Stavo dando una rapida scorsa a “la Repubblica” di sabato 31 agosto – mentre ero affaccendato nei preparativi per il ritorno a Napoli dopo la pausa della vacanza al mare – quando mi è capitato sott’occhio un articolo di Vittorio Zucconi intitolato: “Odiata e indispensabile: la condanna dell’America a finire in prima linea”. A questo punto non ho potuto fare a meno di mollare ciò che stavo facendo per immergermi nella lettura del corsivo dell’autorevole politologo italo-statunitense, imperniato su una tesi decisamente originale. Il senso ne è condensato nell’incipit : “Stanno conducendo di nuovo gli Stati Uniti verso un’azione che nessuno a Washington davvero vuole, ma che tutti sanno essere ormai inevitabile” e trova una spiegazione verso la fine dell’articolo: “La prepotenza americana è l’indicatore inverso della impotenza altrui. Di fronte al vuoto di volontà, di determinazione, di semplice capacità d’azione, Washington si lascia risucchiare ancora e ancora”. Qualcuno potrebbe chiedersi, a questo punto, perché mai la prima superpotenza economico-militare sia talmente fragile alle suggestioni e così maledettamente esposta alle carenze del resto del mondo. A quel qualcuno Zucconi risponde da par suo, con una frase degna di un epitaffio: “Ma l’America non può fare a meno di essere l’America, di sentirsi chiamata a rispondere e ad indossare la responsabilità di essere insieme il protettore e la vittima, il poliziotto e il killer nella viltà del mondo… Non c’è un’altra America, ma soltanto questa, la somma di tutti i successi e i disastri della storia contemporanea, sempre più sola, sempre meno amata, sempre più indispensabile.”.
Che dire: mi sono venuti i brividi di fronte a questa prosa dalla tragicità quasi eschilea, che evoca un fato ineludibile contro cui nessuno, neanche il potente Presidente USA, può far nulla… “Neppure Zeus al suo fato può sfuggire” faceva dire infatti Eschilo al suo Prometeo incatenato e confesso che questa immagine del Nobel per la pace Obama, anche lui “incatenato” al terribile destino di un’America che non può che essere se stessa, mi ha quasi commosso…
Fa male Giorgio Cattaneo – in un suo pungente articolo su “Globalist” dal titolo “Obama, Cappuccetto Rosso e altre fiabe” – a sbeffeggiare Vittorio Zucconi, definendolo “favoliere” e ridicolizzandone la tesi secondo cui sarebbe l’inerzia del resto del mondo a ‘condannare’ gli americani ad un interventismo che non è certo una novità. Non siamo di fronte ad una fiaba, ma a pura tragedia greca. Le Moire – lo preciso per quei pochi che di Moira conoscono solo la Orfei – erano le tre mitiche dee del destino, che stavano dietro l’ineluttabilità cieca che conduceva i destini degli umani, cui nessuno poteva resistere. Cloto ‘filava’ , Lachesi ‘fissava la trama fatale e Atropo rappresentava la fatalità conclusiva e definitiva: quella della morte. Ebbene, a quanto pare, anche dietro l’irresistibile e fatale “condanna” degli USA a fare, loro malgrado, da gendarmi del mondo, secondo Zucconi ci sarebbe lo zampino delle tre dannate vecchiacce.
Ogni altra spiegazione, per il nostro politologo made in USA, non avrebbe senso e sarebbe viziata dal solito, vieto, antiamericanismo: «La spiegazione di comodo, quella che la faciloneria dell’ideologismo antiamericano sta risfoderando anche in questi giorni, è che l’interventismo Usa sia soltanto il braccio armato degli interessi commerciali, industriali e oggi finanziari degli americani, mentre una piccola, ma tenace setta di allucinati arriva ad accusarli addirittura di creare gli incidenti che giustificano l’azione armata, dalla distruzione delle Torri Gemelle fino alla fornitura di gas ai ribelli siriani per “autogasarsi” e così provocare la spedizione punitiva contro Assad».
Ma come diavolo ci si può lasciar andare a tesi “complottiste”, sostenendo che dietro decenni di guerra fredda prima e di guerre poi – tutte combattute per iniziativa e sotto la guida degli Stati Uniti – possano nascondersi interessi economici ed ambizioni imperialistiche? La tragica verità, ci spiega magistralmente Zucconi, è che se gli USA continuano fatalmente a “lasciarsi risucchiare in azioni armate” è solo perché l’America è sempre l’America, e non può permettere che il male prevalga sul bene!
