrobatica, sono simboli di morte, gravemente inquinanti e costosi, forieri di guerra, che non possono essere giustificati come spettacolo di omaggio a San Francesco. Questi sorvoli sono stati pensati dai militari, dal ministero della Difesa e dall’industria italiana Leonardo per promuovere la produzione e il commercio degli armamenti che Papa Francesco ha ripetutamente condannato. Sono sparvieri di fuoco il cui rombo fa tremare le abitazioni, spaventa le allodole care a Francesco, gli uccelli nel cielo e i bimbi sulla terra! Sono insegne imperiali di un comando violento del mondo verso cui i cristiani non accettano di prostrarsi, bruciando i granelli di incenso sull’altare della guerra. Il Dio dei cristiani è il Dio della vita e rifiuta ogni forma di idolatria…».  [x]

Per carità cristiana non mi soffermo sulle ancor più sconcertanti risposte alla sua ‘obiezione di coscienza’ rilasciate dal Custode dello stesso S. Convento e dal direttore del quotidiano cattolico Avvenire, oscillanti tra banalizzazione dell’episodio e conferma di un’evidente simpatia per il rutilante immaginario del mondo militare. Vorrei sottolineare, invece, che non mi sembra che si percepisca abbastanza quanto sia scandalosa – nel senso evangelico del termine – la militarizzazione del sacro e la sacralizzazione del militare, le cui antiche radici non sono state estirpate neppure dal magistero di sei pontefici (da Benedetto XV fino a Papa Francesco), che hanno condannato duramente la follia della guerra, l’incubo nucleare ed il commercio delle armi che foraggia sempre nuovi e micidiali conflitti armati.

Di fronte all’utilizzo di un linguaggio allusivo alla fede nel contesto di uno spot propagandistico delle forze armate italiane, si fa dunque avanti il sospetto che si voglia accreditare non solo come ineliminabile, ma perfino come virtuoso, quel complesso militare-industriale che in Italia sta incamerando nuove e sostanziose risorse finanziarie (30 miliardi), sottraendole a quel Recovery Fund che ben altri interessi dovrebbe servire. [xi]

Purtroppo il processo di militarizzazione della società e delle sue istituzioni – dalla protezione civile alla sanità, passando anche per la scuola) [xii] – sembra avanzare ormai tra l’indifferenza generale, trovando proprio nella pandemia una pericolosa scorciatoia. D’altra parte, basta aprire il sito web del Ministero della difesa, scorrendo i titoli delle notizie succedutesi in una sola settimana, per comprendere che l’apparato militare in questo mese si sia mosso in modo incalzante, come per una sorta di Sturmtruppen Oktober Fest

21 ottobre: “Covid-19: parte l’operazione Igea della Difesa…”; 22 ottobre: “La BEI finanzia la costruzione di tre navi oceanografiche della Marina Militare…”; 22 ottobre: “Approvato il Documento Programmatico Pluriennale della Difesa…”; 23 ottobre: “Nato: giornata conclusiva della riunione dei ministri della difesa”; 27 ottobre: “Riunione del Consiglio Supremo di Difesa”. [xiii]

Ma ora che la ‘difesa’ si avvia ad aprire il mese successivo con le rituali celebrazioni del 4 novembre, da antimilitarista nonviolento, ritengo doveroso ricordare che si tratta dell’anniversario della fine della ‘inutile strage’ della prima guerra mondiale, una data che dovrebbe essere per gli Italiani più una giornata di lutto che di festa.  E non bastano certo frecce tricolori, sventolii di bandiere, poster colorati, video trionfalistici ed altri espedienti retorici per cambiare la tragica realtà del passato o per mistificare quella futura.

