di Ermete FERRARO
E così siamo al "day after". Gli Italiani hanno fatto le loro scelte, o almeno hanno cercato di scegliere, tra chi si era candidato a guidare il paese per i prossimi cinque anni. Lo hanno fatto, è vero, dopo una campagna vacua e superficiale, condotta da forze politiche che cercavano soprattutto di rassicurare un elettorato stanco, deluso e demotivato. Lo hanno fatto, certamente, dopo aver constatato sempre più che sotto gli slogans ad effetto e i palchi imbandierati e rutilanti dei comizi c’era solo un grande vuoto ed una banale struttura di metallo e legno, unica cosa solida e concreta e, al tempo stesso, metafora involontaria dei veri interessi che si nascondono sotto la pesante sovrastruttura dei partiti. Sta di fatto che una netta maggioranza degli Italiani ha imboccato una strada precisa, almeno in termini di opzione elettorale fra le uniche due vie praticabili che gli si erano profilate davanti, sebbene questa stessa scelta risulti oggi molto meno chiara in termini politici più concreti.
Tra due leaders che si presentavano rassicuranti ed interclassisti, ad esempio, quella maggioranza ha scelto chi risultava più credibilmente conservatore, stabilizzatore e capace di tenere sotto controllo la propria eterogenea coalizione. Tra un progetto che poneva la "crescita" economica e la "modernizzazione" al primo posto, subordinando a queste due paroline magiche il pur necessario riequilibrio delle disparità sociali, ed il programma di chi ha da sempre puntato esplicitamente ad un liberismo sempre più accentuato e a tratti demagogico, ovviamente l’elettorato ha optato per il secondo. Non è certo un caso che altri tipi di priorità – da quella ambientale a quella relativa agli equilibri internazionali; dalle decisioni connesse alle scelte energetiche e produttive a quelle necessarie per dare reale potere dei cittadini; dalle politiche verso i migranti alle spese militari – siano state lasciate accuratamente fuori dalla porta dai due contendenti in lizza. Tutto ciò che potesse apparire una svolta, una scelta di parte, una decisione netta, quindi, non ha trovato posto nei programmi delle due coalizioni maggiori, che evidentemente lo consideravano qualcosa di residuale, da lasciare ai "minori", alle c.d. frange "estreme" e "radicali", che dopo queste elezioni sono state effettivamente spazzate via senza scrupoli da quel Parlamento dove si dovrebbe decidere il presente ed il futuro dell’Italia.
Eppure i nodi veri sono proprio quelli che non si è voluto far giungere al pettine. Basta ricordare gli slogans ed i rituali di questa campagna elettorale, le "tribune" e le interviste televisive dei protagonisti di quest’ultima tornata di votazioni, per rendersi conto che i principali problemi, le fondamentali scelte, le reali alternative, sono rimaste del tutto estranee al dibattito politico. Si è fatto un gran parlare di tasse da ribassare, di salari e pensioni da aumentare, di detrazioni e bonus fiscali da introdurre, di lavoratori stranieri da accogliere o respingere al mittente, di priorità di spesa pubblica e di riforme istituzionali. Eppure mi sembra che chi ha affrontato le questioni vere siano stati piuttosto alcuni servizi televisivi eccezionalmente chiari ed eloquenti, come ad esempio quelli della rubrica di Rai3 "Report" . Essi, infatti, hanno messo impietosamente il dito nella piaga dell’intreccio perverso tra classe politica, potentati finanziari e preteso "antistato" mafioso, soprattutto in materia di gestione dei fondi per lo sviluppo, di gestione del business dei rifiuti e di rilancio della stagione degli appalti miliardari. E non sono nemmeno mancati in questi mesi ottimi servizi giornalistici, che ci hanno sbattuto davanti agli occhi il prezzo assurdo di devastanti conflitti armati nei quali siamo stati irresponsabilmente trascinati, oppure incisivi réportages sulla tragedia ambientale in cui anche l’Italia – insieme agli altri partners europei ed occidentali – sta recitando la sua parte, contravvenendo ai protocolli internazionali e lasciandosi coinvolgere in un’escalation di consumismo selvaggio e di disastroso spreco di risorse naturali ed umane.
