
Fino a poco più di cent’anni fa il sostantivo ‘resilienza’ era poco conosciuto ed utilizzato, per cui era difficile riscontrarne traccia in un discorso o in uno scritto. L’uso frequente, talora impreciso, che se ne fa in questo periodo, viceversa, sta progressivamente affermando il concetto che questa parola – al di là del riferimento ad una ben precisa proprietà fisica di alcuni materiali – attenga ad una qualità, una caratteristica virtuosa, connessa al comportamento umano, come peraltro era già successo con l’analogo, ma ben diverso, concetto di ‘resistenza’.
«La parola appare per la prima volta in italiano nel XVIII sec. col significato generico, non necessariamente legato ad un settore specifico, di capacità dei corpi di rimbalzare, di tornare indietro. L’accezione è legata alla sua origine latina: il verbo latino resilire, composto da re- + salire, ‘saltare’ si usava nel significato di ‘ritornare di colpo’, ‘rimbalzare indietro’, per estensione anche ‘ritirarsi’, ‘contrarsi’ […] Il latino resiliens comincia a circolare nella letteratura scientifica, redatta in latino fino al Seicento, per indicare “sia il rimbalzare di un oggetto, sia alcune caratteristiche interne legate all’elasticità dei corpi, come quella di assorbire l’energia di un urto contraendosi, o di riassumere la forma originaria una volta sottoposto a una deformazione” (L’elasticità di resilienza, accademiadellacrusca.it, 12/12/2014)”…». [i]
Etimologicamente parlando, l’idea centrale è quella di un oggetto (e per estensione anche di un soggetto) che abbia in sé l’elasticità necessaria per non lasciarsi de-formare dagli urti provenienti dall’esterno, riuscendo a reagire ad essi, recuperando così la forma iniziale. Il verbo in transitivo latino salire(la cui forma nominale del supino-participio era saltum) viene tradotto variamente, con: saltare, slanciarsi, balzare, scorrere, pulsare etc. Dalla sua più frequente forma iterativa saltare sono poi derivati (con la consueta variazione vocalica /a/ > /u/ e grazie ai relativi prefissi) un grappolo di verbi ben noti, come ‘esultare’, ‘esaltare’, ‘insultare’, ‘sussultare’ e ‘risultare’. Con lo stesso meccanismo derivativo, peraltro, dalla forma base si è formato il verbo italiano ‘assalire’, ma anche quello spagnolo salir (nel senso di sbucare fuori, uscire).
D’altronde il verbo greco originario allomai (hallomai) aveva lo stesso significato (saltare, sgorgare, scaturire), per cui il senso fondamentale di entrambi è quello di qualcosa/qualcuno che salta fuori, venendo a modificare una situazione statica iniziale. Non è un caso, infatti, che i sacerdoti romani conosciuti come Salii, e prima di loroquelli greci denominati Coribanti, si caratterizzassero proprio per le loro danze orgiastiche e saltellanti, da cui sono forse derivate le nostre ‘tarantelle’, anch’esse dotate infatti di una forte valenza esorcistica e rituale. Lo stesso termine ‘presule’ (oggi applicato ai prelati cattolici) è quindi uno strano ricordo di pratiche pagane, riferendosi al sacerdote più importante, che guidava quelle frenetiche danze.
Questo spiega come mai ad ogni azione violenta ed improvvisa diretta contro qualcuno (si tratti di un assalto fisico oppure di un insulto verbale) corrisponda solitamente dapprima una istintiva reazione emotivo-motoria (il sussulto) e poi un più volontario sforzo per reagire al colpo ricevuto, o con un ulteriore assalto violento oppure recuperando la situazione iniziale, con quella resilienza che ne dovrebbe neutralizzare effetti. La differenza tra ‘resistenza’ e ‘resilienza’ – come si spiega efficacemente in un articolo – è che: «La resistenza è silenziosa, ferma, ostinata sulla propria posizione, dura come sasso, là dove la resilienza è flessibile, adattabile, fantasiosa. La resistenza è dei forti, cose o uomini che siano. La resilienza è solo umana» [ii].