N O T E


[i] https://www.youtube.com/watch?v=PspUNrpP97Q

[ii] https://it.wikipedia.org/wiki/Giuramento_militare

[iii] Giorgio Giannini, La difesa della patria e la difesa civile, non armata e nonviolenta, pp. 2-3 > http://www.serviziocivileunpli.net/wp-content/uploads/2010/09/Difesa-della-Patria-non-armata-e-non-violenta.pdf

[iv] Ministro della difesa, Libro bianco per la sicurezza internazionale e la difesa , 2015§ 55,  p. 15> https://flpdifesa.org/wp-content/uploads/2015/05/Libro-Bianco-30.04.2015-5a-versione-def-sul-sito-MD.pdf

[v] A tal proposito, cfr. Giuseppe Conti, FARE GLI ITALIANI. Esercito permanente e ‘nazione armata’ nell’Italia liberale, Milano, FrancoAngeli, 2012

[vi] Vedi, in particolare: Ermete Ferraro, Fenomenologia dello strumento militare (26.05.2020) > https://ermetespeacebook.blog/2020/05/26/fenomenologia-dello-strumento-militare/ e Idem, Bell’esempio ai ‘grandi di domani !’ (05.06.2020) > https://ermetespeacebook.blog/2020/06/05/bellesempio-ai-grandi-di-domani/

[vii] Cfr. Gianfranco Ravasi, “Il dio degli eserciti”, (23.01.2003), Avvenire > https://www.avvenire.it/rubriche/pagine/dio-degli-eserciti_20030123

[viii] Ministero della Difesa, “Verso il 4 Novembre: Il video istituzionale del Ministero della Difesa dedicato al Giorno dell’Unità Nazionale e Giornata delle Forze Armate “- Roma 28 ottobre 2020 > https://www.difesa.it/Primo_Piano/Pagine/video_istituzionale_4_novembre.aspx

[ix] S.P. Francesco, Fratelli tutti, Lettera enciclica sulla fraternità e l’amicizia sociale, Città del Vaticano, 4 ottobre 2020 > http://www.vatican.va/content/francesco/it/encyclicals/documents/papa-francesco_20201003_enciclica-fratelli-tutti.html

[x] Lettera aperta di Rocco Altieri, pubblicata il 23 ottobre 2020 da vari quotidiani, fra cui Vivo Umbria  > https://www.vivoumbria.it/2020/10/23/frecce-tricolori-ad-assisi-durissima-lettera-di-protesta-di-rocco-altieri-ai-frati-del-sacro-convento/?fbclid=IwAR3C5d9daaoycblJZzUa6-EW3k6PKvEFUg4f0kgO0s0kFlAWjf5_xRC6FRA  e Il fatto quotidiano.

[xi] Vedi: Manlio Dinucci, “Dal Recovery Fund 30 miliardi per il militare” (13.10.2020), il manifesto > https://ilmanifesto.it/dal-recovery-fund-30-miliardi-per-il-militare/

[xii] Rinvio, a tal proposito, ad alcuni articoli già pubblicati sul mio blog, fra cui: Presidiare l’emergenza? (23.03.2020) > https://ermetespeacebook.blog/2020/03/23/presidiare-lemergenza/  e Riforma ‘mimetica’ per religiosi con le stellette (15.03.2020) > https://ermetespeacebook.blog/2020/03/15/riforma-mimetica-per-religiosi-con-le-stellette/

[xiii] Cfr. il sito istituzionale del Ministero della difesa > https://www.difesa.it/Pagine/default.aspx

© 2020 Ermete Ferraro

SE SI SOGNA INSIEME…

downloadA maggio di due anni fa è nata a Napoli un’importante esperienza di organizzazione di base, impegnata attivamente e volontaristicamente a diffondere una cultura alternativa ed nuovo modello di sviluppo. Sono trascorsi giusto due anni, infatti, da quando è stata ufficialmente costituita la Rete Campana per la Civiltà del Sole e della Biodiversità, aggregazione di referenti associativi ed individuali che già si erano impegnati, nei due anni precedenti, contro il ritorno del nucleare e perché la proposta di legge regionale popolare su “Cultura e diffusione dell’energia solare in Campania” diventasse una legge quadro della nostra Regione.

Il bello è che quello spontaneo aggregato era anche riuscito nella sua mission impossible, superando alla grande l’ostacolo di ben tre commissioni consiliari e di un’assemblea consiliare dove la maggioranza dei voti era saldamente in mano ai partiti di centrodestra.