Pensate: perfino una coraggiosa rivista missionaria ("Comboni-fem") di marzo aveva lanciato accorati appelli a non cadere nel tranello di chi vuol farci credere che il c.d. "biocarburante" ricavato dal mais possa risolvere la crisi petrolifera attuale, rivelando che: "Sembra la soluzione ideale per salvare capra e cavoli: continuare a sprecare energia, visto che adesso sappiamo ottenerla dalla terra in modo rinnovabile. Ma c’è qualcuno, come sempre, che paga per tutto…". E anche sul numero del 27.3.08 di "TIME" – il più noto magazine statunitense – già dalla didascalia della significativa copertina – non esitava a fustigare "il mito dell’energia pulita", sottolineando che "…i politici ed il mondo dei grandi affari stanno spingendo verso i biocarburanti come l’etanolo estratto dal mais, come alternative al petrolio. Ciò che tutti questi stanno realmente facendo è alzare il prezzo degli alimenti e peggiorare il riscaldamento globale, e voi pagate per questo…". Si tratta solo di un piccolo esempio della sostanziale mancanza di sintonia tra chi cerca, in qualche modo, di metterci sull’avviso rispetto allo stretto legame coi problemi locali delle grandi priorità globali (vedi anche il bell’articolo di Mario Tozzi "Una perla preziosa", sul numero di aprile del mensile "Messaggero di Sant’Antonio") e chi invece continua ad agitarci davanti agli occhi il feticcio di una "crescita" illimitata e illimitabile, o a rinverdire il mito di un P.I.L., della cui falsità e pericolosità sanno ormai qualcosa perfino i ragazzini della scuola media dove insegno. Eppure ormai molti non fanno più una piega di fronte a quest’alluvione di assurdità, come, ad esempio, quelle sparate irresponsabilmente da varie forze politiche – anche su fronti contrapposti – sull’esigenza di un immediato ritorno all’energia nucleare oppure le "ecoballe" sulla necessità assoluta di mandare in fumo rifiuti che, viceversa, potrebbero diventare una risorsa eccezionale per un’economia alternativa.
Chi si candidava a governarci, però, ha preferito continuare a blaterare di tasse, salari e "bonus", bombardandoci di slogans banali ed insignificanti (ideati evidentemente da chi è più abituato a vendere automobili o bibite), in modo da coprire l’assoluto vuoto di proposte concrete per chi, ad esempio, va ogni giorno a fare la spesa alimentare. Un consumatore sempre più tartassato e che, come ci hanno spiegato gli autori del servizio trasmesso il 13 aprile dalla citata rubrica di Rai3 "Report" , sembra ormai diventato, suo malgrado, il compiacente complice di un assurdo affare speculativo, che non solo colpisce le sue stesse tasche e ne minaccia la salute, ma sta anche devastando l’ambiente e distruggendo la biodiversità.
E adesso? E adesso – dopo aver cercato d’inghiottire il boccone amaro di una sinistra mandata in esilio per punizione e di una destra che ha trionfato anche grazie al populismo becero e protestatario del secessionismo leghista – non ci resta che prepararci ad una dura stagione di lotte, sperando che il purgatorio cui si è condannata la sinistra italiana, appena ha smesso di essere nutrita dai movimenti di base per ingessarsi nel ruolo di governo, non trasformi in inferno la situazione interna dell’Italia ed il suo ruolo negli equilibri internazionali. Non ci resta che sperare che la gente comune cominci ad aprire gli occhi sulla rapina delle risorse di base che gli si sta prospettando – a cominciare dall’acqua – e sui piani di chi vorrebbe renderci sempre più colonia dei potenti della Terra e, al tempo stesso, guardia armata di chi sta peggio di noi. E questo in nome di una globalizzazione data per indispensabile e inevitabile, che sta maledettamente semplificando tutto quello che può, dal pensiero unico e dalla sua espressione sempre meno pluri-linguistica alle monocolture agricole ed alle tecnologie che fanno quasi a meno dell’uomo.
