IL MIO RICORDO DI GIGI BUCCI

Sono stato invitato dal SUNAS – che ringrazio – ad aggiungere a quello di tanti altri il mio personale ricordo del caro amico Gigi Bucci, che un anno fa è stato bruscamente ed assurdamente sottratto ai familiari, agli amici ed alle tante persone con le quali si rapportava ogni giorno, nella sua varia ed instancabile attività professionale e sindacale.

Il mio intervento, più che come una relazione da collega – dal momento che da 25 anni ormai sono un insegnante di scuola media – nasce dalla lunga amicizia che mi ha legato a lui fin dai primi anni ’70. Anni difficili quelli, ma pieni di speranza, che ci hanno visto partecipi di tanti momenti felici, in compagnia di comuni amici, con la colonna sonora delle canzoni dei Beatles e degli slogan pacifisti. Gli anni in cui si è consolidato il mio rapporto di sincero affetto per una persona semplice, spontanea e solare, ma anche di stima e di comunanza d’idee ed esperienze.

E’ impossibile per me ricordare Gigi Bucci senza riportare alla mente, come in un album fotografico, le immagini delle manifestazioni in difesa dell’obiezione di coscienza, di accanite discussioni e riunioni della L.O.C., ma anche di tante passeggiate, gite in comitiva e momenti di conviviale allegria, contrassegnati dalle sue inconfondibili e clamorose risate. Gigi, per me, è stato un po’ il fratello minore che non avevo: un ragazzo pieno di slanci, caratterialmente diverso eppure estremamente vicino nella sua travolgente carica di giovanile entusiasmo.

Ecco, Gigi era, ed è rimasto sempre, un giovane, capace di spendersi senza limiti per una certa causa, insofferente delle mediazioni e delle convenzioni, schietto e privo di tatticismi, profondamente ottimista, al punto da contagiare chi gli stava intorno, ma nondimeno attento alle situazioni e dotato di sano realismo.

Molti suoi colleghi/e lo hanno ricordato per la sua grande disponibilità umana e per la carica d’ironia ed autoironia con cui riusciva a sdrammatizzare anche le situazioni conflittuali, con l’antica saggezza di chi non vuol prendersi troppo sul serio.

Tanti lo hanno ricordato poi, e lo faccio anch’io, per le sue umorali e reboanti sfuriate e per la malcelata insofferenza verso ritardi, difficoltà ed ostacoli che gli si frapponevano, rallentando la sua naturale impulsività di persona estroversa e diretta.

Il fatto è che Gigi era troppo vitale e coinvolto in prima persona in quello che faceva per poterli tollerare, ma ciò non significava che il suo impegno professionale fosse improntato ad uno spontaneismo ingenuo e privo di strategia. Egli, al contrario, ha saputo dimostrare  – come assistente sociale e come rappresentante sindacale – che entusiasmo passione possono e devono coniugarsi alla preparazione culturale, alla professionalità ed alla serietà, senza le quali si rischia di fare solo confuso attivismo.

E’ stata ricordata, a tal proposito, la sua visione strategica ed il suo scrupolo nella difesa di una professione viziata da troppi stereotipi e che in Italia non ha mai avuto vita facile né adeguati riconoscimenti. Ebbene, la necessità di collocare l’agire quotidiano di un operatore sociale su un piano più complessivo e in una prospettiva di trasformazione della società è stato un altro punto che ci ha accomunato a lungo. Ci ha accomunato perciò lo studio delle politiche sociali e dell’evoluzione del sistema italiano di welfare  – dall’assistenza paternalistica allo stato sociale, fino a giungere all’attuale progressivo trasferimento dei servizi sociali ad una gestione mista o delegata ad un sempre più ambiguo privato sociale. Un’analisi – svolta sui documenti ma soprattutto sul campo – dalla quale scaturiva la necessità di non inserirsi in modo passivo ed acritico in un ambito ed in un ruolo stabiliti dall’alto e sempre più burocratizzati. Bisognava, bisogna piuttosto, riprendere in mano tale importante professionalità, per progettare e portare avanti interventi mirati e strategici su un tessuto sociale che, nel frattempo, ha continuato pericolosamente a deteriorarsi e lacerarsi.

Parole come ‘volontariato’ e ‘solidarietà’  – troppo spesso pronunciate  superficialmente e senza reale spessore umano sociale e politico – non hanno mai attirato più di tanto Gigi Bucci, che rifuggiva dalle astrattezze ed ha costantemente cercato il modo migliore per rendere significativo ed effettivo il proprio intervento, prima in campo educativo-sociale e poi come operatore socio-sanitario e, dopo ancora, come attivista e leader d’un Sindacato e d’un Ordine che vogliono ridare dignità, autonomia e peso specifico agli assistenti sociali italiani.

