Pensando alla pensione…

É ufficiale. Da oggi sono a tutti gli effetti un pensionato. Come si dice di solito, dal primo settembre 2019 “sono andato in pensione”, anche se in effetti non ho deciso io di andarci, visto che le normative italiane prevedevano comunque che ciò accadesse al raggiungimento del 67° anno.  L’estate è finita, i bagagli sono stati riportati a casa, la televisione ha smesso di parlare del controesodo e cominciano ad accumularsi le nubi di pioggia nel cielo. Tutto come al solito. Con una piccola differenza, però. Domani non riprenderò servizio a scuola, scambiando saluti, abbracci e strette di mano con i colleghi e condividendo quell’atmosfera di strana sospensione che si registra ogni volta che si ritorna alla routine lavorativa, avvertendo la nostalgia per la libertà della vacanza ma anche la curiosità per un nuovo ciclo che inizia.

Domani perciò saluterò mia moglie Anna che riprende la scuola e, per la prima volta, resterò a casa ad aspettarne il ritorno, per poi chiederle “Che cosa è successo? Com’è andata?”. Ma non voglio buttarla sul malinconico né mi sento depresso come il classico Fantozzi al primo giorno di pensionamento. Non sono certo felice ma neppure triste, anche se so già che mi mancherà moltissimo il contatto con i ‘miei’ ragazzi e con quello che ho già definito in un’altra occasione ‘ il mestiere più bello del mondo ’.  Come molti mi hanno ripetuto, d’altronde, non mi mancano certo le cose di cui occuparmi, tutti i miei altri impegni che fino ad oggi dovevo comprimere nel pomeriggio ed ai quali potrò finalmente lasciare spazio adeguato. Epperò non posso negare che un certo senso di vuoto si farà sentire prevedibilmente per un bel po’ e che sarà difficile riempirlo, soprattutto di mattina, pur occupandomi maggiormente della casa e della famiglia.

Lasciando stare l’aspetto emotivo della faccenda, comunque, stamattina mi chiedevo come mai solo noi italiani utilizziamo il termine ‘pensione’ per indicare il periodo successivo alla fine di un rapporto lavorativo. Secondo vari dizionari etimologici, questa parola deriva dal latino pensionem ed indica un pagamento, una rata da corrispondere, ovviamente in riferimento al fatto che col pensionamento scatta una ‘rendita previdenziale’. Mi suona però un tantino squallido questo riferimento ad una fase dell’esistenza di un essere umano solo come quello in cui ci si attende una sorta di restituzione economica in cambio di una vita di lavoro. Per carità, questa pensione ce la siamo abbondantemente sudata e facciamo bene a godercela (si fa per dire…). Sta di fatto però che, in altre lingue, si fa piuttosto riferimento al concetto di ‘ritiro’ dal lavoro, come nel caso del francese retraite, dell’inglese retirement, dello spagnolo retiro, del tedesco Ruhestand, del russo otstavsky e perfino dell’arabo tukaod.

Ammettiamolo: un mondo che cambia per un essere umano non può essere racchiuso esclusivamente nella rata mensile che gli sarà accreditata sul conto corrente quando appunto si pensionerà. Comunque la si voglia considerare – un meritato riposo, un ritiro dal vortice quotidiano del lavoro, un’agognata liberazione da un impegno pressante e spesso stressante – tale cruciale chiusura di una fase personale e sociale non credo che dovrebbe essere assimilata, anche semanticamente, alla lungamente attesa fuoruscita di tante sonanti monete dalla slot machine della vita, oppure ad un verdiano “questa donna/quest’uomo pagato/a io l’ho”. Il concetto di ‘ritiro’ risulterebbe più adatto e – a prescindere dalle diverse normative in vigore nei vari stati – mi sembra comunque che riconosca alle persone una scelta, la libertà di cominciare a pensare di più a se stessi ed ai propri cari dopo avere adempiuto al diritto/dovere civile di svolgere “…un’attività o una funzione che concorre al progresso materiale e spirituale della società”, giusto per citare l’art. 4 della nostra Carta costituzionale.

Il verbo latino re-tirare, infatti, indica l’azione di tirare indietro, di ritrarre, di riportare a sé il proprio impegno, per dedicarsi ad altro e/o ad altri. Mi pare quindi un modo più corretto e rispettoso per designare la nuova fase che da oggi si sta aprendo anche davanti a me. L’affronterò con la consapevolezza che tante cose cambieranno, ma che l’artefice della mia vita mi sforzerò di essere comunque io, come peraltro ho fatto finora in ambito lavorativo e non solo.  Incipit vita nova – per citare il Poeta – o, più semplicemente, inizia un’età in cui, più che isterilirsi a fare bilanci del passato, occorrerebbe darsi un nuovo slancio per costruire il futuro, certamente insieme con gli altri, ma senza mai mollare sulla responsabilità che ognuno di noi ha e cui non si dovrebbe mai rinunciare. A forza di leggere e sentir parlare di ‘legge Fornero’, di ‘quota 100’, di ‘finestre pensionistiche’ ed altre algide formule politico-sindacali, abbiamo forse trascurato di guardare alla pensione in chiave meno economicista, ma piuttosto come una nuova tappa del nostro personale ‘tour’, cui sarebbe il caso di dedicare maggiore attenzione, rimodellando nel modo giusto parte della nostra quotidiana esistenza.  Ecco perché ho voluto dedicare il mio primo scritto dopo le vacanze estive a questo argomento, condividendo con chi vorrà leggerli questi miei primi ‘pensieri sulla pensione’, un po’ per familiarizzarmi con l’idea ma anche per cominciare a riflettere su di essa come inizio piuttosto che come fine di qualcosa. E non è poco.

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