Fu così che, forti della vittoria ottenuta con l’approvazione all’unanimità di quella che diventava in tal modo la legge regionale n.1 del 2013, noi del Comitato Promotore decidemmo di dar vita ad un organismo associativo che, a questo punto, concentrasse il proprio impegno sull’effettiva attuazione di una legge di fatto rivoluzionaria.

Sapevamo benissimo, infatti, che dietro la faccia bonaria dell’unanimismo bipartisan si celava il solito volto di una classe politica conservatrice e moralmente compromessa, abituata ad affossare ogni innovazione e a difendere gli interessi delle varie lobbies cui è legata.

Noi eravamo stati lo scomodo e fastidioso topolino che, per un attimo, aveva fatto arretrare l’elefante del centro-destra campano, lasciando peraltro un po’ spiazzato anche il fragile centro-sinistra, poco abituato ad uno stile bottom-up di fare politica e spesso ambiguo proprio sulle questioni ambientali. Ecco perché , fin da subito, il sistema si è subito messo in moto per affossare la neonata legge sul solare, dapprima mutilandola con emendamenti in sede di bilancio, in seguito ignorandola sfacciatamente.

sole4Sono stati, questi, due anni di totale disapplicazione di una norma che avrebbe invece potuto davvero segnare una netta svolta in Campania, avviandone una rapida solarizzazione e, al tempo stesso, affrontando le sue piaghe ambientali ed occupazionali in modo creativo e propositivo.

E’ sempre antipatico recriminare, ma in certi casi diventa un dovere civile. In questo periodo, infatti, ben poche voci si sono levate in difesa della disattesa legge regionale n.1/2013, che è diventata il monumento all’ipocrisia di una classe politica timorosa e miope, oltre che prona verso certi interessi consolidati. Se si fa eccezione per i consiglieri regionali del PD Antonio Marciano (correlatore della legge) ed Antonio Valiante (autore di un’interrogazione a Caldoro); per il Sindaco di Napoli, Luigi de Magistris ed suo Vice, Tommaso Sodano e per l’attuale Vice Presidente della Città Metropolitana, Elena Coccia, si direbbe che ben pochi esponenti politici abbiano sentito il dovere di prendere posizione, schierandosi in favore della legge e contro chi ha cercato in ogni modo di annullare la volontà dei cittadini, azzerando di fatto quanto era stato deliberato dallo stesso organo legislativo regionale.

A distanza di due anni, d’altra parte, registriamo con piacere che la competizione elettorale per le regionali in Campania ha finalmente suscitato nuovo interesse per quella che noi abbiamo deciso di chiamare, a buon titolo, la Legge d’Acunto.  Tre candidati presidenti su cinque (Salvatore Vozza per Sinistra al Lavoro, Valeria Ciarambino per il Movimento Cinque Stelle, e Marco Esposito per la lista civica meridionalista MO! Campania) hanno infatti inserito nei loro programmi elettorali il rilancio di questo provvedimento legislativo, di cui evidentemente hanno colto l’importanza e sulla cui attuazione ci auguriamo che vorranno adoperarsi in futuro.

pirasoleNoi della R.C.C.S.B., d’altra parte, non siamo certo rimasti immobili a piangerci addosso, ma abbiamo sviluppato in questi due anni una serie d’iniziative autogestite, lanciando appelli e messaggi anche su questioni apparentemente collaterali, come la necessità di misure di vero contrasto al cambiamento climatico, la salvaguardia della nostra costituzione, l’opposizione al funesto decreto Sblocca Italia ed alle sue devastanti conseguenze per l’ambiente.

Questi ventiquattro mesi di attività della nostra Rete ci hanno visti impegnati costantemente sul territorio, con assemblee, manifestazioni pubbliche ed interventi nelle scuole.

Abbiamo lanciato e fatto sottoscrivere da un migliaio di cittadini una petizione sul clima, con la quale proponiamo nuovi standard (5% d’incremento del verde, 60% di riduzione della CO2, 50% per le fonti rinnovabili, 50% destinato al risparmio ed efficientamento energetico).

Abbiamo svolto iniziative formative e seminariali in alcune scuole napoletane (la SMS Viale delle Acacie del Vomero ed il Liceo Don L. Milani di S. Giovanni a Teduccio).