Abbiamo più volte ricordato con altri amici comuni, ridendoci su, la sua prima esperienza in quella storica Casa dello Scugnizzo dove io, giovane vomerese laureato in lettere, avevo cominciato a svolgere dal 1975 il non facile ruolo di operatore volontario, prima come obiettore di coscienza in servizio civile e poi come animatore socio-culturale di gruppo.

“Qualunque cosa, ma non l’operatore con i ragazzi! “ aveva sentenziato Gigi a gran voce, trovandosi invece, dopo poco, a svolgere proprio l’esorcizzato ruolo di educatore di decine di terribili quanto adorabili scugnizzielli di Materdei.  Lo ricordo ancora in mezzo a loro, come loro vivace rumoroso e sanguigno, però forte della sua precedente esperienza d’istruttore di boy scout e carico della sua creatività e vivacità naturale.

Lo ricordo anche come impegnato collega di ricerche-azioni sociali nel quartiere e di concrete battaglie per un lavoro sociale ‘dal basso’, al servizio della comunità locale ma soprattutto delle sue componenti più fragili e problematiche. Quei ragazzi, quelle donne e quegli anziani che – per citare il comune e compianto maestro Mario Borrelli – il Centro Comunitario si proponeva di sostenere ed affiancare nel loro cammino di coscientizzazione e partecipazione, riassunto efficacemente dal suo corrosivo motto: “Noi serviamo quelli che non servono a quelli che dovrebbero servirli”…..

Ricordo poi che, avendo egli vinto un concorso dopo che entrambi eravamo diventati assistenti sociali a tutti gli effetti, le nostre strade si separarono ed il terreno d’impegno umano e sociale di Gigi – prima ancora che di lavoro professionale – diventò quello dell’assistenza a soggetti tossicodipendenti, presso l’ex struttura ospedaliera del San Camillo alla Sanità, denominata SERT. Me lo rivedo ancora davanti, sorridente e bonario anche in mezzo a quel deprimente universo d’emarginazione, mentre sperimentava il suo originale approccio umano e professionale in un ruolo poco gratificante e raramente fonte di soddisfazioni, anche perché legato nei fatti più alla terapia e riabilitazione che ad una vera prevenzione.

Ecco perché l’impegno di Gigi, negli anni, si è manifestato spesso all’esterno della struttura, con molti incontri nelle scuole, forse per riequilibrare quel suo scrupoloso, ma difficile e spesso penoso, lavoro di recupero di tanti giovani. Ecco perché la sua esperienza egli ha sempre voluto condividerla cogli altri, da formatore e da docente del corso di laurea in servizio sociale dell’ateneo fridericiano di Napoli.

I suoi colleghi hanno citato le sue doti di umanità e di sensibilità, la sua innata tendenza all’accoglienza ed alla solidarietà. Anch’io vorrei sottolineare le sue doti umane e professionali, messe per tanti anni al servizio dell’Ordine degli Assistenti Sociali – di cui è stato il primo presidente regionale – e soprattutto del SUNAS, che è stato fino all’ultimo la sua casa-madre, dove ha svolto un’infaticabile funzione non solo come combattivo sindacalista e attento dirigente dell’organizzazione, ma anche come giornalista, vivace comunicatore ed attivo consulente.

Credo, comunque, che il ricordo della competenza professionale di Gigi non possa essere disgiunto dalla sua grande carica umana, ricca di spontaneità e di passione. E’ per questo che le istantanee che lo ritraggono e perfino le immagini filmate di alcuni suoi interventi ufficiali o formativi sono spesso caratterizzate dalla sua contagiosa risata di bravo ragazzo, estroverso e caparbio, ma sempre attento agli altri ed alle loro esigenze.

E allora ti vogliamo salutare allora nel modo più semplice, affettuoso e familiare, che era poi il tuo modo consueto di stare in mezzo agli altri. La maniera attraverso la quale hai intrecciato con tanti di noi una relazione solida e fiduciaria, in cui l’uomo ed il professionista si sono costantemente identificati. Naturalmente ci manchi tanto ma, come tutte le persone di spessore, ci hai lasciato molto più che dei semplici ricordi. Ecco perché, nonostante tutto, ti sentiamo ancora in mezzo a noi, per stimolarci a fare di più e meglio, con la tenacia e l’entusiasmo che ti hanno sempre contraddistinto. Ciao, Gigi!

(*) Testo dell’intervento all’iniziativa, organizzata dal SUNAS e dall’Ordine degli Assistenti Sociali, in ricordo di Luigi Bucci (Napoli – Auditorium Giunta Regionale Campania – 13.01.2012)