‘Napolitudine’: due segnali positivi

totò megafonoNon sempre capita di poter raccontare episodi che lasciano ben sperare. Ad esempio, per uno come me che da decenni s’impegna su alcune questioni fondamentali come quelle riguardanti la pace e l’ambiente, pur con tutto l’ottimismo della volontà è davvero dura continuare a spendersi per certe battaglie quando tutto sembra andare in direzione opposta. L’impressione è che non basta sforzarsi di mantenere la coerenza ed essere capatosta: i fatti sembrano continuamente smentire le nostre convinzioni, confinandoci nel mondo dei sognatori utopisti, che s’illudono di poter cambiare le cose senza farsene modificare geneticamente, accettandole col solito rassegnato ‘realismo’.

Anche il mio impegno in campo educativo e culturale per la difesa e la valorizzazione della lingua e cultura napoletana, pur con qualche riscontro positivo, deve fare i conti con la sostanziale sordità delle istituzioni e con l’apparentemente insormontabile tendenza alla frammentazione del fronte ‘napoletanista’, appena appena si parla di stabilire regole linguistiche certe, superando l’abituale scoglio dell’individualismo e della carenza di spirito cooperativo.

Sono però convinto che – anche su questo piano – indugiare sui punti di debolezza e sulle criticità presenti non ci porti da nessuna parte. Bisogna invece scorgere i segnali positivi che non mancano, ponendoli in risalto e condividendo tale scoperta con chi sta percorrendo la nostra stessa via. Mi riferisco alle tante iniziative di rivalutazione della ‘napoletanità’ fiorenti un po’ dovunque e con varie matrici, da quella riconducibile al rilancio della vocazione turistica della nostra città e regione a quella più marcatamente ‘identitaria’, legata ad un crescente movimento per il riscatto economico e sociale della nostra gente in chiave meridionalista. Vanno poi sottolineate e lodate le numerose iniziative di confronto e coordinamento fra linguisti ed operatori culturali amanti della lingua napoletana, allo scopo di stabilire per essa basi fonetiche e grammaticali precise e condivise, rilanciando il Napoletano anche con nuove ricerche, pubblicazioni e traduzioni.

Mi riferisco poi anche ai segnali che colgo in prima persona, a partire dalla mia personale esperienza. Già nel 2015 infatti avevo registrato positivi riscontri al mio progetto sull’insegnamento della nostra madrelingua nella scuola pubblica, peraltro inaugurata un decennio prima e poi interrotta. Il mio Corso pomeridiano di lingua e cultura napoletana alla scuola media statale ‘Viale delle Acacie’ aveva già riscontrato interesse e lusinghieri consensi sia da parte degli ‘esperti’ e cultori della materia, sia dagli organi d’informazione locali e nazionali e perfino dalla televisione francese. Quest’anno il progetto ‘Napulitanamente’ è appena ripartito nella stessa scuola vomerese e ciò m’induce a sperare nella diffusione di questa fondamentale pratica didattica, coinvolgendo altri docenti anche delle scuole superiori ed avviando un più sereno confronto col mondo universitario, finora scettico ed arroccato sulle proprie prerogative accademiche.

Però i ‘segnali positivi’ preannunciati dal titolo si riferiscono ad altro: si tratta di due episodi che aprono il cuore alla speranza che qualcosa stia finalmente cambiando. Il primo è quello che mi ha spinto a collaborare – ovviamente a titolo volontario – con un’azienda casearia cilentana che stava preparando una campagna pubblicitaria che voleva utilizzare frasi proverbiali in Napoletano. La gentile signora che mi aveva interpellato telefonicamente (ed alla quale un po’ sbrigativamente avevo risposto di non aver bisogno di acquistare di latticini per quella via …) mi ha infatti proposto di svolgere una consulenza linguistica sugli slogan selezionati dall’azienda. E’ nata così una densa corrispondenza via mail tra di noi, grazie alla quale alcune dizioni e grafie discutibili sono state da me emendate e riformulate, contribuendo così ad evitare una nuova campagna pubblicitaria impostata su un uso improprio, sciatto e scorretto della nostra lingua. L’idea che tra poco appariranno su dei maxi-cartelloni gli slogan in napoletano scelti insieme per pubblicizzare le loro mozzarelle mi fa senz’altro piacere, ma è prima di tutto un bell’esempio di cambiamento, nel rispetto di un’identità culturale autentica e non usata strumentalmente.

Il secondo ‘segnale positivo’ mi è giunto, inopinatamente, attraverso una telefonata proveniente da Bergamo. Ero a scuola, in un’ora di spacco, quando mi ha chiamato una signora di origini napoletane ma residente da molto tempo in quella città della Lombardia. Si è complimentata con me per il progetto ‘Napulitanamente’ – di cui aveva appreso via internet – e mi ha raccontato di quanto la nostra Città e la sua lingua mancassero non solo a lei, ma anche al più piccolo dei suoi ragazzi. Se per la madre la nostalgia era facilmente comprensibile, mi ha sorpreso quella del figlio minore, letteralmente innamorato di Napoli e desideroso di farvi ritorno. La scoperta casuale del progetto che svolgo nella mia scuola media (la famiglia è originaria del Vomero) aveva infatti suscitato l’entusiasmo del ragazzo. La signora mi ha quindi spiegato di pensare seriamente a tornare a Napoli, dove tuttora vive suo padre, e d’iscriverlo in quell’istituto, dandogli la possibilità di rituffarsi in quella ‘napolitudine’ che lo rende inquieto nella non troppo accogliente Bergamo. Beh, confesso che questa vicenda mi ha notevolmente colpito, lasciandomi al tempo stesso soddisfatto per questo imprevedibile sviluppo della mia proposta progettuale. Con tutto il rispetto per Bergamo, il ritorno a Napoli di una famiglia che se ne era allontanata da decenni, e con queste motivazioni, suscita in me un po’ di sano orgoglio e mi spinge ad impegnarmi ancor di più in difesa d’un patrimonio culturale che, con o senza UNESCO,  merita di essere salvaguardato e valorizzato.

© 2016 Ermete Ferraro ( http://ermetespeacebook.com )

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