Abbiamo partecipato come Rete anche ad altre iniziative sociali, come“Miseria Ladra” (promossa da Libera e dal Gruppo Abele); professionali come varie assemblee di architetti ed ingegneri; di promozione di una green economy come i Green Days ed Energy Med, ambedue promossi dall’amministrazione comunale di Napoli.

Abbiamo anche partecipato ad un “Training Camp” dell’A.N.C.I. (Ercolano, apr. 2013) ed alla manifestazione #Fiumeinpiena (Napoli, nov. 2013) ma, soprattutto, abbiamo organizzato in prima persona una quantità d’impegnativi e significativi eventi, a partire dal convegno su “La legge più bella” (Salerno, mag. 2013), cui hanno fatto seguito: la I Conferenza Regionale sui Piani Solari Comunali (Salerno, ott. 2013); l’assemblea “Dalle ecoballe alle piramidi del Sole” (Napoli, Sala Nugnes del Cons. Comunale, nov. 2013).

Il secondo anno è stato contrassegnato da un’iniziativa a tutela della Reggia di Carditello (gen. 2014) e dall’Assemblea per il primo anniversario della LR 1/2013 (Napoli, feb. 2014). Si sono poi registrati altre iniziative pubbliche, come il volantinaggio di denuncia durante EnergyMed (mar. 2014);  l’Assemblea del Soci della RCCSB (apr. 2014); l’intervento ad un incontro di ingegneri ed architetti (Pozzuoli, mag. 2014), un successivo intervento al convegno sulle Eccellenze Campane (Napoli, giu. 2014) e, soprattutto, il fondamentale evento “Diamo un calcio alle ecoballe!”, svolto a Giugliano in Campania nello stesso mese.  Dopo la pausa estiva hanno fatto seguito altre iniziative della Rete, fra cui: l’intervento di una delegazione della Rete alla Convention del Patto dei Sindaci (Napoli, Castel dell’Ovo, set. 2014); la colorita manifestazione “C’è un brutto clima…” (Piazza Gesù Nuovo, set. 2014); la partecipazione ai cortei-manifestazioni contro Sblocca Italia (Roma, Montecitorio, ott. 2014 e Napoli, Bagnoli, nov. 2014) ed altre iniziative simili.

antonio 4Purtroppo il mese di dicembre ha segnato un pesante momento di arresto a questo entusiastico attivismo della Rete. La grave perdita del suo fondatore ed ispiratore, Antonio D’Acunto, ha colpito duramente tutti coloro che lo hanno seguito in questa incredibile avventura, molti dei quali lo conoscevano da decenni, condividendone le grandi battaglie civili, sociali ed ambientaliste che hanno caratterizzato la vita di questo vero profeta della “civiltà del sole”.

L’associazione, orfana del suo leader , ha voluto quindi ricordarlo e rendergli omaggio con una commossa e partecipata commemorazione pubblica, tenuta nella Sala giunta di Palazzo S. Giacomo, alla presenza del Sindaco de Magistris e dell’Assessore all’Ambiente Sodano.

Ma il vero modo per onorare D’Acunto è stata la nostra determinazione nel continuarne la difficile battaglia, senza poter più contare sulla sua carismatica personalità, proseguendo comunque nei contatti con la stessa Amministrazione Comunale di Napoli, con la quale era già stata avviata una proficua collaborazione per realizzare un evento propedeutico alla Biennale del Sole e della Biodiversità nel Mediterraneo, prevista esplicitamente dalla legge 1/2013.

Un altro impegno che ci siamo assunti è stato quello di contribuire con proposte originali alla redazione dello Statuto della Città Metropolitana di Napoli, facendo tesoro delle indicazioni che lo stesso D’Acunto aveva avanzato, già molti anni fa, per realizzare una svolta fondata sul suo progetto di Ecopolis.

