Libertà di non dover più scegliere?

IMG01664-20160213-1223Navigando in Internet ho verificato di non essere il solo che è rimasto colpito dalla chiusa dello spot della TV on demand della TIM , affidato al breve monologo di un estasiato Pif. Il conduttore e filmaker siciliano esalta infatti le straordinarie novità della ‘sconfinata galassia’ di contenuti offerti da quel nuovo tipo di televisione, concludendo con questa significativa frase: “Le nuove tecnologie ci stanno dando la libertà di non dover più scegliere. Non è fantastico?”

Naturalmente si tratta di uno slogan pubblicitario, ma credo che saremmo ingenui a non cogliere il messaggio che esso veicola, che è culturale sociale e politico. E’ vero, si tratta di una frase buttata lì senza apparenti finalità ideologiche, però bisogna essere superficiali o distratti per non afferrarne il senso meno esplicito, che va ben oltre la pubblicità di una rete televisiva. La campagna è stata ideata e realizzata dalla sezione italiana della prestigiosa agenzia Leagas Delaney , il cui motto è: “Il pensiero che trasforma. Il cambiamento che ispira“.

Ma su quale genere di ‘pensiero’ ispiri espressioni come quella pronunciata da Pif credo che valga la pena di riflettere almeno un po’, a partire proprio dal contesto dello spot. Il cuore del messaggio, infatti, è che la TIM offre un servizio capace di accontentare milioni di passioni” degli Italiani. “Grazie alle connessioni  -ci si spiega –  possiamo entrare in un universo televisivo senza limiti. Oggi c’è una tv che unisce tutte le tv”. La grossa novità è che questa ‘galassia sconfinata’ di contenuti può essere fruita “ovunque e quando vuoi”Le parole evidenziate sottolineano fondamentalmente due concetti: il primo è la dimensione smisurata delle richieste degli utenti di quel servizio (che è ‘sconfinata’ proprio perché ‘senza limiti’); il secondo è che la soluzione a ciò è l’offerta di una rete di ‘connessioni’, grazie all’utilizzo di una tecnologia che supera le differenze e le distanze, ‘unendo’ in sé  non solo tutte le modalità televisive, ma in fondo tutte le persone.

E’ da notare sia l’utilizzo della metafora astronomica (universo, galassia…), rafforzata da immagini coerenti con tale contesto, sia l’affermazione che tale provvidenziale invenzione sta adesso concretizzando una prospettiva finora solo futuribile (“oggi….oggi…”). Le altre parole-chiave dello spot pongono in risalto anche la ‘velocità’ della connessione e la sua utilizzazione ‘ovunque’ ci faccia comodo.

Non mi sembra casuale che la somma di queste tre caratteristiche (rapidità, totalità, fruibilità) combaci perfettamente col concetto standardizzato di ‘progresso’, inteso come obiettivo di sviluppo ottenuto soprattutto mediante una continua evoluzione tecnologica. Non è casuale neppure che dallo spot emerga una prospettiva universalistica, ispirata, più alla perfezione del cosmo, alla sintesi forzata del pensiero unico, al modello di economia globalizzata ed alla eliminazione delle diversità come sbrigativa soluzione ad ogni conflitto.

Del resto i grandi maestri della fantapolitica – dall’Huxley del Brave New World all’Orwell di 1984 –  ci avevano profetizzato con incredibile intuizione quello che sarebbe diventato il nostro “nuovo mondo”, governato dalla dittatura della tecnologia e da un ‘Bispensiero’ che mistifica la realtà, presentandoci la schiavitù come libertà e la guerra come pace. Basta poi usare un motore di ricerca su Internet per scoprire che, quanto meno nel mondo anglosassone, espressioni come “Freedom not to Choose” non sono affatto nuove.  Per non parlare dei grandi pensatori che hanno spesso sottolineato che la libertà è un rischio che oggi molti preferirebbero non correre. Un esempio classico è quello di Erich Fromm, il quale oltre settant’anni fa osservava che: L’uomo crede di volere la libertà. In realtà ne ha una grande paura. Perché? Perché la libertà lo obbliga a prendere delle decisioni, e le decisioni comportano rischi […]  L’uomo moderno, liberato dalle costrizioni della società  pre-individualistica, che al tempo stesso gli dava sicurezza e lo limitava, non ha raggiunto la libertà nel senso positivo di realizzazione del proprio essere: cioè di espressione delle sue potenzialità intellettuali emotive e sensuali. Pur avendogli portato indipendenza e razionalità, la libertà lo ha reso isolato e, pertanto, ansioso e impotente”  (Erich Fromm, Fuga dalla Libertà, 1942).

Eppure ci hanno insegnato che scegliere è l’unico verbo in grado di coniugarsi all’idea stessa di libertà. Pur senza scomodare il principio religioso del ‘libero arbitrio’, sembra  evidente che avere un’opzione, disporre di un’alternativa, sia il solo modo per affermare il nostro diritto alla scelta, nel quale è incluso il diritto di sbagliare. Il guaio è che scegliere è anche un peso, una responsabilità che discende dall’originaria condanna biblica, che identificava la conoscenza con la necessità di comportarsi secondo coscienza  (Ecco l’uomo è diventato come uno di noi, per la conoscenza del bene e del male…”   – Gen. 3,22). Scegliere vuol dire riflettere, analizzare le varie possibilità, esercitare il discernimento ed infine decidere, assumendosi la responsabilità delle proprie responsabilità. Decisamente troppo per l’homo tecnologicus del nostro ‘Brave New World’ , dove non c’è mai abbastanza tempo perché tutto procede a velocità sempre più elevata. Un  mondo dove resta anche poco spazio per la spontaneità e per il confronto razionale con chi la pensa diversamente.