Oddìo, forse l’articolo non è del tutto chiaro in qualche punto. Ad esempio, non si capisce bene a chi si riferisca il giornalista quando scrive che “stanno conducendo di nuovo gli Stati Uniti verso un’azione che nessuno davvero vuole ma che tutti sanno essere ormai inevitabile”. Chi c’è dietro quel verbo alla terza persona plurale: le Moire greche o altre forze misteriose e trascendenti? E poi, chi si nasconde dietro quel “nessuno” che aborre così tanto la guerra, forse l’Outis omerico, il “Nessuno” nato dall’ingegno di Ulisse?
E chi sono mai quei “tutti” che, viceversa, la ritengono comunque “inevitabile”?
Questi particolari, però, nulla tolgono all’immagine davvero tragica di uno Stato che riesce ad essere, al tempo stesso, “protettore e vittima, poliziotto e killer”. Il destino cui gli USA devono fatalmente cedere, nonostante la loro potenza ed a costo di farla diventare prepotenza, è tratteggiato da Zucconi come un’ineludibile sentenza del Fato, che peraltro non le riserva neppure concreti vantaggi. Trattasi infatti, spiegail giornalista, di azioni «dalle quali non traggono né conquiste territoriali né bottini di guerra […] neppure l’antiamericano più allucinato può sostenere che dai 15 anni di emorragia in Vietnam, dai dodici in Afghanistan e dai dieci in Iraq, Washington abbia tratto vantaggi imperiali».
E’ questo l’elemento più rilevante di quella che – citando la nota opera scritta nel 1925 da Theodor Dreiser – potremmo definire la vera “tragedia americana”. Dietro portaerei e caccia americani non c’è nessuna sete di egemonia politica né di colonialismo economico, ma soltanto la dura necessità di evitare che la vigliaccheria degli altri paesi consenta al Male di avere la meglio. Tutto qua.
E, come sottolinea anche Cattaneo nel suo articolo: “…guai al povero Obama, che “non ha scampo”. Perché «non c’è un’altra America», ma soltanto questa, «sempre più sola, sempre meno amata, sempre più indispensabile». E’ lui il vero eroe tragico di quest’America paradossale: isolata ma da tutti invocata, osteggiata ma di cui non si può fare a meno, combattuta come simbolo del complesso militare-industriale eppure regolarmente tirata in ballo da chi non ha il coraggio d’intervenire in difesa della libertà.
E’ quella stessa libertà cui inneggiano grandi e piccoli negli Stati Uniti quando, con la mano sul cuore, cantano in coro le solenni note del patriottico inno “America the Beautiful”:
“O beautiful for heroes proved / In liberating strife. / Who more than self their country loved / And mercy more than life! / America! America! / May God thy gold refine / Till all success be nobleness /And every gain divine!”.
E’ l’eroico destino di cui parla Zucconi che chiama l’America a quella “lotta liberatrice” che caratterizza “chi ha amato il suo Paese più di sé e la misericordia più della vita”. Smettiamola quindi con la “faciloneria dell’ideologismo antiamericano” e rendiamoci conto di quale drammatico sacrificio stiamo ancora una volta chiedendo alla “nobleness” dell’America col nostro atteggiamento vile e con la nostra deprecabile “impotenza”. E, soprattutto, basta con la retorica pacifista e con gli attacchi a chi ha ricevuto in sorte un sì oneroso compito da svolgere.
Qualche anno fa Vittorio Zucconi ha efficacemente intitolato un suo libro: “L’Aquila e il Pollo Fritto. Perché amiamo e odiamo l’America (Milano, A. Mondadori, 2008). Scriveva già nel I sec. a.C. il poeta latino Catullo nel suo carme 85: “Odi et amo. Quare id faciam, fortasse requiris. Nescio, sed fieri sentio et excrucior.”
Ebbene, anche noi siamo afflitti da questa contraddizione ma, a quanto pare, non c’è nulla da fare. Quest’odio-amore – ahime! – fa parte del destino anche degli Stati Uniti, di cui tutti gradiscono l’ottimo pollo fritto, ma assai meno l’aquila imperiale dello stemma, più disposta a lanciare le frecce che stringe nella zampa sinistra che a sventolare il ramoscello di ulivo che impugna con la destra. Anche il “pacifista” Obama farà così nei confronti della Siria? Lo sapremo presto ma, si sa, le tragedie finiscono sempre molto male…
© 2013 Ermete Ferraro (https://ermeteferraro.wordpress.com )