L’ intitolazione ad Antonio di un parco didattico da realizzare a Marianella  – voluta dal Sindaco – ci ha indotti poi a considerare con attenzione le indubbie opportunità che questa decisione offre,  confrontandoci con i cittadini di quel quartiere e con la stessa ASIA Napoli, autrice di quel progetto di eco-parco.

biodiversita'Le nostre ultime attività, come dicevo prima prima, sono state rivolte a mantenere aperto il dialogo con i partiti che si sono presentati alle elezioni regionali ed in particolare con i candidati alla Presidenza della Campania. Siamo infatti convinti che il pur fondamentale ed indispensabile lavoro di base dell’Associazione non può essere disgiunto da un impegno a coinvolgere i referenti istituzionali (Comune, Città Metropolitana e Regione) in un percorso virtuoso e “alla luce del sole”, proprio per interrompere il ciclo vizioso della crescente e pericolosa frattura fra i cittadini e coloro che dovrebbero rappresentarli, che si aggiunge a quella tra le comunità locali e la loro terra.

Ecco perché, dopo due anni, possiamo presentarci a testa alta di fronte a chiunque, forti della nostra coerenza e dell’autonomia nella quale abbiamo operato, rivendicando il diritto all’attuazione di una legge troppo a lungo disattesa e ribadendo le ragioni, ideali ma anche concrete, di una svolta epocale verso quella“civiltà del sole” che non è assolutamente un’utopia.

Dobbiamo peraltro ammettere che, mai come in questo momento, tutto sembra andare in senso completamente opposto, per cui il nostro sforzo può apparire ingenuo e velleitario. La verità è che mai come adesso, invece, c’è bisogno di idee chiare, alternative e sanamente costruttive, per uscire dalle sabbie mobili d’un nuovo verticismo autoritario e centralista e di un ulteriore, sciagurato, attacco all’integrità dell’ambiente naturale, in nome del profitto e di un falso progresso.

Mai come adesso c’è bisogno di dire dei “no” chiari e netti (a decreti perniciosi come lo Sblocca Italia ed alla pericolosa revisione della Costituzione, che cancellerebbe il diritto delle Regioni ad intervenire in materie-cardine come l’energia). Servono però anche dei “sì” altrettanto decisi, in particolare a provvedimenti di vero contrasto ai cambiamenti climatici, a progetti di vera economia verde, ad un impulso alla rapida diffusione delle fonti energetiche alternative, contrastando però ogni operazione speculativa, nel rispetto dei valori del territorio e della diversità biologica.

I principi base su cui si fonda la filosofia della legge D’Acunto, infatti, sono sia di natura ambientale (tutela della terra, ricorso ad energie pulite rinnovabili e diffuse, salvaguardia della biodiversità), sia d’ispirazione sociale ed economica (avvio di un’economia decentrata, eco-sostenibile e fonte di nuove occasioni di lavoro e di vero sviluppo delle comunità locali).

 

Ebbene, non sono ovviamente in grado di dire se la nostra piccola Rete, orfana di Antonio D’Acunto, riuscirà in questa sua ambiziosa missione, dal momento che porta avanti un modello che va in totale controtendenza rispetto alle idee più diffuse e non può certo contare sul sostegno di lobbies e di sponsor politici. So soltanto che noi della rete bio-solare ci crediamo fermamente e quindi il nostro impegno andrà costantemente in quella direzione.

Non si tratta di vagheggiare retoricamente il“sol dell’avvenir” ma di operare concretamente e collettivamente per realizzare “l’avvenire del Sole”, in quanto nucleo di una nuova civiltà, più giusta ed ecologica. Perché, come recita un noto proverbio, d’incerta paternità ma molto efficace: “Se si sogna da soli è solo un sogno. Se si sogna insieme è la realtà che comincia”.

(c) 2015 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com.)

4 NOVEMBRE: NON FESTA MA LUTTO

Accorinti--180x140E’ stato questo uno dei primi slogan della mia militanza antimilitarista – scusate il bisticcio…- ed è sempre risuonato istintivamente dentro di me ad ogni ritorno di questa fatidica data. Sì, lo so che l’antimilitarismo non si porta più e che, al massimo, ci si può dichiarare genericamente “per la pace” (“pacifisti” è già troppo impegnativo…).  Il fatto è che quando cominciano ad riapparire sui muri i soliti manifesti con soldati sorridenti e bambini che sventolano bandierine tricolori mi viene una specie di prurito, una vera e propria reazione allergica alla retorica patriottarda che ci affligge da oltre 90 anni, collegando senza giusto motivo la celebrazione dell’Unità d’Italia ed il legittimo orgoglio nazionale alla esaltazione delle Forze Armate.