Hanno voluto farci credere che parlare di decrescita, di disarmo, di opposizione al nucleare, di economia alternativa e comunitaria, di mondialismo equo e solidale e di energie alternative fosse una questione riservata a pochi estremisti "radicali" e si sono quindi affannati a chiudere queste opzioni fuori dal recinto del gioco parlamentare e di governo. A quanto pare ci sono riusciti, ma questo rende tutto più chiaro e ci costringe a guardare il faccia chi davvero ha governato e governerà l’Italia e l’Europa per i prossimi anni. E non sono certo gli omini che si agitano nel teatrino dei pupi dei partiti, ma piuttosto i nuovi signori feudali che controllano le risorse energetiche e quelle finanziarie, che dominano i mercati internazionali e quelli locali, che decidono quanto valga la pena di spendere per una guerra, in termini di vite umane e di denaro sprecato, solo in base al parametro del confronto costi-benefici.
E’ contro queste (apparentemente non-criminali) "cosche" multinazionali che dobbiamo esercitare la nostra resistenza, personale e collettiva, sempre più decisamente e consapevolmente, riprendendoci il potere di chi non si accontenta della possibilità di decidere cosa e chi votare, ma anche e soprattutto cosa mangiare, cosa comprare, come muoversi sul territorio e che cosa sia degno di essere finanziato con le nostre tasse. Certo, è una strada molto più difficile stretta e problematica, se solo la confrontiamo con quella di chi pensa che una croce su un simbolo sia il massimo di partecipazione civica e politica che gli si possa richiedere. Eppure non ne vedo altre più credibili, se davvero vogliamo diventare più protagonisti del nostro futuro e meno sudditi di uno scellerato complesso militare-industriale che si serve di un perverso sistema di potere.
Come cristiano, d’altra parte, mi resta sempre la fede che le forze del male "non praevalebunt"; la speranza che la gente si decida una buona volta non solo a ragionare con la propria testa, ma anche col cuore; ed anche la "carità" di chi sa che non sono le chiacchiere che convertiranno la gente (nel senso etimologico di farle cambiare strada), ma piuttosto l’esempio concreto, coerente e coraggioso di chi sa fare scelte di giustizia e di pace e la solidarietà fraterna di una comunità di veri persuasi. In quello che dico non c’è nulla di "integralista" e nemmeno una rinuncia "movimentistica" alla strada ordinaria della democrazia rappresentativa, che per dieci anni ho invece praticato di persona e che non penso assolutamente vada lasciata in pasto ai professionisti e mestieranti della politica. C’è solo la volontà di affermare che non si fa politica solo in quel modo e che quindi ogni cittadino deve sentirsi responsabile di tutto ciò che gli succede intorno E’ proprio quello che oltre 40 anni fa insegnava un grande maestro come don Milani, quando ribadiva che bisogna: "…avere il coraggio di dire ai giovani che essi sono tutti sovrani, per cui l’obbedienza non è ormai più una virtù ma la più subdola delle tentazioni;[…] che bisogna che si sentano ognuno l’unico responsabile di tutti". Ecco, lasciamoci guidare da questo principio e cominciamo, già da oggi, a stare molto attenti a quello che facciamo ogni giorno e a come lo facciamo, convinti come siamo che non c’è delega né obbedienza istituzionale che tenga di fronte al nostro dovere di persone chiamate a rispondere delle nostre scelte.
questo implica che chi ha acqua la dia per innaffiare, chi braccia per zappare le usi, chi forgia zappe le faccia e le dia, chi ha sementi le sparga…
senza nessuna obbedienza ma con la totale CONdivisione di ruoli bisogni e potenzialità !
buon viaggio allora!
i ponti son stati fatti saltare alle nostre spalle… quindi solo avanti… fin dove getteremo il nostro cuore e la nostra mente
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