DA ‘FORTAPASC’ ALLA CITTA’ INCLUSIVA

 
A Napoli, tra le iniziative promosse in vista del Forum Universale delle Culture – che vi si svolgerà nel 2013 – si è tenuto, ieri ed oggi, il primo Workshop internazionale sul “World Cities Management”, in particolare sul tema “La città inclusiva”.   L’importante confronto fra amministratori locali provenienti da tutte le parti del mondo, dedicato a “riflessioni e proposte sui processi d’inclusione e d’esclusione sociale nelle città”, si è articolato in tre sessioni:                      1) Città: vecchie e nuove povertà; 2) Welfare locale: inclusione, strategie e management;                  3) Globalizzazione, flussi migratori: la memoria del futuro.
Purtroppo non ho potuto partecipare se non alla prima sessione, essendomi impegnato con una delle mie figlie ad accompagnarla con le sue amiche ad un concerto a Caserta, dove, per trascorrere quelle lunghe ore, ho bighellonato con mia moglie per la città e per il “Real sito di San Leucio”. Poi abbiamo deciso di andare al cinema e la scelta è caduta su “Fortapàsc”, il bellissimo film di Marco Risi che ricorda la drammatica vicenda dell’omicidio del giornalista Giancarlo Siani, nel 1985, per mano di quella camorra che egli aveva avuto la colpa di rappresentare nel suo trionfalistico quanto rozzo attacco quotidiano alla legalità. Un ‘sistema’ che condannava la città al degrado morale, al sottosviluppo economico ed alla corruzione politica.     La Torre Annunziata evocata dal film assomiglia a tante altre realtà urbane del Sud, grandi e piccole, mortificate dalla peggiore forma di potere, che non lascia spazio alla dignità, alla libertà e alla giustizia, ma pretende supina accettazione delle sporche regole di chi si pone come antistato.
Ebbene, tornando col pensiero al forum del mattino sulla città “inclusiva”, mi sono venuti alla mente i suoi valori di riferimento, sintetizzati nella “Carta di Lipsia” del 2007 sulle “città europee sostenibili”. In quel documento si parlava di: sviluppo urbano integrato, creazione di spazi pubblici di qualità, modernizzazione delle infrastrutture e miglioramento dell’efficienza energetica, politiche attive nel campo dell’istruzione, attenzione ai quartieri urbani degradati, strategie per migliorare l’ambiente fisico, potenziamento dell’economia locale, politiche proattive per bambini e giovani ed efficienza dei trasporti urbani. Bellissimi concetti, ma quanto di essi riscontriamo nelle nostre realtà urbane?  Purtroppo ben poco, e questo spiega perché diventa sempre più difficile vivere in città che non soltanto sono poco sostenibili sul piano ambientale, ma appaiono la sintesi di tutte le contraddizioni di un modello di sviluppo assurdo ed iniquo.
Altro che “inclusione” ! La drammatica verità è che nostra realtà tende ad escludere sempre di più e sempre più persone, rendendo stridente il contrasto fra vecchi e nuove povertà ed uno spreco vistoso ed insopportabile di risorse; fra incapacità di gestire la propria stessa esistenza ed arroganza del potere.
 D’altra parte, dalla terminologia utilizzata nella Carta di Lipsia (sviluppo, modernizzazione, miglioramento, potenziamento, efficienza…) traspare una visione un po’ ambigua, che alterna obiettivi qualitativi ad aspetti meramente quantitativi, tipici del nostro modello assurdamente lineare di sviluppo, inteso come “crescita”. Ma a chi vive nelle nostre città non serve avere “di più” quanto stare “meglio”; non tanto diventare maggiormente “efficienti” e “moderni”, quanto riprendere in mano il proprio futuro ed essere davvero cittadini anziché sudditi. La camorra e le altre mafie trovano non a caso il loro spazio vitale nelle comunità più degradate, nei comuni peggio amministrati, nelle realtà dove ancora non esistono veri diritti, ma privilegi e favori.
“Fortapàsc”, allora, non è solo la città ottusamente chiusa in se stessa, senza regole e che tende ad alzare muri per difendersi dal cambiamento e dalla contaminazione esterna. Credo che sia ogni comunità dove il potere è cristallizzato, come i rapporti economici e sociali; dove la solidarietà è selettiva e familisticamente amorale, ma non sa aprirsi agli “altri” e ai “diversi”, cui reagisce con diffidenza ed ostilità. La “città inclusiva”, al contrario, dovrebbe abbattere i bastioni del fortino dentro il quale relazioni ingiuste si consolidano e si giustificano, lasciando marcire le ingiustizie per reclutare disperati e sbandati a nuove imprese criminali. La “città inclusiva” dovrebbe essere una comunità che, pur non rinunciando alla propria identità socio-culturale, sa entrare in una dimensione più ampia, che non può però essere confusa con l’attuale processo pervasivo di globalizzazione forzata, cioè di omologazione al modello dominante.
Ecco: inclusione come interazione positiva e creativa con gli altri, per non escluderli ma anche perché sono delle straordinarie risorse per una comunità più giusta e più pacifica.

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