Questa c.d. “Festa” segue da decenni veri e propri rituali, che si trascinano stancamente e mettono a dura prova la fantasia dei disegnatori dei suddetti manifesti i quali, nel dubbio, riprendono un’iconografia trita e ritrita, fatta di bandiere che garriscono al vento, scie aeree di frecce tricolori, stellette stilizzate e simile ciarpame. Anche le celebrazioni vere e proprie seguono da sempre un rituale consolidato, fatto di alzabandiera, compunti omaggi a base di corone d’alloro ai troppi monumenti ai Caduti, solenni discorsi di circostanza, parate militari ed esposizioni di uniformi di tutti i tipi.  Eggià, perché sarà pur vero che si celebra l’Unità d’Italia, ma è altrettanto vero che a quanto pare nessuno è riuscito finora ad unificare almeno in parte i tanti corpi militari o militarizzati della nostra “Repubblica che ripudia la guerra”.

Parafrasando la nota poesia “’A livella” di Totò, qualcuno potrebbe dire che: “Ogn’anno, il 4 novembre, c’è l’usanza / per i Caduti sventolar bandiere. / Ognuno l’add’’a fa’ chesta crianza / ognuno l’add’a ave’ chistu penziero…”  Però, scusatemi, io non ci riesco proprio a rivolgere il mio pensiero ad un’Italia dipinta come la patria delle forze armate e non degli Italiani.  E con me tanti altri che non riescono ad entusiasmarsi di fronte alle periodiche sfilate di sferraglianti carri armati e che non apprezzano affatto che le nostre piazze e perfino le nostre discariche siano presidiate da truppe in assetto di guerra, come se stessimo a Damasco o Kabul anziché a Napoli o Palermo.

La verità è che il lento logoramento del tempo, la crisi di qualsiasi ideologia e la subdola strategia di chi ha fatto fuori il servizio militare di leva (e al tempo stesso l’obiezione di coscienza) per sostituirli con la “professione soldato” e con un insipido e generico “servizio civile nazionale” hanno di fatto cancellato anni di lotte antimilitariste, di battaglie per affermare la difesa popolare nonviolenta e per la riconvertire l’industria bellica.

La verità è che il nostro beneamato Paese è tuttora tra i primi esportatori mondiali di armamenti ed uno dei più supini alleati in tutte le avventure belliche degli ultimi decenni, regolarmente spacciate per “missioni umanitarie”, o quanto meno come operazioni di “peacekeeping”.

La verità è che solo negli ultimi 10 anni , di questi  “missionari” in armi su vari fronti (dalla Somalia al Ruanda, dalla Bosnia al Libano, dal Kosovo all’Iraq ed all’ Afghanistan) ben 120 italiani, in prevalenza giovani, ci hanno lasciato la vita, allargando la tragica lista dei “caduti”.  Stando all’intollerabile ipocrisia delle versioni ufficiali, però,  –in questi casi si tratterebbe di “caduti di non-guerra”, se non di “martiri” della libertà e della pace…

In questo 4 novembre 2013, l’unica voce di rappresentante del popolo italiano che – fascia tricolore a tracolla sulla maglietta rossa – ha voluto farla finita col coro bipartisan dei politici italioti è stato il neo-sindaco di Messina, Renato Accorinti.    “Si svuotino gli arsenali, strumenti di morte – ha dichiarato nel corso del suo intervento, rivolgendo anche un appello ai sindaci di tutti i comuni italiani – e si colmino i granai, fonte di vita. Il monito che lanciava Sandro Pertini sembra ancora ad oggi cadere nel vuoto. Nulla da allora è cambiato. L’Italia, paese che per la Costituzione ‘ripudia’ la guerra, continua a finanziare la corsa agli armamenti ed a sottrarre drasticamente preziose e necessarie risorse per le spese sociali, la scuola, i beni culturali, la sicurezza. Il rapporto 2013 dell’Archivio Disarmo su ‘La spesa militare in Italia’  documenta come l’Italia abbia speso per l’anno 2013, e spenderà per il 2014 e il 2015, oltre 20 miliardi di euro per il comparto militare (oltre un ulteriore miliardo per le missioni internazionali) a fronte di una drammatica crescita della povertà sociale…” (http://nonviolenti.org/cms/news/356/238/4-novembre-a-Messina-il-Sindaco-con-la-fascia-tricolore-e-la-bandiera-arcobaleno/).

