VO-PO-SA-FA: ecco la formula

Scorrendo i post su Facebook mi sono imbattuto nell’immagine di questo cartello ligneo, datato Ascoli Piceno, A.D. 1529. Vi si legge una sorta di aforisma in versi quaternari, il cui testo gioca sulle rime derivanti dal troncamento delle forme verbali, Si utilizza poi una sorta di chiasmo, incrociando semanticamente il primo col secondo verso ed il terzo col quarto. Il ritmo si spezza al quinto, ma poi recupera la rima al sesto ed ultimo verso. Da una successiva ricerca su internet ho scoperto che si tratta della copia di una delle originali iscrizioni proverbiali incise nel travertino delle facciate dei palazzi ascolani del Rinascimento; in particolare di quella che campeggia sull’architrave di un edificio al n. 19 di Rua Longa. [i] 

Mi sembra interessante utilizzare questo saggio ammonimento inciso sulla pietra come spunto per affrontare la nostra realtà attuale.  Sono infatti passati quasi cinque secoli, ma si direbbe che le cose non siano molto cambiate da allora, confermando quanto sia difficile lasciarsi alle spalle gli errori del passato e voltare davvero pagina. Basti pensare che le vicende umane sono state costantemente rivolte a perseguire l’obiettivo del potere, inteso come possibilità assoluta di ‘fare’, di operare in base alla propria volontà. Un concetto reso icasticamente dai celebri versi danteschi: “Vuolsi così colà dove si puote / ciò che si vuole…[ii] . Eppure la storia e la nostra stessa esperienza quotidiana ci hanno dimostrato quanto spesso l’aspirazione a poter realizzare ciò che si vuole sia spesso frustrata, più che da ostacoli esterni, dalla mancanza di determinazione. Lo stesso ragionamento potremmo applicare alla seconda parte dell’aforisma. Anche la ricerca della conoscenza, nella convinzione che il sapere sia premessa e condizione dell’azione, è stata sovente vanificata dalla pericolosa scissione fra questi due elementi.  Troppe persone che ‘sanno’ si accontentano della loro conoscenza teorica e quindi non ‘fanno’, cioè non la mettono in pratica. Ancor di più, però, sono quelli che si lasciano prendere da un frenetico attivismo, senza fondare il proprio agire su basi cognitive valide e sicure, con esiti spesso disastrosi.

Forse è esagerato affermare che è solo questa la ragione per cui “il mundo mal va”, però bisogna ammettere che gli esseri umani hanno frequentemente mal coniugato quelli che grammaticalmente sono modestamente chiamati ‘verbi servili’, sebbene ‘volere’ e ‘potere’ siano stati da lungo tempo il movente principale per cui essi hanno coltivato, talvolta con notevole mancanza di scrupoli, l’ambizione di sapere e di fare.  La contraddizione risiede quindi nel paradossale comportamento di chi potrebbe, ma non vuole o, viceversa, vorrebbe ma non può. L’impotenza e l’ignavia sono stati e sono sicuramente due grossi limiti, ma in questi due casi – come per la passività di chi sa non fa – il risultato è l’inazione, ossia una colpa di tipo omissivo. Più grave, invece, mi sembra la situazione di chi si rende protagonista di azioni non supportate da un’effettiva conoscenza di ciò che va a compiere, dimostrando incoscienza ed irresponsabilità e provocando spesso notevoli danni.

Scorrere i quotidiani oppure venire a conoscenza delle notizie riportate dai radiogiornali fornisce la conferma di quanto sia vera quella riflessione di mezzo millennio fa. Il pensiero corre ovviamente alla politica, il terreno privilegiato su cui esercitare il potere sorretto dalla volontà e l’azione fondata sul sapere. Eppure l’immagine che tanti politici continuano a dare di sé sembrerebbe ribadire il paradosso del citato aforisma ascolano. Chi ha sgomitato a lungo per raggiungere l’agognato ‘potere’ in molti casi, dopo aver conseguito tale obiettivo, non se ne avvale per attuare ciò che aveva affermato di volere, ma solo come autoaffermazione personale. É altrettanto vero, d’altronde, che quelli che attribuiscono la loro incapacità di agire alla mancanza d’un effettivo potere non sempre sarebbero capaci di mettere in atto ciò che dicono di volere, anche se fossero messi in condizione di farlo…

Tanto più cinica e spregiudicata è la corsa al potere, tanto più rischia di mostrarsi fine a se stessa. Emergono allora passività, indecisione, inerzia, irresolutezza ed altri limiti all’azione, sebbene a quel punto non manchi più il potere di decidere ed agire. Anche la presunta impotenza di chi non occupa posti di ‘potere’ appare spesso il comodo alibi di chi preferisce stare alla finestra a criticare ‘chi comanda’, rinunciando ad esercitare un ruolo propositivo ed attivo nella società.  Altrettanto frequente è la rinuncia a ‘fare’ da parte di quelli che ‘sanno’ – e quindi avrebbero gli strumenti e le competenze per intervenire –un comportamento che spesso caratterizza una concezione mentalista ed astratta del ‘sapere’, ma in molti casi dipende da irresolutezza morale e da vera e propria vigliaccheria. La pericolosa frattura fra teoria e prassi è stata retaggio di una cultura troppo a lungo teorica e scissa dalla realtà, che vedeva gli intellettuali esterni alle vicissitudini della vita quotidiana, chiusi nella torre d’avorio del loro sapere e per nulla preoccupati delle ricadute pratiche del loro ‘pensiero’. L’impetuoso avvento di una modernità che si nutre di progresso tecnologico e del robusto pragmatismo delle ‘competenze’ ha sicuramente spezzato quel cerchio, ma non per questo è riuscito a ricongiungere davvero il sapere con il fare.

Parallelamente, la cultura massificata ed omogenizzata dei media sembra aver provocato una generale tendenza alla faciloneria arruffona di chi presume di sapere e quindi non ha alcuna remora ad agire, pur non possedendo le sufficienti basi logiche e cognitive per farlo. Riflettere, ricercare, approfondire, valutare sembrano essere diventati passaggi del processo operativo che possono essere tranquillamente saltati, sostituendoli con l’attivismo frenetico, un po’ scomposto e spregiudicato, di chi è determinato a perseguire finalità quantitative più che qualitative. L’irresponsabilità di chi “fa e non sa”, allora, si rivela particolarmente grave, nella misura in cui determina risultati non attesi, sgradevoli conseguenze ‘collaterali’, se non veri e propri disastri. La verità – scolpita nel travertino di quell’antica iscrizione – è che dovremmo un po’ tutti recuperare il buon senso di un’azione sorretta dagli altri tre elementi: volontà, potenza e sapienza. Spezzare il legame logico di questa sequenza è sempre assai pericoloso, per cui non dobbiamo sorprenderci se, in caso contrario, “il mundo mal va”. Dovremmo invece darci da fare per evitare che l’umanità resti vittima dell’ignavia, dell’impotenza, della passività e dell’irresponsabilità che tanti guasti, ecologici non meno che economici e socio-politici, hanno già provocato e stanno ancora determinando. E dobbiamo farlo prima che sia troppo tardi.

© 2019 Ermete Ferraro


[i] https://www.fattodiritto.it/ascoli-piceno-tra-medioevo-il-rinascimento-del-travertino-parlante/

[ii] D. Alighieri, La Divina Commedia, Inferno, III, 95-96)

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