DISPERSIONE, DISAGIO…segue (2)

Anche nel corso di questo ‘anno scolastico mi sono occupato di "disagio e dispersione" nella scuola media dove insegno da un bel po’, e alla fine ho provato a tracciare un bilancio di questo mio specifico impegno, che comportava sia il monitoraggio delle assenze frequenti o addirittura della totale inosservanza dell’obbligo di frequenza scolastica da parte di una buona fetta di alunni/e, sia la verifica delle situazioni più problematiche sul piano della socializzazione e del comportamento, tipiche di quel famoso "disagio" scolastico. In ambedue i casi, naturalmente, non si trattava solo di analizzare questi fenomeni, ma anche di porvi rimedio, intervenendo nel modo più opportuno ed efficace. Ebbene, mentre comprendere le origini remote e le cause specifiche di comportamenti del genere risulta abbastanza agevole, soprattutto a chi abbia un minimo di competenza sociale, quello che senza dubbio resta invece più difficile è trovare la chiave giusta per dare delle risposte chiare, univoche e concrete a quelle situazioni di disagio, peraltro sempre più diffuso e trasversale. Io penso che la nostra società sia viziata da due gravi peccati d’origine: il primo è l’influenza negativa esercitata dai vaghi sensi di colpa di genitori ed altre figure adulte nei confronti dei bambini, che finisce per condizionare pesantemente, se non per inficiare del tutto, un’azione educativa degna di questo nome, perpetuando il lassismo di chi, non sapendo più proporre valori e modelli comportamentali in modo credibile, rinuncia del tutto a farlo. Il secondo "peccato originale" credo sia legato ad uno stile di vita sempre più globalizzato e monoculturale, che è riuscito a fondere la tradizionale disattenzione per il futuro – tipica di chi è abituato da secoli a vivere alla giornata e ad apparire più che essere – con lo scellerato consumismo indotto chi è riuscito a mercificare tutto e ad esaltare la soddisfazione del piacere individuale come unico parametro di scelta, azzerando ovviamente ogni forma di etica e di solidarietà di gruppo

.Se si dà un occhiata ai tanti progetti che – nel nostro Paese come all’estero – tentano di contrastare il drammatico binomio disagio/dispersione, appare chiaro che essi si pongono nella maggior parte dei casi come un "correttivo" e/o una "integrazione" a quel modello educativo e didattico considerato "di base", considerando tali interventi come un modo per superare il "disadattamento" dei minori e per aiutarli ad "inserirsi" meglio proprio in quella società che ha prodotto quegli stessi guasti. Il progressivo, e sicuramente preoccupante, aumento dei tassi di questi "disadattati" alla scuola, però, ci costringe a chiederci se il nostro compito di educatori sia proprio quello, o se invece non sia il caso di guardare oltre una "normalità" che ogni anno risulta meno…normale.  Ad esempio: un ragazzino non riesce proprio a seguire un discorso, a capire un testo anche breve, ad esprimere quello che pensa e che sente? Niente paura: gli diamo un po’ di attività sportiva in più, lo mettiamo davanti al monitor di un computer oppure rispolveriamo il vecchio e vituperato "avviamento professionale", mandandolo in qualche laboratorio artigianale ad imparare un mestiere… Il "minore" in questione non riesce ad entrare a scuola in orario ed a restare decentemente per alcune ore tra i suoi coetanei; non ce la fa proprio a rispettare le regole collettive; si esprime solo in maniera aggressiva e senza alcun rispetto per le cose e le persone? Bene: lo facciamo frequentare per meno tempo e secondo regole diverse, alleggerendogli il carico didattico e magari facendogli fare soprattutto quello che già sa fare, così almeno non si scoccia…

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