Il Sindaco Accorinti – di fronte ad un imbarazzato pubblico di ufficiali e carabinieri in alta uniforme – ha avuto il coraggio civile di dire pubblicamente ciò che molti Italiani pensano, sottolineando che c’è poco da festeggiare in un Paese dove ci sono nove milioni e mezzo di persone che vivono al di sotto della soglia di povertà. Che c’è poco da sventolar bandiere laddove il territorio è stato sempre di più militarizzato, svendendo la sovranità nazionale a chi quasi 70 anni fa ci ha occupato in armi per ‘liberarci’ dai nazisti e continua tuttora ad occuparci in nome di un’equivoca ‘libertà’, che non scaturirà mai dai voli micidiali dei ‘droni’ né dalla rete satellitare e radar che pretenderebbe di controllare tutto e tutti.

Il primo cittadino di Messina è stato il primo amministratore locale che ha colto l’occasione per smascherare il “re nudo” della spesa militare italiana e della subalternità alle logiche USA e NATO che hanno trasformato regioni come la Sicilia e la Campania in portaerei protese sul Mediterraneo e sul Vicino Oriente, trasformando le nostre città  in  “plessi” distaccati del Pentagono.

Dobbiamo allora ringraziare questo anomalo sindaco in T-shirt e fascia tricolore perché non ha voluto accodarsi ai rituali omaggi pseudo-patriottici ed ha invece ricordato ai suoi concittadini – e con loro a tutti gli Italiani – che il “ripudio” della guerra, previsto esplicitamente dall’art. 11 della Costituzione, non può rimanere un’affermazione teorica e vuota, in totale contraddizione con le scelte della politica in materia di difesa.

L’unico modo per onorare i troppi morti in guerra (e nelle recenti non-guerre…) è ripetere con don Milani che “ognuno è responsabile di tutto” e che nessuno può sottrarsi al dovere di rispondere alla propria coscienza. Ecco perché il 4 novembre deve restare una giornata di lutto e di ricordo, ma non deve essere contrabbandato come una “festa” o come celebrazione della “giornata dell’unità nazionale”.

Come cristiano, poi, non posso che ricordare l’appello di don Milani quando scriveva:  “Se volete diciamo: preghiamo per quegli infelici che, avvelenati senza loro colpa da una propaganda d’odio, si son sacrificati per il solo malinteso ideale di Patria calpestando senza avvedersene ogni altro nobile ideale umano…”  (http://www.panarchy.org/donmilani/obbedienza.html)

L’avvelenamento che ci viene inflitto dal militarismo non è più come quello di una volta, retoricamente nazionalistico e dichiaratamente guerrafondaio, ma proprio per questo è ancora più subdolo. Il volto buono delle Forze Armate – raffigurato dai soldati che soccorrono popolazioni terremotate o distribuiscono latte ai bambini nei luoghi di conflitto bellico – è una pericolosa e continua mistificazione, un imbroglio degno del bispensiero del “Big Brother” orwelliano, per farci credere che “la guerra è pace” e che essere dei buoni italiani significa fare il tifo per alpini, marò e paracadutisti.

