25 aprile: LIBERAZIONE E LIBERTA’

Liberazione e Libertà

                     di Ermete Ferraro

Si è celebrata ieri la Festa della Liberazione, ricorrenza che dopo 63 anni continua ad alimentare rozze polemiche in un’Italia dove, in nome di quella “libertà” che sembra essere diventata la “casa” di neoconservatori ed ex fascisti, si persevera nel revisionismo storico, che proprio il senso di quella storica data vorrebbe cancellare dalla memoria degli Italiani.

Ma non è di questo che voglio occuparmi. Cercherò, invece, di far luce sul senso dello stesso vocabolo libertà, sempre più “parola-attaccapanni” usata cinicamente per appenderci abiti vecchi e nuovi e di qualsiasi colore (si va dal bianco al nero, passando per l’azzurro, il verde ed il rosso…).

Come sempre, mi lascio aiutare dall’analisi etimologica, perché l’esperienza mi ha insegnato che se ricercano attentamente le origini di un vocabolo, spesso si arriva a comprenderne il senso più profondo, nascosto, molto spesso ormai perduto.

Ebbene, in Italiano l’aggettivo LIBERO ed il corrispondente nome astratto LIBERTA’ sono ovviamente simili alla corrispondenti espressioni neolatine (es.: Fra.: LIBRE/LIBERTE – Spa: LIBRE/LIBERTAD – Rum: LIBER/LIBERTATE), tutte derivate dal Lat: LIBER- /LIBERTAS, a loro volta riconducibili ai vocaboli greci: ELEUTHEROS/ELEUTHERIA e, in ultima analisi, alla radice indoeuropea *LEUDHO.

Un discorso a parte va fatto per le espressioni inglesi (FREE/ FREEDOM) o tedesche (FREI/ FREIHEIT), che invece ci riportano a più antiche e comuni forme germaniche (es.: Got.: FREIS), a loro volta ispirate alla radice sanscrita: *PRIYAH /*PRIJATI.

La differenza semantica fra le parole di ceppo latino e quelle di ceppo germanico è che la sequenza *LEUDHO > ELEUTHEROS > LIBER ci riporta ad un’origine per così dire “gentilizia” (nel senso che la radice indeuropea esprime come significato-base quello di “popolo”, “gens”), mentre la sequenza *PRIYAH > FREIS > FREI/FREE  lascia intravedere un significato più “affettivo” (poiché il senso della radice indiana è “amato”, “caro”, cui s’ispira anche la parola germanica parallela FRIEDE, che significa “pace”).

Insomma, mentre nella tradizione latina e neolatina l’aggettivo /LIBERO/ è riconducibile semanticamente soprattutto al concetto giuridico e civile di “privo di vincoli”, “non schiavo” e quindi “indipendente” (in quanto “appartenente al popolo”, di “nobile nascita”), in quella germanico-anglosassone l’accento cade piuttosto su un legame affettivo e sentimentale (amato, che sta in pace…). Una sorta di compromesso logico fra le due famiglie linguistiche, d’altra parte, è riscontrabile nel fatto che in lingua latina /LIBERI/ indicava non a caso sia i cittadini dotati di diritti e non soggetti a schiavitù, ma significava anche “figli”, membri di un gruppo familiare non solo per diritto, ma anche per profondi legami affettivi. Credo che questo approfondimento etimologico non sia inutile, visto che ci riporta ad un dilemma etico-religioso fondamentale, intimamente connesso al significato stesso della parola “libero” e del concetto stesso di “libertà”.

