Dalla settimana alla quattromana?
di Ermete FERRARO
Sono anni che assistiamo ad un continuo attentato alla scuola pubblica, teso a banalizzarne la funzione, ad omologarla ad una qualsiasi azienda o agenzia formativa ed a rilanciare una concezione al tempo stesso – e in modo contraddittorio…- liberista ed autoritaria dell’organizzazione scolastica. Questo vale per il curricolo di studio (trasformato in vaghe “indicazioni nazionali” per falso rispetto dell’autonomia d’istituto e dei docenti, ma di fatto per conferire alla scuola una consistenza gelatinosa, abolendo punti fermi senza saperne proporre altri nuovi e migliori ), ma è riferibile anche alla strutturazione temporale della proposta formativa della scuola pubblica, costretta ad una contrazione portata avanti unicamente per bieche motivazioni relative all’esigenza di tagli finanziari e di globale ridimensionamento di questo comparto della spesa nazionale.
Sono anni che noi docenti subiamo questo martellante succedersi di leggi e leggine, uno stillicidio di regolamenti e contro-regolamenti, indicazioni ufficiali e segnali ufficiosi che le negano, eppure stiamo pazientemente cercando di continuare a svolgere al meglio il nostro lavoro o, laddove non prevalgano imperativi categorici così elevati, se non altro di “attaccare il ciuccio dove vuole il padrone”, brontolando un po’ tra noi ma, nella sostanza, adeguandoci al “nuovo corso”.
C’è però una cosa sulla quale nel mondo dei docenti scatta una reazione d’immediata intolleranza: la possibilità d’invertire la tendenza pseudo-efficientista della “settimana corta”, sebbene siano sotto gli occhi di tutti le conseguenze negative di questa organizzazione del tempo-scuola.
1. Perché passare a cinque giorni di lezioni anziché sei non ha risolto affatto il problema dell’assenteismo, ma lo ha aggravato ulteriormente, visto che gli alunni si assentano molto spesso anche di lunedì e di venerdì e che, con sei ore di lezione al giorno, assentandosi un giorno, perdono complessivamente 1/5 in più di quello che succedeva col vecchio orario.
2. Perché questo modulo settimanale accorciato crea problemi ancora maggiori nel caso delle assenze dei docenti (ormai difficilmente sostituibili da parte dei colleghi) i/le quali, in ogni caso, per ogni giorno di assenza sottraggono alle loro classi 1/5 in più di quanto accadeva prima.
3. Perché sappiamo benissimo che la fetta dell’utenza scolastica più socio-culturalmente deprivata presenta già un enorme disagio a seguire tre -quattro ore di lezione, giungendo ovviamente a manifestare una chiara intolleranza a farlo per sei ore di seguito, fatto che peraltro alimenta non solo l’insuccesso scolastico, ma anche fenomeni di violenza ed oppositività.
4. Perché non dovrebbe sfuggirci nemmeno che la parte migliore della nostra utenza – quella cioè maggiormente dotata di buone competenze di base, di validi strumenti cognitivi e di modalità comportamentali più accettabili – risulta altrettanto se non maggiormente “stressata” da queste lunghe giornate scolastiche che, da sei ore ordinarie, arrivano spesso a sette-nove unità di studio giornaliere, tenuto conto anche delle attività pomeridiane extra-curricolari e di altre eventuali attività d’interesse personale (strumento, danza, lingua etc.).
5. Perché restringere la settimana scolastica a cinque giorni ha creato, crea e creerà una serie di problemi anche sul piano della sicurezza, della pulizia, della gestione degli orari del personale non-docente e del rapporto con le famiglie, ormai ridotto a sporadici incontri periodici collettivi, di dubbia utilità educativa. Ebbene, come se ciò non bastasse, dobbiamo inoltre prendere atto del fatto che – seguendo il diffuso delirio efficientista di cui sopra e l’esempio di alcuni paesi europei – la nostra Ministra dell’Istruzione si è dichiarata favorevole alla riduzione della settimana scolastica a soli quattro giorni di attività, con una base oraria giornaliera presumibile di almeno sette ore, cui aggiungere ovviamente le attività opzionali e non curricolari…!
A questo punto – pur sapendo di voler sfondare una porta blindata – la coscienza umana e professionale di docenti come me li spinge a non tacere oltre il proprio profondo dissenso ed a chiedere a tutti/e i/le Colleghi di associarsi alla loro protesta, da manifestare nelle sedi più opportune (istituzionali, ma anche sindacali e d’informazione). E questo perché bisogna cercare e le forme più chiare ed efficaci per comunicare a genitori, alunni e docenti tutti/e che non ci sono risparmi che tengano di fronte alla riduzione di un già difficile percorso formativo ad una parodia penosa di ciò che la scuola dovrebbe e potrebbe essere.
(c) 2010 Ermete Ferraro