Caro Mario,
questa volta ti scrivo per esprimerti la mia gioia per il tuo ritorno tra noi. Un ritorno "virtuale", certo, ma non meno commovente e profondo, che ti ha finalmente riportato in mezzo a noi e ti ha permesso d’incontrare, dopo tanti anni, tanti tuoi vecchi amici e compagni di strada. Sabato scorso, tra i velluti e gli stucchi dorati del teatro "Mercadante", non solo abbiamo finalmente potuto vederti e parlare di te, ma ci siamo anche anche sentiti per tre ore tuoi interlocutori. Eh già, come recitava il titolo della manifestazione ("Parliamone con Mario") in quella sala non c’erano solo le impalpabili immagini della tua intervista a Moreno Alessi, ma c’eri proprio tu, con il tuo sguardo sfottitore, con la tua inconfondibile mimica, con le tue pause da incallito attore di una vita da film.
Sabato mattina è avvenuto un piccolo miracolo. Per alcune ore la macchina del tempo ci ha riportati indietro, a quegli incredibili anni ’60 e ’70, ed intorno a te si sono materializzati decine di personaggi che hanno scritto, insieme con te, tante pagine fondamentali di una storia di Napoli che ben pochi conoscono e che deve ancora essere studiata compiutamente. Dissoltesi le immagini evocatrici del filmato in cui tu ti raccontavi in prima persona, nulla più mi sembrava come un’ora prima e sono certo che tutti i presenti si sono sentiti effettivamente immersi in una realtà che ha ormai ben pochi punti in comune con quella attuale. Una realtà di fede solida, popolare e laica; di proposte profetiche per turbare gli equilibri ipocriti dei benpensanti di sempre; di lavoro sociale, sanitario e educativo "dal basso", animato da speranze incrollabile e da convinzioni trascinanti. Altro che alternanza tra pensiero debole e pensiero unico! Altro che volontariato col bollino blu e concertazione tra istituzioni e terzo settore! Altro che "committenza pubblica", con tanto di gare di appalto, associazione temporanee d’impresa, protocolli d’intesa e via burocratizzando…!
Il tuo ripercorrere quegli anni – dal seminario all’avventura notturna in mezzo agli scugnizzi, dalla "chiesa mobile" alle lotte con i baraccati, dagli studi londinesi al radicamento della tua casa dello scugnizzo come centro di sviluppo comunitario – ci ha riportati bruscamente ad un’epoca in cui si parlava poco di "progetti" ma molto di "Progetto"; poco di sedicenti "organismi rappresentativi" ma assai di più più di protagonismo popolare. Anni in cui il verbo "servire" – fosse coniugato in chiave evangelica o marxista – aveva ancora un senso compiuto. Anni in cui si sentiva che "schierarsi" non era una scelta faziosa ma un dovere etico, prima ancora che politico e che, come diceva don Milani, la stessa obbedienza (religiosa, di partito, di ruolo…) non era più una virtù, bensì uno schermo per non decidere con la propria testa, secondo ragione e coscienza.
Dopo quelle immagini che ti ri-evocavano così efficacemente, ho visto l’assessore Cardillo vistosamente commosso; ho sentito il sindaco Jervolino emotivamente coinvolta da un messaggio che l’interpellava come cristiana e come napoletana; ho sentito serpeggiare in sala una sensazione comune di rimpianto per quel periodo eroico, privo di dubbi e di compromessi, in cui non si stava tanto a studiare le strategie, ma si agiva e ci si comprometteva, si obiettava duramente ma, al tempo stesso, si lavorava in prima persona per costruire alternative credibili e funzionali. Le belle testimonianze che hanno seguito il riconoscimento pubblico dell’Amministrazione Comunale di Napoli nei tuoi confronti (una medaglia d’oro consegnata al tuo omonimo nipote), hanno ripreso con intensità ed efficacia questo clima non tanto di ricordo, quanto di recupero di quello spirito che don Sturzo avrebbe definito "libero e forte" e che tu hai saputo "incarnare" così bene nel tuo lavoro con gli ultimi di quella eduardiana "Napoli milionaria", che non sarebbe mai più stata come prima della guerra. (SEGUE…)