Re-sistere comporta infatti una reazione attiva, oppositiva e pertanto quasi sempre violenta, verso chi ha compiuto un assalto aggressivo, allo scopo di mantenere ad ogni costo la situazione iniziale. La reazione resiliente, invece, esclude un atteggiamento di rigidità (sintetizzata dal bellicoso motto latino “frangar, non flectar”, tradotto con “Mi spezzo ma non mi piego”) e pertanto può prevedere un temporaneo cedimento [iii] che non è una resa, ma una reazione nonviolenta e creativa, spesso ancor più efficace. Sant’Agostino, non a caso, capovolgeva la frase citata esortando i cristiani con le parole “Flectamur facile, ne frangamur”, invitandoli ad esercitare quella flessibilità in cui ritroviamo il ruolo positivo e non passivo della resilienza.
Però stiamo attenti, dal momento che quest’indubbia qualità – a forza di utilizzare questo termine un po’ troppo e non sempre a proposito – non sia trasformata in ciò che non è, mediante un processo di logoramento, logico prima che linguistico, cui peraltro sono già state sottoposte altre parole ‘alternative’.
«Perché questa curiosità etimologico-linguistica? Perché la parola “resilience” è ormai onnipresente in ogni discorso dei manager e degli economisti, e spesso anche negli articoli, negli studi e nelle analisi di economia e finanza, e nel linguaggio della Commissione europea e dei ministri delle Finanze dell’Eurozona […] Ma attenzione: abbiamo già visto che cosa è successo al termine “sostenibilità”, usato in origine nel suo senso di sostenibilità ecologica (non produrre danni irreversibili all’ambiente, tutelarlo nella durata), e passato poi anche a designare un concetto finanziario…» [iv]
Già, perché l’indubbia positività di una reazione diversa da quella aggressiva e violenta subita, fondata quindi sulla flessibilità e la capacità di recupero, rischia purtroppo di essere artatamente confusa con una ‘non-resistenza’, con l’atteggiamento passivo del classico pugile suonato, capace solo di ‘incassare’ bene i colpi. Anche il concetto psicologico di ‘adattamento’ all’ambiente fisico e sociale – di per sé positivo – è stato alla lunga svilito in una tendenza a non reagire, ad accettare passivamente la realtà, accontentandosi dell’esistente.
Il gandhiano satyagraha [v] c’insegna invece che la resilienza è anch’essa una forma di opposizione al male, di allenamento ad una resistenza alternativa alle avversità, che sbilancia e mette in crisi l’assalitore violento e ci consente di recuperare le forze. Ecco perché ad insulti ed assalti dovremmo addestrarci a reagire in modo opposto, spiazzante e nonviolento. Solo così potremo davvero esultare per un risultato positivo.
[i] Maria Vittoria D’Onghia, “Resilienza, una parola alla moda” (16.10.2020), https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/articoli/parole/Resilienza.html#:~:text=L’accezione%20%C3%A8%20legata%20alla,ritirarsi’%2C%20’contrarsi‘.
[ii] Silvia Magnani, “Resistenza e resilienza”, https://www.silviamagnani.it/articoli/resistenza-e-resilienza/#:~:text=La%20resistenza%20%C3%A8%20silenziosa%2C%20ferma,La%20resilienza%20%C3%A8%20solo%20umana.
[iii] Cfr. la mia Etimostoria #6: Ermete Ferraro, “Cedere e suoi derivati”, https://ermetespeacebook.blog/2022/06/21/etimostorie-6-cedere-e-suoi-derivati/
[iv] Lorenzo Consoli, “Attenti alla parola ‘resilienza’ “ (14.06.2020), https://www.eunews.it/2020/06/14/attenti-alla-parola-resilienza/