La domanda è, infatti: quest’ultima è per noi soltanto un termine giuridico, che sancisce la nostra indipendenza da vincoli e legami esterni (cosa peraltro da sottovalutare affatto, visto che proprio per la liberazione, personale e collettiva, tante persone hanno combattuto nei secoli, hanno  consacrato la propria vita e spesso non hanno esitato ad affrontare la morte…), o questa parola riesce a richiamarci anche ad un senso più intimo, interiore ed affettivo del nostro rapporto con gli altri?  Sono convinto che a risposta ce l’abbia già data duemila anni fa Gesù Cristo, rispondendo al legalismo ipocrita dei farisei, che lo incalzavano con le loro provocazioni: <<“Se rimanete fedeli alla mia parola, sarete davvero miei discepoli; conoscerete la verità e la verità vi farà liberi”  Gli risposero: “Noi siamo discendenza di Abramo e non siamo mai stati schiavi di nessuno. Come puoi dire ‘Diventerete liberi’?” Gesù rispose: “In verità, in verità vi dico: chiunque commette il peccato è schiavo del peccato […] se dunque il Figlio vi farà liberi, sarete liberi davvero” …>> (Gv 6,31 ss).

Sono passati due millenni, e di una una civiltà che si definisce "cristiana", eppure ci sono ancora troppi convinti che "la Legge" e la loro condizione di cittadini garantiscano ed assicurino la loro libertà, data per acquisita una volta per sempre. Il guaio è che, come per quei Farisei,  per molti essere liberi è un concetto puramente giudico e formale, che non comporta nessuno sforzo personale né una scelta morale spesso difficile. Io penso invece che, credenti o no, faremmo meglio a di smetterla di crederci liberi solo per diritto di nascita. E non perché secoli di civiltà giuridica non ci abbiano ormai convinti che nasciamo liberi cittadini e non sudditi; esseri umani autonomi, capaci di libero arbitrio e non “pupi” manovrati da fili in mano ad altri, ma piuttosto perchè è pericoloso considerare la libertà uno status acquisito una volta per sempre.  E’ la stessa storia dell’uomo a dimostrarci  che si tratta di una condizione molto fragile e delicata, che richiede a tutti noi di essere, ogni giorno, protagonisti della nostra liberazione, senza mai dimenticarci dei troppi fratelli che, tuttora, sono soggetti a vecchie e nuove schiavitù.

Evidentemente, oggi come allora, non ci basta dichiararci “figli di Abramo” oppure “cittadini di uno Stato democratico” per essere davvero liberi, se la nostra libertà non è alimentata dalla verità e dall’amore e se la nostra civiltà resta contraddistinta dalla mistificazione e dalla rivalità. Ecco perché recuperare il significato "affettivo" della parola connesso alla radice germanica può aiutarci anche a comprendere finalmente che non potrà mai esserci libertà senza pace né pace senza libertà.

 

 

di erferraro Inviato su Senza categoria Contrassegnato da tag

2 commenti su “25 aprile: LIBERAZIONE E LIBERTA’

  1. Confermo, molto interessante, l’etimologia della parola libertà, che non conoscevo nella versione anglosassone…credo che la libertà sia anche un fatto di consapevolezza, infatti siamo condizionati ed asserviti non solo dai peccati, dalle abitudini più o meno negative, autodistruttive,nè soltanto dalla sottomissione ad una educazione, ad una morale più o meno condivisa o ereditata…ma anche dalla informazione manipolata e dalla tendenza ad uniformarsi alla consapevolezza del branco.
    Essere liberi significa per me anche e soprattutto essere consapevoli della realtà che ci circonda e dell’effetto delle nostre azioni e pensieri.
    Credo che la maggior parte degli umani non sia libera, che dorma letteralmente un sonno inconsapevole appena turbato da episodici sogni, in cui per lo più è vittima di cose aldi fuori del suo controllo.
    C’è una classe che manipola, controlla, dirige il pensiero e le azioni delle masse, in modo efficace e sistematico, per fini nascosti ed egoistici.
    Siamo ben lontani dalla verità che rende liberi, dall’amore e dalla consapevolezza che siamo tutti uniti, collegati (ama il tuo prossimo come te stesso) purtroppo.
    Divide et impera funziona ancora.

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