CINESI E…..CINISMO

   di Ermete Ferraro

 Come è accaduto mesi fa in Myanmar, ora succede nel Tibet che l’opinione pubblica internazionale sia messa di fronte ad un momento forte di una lotta per la democrazia e i diritti umani,che dura già da molto tempo fra l’indifferenza generale.

Anche in questo caso, il governo cinese, oggetto delle proteste, non ha esitato a mostrare il suo feroce volto dittatoriale e militarista, impedendo in ogni modo l’esercizio dei diritti umani e civili fondamentali e reprimendo sanguinosamente l’anelito alla libertà di un intero popolo, ancora una volta interpretato dai pacifici monaci buddisti, che hanno deciso di uscire dai loro templi per diventare il punto di riferimento per una resistenza civile e nonviolenta.

La circostanza che la ribellione dei Tibetani interferisca pesantemente con l’apertura di quei Giochi Olimpici che per la Cina rappresentano un’incredibile ed insostituibile vetrina internazionale, ovviamente, ha complicato ancor più le cose, inducendo gli organismi diplomatici ed i governi occidentali ai soliti contorsionismi verbali per dire e non dire, per condannare senza emettere sentenze. Insomma, per evitare di compromettere i propri interessi economici connessi  ai loro “bisinìss“ con la Cina, quasi sempre in rapida espansione.

Solo pochi politici, a casa nostra, hanno scelto di parlare più chiaramente, affermando – come nel caso di Angelo Bonelli (S.A.) – che:  “…ciò che sta accadendo in Tibet è inaccettabile: interessi economici e commerciali sostengono il governo cinese, responsabile di gravi violazioni dei diritti umani sul proprio territorio: governi e imprenditori hanno infatti ragionato secondo il principio ‘pecunia non olet’, mentre in Cina vengono calpestati i diritti attraverso l’uso della violenza  […] La comunità internazionale  non deve far sentire la propria voce solo attraverso dichiarazioni di routine ma ha l’obbligo di attuare subito misure concrete. I Giochi olimpici vanno fermati o quantomeno sospesi finché nel Paese non verrà ripristinata la democrazia: quest’importantissima competizione non può diventare una passerella per un governo che calpesta in modo gravissimo i diritti umani”. (http://www.sinistrarcobaleno.it/tag/tibet/).

 Un ecopacifista come l’amico Antonio D’Acunto, nel suo editoriale per la rivista online dell’associazione VAS (www.verdiambienteesocietà.it) , si è associato all’appello al boicottaggio di un evento sportivo che, per sua natura, è incompatibile con la repressione  violenta di cui è protagonista il governo cinese.  "Possono svolgersi le Olimpiadi a Pechino mentre corrono violenze, repressioni e sangue a Lhasa e vengono calpestati fondamentali diritti umani nella intera Cina?  – si chiede D’Acunto – Può il Mondo in nome di una farisea indipendenza dello sport dalla politica assistere a presunte imprese atletiche, ignorando quello che avviene nel Paese che ospita tali competizioni? Se ciò avvenisse, gli inni nazionali dei Paesi partecipanti sarebbero le voci della colpevole indifferenza o forse anche la copertura a tali vergognosi crimini contro l’Umanità e la Natura e corresponsabili di essi, come avvenne per molti Paesi nel 1936 con la Germania nazista e l’Italia fascista. Tutti abbiamo l’obbligo morale di contribuire a che ciò non avvenga.[…] La Cina, ovvero il suo apparato di potere, con le Olimpiadi si gioca tutto ed un fallimento di esse sarebbe la debacle totale: uno sfruttamento abnorme dell’Uomo sull’Uomo – mistificato nella grande speranza umana di Comunismo – e dell’uomo sull’ambiente, con un saccheggio di risorse naturali ed un abnorme inquinamento di esse è stato fatto in funzione di questa scadenza. E’ questo un fatto fondamentale che potrebbe, o meglio può ancora, dare un potere enorme di contrattazione a chi positivamente vuole affrontare le grandissime violazioni oggi presenti in Cina – in tema di Democrazia, della Biodiversità Culturale, della Non-Violenza, dei Diritti Umani, della Natura e dell’Ambiente…"

olimpechino Quando si fanno questi discorsi, c’è sempre qualcuno che obbietta: sì, vabbè, bisogna difendere i principi: ma noi comuni mortali che cosa possiamo fare? Ebbene, la prima da fare è non scordarci che siamo in campagna elettorale e che, da cittadini-elettori, abbiamo tutto il diritto-dovere di chiedere ai nostri referenti politici di schierarsi senza ambiguità e senza cinismo su questa terribile vicenda.  Ci hanno già rubato il diritto di sceglierci i rappresentanti in Parlamento. Cerchiamo almeno di far pesare la nostra ferma volontà di non votare quelle forze politiche che non abbiano il coraggio di esprimere un chiaro dissenso nei confronti del sistema di potere cinese, mettendo in atto tutte le possibili forme di opposizione nonviolenta (non-collaborazione, boicottaggio ed altre forme di dissociazione e pressione) nei riguardi di chi reprime nel sangue ogni affermazione di diritti umani e d’identità culturale, linguistica e religiosa.

Anche il mondo dello sport, come quello della politica e dell’economia, ha il dovere di non nascondersi dietro il dito delle frasi di circostanza e delle condanne verbali, dissociandosi dalla celebrazione dei Giochi Olimpici in un momento così grave. Ognuno di noi può "giocare la sua parte", manifestando il proprio dissenso verso il genocidio del popolo tibetano e ricorrendo anche al boicottaggio di quel "made in China" che ha invaso i nostri mercati, drogando di fatto le stesse dinamiche commerciali e stuzzicando gli appetiti di tanti imprenditori senza scrupoli.

Certo, lo stesso Dalai Lama, attraverso il suo portavoce presso l’U.E., si è espresso contro un boicottaggio dei Giochi che non aiuterebbe il Tibet, se non si riuscisse a discutere sulla questione tibetana in sé ed a trovare soluzioni opportune, frutto di mediazioni diplomatiche e non di scontri di piazza. D’altra parte, però, ritengo che occorra chiarezza da parte di tutti, per evitare che le scene di violenta repressione di un movimento civile – nell’ex- Birmania prima e adesso nel Tibet – finiscano col cedere rapidamente il posto a quelle, fantasmagoriche, di Olimpiadi diventate simbolo della colpevole indifferenza internazionale. La bandiera nera con le cinque manette intrecciate – che tutti abbiamo visto sventolare in mano ad un coraggioso manifestante – è un segno fin troppo chiaro perché possiamo far finta di ignorare ciò che sta accadendo in Cina, ricorrendo a valutazioni opportunistiche con evidente…cinismo.