I meccanismi individuati da Fromm come caratteristici di questa “Escape from Freedom” sono sostanzialmente tre: l’autoritarismo, la distruttività ed il conformismo. Il primo ci fa rinunciare alla nostra autonomia ed individualità per rifugiarci sotto l’ala protettiva di qualcosa di più grande, importante e generale: un’autorità esterna appunto. Il secondo meccanismo, fondato sulla paura, ci porta ad eliminare preventivamente ciò che potrebbe minacciarci, sfuggendo alla sensazione d’impotenza e di fragilità per mezzo della aggressività.  Il conformismo, infine, ci rende praticamente degli automi, per cui l’individuo smette di essere se stesso ed assume acriticamente il modello culturale che gli viene proposto, mimetizzandosi fra gli altri, in una società sempre più grigiamente uniforme.

Insomma, forse partire da una frase pubblicitaria per giungere a conclusioni di ordine filosofico e politico è un po’ troppo e, in fondo, attribuisce fin troppa importanza ad uno slogan del genere. Però dovremmo smetterla anche di cercare grandi messaggi solo nei discorsi ufficiali o nei testi universitari. La verità è che determinati contenuti ‘passano’ ogni giorno attraverso i media in modo assai meno ufficiale, ma più subdolo, soprattutto quando si rivolgono ad un pubblico estremamente permeabile come quello giovanile.

Trasmettere ad un ragazzo l’idea che le tecnologie attuali ci stanno regalando la libertà “di non dover più scegliere”, infatti, mi sembra un’operazione estremamente pericolosa. Lasciargli intendere che ci si possa liberare dal peso della scelta padroneggiando tutti i possibili contenuti attraverso un unico strumento, se da un lato ne solletica il già ipertrofico senso di onnipotenza e di realizzazione senza alcun limite, dall’altro lo inchioda ad un destino di uniformità controllata dall’alto, e quindi di autoritarismo.

imagesCiò che si propone ai giovani, e non solo a loro, è una società globalizzata dove tutto è connesso in rete, tutto è monitorabile da lontano, tutto si può fare ovunque e in qualunque momento, magari contemporaneamente… “Non è fantastico?”, ci chiede un ammiccante Pif dallo spot della TIM, lasciando intendere che è solo una domanda retorica. Ebbene no. Io, ad esempio, non trovo affatto ‘fantastico’ che il massimo della libertà che ci viene concessa sia quella di non scegliere, e quindi di fare a meno di decidere con la nostra testa e la nostra coscienza.  Non mi sembra per niente una prospettiva esaltante quella di raggiungere la pace dei sensi – e dell’intelletto – alla luce degli onnipresenti schermi di un qualsiasi Big Brother. Non riesco proprio ad appassionarmi né all’idea che lasciar scegliere agli altri per noi sia la soluzione migliore né a quella, altrettanto delirante, che non dobbiamo più prenderci il disturbo di scegliere, dal momento che ormai possiamo avere ogni cosa. Avere tutto – ci avrebbe ammonito Fromm – equivale ad accettare di non essere più nulla. E questo non è per niente ‘fantastico’, anche se sta diventando terribilmente reale…..

© 2016 Ermete Ferraro ( http://ermetespeacebook.com )

3 commenti su “Libertà di non dover più scegliere?

  1. ne parlavo con un amico mesi fa… dal “giocattolo” apribile e “pezzottabile” (il lo facevo con le automobiline elettriche aumentando la massa di fil di rame della bobina e delle spazzole striscianti) all’ “i-GIOCATTOLO”, neppure apribile, neppure per la batteria, FRIUBILE solo per APP (“precotti”)…
    l’approccio era la “scelta” e la “conoscenza” del “dentro” (anche a costo della distruzione del giocattolo!) rispetto alla conoscenza non del giocattolo ma dell’applicativo (immodificabile!).
    altra sfaccettatura del Nuovo Mondo… e del massacro che gli “indiano” subiranno…

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  2. “Le nuove tecnologie ci stanno dando la libertà di non dover più scegliere.”: ritengo che sia un’emerita sciocchezza perché ogni nostro agire è frutto di una scelta, più o meno consapevole. Anche l’azione fatta per abitudine è una scelta: la riflessione sull’azione l’abbiamo già fatta tempo addietro e, nel contesto in cui ci troviamo, riteniamo che quel modo di agire sia il più adatto (e anche questa è una scelta).
    Anche ammettendo, per assurdo, che guardare qualcosa attraverso questa nuova TV on demand sia l’unica cosa che possiamo fare, rimane pur sempre la scelta di cosa guardare in un dato momento.
    Se poi vogliamo vedere questo dover scegliere in ogni momento come una schiavitù, sarebbe come vedere una schiavitù nella forza di gravità o nell’attrito: senza di queste non sarebbe possibile l’universo così come lo conosciamo, compresi noi stessi.

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  3. le scelte indotte non sono scelte personali dell’utente finale, ma scelte dei programmatori che inducono s alcuni precostituiti (da loro o da chi per loro) binari. 😉

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