Il 4 novembre può essere solo la prosecuzione del contiguo 2 novembre: un giorno di lutto per commemorare i tanti, troppi, nostri fratelli che sono morti, sacrificati sull’altare della patria, o meglio, della mostruosa assurdità delle “inutili stragi” di ieri e di oggi.

paolicelli

Il 4 novembre, per me, è anche l’occasione per ricordare  con rimpianto un’importante figura di obiettore di coscienza, ecopacifista e nonviolento, Massimo Paolicelli,  morto pochi giorni fa, dopo 30 anni d’infaticabile ed entusiastico impegno antimilitarista e disarmista. Purtroppo Massimo è finito prima di poter vedere il sindaco di Messina che mostrava la bandiera della pace – su cui era scritto “L’Italia ripudia la guerra” – davanti ai carabinieri impettiti  nell’omaggio ai Caduti. Peccato: ne sarebbe stato felice e si sarebbe messo anche lui a sventolare festosamente quel simbolo di tante lotte pacifiste.

© 2013 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )

DOV’E’ LA VITTORIA?

Nel tempo necessario per leggere questo post l’Italia sta spendendo oltre 51.000 euro per le spese della c.c. “difesa”. Nel 2010, infatti, sono stati già spesi 27 miliardi di euro, vale a dire 76 milioni ogni giorno, 3 milioni ogni ora e, appunto, oltre 51.000 euro al minuto!
In aggiunta a quest’enorme quantità di risorse economiche assegnate al Ministero della Difesa nello scorso anno, il Parlamento italiano – su proposta del Governo – ha approvato una spesa di altri 17 miliardi di euro nei prossimi anni, per l’acquisto di 131 caccia-bombardieri F35. Basterebbe rinunciare ad un solo cacciabombardiere e si potrebbero costruire 183 nuovi asili per 12.810 bambine e bambini…
La partecipazione italiana alla guerra in Afghanistan ci costa tuttora 2 milioni di euro al giorno ed ha causato decine di migliaia di vittime, in maggioranza civili. L’ultima delle operazioni armata cui abbiamo partecipato, quella contro la Libia che in teoria si è appena conclusa, ci è finora costata 700 milioni di euro!
Ma siccome siamo un grande Paese industriale, nel 2009 l’Italia ha esportato armi per un circa 5 miliardi di euro, contribuendo ad alimentare focolai di guerra in tutto il mondo!
L’art. 11 della Costituzione della nostra Repubblica dichiara solennemente: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.” Ma i 27 miliardi all’anno già spesi ed i 17 previsti solo per i nuovi caccia F35 che cosa hanno a che fare con la “difesa della Patria” che – secondo l’art. 52 della stessa Costituzione – sarebbe “sacro dovere del cittadino” ? E le missioni armate cui abbiamo aderito supinamente, quelle passate e quelle attuali, non sono forse atti di quella guerra che, secondo la Carta costituzionale, dovremmo invece “ripudiare”?
Il Governo ha tagliato 8 miliardi alla scuola ed ai servizi sociali, però non vuol rinunciare neanche ad uno dei 131 bombardieri F35, il cui solo costo permetterebbe di realizzare ben 183 asili! Non ci resta, allora che protestare contro l’ipocrisia di chi vorrebbe contrabbandare il 4 novembre come una celebrazione civile e di unità nazionale, come se le Forze Armate avessero una mission diversa da quella di addestrarsi a fare la guerra.
L’alternativa c’è, e da molti anni. Decenni di lotte per l’0biezione di coscienza, il servizio civile nazionale e l’affermazione della difesa civile nonviolenta ci hanno portato ad una legislazione in teoria esemplare nel contesto dell’Unione Europea. Purtroppo si continua a fare propaganda strisciante ed ambigua nelle scuole, a vanificare le potenzialità del servizio civile e ad ignorare ogni reale alternativa alla difesa armata. Contro tutto questo è doveroso non solo indignarsi, ma lottare contro le mistificazioni militariste e per diffondere una cultura di pace e di nonviolenza attiva.
Ecco perché non c’è nessuna “vittoria” da festeggiare il 4 novembre, ma piuttosto l’esigenza di commemorare le centinaia di migliaia di morti delle tante “inutili stragi” della nostra storia ed un impegno comune perché l’Italia si “desti” sì, per cingersi la testa non dello “elmo di Scipio”, ma con una pacifica corona di foglie d’ulivo.
(C) 2011 Ermete Ferraro